Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2011-05-03, n. 201102631

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2011-05-03, n. 201102631
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201102631
Data del deposito : 3 maggio 2011
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 08211/2008 REG.RIC.

N. 02631/2011REG.PROV.COLL.

N. 08211/2008 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8211 del 2008, proposto da:
G E, rappresentato e difeso dall'avv. F B, con domicilio eletto presso F B in Roma, viale Angelico, 45;

contro

Ministero della Difesa, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. CALABRIA - CATANZARO :SEZIONE I n. 00342/2008, resa tra le parti, concernente DINIEGO CONCESSIONE EQUO INDENNIZZO


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 gennaio 2011 il Cons. O F e uditi per le parti gli avvocati Buccellato e l'avv. dello Stato Gerardis;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con il ricorso in esame, il sig. Emilio G appella la sentenza 2 aprile 2008 n. 342, con la quale il

TAR

Calabria, sez. I di Catanzaro, ha rigettato il suo ricorso avverso il decreto 29 dicembre 2004 n. 3103, atto con il quale il Direttore della Divisione generale per il personale militare - IV reparto del Ministero della difesa, ha respinto la sua domanda volta ad ottenere l’equo indennizzo.

La sentenza appellata ha ritenuto sussistente la tardività della domanda, così come già rilevato dall’amministrazione, stante l’intervenuta decorrenza del termine semestrale, previsto dall’art. 3 R.D. 15 aprile 1928 n. 1024 e dall’art. 36

DPR

3 maggio 1957 n. 686, decorrente dalla data in cui si è verificato l’evento dannoso o da quella in cui l’interessato ha avuto conoscenza dell’infermità.

Secondo il giudice di I grado, “la decorrenza del termine è legata alla sussistenza di condizioni tali da far ritenere che il dipendente sia in grado di acquisire consapevolezza di avere riportato una menomazione o che essa è correlata ad un evento connesso con il servizio svolto”. Secondo il Tribunale, quindi, la consapevolezza della infermità “sindrome nefrosica in apparente compenso” è stata acquisita dal G “fin dalla data in cui vi è stata la diagnosi di glomeruolonefrite e lesione minima con sindrome nefrosica, formulata presso l’Ospedale S. Chiara di Pisa nel marzo 1987”, diagnosi che “secondo un criterio di ragionevolezza, poneva l’interessato nelle condizioni di acquisire consapevolezza della menomazione dell’integrità fisica e della correlazione al servizio prestato dell’infermità”.

Avverso tale decisione, vengono proposti i seguenti motivi di appello:

violazione, erronea e falsa applicazione art. 36 DPR n. 686/1957 e art. 3 DPR n. 349/1994;
eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche ed in particolare difetto di istruttoria e di motivazione;
travisamento, irragionevolezza, ingiustizia manifesta, sviamento di potere.

Ciò in quanto “soltanto con la comunicazione della decisione della Corte dei Conti avvenuta in data 13 gennaio 2003, il G ha avuto piena consapevolezza del fatto che la patologia riscontrata era sicuramente ascrivibile al servizio militare da lui svolto così come confermato dalla perizia medico-legale”.

In ogni caso, il G ha presentato tre domande di equo indennizzo, e cioè:

- in data 7 marzo 1987, cioè “subito dopo aver acquisito la prima diagnosi della malattia da parte dell’Ospedale S. Chiara di Pisa”;

- in data 17 maggio 1989, “come si da atto nella sentenza appellata”;

- in data 5 giugno 2003, dopo avere acquisito piena consapevolezza della dipendenza della infermità dal servizio militare svolto con la sentenza n. 1091/2002 depositata dalla Corte dei Conti in data 5 dicembre 2002”.

Da ciò consegue – secondo il ricorrente – che, pur a voler condividere la tesi sostenuta dall’amministrazione e condivisa dai giudici di I grado, egli “ha adottato dette domande tutte nei termini prescritti dalla normativa”.

