Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2016-07-25, n. 201603323
Sintesi tramite sistema IA Doctrine
L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta
Segnala un errore nella sintesiTesto completo
N. 03323/2016REG.PROV.COLL.
N. 01247/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1247 del 2015, proposto dal Ministero dell’Interno, in persona del Ministro
pro tempore
, e dall’U.T.G. - Prefettura di Reggio Calabria, in persona del Prefetto
pro tempore
, rappresentati e difesi
ex lege
dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici sono domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
contro
La -O-, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentato e difeso dall’Avvocato F N, con domicilio eletto presso l’Avvocato E N in Roma, via dei Gracchi, n. 130;
nei confronti di
La Provincia di Reggio Calabria, appellata non costituita;
il Comune di Sinopoli, appellato non costituito;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. per la Calabria, Sezione staccata di Reggio Calabria, n. 234/2014, resa tra le parti, concernente una informativa interdittiva antimafia;
visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
visto l’atto di costituzione in giudizio della -O-;
viste le memorie difensive;
visti tutti gli atti della causa;
visto l’art. 52, commi 1 e 2, del d. lgs. n. 196 del 2003;
relatore nell’udienza pubblica del giorno 23 giugno 2016 il Consigliere Massimiliano Noccelli e uditi per l’appellante Ministero dell’Interno l’Avvocato dello Stato Attilio Barbieri e per l’appellata -O- l’Avvocato F N;
ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Il 18 gennaio 2013, con la nota n. 3544/2013 indirizzata al Comune di Reggio Calabria – Settore Programmazione ed Esecuzione LL.PP., la Prefettura di Reggio Calabria ha reso nei confronti della -O-., poi divenuta -O- (di qui in avanti, per brevità, -O-), una informativa antimafia di carattere interdittivo, fondata sull’esistenza di un imputazione a carico del socio amministratore, -O-, per il delitto di turbata libertà degli incanti, e per l’esistenza di legami parentali di questo e della madre, anch’ella socia, con soggetti fortemente compromessi o contigui con associazioni di stampo mafioso.
1.1. In pari data un’altra nota n. 3545/2013, di identico contenuto, veniva indirizzata dalla citata Prefettura alla Provincia di Reggio Calabria – Stazione Unica Appaltante.
1.2. In conseguenza di tali informative prefettizie -O- ha ricevuto:
- l’atto di esclusione dalla gara del 21 gennaio 2013, emanato dalla S.U.A.P. di Reggio Calabria, relativa all’aggiudicazione per i lavori di adeguamento e rifacimento della rete idrica del capoluogo;
- l’atto di sospensione del contratto di appalto del 22 gennaio 2013, n. 482/2013, avente ad oggetto i « lavori di consolidamento e messa in sicurezza zona via XXV Aprile 1° stralcio funzionale », notificato alla società dal responsabile unico del procedimento del Comune di Sinopoli;
- l’atto di esclusione dalla gara del 28 gennaio 2013, emanato dalla S.U.A.P. di Reggio Calabria, relativa all’aggiudicazione per i lavori sulla S.P. 113 S. Ilario dello Jonio e le opere di regimentazione delle acque e di risanamento della scarpata.
1.3. Avverso l’informativa del 18 gennaio 2013 e i consequenziali atti di esclusione e di sospensione, -O- ha proposto il ricorso n. 110/2013 al T.A.R. per la Calabria, Sezione staccata di Reggio Calabria, lamentandone l’illegittimità, e ne ha chiesto, previa sospensione, la riforma, con conseguente annullamento di tutti gli atti impugnati e risarcimento del danno conseguente al blocco della propria attività economica nel settore dei pubblici appalti.
1.4. Si è costituita nel primo grado di giudizio l’Amministrazione resistente, per resistere al ricorso proposto da -O-.
1.5. Con l’ordinanza n. 87 del 16 aprile 2013, il T.A.R. per la Calabria, Sezione staccata di Reggio Calabria, ha sospeso gli effetti degli atti impugnati, accogliendo la domanda cautelare della ricorrente, e ha disposto che la Prefettura procedesse al riesame della situazione.
1.6. La Prefettura di Reggio Calabria, con nota n. 74640 del 15 novembre 2013, ha quindi in sede di riesame emesso una nuova informativa antimafia di carattere interdittivo a carico di -O-, anche alla luce di numerose cointeressenze della società con altre imprese, già destinatarie di certificazioni antimafia interdittive, perché ritenute essere contigue ad associazioni criminali legate alla ‘ndrangheta.
