Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2022-08-01, n. 202206721

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2022-08-01, n. 202206721
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202206721
Data del deposito : 1 agosto 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 01/08/2022

N. 06721/2022REG.PROV.COLL.

N. 08002/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8002 del 2021, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato -OMISSIS-, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in -OMISSIS-;

contro

Ministero della Giustizia, Csm - Consiglio Superiore della Magistratura, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la revocazione

della sentenza del CONSIGLIO DI STATO - SEZ. II n. -OMISSIS-, resa tra le parti;


Visti il ricorso per revocazione e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero della Giustizia e di Csm - Consiglio Superiore della Magistratura;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 gennaio 2022 il Cons. O F e uditi per le parti gli avvocati nessuno presente;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1.Con il ricorso in esame, il sig. -OMISSIS- chiede che questo Consiglio di Stato voglia disporre la revocazione della propria sentenza -OMISSIS-.

e, quindi, accogliere il proprio appello proposto avverso la sentenza del TAR per il -OMISSIS-, che aveva rigettato:

- il ricorso proposto dal sig. -OMISSIS- avverso il decreto del Ministero della Giustizia 7 luglio 2006, di revoca dell’incarico di Giudice di pace in -OMISSIS- e della delibera del Consiglio superiore della Magistratura 21 giugno 2006;

- il ricorso per motivi aggiunti avverso la delibera del CSM del 14 marzo 2007, di non luogo a provvedere sulla domanda di conferma nell’incarico di Giudice di pace, nonché per l’accertamento del diritto alla conferma nel predetto incarico.

2. La sentenza n. -OMISSIS- del Consiglio di Stato, della quale si chiede la revocazione, ha innanzi tutto esposto che il procedimento sanzionatorio ha preso le mosse dalla nota del Presidente della Corte d’Appello di “trasmissione degli atti al Consiglio Giudiziario con la proposta di revoca o altra sanzione disciplinare ritenuta commisurata ai fatti”;
cui ha fatto seguito la proposta del Consiglio Giudiziario in composizione integrata, d’irrogazione della sanzione della revoca, ed infine il provvedimento sanzionatorio assunto dal Consiglio Superiore della Magistratura.

Con il ricorso instaurativo del giudizio di primo grado, il ricorrente ha contestato la legittimità sia del procedimento che del contenuto sostanziale della sanzione, negando d’essere venuto meno, in qualità di giudice di pace, al dovere di correttezza e diligenza richiesti dall’art. 9 l. 374/1991.

Tuttavia, il rapporto conflittuale intrattenuto con la locale Procura della Repubblica, l’adozione di formule giuridiche inappropriate e l’utilizzo di carta intestata con la duplice indicazione delle attività svolte, di avvocato e giudice di pace, costituenti i rilievi mossigli dal Consiglio Giudiziario, secondo il TAR hanno giustificato l’adozione della sanzione impugnata;
sanzione che, sotto il profilo procedimentale, non presta il fianco alle censure sollevate dal ricorrente.

3. La sentenza n. -OMISSIS- – respinta l’eccezione di inammissibilità dell’appello sollevata dal Ministero della Giustizia, per violazione del principio di sinteticità degli atti processuali (pur giudicando il ricorso “estremamente prolisso, sintatticamente strutturato per paratassi in assenza di coordinazione ipotattica”) ha riunito i motivi per omogeneità degli argomenti giuridici addotti a sostegno, condensandoli in tre ordine di censure, e ritenendoli infondati.

Con il primo ordine, si lamentava l’esercizio da parte del Consiglio giudiziario di potestà riservata dalla legge al Consiglio forense.

Afferma la sentenza:

“Gli addebiti mossi al ricorrente incidono sul prestigio dell'ordine giudiziario e sull’imparzialità che devono connotare l'esercizio della funzione giurisdizionale da parte di colui il quale, esercitando contemporaneamente la professione di avvocato, è tenuto – vien fatto di dire a maggior ragione – ad osservare lo standard deontologico che caratterizza la professione forense.

Sicché i comportamenti scorretti, tenuti nello svolgimento della professione d’avvocato, hanno inciso sulla valutazione complessiva dei comportamenti imputabili al magistrato onorario al di fuori dell'esercizio delle funzioni giudiziarie, così come si verifica per qualsiasi attività extragiudiziaria.