Si è costituito in giudizio il Ministero della difesa, che ha concluso per il rigetto dell’appello, stante la sua infondatezza.

All’odierna udienza, la causa è stata riservata in decisione.

DIRITTO

L’appello è infondato e deve essere, pertanto, respinto.

Occorre, preliminarmente, precisare che oggetto della sentenza di I grado, per effetto del ricorso con il quale se ne chiedeva l’annullamento, è stato il decreto 29 dicembre 2004 n. 3103, con il quale il Ministero della difesa ha respinto la domanda del ricorrente volta ad ottenere la concessione dell’equo indennizzo, presentata in data 17 maggio 1989.

Pertanto, non può rilevare nella presente sede la circostanza – rappresentata nel ricorso in appello – della esistenza di altre due domande di concessione dell’equo indennizzo, ed in particolare di una – antecedente a quella giudicata tardiva – che sarebbe stata presentata dal G in data 7 marzo 1987.

Infatti, per un verso tale circostanza di fatto esula dal presente giudizio, poiché oggetto di reiezione, stante la sua tardività, è stata la domanda presentata il 17 maggio 1989, di modo che in sede di appello è con riferimento ad essa che occorre stabilire se sia stata corretta la valutazione fatta dal I giudice (e ancor prima dall’amministrazione con il provvedimento originariamente impugnato).

Per altro verso, proprio la affermata esistenza di una domanda di equo indennizzo fin dalla data del 7 marzo 1987 rafforza la tesi della tardività (in quanto decorso il termine di sei mesi dalla conoscenza dell’infermità e della sua possibile correlazione con il servizio) della successiva domanda proposta il 17 maggio 1989.

Ovviamente, se è vero che ogni disamina della prima domanda esula dal presente giudizio, è altrettanto evidente che l’interessato potrà sempre ricorrere ai mezzi di tutela previsti dall’ordinamento, ove esperibili, in ordine a procedimenti amministrativi ad istanza di parte non conclusi dall’amministrazione.

La premessa in punto di fatto è necessaria sia al fine di definire correttamente il thema decidendum, sia per sottolineare l’infondatezza dell’argomentazione esposta in sede di appello (v. pagg. 9-10), volta - nella (non fondata) prospettazione dell’appellante – a comprovare la tempestività della domanda di equo indennizzo.

Tanto precisato, occorre ricordare che la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ha già avuto modo di precisare che il termine semestrale, fissato dall'art. 36 del d.P.R. n. 686 del 1957 (e ora ribadito dall'art. 2 del vigente d.P.R. n. 461 del 2001), per la presentazione della domanda di riconoscimento dalla dipendenza da causa di servizio di infermità ha natura di termine perentorio e, quindi, decadenziale (Cons. Stato, sez. III, 26 aprile 2010 n. 2568;
sez. V, 28 marzo 2008 n. 1298).

Più in particolare, si è affermato (Cons. Stato, sez. V, 4 marzo 2008 n. 898) che la giurisprudenza “interpretando il disposto dell'art. 36 D.P.R. 3 maggio 1957 n. 686, secondo il quale il termine entro il quale va presentata domanda per il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio di un'infermità contratta dal pubblico dipendente è stabilito in sei mesi «dalla data in cui si è verificato l'evento dannoso» o da quella in cui l'impiegato «ha avuto conoscenza dell'infermità», ritiene che il termine suddetto non decorre dal semplice verificarsi di un evento i cui danni possano manifestarsi in futuro o dalla conoscenza di una malattia o lesione, ma dal momento dell'esatta percezione della natura e della gravità dell'infermità e del suo nesso causale con un fatto di servizio (cfr. per tutte Sez. V 3 luglio 2003 n. 4004). In particolare, è stato precisato che la decorrenza del termine in controversia va individuata tenendo presente il momento in cui l'interessato abbia acquisito, secondo un criterio di normalità (Sez.

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