1.7. Avverso tale atto, nonché avverso il consequenziale atto di sospensione, di cui all’ordine di servizio n. 1 del 20 novembre 2013 adottato dal Comune di Reggio Calabria, relativo ai « lavori di attivazione delle reti idriche nuove e dimissione di quelle obsolete razionalizzazione allacci relativi nel territorio delle circoscrizioni 8, 9, 11 e 12 », e tutti gli atti connessi, -O- ha proposto l’ulteriore ricorso n. 658/2013 avanti al T.A.R. per la Calabria, Sezione staccata di Reggio Calabria, chiedendo l’annullamento, previa sospensione, degli atti impugnati.
1.8. Il T.A.R., con l’ordinanza n. 20 del 10 gennaio 2014, ha sospeso l’efficacia anche di tali atti.
1.9. Con un terzo ricorso n. 47/2014, sempre proposto avanti al T.A.R. per la Calabria, Sezione staccata di Reggio Calabria, -O- ha impugnato gli ulteriori atti applicativi dell’informativa antimafia, emanati dalla Provincia di Reggio Calabria, con i quali questa ha proceduto alla risoluzione di diversi rapporti contrattuali aventi ad oggetto l’esecuzione di lavori, e ha chiesto, previa sospensione, l’annullamento anche di tali atti.
1.10. Con l’ordinanza n. 33 del 7 luglio 2014, il T.A.R. ha sospeso l’efficacia anche di tali atti.
2. Infine, chiamati e discussi i tre ricorsi alla pubblica udienza del 16 aprile 2014, con la sentenza n. 234 del 6 giugno 2014, il T.A.R. li ha riuniti e li ha accolti, ritenendo che il quadro indiziario posto a base delle informative non fosse sufficiente a giustificare l’ipotizzato pericolo di infiltrazione mafiosa nell’impresa, sicché il T.A.R. ha annullato l’informativa e tutti i consequenziali atti, respingendo tuttavia la domanda risarcitoria proposta da -O-.
2.1. Avverso tale sentenza hanno proposto appello il Ministero dell’Interno e la Prefettura di Reggio Calabria e, nel dedurre l’erroneità della statuizione di annullamento, ne hanno chiesto la riforma, con conseguente reiezione dei ricorsi proposti in primo grado da -O-.
2.2. Si è costituita -O-, con apposito controricorso, per resistere al gravame proposto dall’Amministrazione.
2.3. Nella pubblica udienza del 23 giugno 2016 il Collegio, sentiti i difensori delle parti, ha trattenuto la causa in decisione.
3. Ritiene la Sezione che l’appello è fondato e va accolto.
4. Il T.A.R. per la Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria, ha ritenuto che nessuno degli elementi addotti dalla Prefettura a sostegno della prima informativa del 18 gennaio 2013, come anche i successivi elementi evidenziati in sede di riesame a supporto della seconda informativa del 15 novembre 2013, siano sufficienti a giustificare il ritenuto pericolo di infiltrazione mafiosa.
4.1. La valutazione del T.A.R., anche alla luce dei principi interpretativi affermati di recente da questa Sezione nella sentenza n. 1743 del 3 maggio 2016, non è tuttavia condivisibile.
4.2. La sentenza impugnata muove, infatti, da una valutazione atomistica ed astratta degli elementi posti dalla Prefettura a base dell’informativa, elementi invece che, valutati complessivamente e concretamente, dimostrano il rischio di infiltrazione mafiosa all’interno della società.
5. Questo rischio è avvalorato da significative circostanze già poste a fondamento della prima informativa e, cioè, più in particolare:
a) il socio amministratore, sig. -O-, è imputato nel procedimento penale n. 1738 del 2006 RGNR DDA (c.d. operazione di P.G. Entourage ) per il delitto di turbata libertà degli incanti (art. 353 c.p.);
b) la signora -O-, altra socia nonché madre degli altri due soci (di cui uno, -O-, è l’amministratore), è legata da vincoli di parentela, pur se non diretta, con soggetto ritenuto elemento apicale dell’omonima cosca mafiosa;
c) il padre dei soci, già amministratore della società, è stato coinvolto in un procedimento per associazione di tipo mafioso, anche se poi è stato assolto, e il fratello degli stessi è stato assassinato in agguato di tipo mafioso.
6. Si tratta di circostanze che, diversamente da quanto ha ritenuto il T.A.R., tutte depongono e convergono nella direzione di un elevato rischio di infiltrazione mafiosa nella società.
