Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2019-07-12, n. 201904894

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2019-07-12, n. 201904894
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201904894
Data del deposito : 12 luglio 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 12/07/2019

N. 04894/2019REG.PROV.COLL.

N. 07063/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7063 del 2015, proposto dal Cocel - Consorzio di Cooperativa Edilizia Laziali, Società cooperativa a r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall'avvocato R V, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Antonio Mordini, n. 14;

contro

la Regione Lazio, in persona del Presidente p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato E C, domiciliato in Roma, via Marcantonio Colonna, n. 27;
il Comune di Roma Capitale, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall'avvocato U G, con domicilio eletto presso l’Avvocatura Capitolina in Roma, via del Tempio di Giove, n. 21;

per la riforma

della sentenza del T.a.r. per il Lazio, Sede di Roma, Sezione Seconda bis, n. 1512 del 28 gennaio 2015.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Lazio e di Roma Capitale;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 maggio 2019 il Cons. Roberto Caponigro e uditi per le parti l’avvocato R V, l’avvocato E C e l’avvocato U G;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Il T.a.r. per il Lazio, Sede di Roma, Sezione Seconda bis, con la sentenza n. 1512 del 2015 in parte ha declinato la giurisdizione ed in parte ha respinto il ricorso proposto dal Co.Ce.L – Consorzio Cooperative Edilizie Laziali s.c.a.r.l. per:

a) la condanna della Regione Lazio e del Comune di Roma al pagamento in favore del Consorzio Cooperative Edilizie Laziali – CO.CE.L. società cooperativa a r.l. della seguente somma, o quella maggiore o minore ritenuta di giustizia, per la tardiva adozione di un provvedimento favorevole:

- in via principale: euro 1.509.875,65 per il risarcimento del danno derivato dalla perdita del finanziamento regionale a fondo perduto ed euro 3.365.836,80 per il risarcimento del danno derivante dalla perdita dei canoni di locazione degli alloggi finanziati, per complessivi euro 4.875.712,45 (oltre interessi e rivalutazione);

- in via subordinata, euro 60.317,06 quale perdita subita dal consorzio per l’impossibilità di investire la somma vincolata in BOT per il periodo incluso dall’agosto 2005 all’agosto 2008 (oltre interessi e rivalutazione);

b) la condanna del Comune di Roma al pagamento in favore del Consorzio Cooperative Edilizie Laziali – CO.CE.L. società cooperativa a r.l. della somma di euro 1.346.954,52, o quella maggiore o minore ritenuta di giustizia, per il risarcimento del maggior danno (ex art. 1224, co. 2, c.c.) derivante dal ritardato versamento della giusta indennità di esproprio (oltre interessi e rivalutazione).

Il giudice di primo grado ha dichiarato il difetto di giurisdizione in relazione alla domanda risarcitoria di cui alla lett. b) ed ha respinto la domanda risarcitoria di cui alla lett. a).

Il Consorzio Co.Ce.L. ha proposto appello avverso detta sentenza nella parte in cui ha respinto la domanda di risarcimento del danno sub lett. a), articolando le seguenti doglianze:

Inesistenza del fatto colposo dell’appellante (ex art. 1227, co. 2, c.c. e 30, co. 3, c.p.a.).

La sentenza ha valorizzato, come fatto valutabile per escludere la risarcibilità dei danni, l’apprezzamento sostanziale della rilevanza eziologica dell’omessa reazione processuale della società. Tuttavia, l’art. 30, comma 3, c.p.a. è entrato in vigore due anni dopo la conclusione del procedimento. Prima dell’entrata in vigore del codice del processo amministrativo, il comportamento operoso richiesto al creditore, non ricomprendeva attività tali da comportare sacrifici, esborsi o assunzione di rischi, quale potrebbe essere l’esperimento di un’azione giudiziaria che rappresenta esplicazione di una mera facoltà.

L’applicazione dell’art. 30, comma 3, c.p.a. violerebbe anche il principio cardine della certezza giuridica desumibile dall’art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale, in quanto i rapporti già esauriti al momento dell’entrata in vigore di una nuova disposizione non potrebbero essere regolati da quest’ultima.

La pubblica amministrazione non avrebbe dato alcuna prova che il creditore avrebbe potuto evitare i danni tramite una reazione processuale.

