Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2015-01-28, n. 201500390
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N. 00390/2015REG.PROV.COLL.
N. 05642/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5642 del 2014, proposto da:
-OMISSIS-,
rappresentata e difesa dagli avv.ti F L F, F A ed I S ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv. D D S D, in Roma, via Augusto Roboty, 1,
contro
- Questura della Provincia di Napoli,
in persona del Questore p.t.;
- Ministero dell’Interno,
in persona del Ministro p.t.,
costituitisi in giudizio,
ex lege
rappresentati e difesi dall’ Avvocatura Generale dello Stato e domiciliati presso gli ufficii della stessa, in Roma, via dei Portoghesi, 12,
per la riforma
della sentenza del T.A.R. CAMPANIA – NAPOLI - SEZIONE VI n. 00573/2014, resa tra le parti, concernente diniego conversione del permesso di soggiorno per motivi familiari in p.d.s. per lavoro autonomo - ris.danno.
Visto il ricorso, con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione dell’Interno;
Vista la memoria prodotta dall’appellante a sostegno delle sue domande;
Vista l’Ordinanza n. 5642/2014, pronunciata nella Camera di Consiglio del giorno 31 luglio 2014, di accoglimento della domanda di sospensione dell’esecuzione della sentenza appellata;
Visti gli atti tutti della causa;
Visto l'art. 52 del D. Lgs. 30.06.2003, n. 196, commi 1 e 2;
Data per letta, alla pubblica udienza del 17 dicembre 2014, la relazione del Consigliere Salvatore Cacace;
Uditi, alla stessa udienza, l’avv. Emanuele D’Alterio, in sostituzione dell’avv. F A, per l’appellante e l’avv. Tito Varrone dello Stato per l’Amministrazione appellata;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
1. – L’odierna appellante, già ricorrente in primo grado, entrata clandestinamente nel territorio dello Stato Italiano, nell’anno 2008 contraeva matrimonio con un cittadino italiano e conseguiva il relativo permesso di soggiorno per motivi familiari, ex art. 28, comma 1, del D.P.R. 31 agosto 1999, n. 394.
Alla scadenza del permesso di soggiorno ( dicembre 2010 ) l’interessata ha chiesto ( gennaio 2011 ) il rinnovo dello stesso titolo, domandando altresì in subordine, in corso di procedimento, la conversione del permesso di soggiorno per motivi familiari in permesso di soggiorno per lavoro autonomo.
Con decreto del 17 novembre 2011 il Questore di Napoli ha respinto l’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno per motivi familiari, con la motivazione dell’acclarata insussistenza dei requisiti di cui all’art. 28 del D.P.R. n. 334/04 in relazione all’art. 19 del D. Lgs. n. 286/98, ovvero della comprovata assenza dell’effettivo legame di convivenza tra l’istante ed il coniuge cittadino italiano, quale specifica circostanza che fino ad allora aveva congelato la situazione di irregolarità della cittadina straniera sul territorio nazionale garantendole il soggiorno in Italia.
Impugnato tale provvedimento dinanzi all’autorità giudiziaria ordinaria ed ottenutane la sospensione, l’interessata adiva poi il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, sede di Napoli, per veder dichiarato l’obbligo dell’Amministrazione di provvedere sulla sua non evasa istanza di conversione del permesso di soggiorno per motivi familiari in permesso di soggiorno per lavoro autonomo, chiedendo altresì il correlato risarcimento del danno da ritardo.
Con decreto Cat.A.12/20143/Imm/1^Sez/Din/FDM/GBR 14854 in data 10 dicembre 2012 il Questore della Provincia di Napoli ha dichiarato inammissibile tale seconda istanza, affermando che “il permesso di soggiorno rilasciato ex art. 28, del D.P.R. nr. 334/04, rientra in una speciale categoria di permessi temporanei, correlati ai divieti di espulsione ex art. 19, del D.L.vo 286/98, che non può essere assimilato alle autorizzazioni accordate invece ai sensi dell’art. 30, comma 1, del citato D.L.vo 286/98” e che “la significativa differenza intercorrente tra i soggiorni rilasciati ex art. 19 ed ex art. 30, comma 1, del citato D.L.vo nr. 286/98, ha impedito di estendere alla fattispecie, in caso di cessazione della convivenza, la norma di favore di cui all’art. 30, comma 5, che, muovendo da presupposti più rigorosi, consente invece la possibilità di convertire il permesso di soggiorno per motivi di famiglia, in altra tipologia”.
L’interessata impugnava tale ultimo decreto con motivi aggiunti nel ricorso già pendente avverso il silenzio inadempimento, con contestuale domanda di risarcimento dei danni da attività provvedimentale illegittima.
Il T.A.R., con la sentenza indicata in epigrafe:
- ha dichiarato improcedibile il ricorso principale proposto avverso il silenzio inadempimento;
- ha respinto i motivi aggiunti;
- ha respinto la domanda risarcitoria in considerazione dell’accertata legittimità degli atti contestati.
Avverso la seconda e la terza di tali statuizioni, nonché avverso la mancata pronuncia sulla domanda risarcitoria per danno da ritardo, l’interessata ha proposto appello a questo Consiglio, proponendo anche domanda cautelare.