6.1. Quanto al primo, di cui al punto a) , al momento dell’emissione dell’informativa il sig. -O- era imputato per un delitto di cui all’art. 353 c.p. (turbata libertà degli incanti), rientrante tra i cc.dd. delitti-spia dell’infiltrazione mafiosa, di cui all’art. 84, comma 1, lett. a), del d. lgs. n. 159 del 2011, né rileva che successivamente sia stato prosciolto dal G.U.P. con sentenza di non luogo a procedere perché il reato era estinto per intervenuta prescrizione (dovendo anzi osservarsi che il proscioglimento per prescrizione presuppone logicamente che il giudice penale non abbia escluso che l’imputato abbia commesso il fatto delittuoso).
6.2. Erronea è, perciò la statuizione del T.A.R., secondo cui la semplice sottoposizione ad indagine per un procedimento penale in ordine « ad un reato di per sé non eloquente circa contatti con sodalizi criminosi » non sarebbe ragionevolmente indicativo di infiltrazione mafiosa, in mancanza di ulteriori elementi, perché al contrario la presunzione di mafiosità poggia su una valutazione compiuta dal legislatore nell’art. 84, comma 1, lett. a), del d. lgs. n. 159 del 2011, il quale ha invece ritenuto che la turbata libertà degli incanti sia un delitto indicativo di un approccio ‘mafioso’ dell’impresa al settore dei pubblici appalti e tanto sulla base di una regola di esperienza, che vede le associazioni mafiose insinuarsi nelle procedure di gara, con modalità particolarmente insidiose e sovente corruttive, al fine di aggiudicarsi le commesse.
6.3. Anche il secondo elemento, di cui alla lettera b) , pur non essendo in sé decisivo, non è stato tuttavia considerato dal T.A.R. unitamente al primo, mentre va in realtà considerato di indubbia significanza, sul piano del probabile inquinamento mafioso, considerato non isolatamente, ma in convergenza con il primo.
6.4. La stessa sentenza impugnata, pur sottolineando la genericità del legame di parentela indiretta (p. 11) della signora -O- con un soggetto ritenuto elemento di spicco della criminalità organizzata, non ha potuto però negare la esistenza di tale legame con una figura di vertice della criminalità, che certamente costituisce un elemento che deve essere oggetto di una analisi complessiva unitamente agli altri elementi e non disgiuntamente da essi, analisi che, tuttavia, è mancata da parte del primo giudice, il quale non ha colto, nel tessuto motivazionale del provvedimento prefettizio, un elemento di indubbia e altamente significativa centralità e, cioè, la fondamentale struttura familiare dell’impresa, gestita da una socia, la madre, insieme con altri due soci, i figli.
6.5. Proprio la struttura familiare dell’impresa restituisce il suo corretto valore indiziario anche al terzo elemento, di cui alla lettera c) , e cioè i legami del padre, -O-, e del fratello dei soci con la criminalità organizzata.
6.6. Il T.A.R. ha valorizzato la circostanza che il padre, già amministratore della società fin al 2004 (il che conferma la struttura familiare dell’impresa), sia stato assolto con sentenza definitiva dall’accusa di cui all’art. 416- bis c.p., perché il fatto non sussiste, ma non ha considerato, come ha anche rilevato la società appellata nel suo controricorso (p. 13), che egli non era stato imputato per il delitto p. e p. dall’art. 416- bis c.p.
6.7. In realtà l’informativa antimafia ha voluto sottolineare, correttamente, che il padre, benché assolto (come l’informativa, peraltro ha correttamente ricordato), fosse stato implicato in una vicenda più complessa, che vedeva il suo coinvolgimento nel mondo della criminalità organizzata di stampo mafioso, e parimenti, sempre secondo la stessa corretta prospettiva, ha inteso evidenziare che il figlio di questi, nonché fratello degli attuali soci, sia stato ucciso in un agguato mafioso.
6.8. Questa circostanza risulta altamente significativa, e non elemento di per sé neutro, di fronte alla chiara e inequivocabile affermazione, non smentita nemmeno dalla stessa società appellata, che si trattasse di un agguato mafioso.
Ad avviso della sentenza impugnata (v. pp. 12-13), tale elemento « potrebbe essere anche interpretato in bonam partem , come sintomo di presa di distanza da ambienti mafiosi », ma tale ipotesi risulta una congettura non supportata da alcun elemento istruttorio atto a confutare la natura mafiosa dell’agguato, con ciò intendendosi, evidentemente, una faida tra avverse cosche mafiose.