L’applicabilità alla fattispecie dell’art. 28 d.P.R. n. 327 del 2001 determinerebbe la responsabilità risarcitoria del Comune di Roma per il ritardo nel deposito dell’attestazione.

L’obbligo di cooperazione gravante sul creditore ex art. 1227 c.c., per evitare l’aggravarsi del danno, non si estenderebbe fino al punto di sacrificare interessi patrimoniali, attraverso il compimento di attività complesse, impegnative e rischiose.

La durata del procedimento amministrativo (quasi tre anni) sarebbe stata posticipata dalla richiesta di documenti già in possesso della Regione dal 1993, nonché da richieste seguenti di documenti diversi e non necessari, con ingiustificato aggravamento del procedimento e violazione dell’art. 1, comma 2, della legge n. 241 del 1990.

Sussisterebbero gli elementi costitutivi del fatto illecito, come l’elemento soggettivo della p.a., e le conseguenze dannose risarcibili derivanti dalla rinuncia al finanziamento.

La Co.Ce.L., pertanto, ha concluso, chiedendo che, in riforma della sentenza impugnata, questo giudice di appello pronunci una sentenza di condanna, in solido o meno, nei confronti della Regione Lazio e del Comune di Roma Capitale per il pagamento in favore dell’appellante della seguente somma, o quella maggiore o minore ritenuta di giustizia, per la tardiva adozione di un provvedimento favorevole:

- in via principale: euro 1.509.875,65 per il risarcimento del danno derivato dalla perdita del finanziamento regionale a fondo perduto ed euro 3.365.836,80 per il risarcimento del danno derivante dalla perdita dei canoni di locazione degli alloggi finanziati, per complessivi euro 4.875.712,45 (oltre interessi e rivalutazione);

- in via subordinata, euro 60.317,06 quale perdita subita dal consorzio per l’impossibilità di investire la somma vincolata in BOT per il periodo incluso dall’agosto 2005 all’agosto 2008 (oltre interessi e rivalutazione);

La Regione Lazio ed il Comune di Roma Capitale hanno analiticamente controdedotto, concludendo per il rigetto del gravame.

Il Consorzio Co.Ce.L. ha depositato altra memoria a sostegno delle proprie ragioni.

All’udienza pubblica del 9 maggio 2019, la causa è stata trattenuta per la decisione.

2. La questione origina dal prospettato ritardo nello svincolo dell’indennità espropriativa spettante alla Co.Ce.L., depositata presso il Ministero dell’Economia e delle Finanze, chiesto dalla creditrice in data 20 maggio 2005 ed autorizzato con decreto regionale di nulla osta al pagamento in data 22 aprile 2008.

La sentenza appellata, ritenendo la sussistenza della giurisdizione sulla domanda risarcitoria di cui alla lett. a), ha così argomentato:

“XI. Nel merito, l’azione proposta deve essere tuttavia disattesa. Costituisce in effetti principio generale (applicabile anche prima dell’entrata in vigore del CPA in virtù della clausola generale civilistica ex art. 1227 comma 2 c.c., ai sensi del quale “Il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza”) di valutazione delle domande risarcitorie ai fini dell’eventuale condanna dell’Amministrazione per danni derivanti, anche, dall’inosservanza del termine di conclusione del procedimento, quello ora espressamente stabilito dal CPA stesso che all’art. 30, comma 3, stabilisce al riguardo quanto segue: ”Nel determinare il risarcimento il giudice valuta tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti e, comunque, esclude il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, anche attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela previsti”.

Ebbene, nel caso di specie, in presenza di una domanda, presentata dalla ricorrente solo il 20.5.2005, di svincolo del deposito, effettuato il 5.11.2004/3.12.2004 e peraltro comunicato a CO.CE.L. già il 24.2.2005, dell’indennità espropriativa, la ricorrente stessa aveva a disposizione mezzi di tutela giurisdizionali per ovviare alle asserite inerzia e lungaggini dell’Amministrazione regionale e di quella comunale. Non si è avvalsa peraltro di alcuno degli strumenti sollecitatori e/o anticipatori o d’urgenza che aveva a disposizione per ovviare ai ritardi o al silenzio della P.A. ed anche per ottenere in via d’urgenza dal giudice competente il soddisfacimento della propria pretesa (in particolare attraverso un apposito procedimento camerale specificamente rivolto alla svincolo e al conseguente rapido pagamento delle somme comunque depositate: cfr. al riguardo quanto la stessa Corte di Appello di Roma aveva specificamente indicato a pag. 9 della sentenza n. 2580/99). Né la ricorrente ha in alcun modo instato contro il Comune per il rapido o tempestivo rilascio del certificato di mancata notifica di opposizioni di terzi.