Vale a dire che la commissione di fatti disdicevoli commessi nell'espletamento dell'attività forense sono stati correttamente presi in considerazione ai fini della valutazione della persistenza delle condizioni d’imparzialità ed indipendenza che informano l'esercizio dell'attività giurisdizionale.

A riguardo, la giurisprudenza ha assunto un orientamento univoco: l'avvocato, chiamato a svolgere le funzioni di magistrato onorario, è tenuto al rispetto di tutti gli obblighi inerenti a tale funzione, comprese le norme sull'incompatibilità...e le regole di deontologia forense (cfr., Cassazione civile, Sez. Un., 29 maggio 2017, n.13456)”.

Quanto al secondo ordine di censure, relative a supposte violazioni della procedura seguita per l'irrogazione della sanzione disciplinare, la sentenza afferma:

“Sebbene siano previsti vari termini di scansione del procedimento amministrativo, l’art. 17, ult. comma, d.P.R. n. 198/2000 sancisce un unico termine d’estinzione del procedimento: laddove, decorso un anno dall’iscrizione della notizia di rilievo disciplinare nell’apposito registro, non sia stato emesso il decreto ministeriale di recepimento della delibera consiliare.

S’è evidenziato che la scansione temporale descritta dalla norma in questione prevede una serie di termini che hanno natura ordinatoria, con la sola eccezione del termine, perentorio, di conclusione del procedimento.

Trascorso il termine di un anno dall'iscrizione della "notitia criminis" nel registro all'uopo istituito, il procedimento si estingue (cfr., in termini, TAR Lazio, Sez. I, 23 giugno 2017, n. 7368).

Sicché il breve ritardo lamentato dal ricorrente è pienamente giustificato dal fatto che, a distanza di pochi giorni, il Presidente della Corte d’Appello ha ricevuto l’ulteriore nota del Procuratore della Repubblica. . . che ha definitivamente dato rilevanza all’iniziale notizia: soltanto a quel punto è intervenuta l’iscrizione, da cui ha preso avvio il procedimento, dipanatosi senza soluzione di continuità

Inoltre, la contestazione, l’avviso del giorno, dell’ora e del luogo fissati per la deliberazione del Consiglio giudiziario sono stati comunicati al ricorrente nelle forme previste dall’art. 17 d.P.R. 198/2000.

Tant’è che il ricorrente ha fattivamente partecipato al procedimento, presentando memorie difensive dinanzi al CSM.

Vale a dire che non s’è sostanziata alcuna violazione per l’omessa comunicazione dell’inizio del procedimento amministrativo innanzi al CSM e per la mancata individuazione del responsabile del procedimento.

Aggiungasi che la l. 21 novembre 1991, n. 374 non prevede alcun obbligo per l’amministrazione di comunicare l’avvio del procedimento, ovvero chi sia il responsabile, e dunque non sussiste alcun vizio di natura infra-procedimentale.

Né sussiste alcuna disparità di trattamento per la mancata applicazione ai giudici di pace della normativa prevista e dettata per i giudici professionali, ivi compresa quella disciplinare.

Le due procedure, pur potendo pervenire entrambe all’irrogazione di una sanzione disciplinare, hanno natura diversa.

Con il procedimento disciplinare promosso nei confronti di magistrati togati si dà avvio ad un procedimento assimilato all’attività giurisdizionale penale, culminante nel provvedimento avente natura di sentenza, impugnabile con ricorso dinanzi le Sezioni Unite della Cassazione.

Il provvedimento conclusivo segue il regime ordinario delle sentenze penali;
passa in giudicato soltanto con la decisione finale, soggetta a revocazione.

Nell’altro si è in presenza di un procedimento avente carattere amministrativo, concluso con atto amministrativo, impugnabile dinanzi al TAR secondo le regole del doppio grado di giudizio previsto per gli atti amministrativi.

Il ricorso al TAR non ha un effetto sospensivo della decisione adottata dall’autorità amministrativa competente (nella fattispecie in esame, dal C.S.M.), a meno che non venga disposta dal giudice amministrativo la sospensione dell’efficacia dell’atto impugnato, su istanza espressa del ricorrente” (ma nel caso di specie è stata respinta l’istanza cautelare).