7. Risulta pertanto motivata e ragionevole la prima valutazione prefettizia in ordine al probabile inquinamento mafioso dell’impresa, gestito da una compagine familiare contigua, per tutti gli elementi sin qui esaminati, al mondo della criminalità di stampo mafioso.
8. A tali elementi, già ampiamente sufficienti per giustificare la valutazione prefettizia circa l’infiltrazione mafiosa nell’impresa, si aggiungono quelli valorizzati dalla seconda informativa antimafia, emessa dalla Prefettura di Reggio Calabria in sede di riesame, nella quale sono stati ulteriormente evidenziate altre circostanze, significative di rapporti e cointeressenze con il mondo della criminalità mafiosa:
a) -O- - assegnataria di un appalto, da parte della Provincia di Reggio Calabria, per lavori di ripristino stradale - ha stipulato un contratto di nolo a freddo con la -O-già destinataria di certificati antimafia interdittivi;
b) -O- - assegnataria di un altro appalto nel comune di Platì da parte della Provincia, sempre per lavori di ripristino stradale – ha designato come impresa subappaltatrice la « -O- », già destinataria di due provvedimenti antimafia interdittivi (risultati legittimi con sentenza n. 740 del 2008 del T.A.R. per la Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria, e con sentenza n. 5879 del 2010 di questo Consiglio di Stato) e nei cui confronti sono state fornite informazioni antimafia del Comando dei Carabinieri di Reggio Calabria.
8.1. Anche rispetto alla valenza indiziaria di tali ulteriori elementi, peraltro, non è condivisibile la valutazione del T.A.R., secondo cui dedurre il pericolo di infiltrazione mafiosa dal fatto di avere stipulato con società colpite da interdittive antimafia significherebbe ipotizzare un ‘pericolo di pericolo’ (p. 14 della sentenza impugnata), allentando oltremodo la regola dell’inferenza da utilizzarsi nei casi in esame, poiché l’esistenza di plurimi rapporti contrattuali – che siano di subappalto o anche di ‘nolo a freddo’ – con imprese locali ritenute contigue alla criminalità mafiosa o, più in generale, l’esistenza di uno o più rapporti di collaborazione imprenditoriale con soggetti gravitanti nell’orbita di questa, soprattutto in un limitato contesto territoriale nel quale è ben noto all’impresa lo spessore ‘morale’ del partner commerciale o dell’impresa collaboratrice, pienamente giustifica la valutazione di ‘contagio mafioso’.
8.2. La sentenza impugnata avrebbe dovuto considerare la « valenza sintomatica (del rischio di collusioni illecite con organizzazioni mafiose) attribuibile a cointeressenze economiche particolarmente pregnanti tra un’impresa certamente gravata da controindicazioni antimafia e un’altra che fa affari con essa » (v., da ultimo, Cons. St., sez. III, 22 giugno 2016, n. 2774).
8.3. Quand’anche i rapporti contrattuali evidenziati dall’informativa non fossero tanto intensi e frequenti da giustificare, in sé soli, la valutazione di una certa cointeressenza con il mondo criminale in assenza di altri elementi, peraltro, tali rapporti contrattuali vanno valutati unitamente agli altri elementi, sopra menzionati e già valorizzati dalla prima informativa, a rafforzare il convincimento che il rischio di infiltrazione mafiosa, rinnovato in sede di riesame dalla seconda informativa, fosse giustificato.
9. In conclusione, per tutte le ragioni esposte, le informative impugnate in primo grado e gli atti consequenziali emessi dalle diverse stazioni appaltanti non risultano affetti dai vizi dedotti in primo grado, essendo evidente e congruamente motivato il pericolo di infiltrazione mafiosa posto a base dei provvedimenti prefettizi interdittivi.
10. L’appello proposto dal Ministero dell’Interno, quindi, deve essere accolto, con riforma della sentenza impugnata nella parte in cui ha annullato tali atti.
10.1. Resta ferma la statuizione reiettiva della domanda risarcitoria, non impugnata dall’odierna appellata con appello incidentale, sulla quale si è formato il giudicato.
11. Le spese del doppio grado di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza dell’odierna società appellata.
11.1. Rimane definitivamente a carico della stessa società anche il contributo unificato corrisposto per la proposizione dei tre ricorsi proposti in primo grado.