Il mancato esperimento dei suddetti mezzi di tutela comporta dunque, ex se, il rigetto della domanda, ex art. 30 del c.p.a..

XII. Soltanto ad abundantiam, quindi, si rileva, ancora in senso contrario alle pretese di parte ricorrente, quanto segue:

1) che, al di là di generiche enunciazioni circa asserite necessità di preservare la solidità finanziaria del consorzio che avrebbero impedito, “per l’elevato importo e per i conseguenti costi”, di poter sopperire mediante ricorso al credito bancario alla mancata tempestiva disponibilità della somma depositata per indennità espropriativa, non risulta adeguatamente dimostrato, ad esempio attraverso la produzione dei bilanci relativi a quegli anni, che la situazione finanziaria e di cassa dell’epoca non assicurava la disponibilità e il possesso di fondi iniziali o non consentiva la possibilità di offrire garanzie per il ricorso al credito, al fine della costruzione degli edifici (almeno ai fini del raggiungimento dello step necessario per l’ottenimento di una prima tranche del contributo previsto ed accordato). Tale mancata dimostrazione tanto più appare poi rilevante, ai fini della esclusione del nesso eziologico tra evento e danno, se si considera che il credito bancario si sarebbe reso necessario soltanto per il limitato periodo temporale necessario alla riscossione dell’indennità espropriativa di cui trattasi;

2) quanto alla documentazione richiesta dall’Amministrazione regionale (la cui mancata completa presentazione da parte della ricorrente già da sola giustifica, anche a prescindere dal rilievo della congiunta mancanza dell’attestato comunale circa l’assenza di opposizioni di terzi, i tempi di attesa della regione stessa ai fini dello svincolo dell’indennità espropriativa), essa appare il portato di una interpretazione della legge (art. 28 del DPR n. 327/2001 ed artt. 55e 56 della legge fondamentale del 1865) forse rigorosa ma non gratuita ed erronea, anche tenuto conto della specifica situazione in cui si verteva per come anche rappresentata dall’Amministrazione regionale medesima già nelle note di richiesta documentale. In effetti: la Corte di Appello aveva espressamente dichiarato che “in tema di opposizione alla stima, la decisione di carattere meramente determinativo, ha contenuto giurisdizionale limitatamente all’ordine di deposito delle eventuali somme aggiuntive, lasciando impregiudicata l’attribuzione delle singole poste….”. La successiva sentenza della Corte di Cassazione ha poi evidenziato che l’individuazione dei singoli aventi diritto avviene nella fase di svincolo dell’indennità. Ciò stante non appare illogico quanto sostenuto dall’Amministrazione circa la necessità di accertamenti, anche in presenza delle sentenze suddette, per il sicuro riscontro delle condizioni di assenza di diritti di terzi prima dello svincolo dell’indennità. E’ poi ben vero che un parziale svincolo era già stato disposto dalla Regione con decreti del 1993 e 1994, ma la Regione nel 2005 ha rilevato carenze nella documentazione all’epoca prodotta ai fini dello svincolo suddetto (mancata menzione di atti notarili di acquisto nei certificati della Conservatoria) cui è successivamente seguita l’incompleta indicazione delle particelle espropriate nelle note di trascrizione allegate alla nota CO.CE.L. di riscontro alla prima richiesta regionale. Pertanto, la Regione è rimasta in attesa di completa certificazione della conservatoria, che l’interessata ha prodotto soltanto il 26.6.2007. In ogni caso, non si vede per quale ragione la documentazione richiesta (e peraltro prescritta dalla legge) sia stata presentata soltanto in tale data e non in tempo utile ad uno svincolo più sollecito che avrebbe consentito di evitare la lamentata perdita del finanziamento relativo alla rinunciata iniziativa edilizia”.