“Quanto alle lamentate lacune nell’istruttoria espletata dal Consiglio Giudiziario, mette conto rilevare: l’omessa effettuazione dell’istruttoria da parte del Consiglio Giudiziario è una valutazione di merito sottratta al sindacato di legittimità;
essa in maniera adeguata e congrua è stata motivata.

Né sussistono i motivi d’astensione – genericamente denunciati dal ricorrente – d’alcuni componenti del Consiglio Giudiziario dell’-OMISSIS-”.

Infine, sul terzo ordine di censure, ossia sui motivi d’ordine sostanziale riguardanti l’atto impugnato, la sentenza osserva:

“Le condotte contestate hanno cagionato una situazione conflittuale con l’ufficio del PM, tale da impedire il sereno esercizio dell’attività giurisdizionale.

L’anomalia dei provvedimenti imputati al ricorrente, a prescindere da loro esito processuale, testimoniano, come rilevato dal CSM, l’alterazione del buon andamento degli uffici giudiziari.

Paradigmatica a riguardo l’utilizzazione da parte del ricorrente di dispositivi anomali riproducenti sempre e per intero, tal quali, tutte le formule di assoluzione previste dal codice di rito.

Anomalia di cui ne ha dato conto il Consiglio Giudiziario a sostegno della proposta della sanzione impugnata.

Ad essa fa da pendant sul piano professionale forense, l’utilizzo nella carta intestata, a fini privati, della carica di giudice di pace.

In proposito il Consiglio Giudiziario ha valutato le specifiche modalità di utilizzo da parte del ricorrente dei detti titoli come elemento di sicura lesione dei caratteri d’imparzialità e d’indipendenza che devono connotare la funzione giurisdizionale.

Fra di esse, va segnalato, sintomaticamente, l’atto di appello con il quale il ricorrente ha censurato il comportamento di un magistrato togato per come gli si era rapportato in quanto “magistrato onorario nell’esercizio della professione forense”, definendo quel comportamento inaudito ed inaccettabile”.

Da ultimo, sulla domanda di conferma nell’incarico di giudice di pace, dopo l’adozione della revoca, la sentenza ha osservato:

“Il C.S.M. ha adottato la delibera di non luogo a provvedere con motivazione immune dai vizi dedotti dal ricorrente.

È finanche lapalissiano che il giudice di pace revocato dall’incarico, diversamente da quello che sia stato semplicemente ammonito o censurato, una volta escluso dall’ordine giudiziario per effetto della revoca, non possieda (più) il requisito oggettivo per essere (ri)confermato.

Nel caso in esame, l’efficacia del provvedimento di revoca dell’incarico delle funzioni di giudice di pace, mai sospeso, con conseguente immediata esclusione del ricorrente dall’ordinamento giudiziario, ostava ab imis all’adozione della conferma nelle funzioni”.

Dal rigetto del ricorso avverso gli atti impugnati è derivato il rigetto della domanda di risarcimento del danno.

4. Avverso la sentenza n. -OMISSIS-, vengono proposti – con ricorso di complessive 87 pagine, scritte adottando caratteri di stampa diversi – i seguenti motivi di revocazione:

a) violazione manifesta dell’art. 395 n. 4 c.p.c. (pagg. 7 ss), e ciò per una pluralità di inesattezze, riportate a pag. 8, tra le quali in particolare, che il ricorrente, difensore di sé stesso, non ha ricevuto alcuna comunicazione o notificazione”;

b) “omissione di pronuncia sui motivi di appello e di cui all’istanza dell’appellante dep. il 20 dicembre 2017 e 28 marzo 2018” (pag. 9).

Giova precisare che da pag. 10 a pag. 82, il ricorrente ripercorre le vicende che hanno determinato l’adozione degli atti impugnati (pagg. 10-38);
riporta i motivi dell’appello proposto avverso la sentenza del TAR (e anche per la revocazione, citata in particolare a pag. 55 (pagg. 39-82).

Si sono costituiti in giudizio il Ministero della giustizia ed il Consiglio superiore della magistratura.