Si sono costituiti, senza peraltro formulare difese, la Questura di Napoli ed il Ministero dell’Interno.
Con Ordinanza n. 5642/2014, pronunciata nella Camera di Consiglio del giorno 31 luglio 2014, è stata accolta la domanda di sospensione dell’esecuzione della sentenza appellata.
La causa è stata chiamata e trattenuta in decisione alla udienza pubblica del 17 dicembre 2014, in vista della quale l’appellante ha depositato, in data 24 novembre 2014, memoria a sostegno dei motivi di ricorso.
2. – Preliminarmente va espunta dagli atti del giudizio la memoria difensiva dell’appellante in data 24 novembre 2014, presentata oltre il termine perentorio fissato dall’art. 73, comma 1, c.p.a. per le memorie ( trenta giorni liberi prima della data dell’udienza );né d’altra parte la stessa può considerarsi memoria di replica ( per la produzione della quale il predetto termine è di venti giorni ), in carenza di atti e documenti di controparte ai quali replicare ( Cons. St., III, 4 giugno 2014, n. 2861 ).
3. – Venendo al mérito del proposto appello, la controversia si concentra, nel suo petitum di annullamento del decreto Cat.A.12/20143/Imm/1^Sez/Din/FDM/GBR 14854 in data 10 dicembre 2012 del Questore della Provincia di Napoli, intorno alla questione se il permesso di soggiorno per motivi familiari, di cui all’art. 28, comma 1, lett. b), del D.P.R. 31 agosto 1999, n. 394, possa essere convertito, alla sua scadenza, in permesso ad altro titolo, o meglio, per quanto più da vicino concerne la vicenda de qua, in permesso di soggiorno per lavoro autonomo, anche al di fuori dei casi previsti dall’art. 30, comma 5, del D. Lgs. n. 286/1998.
La questione può essere risolta, ad avviso del Collegio, in senso positivo, in accoglimento delle censure formulate con l’atto di appello.
Premesso invero che il permesso di soggiorno rilasciato nei confronti degli stranieri che si trovano nelle documentate circostanze di cui all’art. 19, comma 2, lett. c), del testo unico viene qualificato come permesso di soggiorno “per motivi familiari” dalla stessa norma regolamentare ( art. 28 cit. ), occorre dunque, ai fini della risoluzione della questione di cui si tratta, far riferimento alla disciplina recata per il permesso di soggiorno per motivi familiari dall’art. 30 cit. ( rubricato appunto “permesso di soggiorno per motivi familiari” ), oltre che dall’art. 14 del D.P.R. n. 394/1999 ( rubricato “conversione del permesso di soggiorno” ).
Orbene, la giurisprudenza amministrativa esclude la tassatività delle ipotesi di conversione del permesso di soggiorno previste dall'art. 30, comma 5, del d.lgs. n. 286/1998, a norma del quale, vale ricordare, “in caso di morte del familiare in possesso dei requisiti per il ricongiungimento e in caso di separazione legale o di scioglimento del matrimonio o, per il figlio che non possa ottenere la carta di soggiorno, al compimento del diciottesimo anno di età, il permesso di soggiorno può essere convertito in permesso per lavoro subordinato, per lavoro autonomo o per studio, fermi i requisiti minimi di età per lo svolgimento di attività di lavoro”.
In particolare, da ultimo, questa Sezione ( 20 marzo 2013, n. 1612 ) ha precisato che l'esclusione della possibilità di conversione non può discendere da un'interpretazione restrittiva del citato comma 5, ma deve trovare fondamento in un'esplicita previsione normativa, che, nella fattispecie, non è stata allegata dall'Amministrazione e non è dato rinvenire.
Invero, la prima ragione di diniego (o, meglio, di inammissibilità) da questa addotta ( secondo cui il permesso di soggiorno rilasciato ex art. 28 cit. non potrebbe “essere assimilato alle autorizzazioni accordate invece ai sensi dell’art. 30, comma 1, del citato D.L.vo 286/98” ) è smentita dalla già veduta qualificazione normativa del permesso di soggiorno ex art. 28 cit., che non consente di introdurre distinzioni all’interno di una categoria, quella del permesso di soggiorno per motivi familiari, sostanzialmente unitaria.
Tanto comporta l’evidente insufficienza anche della seconda ragione posta a fondamento della declaratoria di inammissibilità dell’istanza dell’interessata, basata sul presupposto della “significativa differenza tra i soggiorni rilasciati ex art. 19 ed ex art. 30”, atteso che tale differenza lo stesso legislatore ha inteso poi ricondurre ad unità nell’àmbito della disciplina dei permessi di soggiorno “per motivi familiari”, sì che il veduto comma 5 deve ritenersi applicabile a tutte le ipotesi in cui un permesso di soggiorno per motivi familiari non possa essere rinnovato a tal titolo ( ed alle ipotesi espressamente enunciate dalla norma non possono, anche in un’ottica interpretativa costituzionalmente orientata, non aggiungersene altre, quale quella del sopravvenuto venir meno della convivenza per le ragioni più disparate ), ma sussistano le condizioni quantomeno per l’esame di una sua possibilità di rilascio ad altro titolo;condizioni nella fattispecie in alcun modo prese in considerazione dall’Amministrazione.