3. Il Collegio ritiene che l’appello proposto dal Consorzio Co.Ce.L. sia infondato e vada respinto e che, per l’effetto, debba essere confermata, sia pure con diversa motivazione, la sentenza di primo grado.

3.1. La domanda risarcitoria è stata introdotta per la tardiva adozione di un provvedimento ( rectius : atto) favorevole, id est dell’autorizzazione allo svincolo, ex art. 28 del d.P.R. n. 327 del 2001, dell’indennità espropriativa depositata presso il MEF a seguito della determinazione in esito a giudizio di opposizione.

L’azione è stata proposta, prima dell’entrata in vigore del codice del processo amministrativo (il ricorso è stato depositato dinanzi al T.a.r. per la Campania in data 5 febbraio 2010), ai sensi dell’art. 2 bis , comma 1, della legge n. 241 del 1990, secondo cui le pubbliche amministrazioni e i soggetti di cui all’art. 1, comma 1- ter , sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento.

Il codice del processo amministrativo, entrato in vigore il 15 settembre 2010, ha parimenti previsto, all’art. 30, comma 2, che può essere chiesta la condanna al risarcimento del danno ingiusto derivante dal mancato esercizio dell’attività amministrativa obbligatoria.

L’art. 28, comma 1, del d.P.R. n. 327 del 2001 - testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità – stabilisce che l’autorità espropriante autorizza il pagamento della somma depositata al proprietario od agli altri aventi diritto, qualora sia divenuta definitiva rispetto a tutti la determinazione dell’indennità di espropriazione, ovvero non sia stata tempestivamente notificata l’opposizione al pagamento o sia stato concluso tra tutte le parti interessate l’accordo per la distribuzione dell’indennità. L’autorizzazione, ai sensi del secondo comma, è disposta su istanza delle parti interessate, su proposta del responsabile del procedimento successiva alla audizione delle parti, da cui risulti anche la mancata notifica di opposizione di terzi.

3.2. La consolidata giurisprudenza, sia ordinaria che amministrativa, ha ritenuto che il procedimento di cui all’art. 28 del Testo Unico sulle espropriazioni sia fonte, nella sussistenza dei presupposti di legge, di un diritto soggettivo del privato richiedente, avente ad oggetto il pagamento dell’indennità di espropriazione (cfr, ex multis , Cass. Civ., SS.UU., 18 dicembre 2008, n. 29527;
Cons. Stato, IV, 27 febbraio 2008, n. 741;
T.a.r. Lombardia, sezione di Brescia, 18 aprile 2018, n. 420;
T.a.r. Lazio, Roma, II, 11 dicembre 2017, n. 12178;
T.a.r. Campania, sezione di Salerno, II, 26 ottobre 201767, n. 1541).

L’insussistenza di poteri discrezionali nell’emanazione dell’atto denominato “autorizzato allo svincolo” e la sua prevalente finalizzazione alla tutela degli interessi privati degli aventi titolo, discende con evidenza dal contenuto dell’atto, volto all’accertamento della definitività della determinazione indennitaria e dell’assenza di diritti o opposizioni di altri soggetti.

Ne potrebbe in astratto conseguire la giurisdizione del giudice ordinario, ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. f) e g), c.p.a., ma sul punto, nella presente controversia, si è formato il c.d. giudicato implicito ai sensi dell’art. 9 c.p.a., atteso che la statuizione sul punto del giudice di primo grado non è stata esplicitamente contestata, in via principale o incidentale, nel presente giudizio di appello.

3.3. La posizione di diritto soggettivo non è tutelabile attraverso l’azione avverso il silenzio ai sensi degli artt. 31 e 117 c.p.a., in quanto tale azione è esperibile solo a tutela di posizioni di interesse legittimo, implicanti, quindi, l’esercizio in via autoritativa di una potestà pubblica, e non se l’inerzia è prestata a fronte di un’istanza avanzata per il riconoscimento di un diritto soggettivo.

Il ricorso avverso il silenzio della pubblica amministrazione, infatti, non è configurabile allorquando è chiesta la tutela di un diritto soggettivo per la ovvia considerazione che, laddove la posizione attiva abbia tale consistenza, ed anche qualora la controversia sia devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, il rimedio del silenzio sarebbe inutile, il che avviene nel caso, come nella fattispecie in esame, in cui il petitum ha per oggetto l’accertamento del diritto al riconoscimento di spettanze economiche, la cui tutela si esplica attraverso la pronuncia di accertamento ed eventualmente di condanna al pagamento.