All’udienza pubblica di trattazione, la causa è stata riservata in decisione.

DIRITTO

5. Il ricorso per revocazione deve essere accolto.

4. L’orientamento costante di questo Consiglio di Stato (sez. IV, 25 novembre 2016 n. 4983;
24 gennaio 2011 n. 503), è nel senso che la "svista" che autorizza e legittima la proposizione del rimedio della revocazione, tendenzialmente eccezionale anche nei casi di c.d. revocazione ordinaria (cfr. Cass., n. 1957/1983), è rappresentata o dalla mancata esatta percezione di atti di causa, ovvero dall'omessa statuizione su una censura o su una eccezione ritualmente introdotta nel dibattito processuale.

Secondo, infatti, il principio enunciato dall'Adunanza Plenaria (dec. 22 gennaio 1997, n. 3;
in senso conf., Ad. plen. nn. 3 del 2001, 2 del 2010, 1 del 2013, 5 del 2014;
Cons. St., sez. IV, 8 giugno 2009, n. 3499;
sez. IV, 23 settembre 2008, n. 4607;
sez. IV, 19 ottobre 2006, n. 6218;
sez. IV, 16 maggio 2006, n. 2781;
sez. VI, 23 febbraio 2011 n. 1145), non v'è dubbio che l'errore di fatto revocatorio debba cadere su atti o documenti processuali.

Tuttavia, non sussiste vizio revocatorio se la dedotta erronea percezione degli atti di causa - che si sostanzia nella supposizione dell'esistenza di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, ovvero nella supposizione dell'inesistenza di un fatto, la cui verità è positivamente stabilita - ha costituito un punto controverso e, comunque, ha formato oggetto di decisione nella sentenza revocanda, ossia è il frutto dell'apprezzamento, della valutazione e dell'interpretazione delle risultanze processuali da parte del giudice (cfr, Cons. St., sez. VI, 5 giugno 2006, n. 3343;
Cass. Civ., Sez. II, 12 marzo 1999 n. 2214).

Ed infatti, in questi casi (cioè nei casi di presunto errore di fatto su un punto che ha costituito un punto controverso), ogni ipotizzabile errore non può che essere ricondotto ad un errore di valutazione del dato fattuale e non già di percezione del medesimo (dunque, un eventuale errore di diritto ma mai un errore sul fatto).

L'errore di fatto revocatorio si configura, quindi, come un abbaglio dei sensi, per effetto del quale si determina un contrasto tra due diverse proiezioni dello stesso oggetto, l'una emergente dalla sentenza e l'altra risultante dagli atti e documenti di causa;
esso può essere apprezzato solo quando risulti da atti o documenti ritualmente acquisiti agli atti del giudizio, con esclusione, quindi, delle produzioni inammissibili.

È stato pertanto ritenuto inammissibile il rimedio della revocazione per un errore di percezione rispetto ad atti o documenti non prodotti ovvero per un errore di fatto la cui dimostrazione avviene mediante deposito di un documento prodotto per la prima volta in sede di revocazione (Cons. Stato, sez. V, 16 novembre 2010, n. 8061;
sez. IV, 13 ottobre 2010, n. 7487).

Per contro, sono vizi logici e dunque errori di diritto quelli consistenti nell'erronea interpretazione e valutazione dei fatti o nel mancato approfondimento di una circostanza risolutiva ai fini della decisione (Cons. Stato, sez. V, 21 ottobre 2010, n. 7599).

Infine, l'errore di fatto deve essere elemento determinante della decisione, la quale "è l'effetto" del primo. Di conseguenza, l'errore revocatorio può ammissibilmente essere invocato solo quando vi sia un rapporto di causalità necessaria fra l'erronea od omessa percezione fattuale e documentale e la pronuncia in concreto adottata dal Giudice. Con l'ulteriore conseguenza della non rilevanza dell'errore quando la sentenza si fondi su fatti, seppur erronei, che non siano decisivi in se stessi ai fini del decidere, ma debbano essere valutati in un più ampio e complesso quadro probatorio (Cass. civ., sez. III, 20 luglio 2011 n. 15882).

5. I motivi di revocazione proposti dal ricorrente (alle pagg.

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