A tali conclusioni conducono anche, a livello normativo:
- l’art. 14, comma 1, del d.P.R. n. 394/1999 ( "il permesso di soggiorno rilasciato per motivi di lavoro subordinato o di lavoro autonomo e per motivi familiari può essere utilizzato anche per le altre attività consentite allo straniero, anche senza conversione o rettifica del documento, per il periodo di validità dello stesso" ), che configura una conversione di fatto del permesso di soggiorno già rilasciato per motivi familiari quale diretta conseguenza dell'avvio di una regolare attività lavorativa da parte dello straniero, tant’è vero che il comma 3 dello stesso art. 14 precisa poi che “con il rinnovo, è rilasciato un nuovo permesso di soggiorno per l'attività effettivamente svolta”;
- l’art. 5, comma 9, del D. Lgs. n. 286/1998, che, nello stabilire che “il permesso di soggiorno è rilasciato, rinnovato o convertito entro sessanta giorni dalla data in cui è stata presentata la domanda, se sussistono i requisiti e le condizioni previsti dal presente testo unico e dal regolamento di attuazione per il permesso di soggiorno richiesto ovvero, in mancanza di questo, per altro tipo di permesso da rilasciare in applicazione del presente testo unico”, valorizza, ai fini della riconduzione ad uno status di regolarità della presenza dello straniero extracomunitario in Italia, la condizione sostanziale della sussistenza dei requisiti per il rilascio di qualsiasi tipo di permesso previsto dal testo unico.
In relazione alla richiesta di annullamento del provvedimento impugnato in primo grado con motivi aggiunti l’appello va dunque accolto, con conseguente declaratoria dell’obbligo per l’Amministrazione di esaminare e valutare l’istanza di conversione presentata dall’interessata ( non importa se ritualmente o meno, dal momento che il veduto art. 5, comma 9, non subordina all’istanza dello straniero il potere/dovere dell’Amministrazione ivi disegnato ), da permesso di soggiorno per motivi familiari in permesso di soggiorno per lavoro autonomo, sulla base della sola verifica della sussistenza dei requisiti previsti per tale tipologia di permesso.
Quanto invece alle riproposte richieste risarcitorie:
- la domanda di risarcimento del danno di cui all’atto introduttivo del giudizio, concernente il danno da ritardo nell’emanazione del provvedimento richiesto e non esaminata dal T.A.R., la stessa va respinta, in quanto, premesso che il mero superamento del termine fissato ex lege o per via regolamentare per la conclusione del procedimento costituisce indice oggettivo ma non integra piena prova del danno, non è stata nella fattispecie fornita la necessaria prova del nesso di causalità materiale o strutturale tra danno evento e danno conseguenza, dal momento che la ricorrente non ha provato quella ch’è a suo stesso avviso la circostanza fondamentale, dalla quale sarebbe derivata la lamentata perdita di possibilità di esercizio della sua attività lavorativa e cioè l’affermato intervenuto ritiro in data 12 marzo 2012, da parte della Questura di Napoli, del permesso di soggiorno di cui era in possesso e delle ricevute attestanti l’avvenuta presentazione della richiesta di rinnovo, circostanza questa addirittura smentita dall’allegazione di detti atti al ricorso di primo grado depositato in data 25 settembre 2012;
- la domanda di risarcimento del danno da provvedimento illegittimo, di cui ai motivi aggiunti di primo grado, respinta dal T.A.R. in forza della ritenuta legittimità dell’atto impugnato, va parimenti respinta, con la diversa motivazione che l'annullamento del provvedimento amministrativo per vizii formali - tra i quali si possono annoverare non solo il difetto di motivazione, ma anche, e soprattutto, i vizii del procedimento, ossia le illegittimità quale quella accertata nella specie, in cui l’Amministrazione ha di fatto rifiutato l’esame dei presupposti per il rilascio del richiesto permesso di soggiorno per lavoro autonomo - non reca di per sé alcun accertamento in ordine alla spettanza del bene della vita coinvolto dal provvedimento caducato ope iudicis e non può pertanto costituire il presupposto per l'accoglimento della domanda di risarcimento del danno ( così, ad es., Cons. Stato, A.P. 3 dicembre 2008, n. 13;Sez. IV, 4 settembre 2013, n. 4439 e, da ultimo, Sez. V, 14 ottobre 20914, n. 5115 ), la cui proponibilità resta subordinata al definitivo accertamento ( in sede di procedimento amministrativo od in una eventuale futura sede giurisdizionale una volta che sia stata riedita l’attività amministrativa in esecuzione della presente sentenza ) di tale effettiva spettanza.
4. – In conclusione, l’appello va accolto in parte, nei limiti di cui sopra.
In considerazione della reciproca, parziale, soccombenza, nonché delle oscillazioni giurisprudenziali sul tema centrale oggetto del giudizio di annullamento, le spese del doppio grado di giudizio possono essere integralmente compensate fra le parti.