In sostanza, laddove il bene della vita cui aspira il richiedente non costituisce oggetto di potere amministrativo, con la conseguenza che la posizione non è qualificabile come interesse legittimo pretensivo, ma è attribuito direttamente dalla norma di legge, con la conseguenza che la posizione è qualificabile come diritto soggettivo, non occorre svolgere alcuna azione avverso l’inerzia dell’amministrazione, potendo l’interessato, in via immediata, proporre l’azione di accertamento del diritto stesso, a contenuto economico, ritenuto insoddisfatto, in uno agli accessori del credito, vale a dire che, in tali ipotesi, ben può il privato tutelare in via autonoma e diretta la propria posizione senza alcuna esigenza di sovrapporvi il rito del silenzio.

3.4. Parimenti, l’azione per il risarcimento del danno da ritardo nell’esercizio dell’attività amministrativa postula che il danno derivi da lesione di una posizione di interesse legittimo, vale a dire che il danno sia generato da un’amministrazione pubblica nell’esercizio del potere pubblico.

In tale direzione, oltre alla descritta ratio dell’istituto, militano gli inequivoci riferimenti normativi.

In particolare, l’art. 30, comma 2, c.p.a., nel prevedere che può essere chiesta la condanna al risarcimento del danno ingiusto derivante dal mancato esercizio dell’attività amministrativa obbligatoria, differenza chiaramente tale ipotesi da quella, immediatamente successiva, secondo cui, nei casi di giurisdizione esclusiva, può altresì essere chiesto il risarcimento del danno da lesione di diritti soggettivi.

Il comma 4 dell’art. 30 c.p.a. stabilisce altresì che per il risarcimento dell’eventuale danno che il ricorrente comprovi aver subito in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento, il termine di cui al terzo comma, vale a dire il termine per proporre la domanda di risarcimento per lesione di interessi legittimi, non decorre fintanto che perdura l’inadempimento, fermo restando che inizia comunque a decorrere dopo un anno dalla scadenza del termine per provvedere.

In definitiva, il danno da ritardo postula l’inerzia nell’esercizio autoritativo del potere pubblico, mentre, nel caso di specie, l’Amministrazione non ha agito in veste di autorità e, quindi, con provvedimenti amministrativi, ma con atti paritetici a fronte dei quali il privato è titolare di una posizione di diritto soggettivo.

3.5. L’azione proposta in primo grado dal Consorzio, pertanto, si rivela infondata, in quanto non si verte nell’ambito tecnico del danno da ritardo – che, come detto, postula l’interesse legittimo e, quindi, l’esercizio autoritativo del potere pubblico – ma di diritti soggettivi, il cui accertamento, con la conseguente condanna al pagamento, si sarebbe potuta chiedere dinanzi al giudice competente, per mezzo delle relative azioni.

In altri termini, nel caso di specie, non sussiste un provvedimento amministrativo che avrebbe dovuto attribuire un bene della vita, ed il conseguente ritardo nella sua adozione, ma un diritto soggettivo ad ottenere l’indennità di espropriazione, del quale si sarebbe potuto chiedere l’accertamento, ed il conseguente pagamento, con i relativi accessori del credito.

Né, ove non azionata la tipica azione di accertamento e di condanna, l’interessato può surrogare la stessa con l’azione di risarcimento di un danno da ritardo, il quale, come detto, nel caso di specie è insussistente, in quanto la posizione dedotta in giudizio non è di interesse legittimo e, quindi, non inerisce all’esercizio dell’attività amministrativa autoritativa.

4. Sulla base di tali considerazioni, l’appello della Co.Ce.L. deve essere respinto e, per l’effetto, deve essere confermata la sentenza impugnata, sia pure con diversa motivazione.

5. Le spese del giudizio di appello seguono la soccombenza e, liquidate complessivamente in euro 6.000,00 (seimila/00), oltre accessori di legge, sono poste a carico del Consorzio appellante ed a favore, in parti uguali, della Regione Lazio e del Comune di Roma Capitale.

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