Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2019-08-08, n. 201905624
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Testo completo
Pubblicato il 08/08/2019
N. 05624/2019REG.PROV.COLL.
N. 03871/2018 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3871 del 2018, proposto dalla R.C.L. 99 S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati A G e G M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato A G in Roma, Piazzale Don G. Minzoni, n. 9;
contro
il Comune di Oggiono, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall’avvocato R A, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, piazza del Popolo, 18;
nei confronti
del signor S A, rappresentato e difeso dagli avvocati Maria Sala, Claudio Sala, Stefano Gattamelata e Giuseppe Monaco, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Stefano Gattamelata in Roma, via di Monte Fiore 22;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, Sede di Milano, Sezione Seconda, n. 267/2018, resa tra le parti e concernente: annullamento di s.c.i.a. e d.i.a. - ordine di demolizione;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio delle parti appellate;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 14 marzo 2019, il consigliere B L e uditi, per le parti, gli avvocati A G, G M, Gabriele Pafundi per delega dell’avvocato R A, e Stefano Gattamelata;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con la sentenza in epigrafe, il TAR per la Lombardia, Sede di Milano, respingeva il ricorso n. 629 del 2013, proposto dall’impresa R.C.L. 99 S.r.l. avverso l’atto del 13 dicembre 2012 del Comune di Oggiono, con cui erano stati annullati gli effetti della denuncia di inizio attività n. 139/08 del 10 dicembre 2008, della successiva denuncia di inizio attività in variante n. 139/08NAR del 10 dicembre 2010 e della segnalazione certificata di inizio attività n. 139/08NAR 2 del 16 giugno 2011, nonché della denuncia di inizio attività n. 22/2012 del 23 febbraio 2012, tutte relative alle opere di costruzione dei manufatti (box e immondezzaio) realizzate dalla ricorrente in qualità di proprietaria del terreno sito in Oggiono, in Via Mognago, di cui ai mappali nn. 5676, 5677, 5680 C.C. Oggiono posti a confine con il mappale n. 600 di proprietà del controinteressato S A. Nel provvedimento di annullamento, il Comune aveva rilevato che i box realizzati a confine (con punto di altezza massima di m 2,5) non rispettavano le N.T.A. relativamente alla zona H3, per le zone interne all’area del Piano per l’assetto idrogeologico (P.A.I.), giacché il rischio di esondazione del torrente Gandaloglio imponeva la quota minima di estradosso dei solai a piano terra a m 268 s.l.m., con una tolleranza di cm 50 sulla quota di massimo livello di esondazione, mentre, nella specie, il piano di calpestio dei box era situato a quota m 266,82 s.l.m.. Il provvedimento di annullamento era stato emesso sulla scorta della sentenza dello stesso TAR per la Lombardia n. 1544 del 1° giugno 2012, che aveva imposto all’Amministrazione di provvedere in ordine alla diffida presentata dal sig. S in data 18 ottobre 2011 e relativa proprio al mancato rispetto della quota di edificazione dei box.
Il TAR respingeva, altresì, il ricorso per motivi aggiunti proposto avverso l’ordinanza del Comune di Oggiono n. 172 del 9 agosto 2013, con la quale era stata disposta « la demolizione delle opere di cui ai manufatti costituiti dai boxes e immondezzaio siti sui mappali 5677-5680 C.C. Oggiono N.C.T., confinanti con il mappale 600 C.C. Oggiono e la restituzione in pristino dello stato dei luoghi entro e non oltre 90 (novanta) giorni dalla notifica ».
1.1. In particolare, il TAR adìto provvedeva come segue:
(i) riteneva infondata l’unica, complessa censura dedotta con il ricorso introduttivo – con la quale si assumeva l’illegittimità dell’annullamento dei titoli edilizi per la violazione del principi di proporzionalità e del giusto mezzo, atteso che l’interesse pubblico avrebbe potuto essere salvaguardato individuando soluzioni meno penalizzanti per il privato e ugualmente efficaci per la tutela dell’interesse pubblico, nonché per la lesione del legittimo affidamento maturato dalla ricorrente con riguardo al consistente lasso di tempo trascorso tra la presentazione delle denunce di inizio attività e l’adozione dell’atto di autotutela, avallato anche dalla condotta comunale antecedente che, nella sostanza, avrebbe indotto la ricorrente a confidare nella legittimità dell’intervento edilizio realizzato –, sulla base dei seguenti rilievi:
- non era contestato dalle parti che gli interventi realizzati erano difformi dalla previsione delle N.T.A. relativamente alla zona H3, per le zone interne all’area P.A.I., che imponevano la quota minima di estradosso dei solai a piano terra a m 268 s.l.m., con una tolleranza di cm 50 sulla quota di massimo livello di esondazione del torrente Gandaloglio, trovandosi invece il piano di calpestio dei box a quota m 266,82 s.l.m.;
- la determinazione comunale di annullamento delle d.i.a. e s.c.i.a. sopra precisate era stata assunta in esecuzione della sentenza n. 1544 del 1° giugno 2012 dello stesso TAR, con cui era stato imposto al Comune di provvedere in ordine alla diffida presentata dall’odierno controinteressato S A in data 18 ottobre 2011 e relativa proprio al mancato rispetto della quota di edificazione dei box;
- con la predetta sentenza, pur non essendo stato affrontato il merito della vicenda e quindi la legittimità dell’intervento edilizio, era stata comunque imposta l’adozione di una determinazione espressa in relazione alla diffida del controinteressato, assumendo implicitamente la permanenza dei poteri di intervento, anche sanzionatori, in capo al Comune: infatti, qualora si fosse ritenuto non più sussistente il potere comunale di intervento, la sentenza sarebbe stata di segno contrario, atteso che una diffida tardiva non avrebbe potuto imporre un obbligo di provvedere;
- in ogni caso, nessun legittimo affidamento poteva ritenersi maturato in capo alla società ricorrente, poiché la violazione della quota di costruzione dei box era emersa in seguito alla presentazione della segnalazione certificata di inizio attività del 16 giugno 2011, e gli uffici comunali avevano richiesto tempestivamente