Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2022-04-05, n. 202202523

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2022-04-05, n. 202202523
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202202523
Data del deposito : 5 aprile 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 05/04/2022

N. 02523/2022REG.PROV.COLL.

N. 07950/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7950 del 2015, proposto da
E R e G R, rappresentati e difesi dagli avvocati E R e A R, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato S I in Roma, via Atanasio Kircher, n. 7;

contro

Comune di Napoli, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati F M F e A I F, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato N L in Roma, via Francesco Denza, 50/A;
e dagli avvocati A A e A C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato N L in Roma, via F. Denza n. 50/A;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, sede di Napoli (Sezione Quarta), n. 774/2015, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Napoli;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 marzo 2022 il Cons. Giovanni Pascuzzi e udito per le parti l’avvocato Luca Tozzi in sostituzione dell'avvocato E R;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. La sentenza del Tar Campania, Sezione quarta, n. 774/2015, appellata da E R e G R, si è pronunciata, dopo averli riuniti, su due ricorsi:

- il primo (n. R.G. 6047 del 2008), proposto da E R, A R, D R, F R, G R e L R, contro il Comune di Napoli, per l’annullamento della disposizione dirigenziale n. 574 del 27.6.2008 di demolizione di opere abusive;

- il secondo (n. R.G. 1786/2011), proposto dalle stesse persone prima citate, sempre contro il Comune di Napoli, per l’annullamento della disposizione dirigenziale prot. n. 554 del 15 novembre 2010 avente ad oggetto l'acquisizione gratuita al patrimonio comunale di opere abusive.

2. Il Comune di Napoli, con Disposizione Dirigenziale n. 574/2008, aveva ordinato la demolizione di opere abusive realizzate senza permesso di costruire in Napoli, Via Vincenzo Janfolla n. 484, alle seguenti persone: E R in qualità di responsabile e comproprietaria, A R in qualità di comproprietaria, D R in qualità di comproprietaria, F R in qualità di comproprietaria, L R in qualità di comproprietaria e G R in qualità di usufruttuario.

In particolare, si trattava della modificazione di destinazione d’uso di un’area e di parte di un manufatto in muratura a destinazione agricola “allevamento avicolo” in ragione di mq. 85 x h m. 3,00 in unità a destinazione residenziale mediante suddivisione interna in tre vani e accessori, con adeguamento funzionale e antistante patio pavimentato costituito da una copertura in tegole sorrette da strutture in legno per mq. 39 e con pavimentazione retrostante dell’area scoperta pari a mq 44.

3. I soggetti destinatari della Disposizione Dirigenziale n. 574/2008 hanno impugnato la stessa (con ricorso 6047/2008) eccependo i vizi di violazione di legge, violazione della legge 47/85, eccesso di potere per difetto ed errore nei presupposti, falsa causa, contraddittorietà, carenza di motivazione, sviamento, illogicità, contraddittorietà, perplessità, difetto di motivazione. In evidenza veniva posta la presentazione di un permesso di costruire in sanatoria ex art. 13 della legge 47/85 e dell’art. 36 del d.p.r. 380/2001, circostanza che avrebbe precluso l’adozione di provvedimenti sanzionatori.

4. Nelle more del giudizio, il Comune di Napoli, con Disposizione Dirigenziale n. 554/2010, preso atto della mancata ottemperanza della nota n. 574/2008, disponeva l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale delle opere abusive e della relativa area di sedime, individuate con la p.lla 259 sub 1 SCA/8 del N.C.E.U.

Gli stessi soggetti hanno impugnato anche questo secondo provvedimento (con ricorso n. 1786/2011) eccependo i seguenti vizi:

- violazione artt. 3 e 42 Costituzione, violazione art. 31 d.p.r 380/2001, eccesso di potere per difetto dei presupposti di fatto e di diritto, sviamento, ingiustizia manifesta e perplessità;

- violazione e falsa applicazione della legge 241/90, eccesso di potere, difetto assoluto di motivazione, mancata comunicazione dell'avviso di avvio del procedimento amministrativo, violazione del giusto procedimento;

- violazione e falsa applicazione della l. 47/85, l. 241/90, l. 127/97, d.p.r. 380/2001, l. 326/2003;
illegittimità del verbale di constatazione dell'ordine di demolizione;

- violazione l. 10/1997 ed art. 32 l. 1150/1942;
ulteriore profilo di eccesso di potere per irrealizzabilità dell'ordine poiché non viene individuata l'area di pertinenza acquisita;
carenza di interesse pubblico e di motivazione;
contraddittorietà tra l'ordine di demolizione e l'acquisizione.

5. Il Tar Campania, Sezione quarta, con sentenza n. 774/2015, ha ritenuto infondati entrambi i ricorsi. Di seguito, in sintesi, le motivazioni dedotte in sentenza.

5.1 Con riferimento al primo ricorso, il Tar Campania:

a) ha sottolineato che non è stata dimostrata la presentazione, precedentemente all’adozione della misura sanzionatoria, di una istanza di accertamento di conformità ex art. 36 D.P.R. n. 380/01 delle opere in questione;

b) ha ritenuto non fondata la censura di difetto di motivazione perché l’ordine di demolizione individua in modo sufficientemente specifico gli interventi abusivi da rimuovere, anche alla luce degli atti istruttori, tra cui la comunicazione di avvio del procedimento, relativi al manufatto di mq. 84 circa, alla pensilina e alla pavimentazione.

5.2 Con riferimento al secondo ricorso, il Tar Campania:

a) ha ritenuto che le parti ricorrenti non siano riuscite a dimostrare la loro totale estraneità all’abuso;

b) ha escluso, nella specie, la violazione dell’art. 7 legge n. 241/90, per omessa comunicazione di avvio del procedimento e, in via generica, il difetto di motivazione;

c) ha ritenuto che fossero state indicate le specifiche norme di legge in base alle quali è stata disposta l’acquisizione;

d) ha escluso che il verbale di accertamento dell’inottemperanza fosse viziato per difetto di motivazione;

e) ha ritenuto non rilevante la presentazione di una istanza di accertamento di conformità avvenuta quando ormai l’opera era già stata acquisita in proprietà al Comune;

f) ha considerato generica la censura attinente alla mancata individuazione delle opere ed aree acquisite, che risultano invece individuate nei provvedimenti impugnati.

6. Avverso la sentenza del Tar Campania hanno proposto appello E R e G R che sono rispettivamente: la prima, comproprietaria (unitamente alle signore A R, F R, D R e L R) e, il secondo, usufruttuario dell'immobile sito in Napoli, Via Vincenzo Janfolla n. 484, sulla base dei motivi che verranno di seguito analizzati.

7. Il comune di Napoli si è costituito nel presente giudizio chiedendo il rigetto dell’appello.

Il comune ha prodotto in giudizio:

a) il provvedimento del 6 aprile 2011, prot. PG/2011/224147, della Direzione Centrale VI, con il quale è stata dichiarata improcedibile, perché non corredata da alcun documento utile ai fini del relativo esame, l’istanza di accertamento di conformità presentata il 15 marzo 2011 per l’immobile sito in via Janfolla 484 (pratica 128/11);

b) la nota della Direzione Centrale VI n. 51963 del 04/07/2012, dalla quale risulta che sono state presentate 4 domande di condono ai sensi della legge 47/85, relative, nel loro insieme, ad un complesso edilizio per attività avicola, sito in Via Janfolla 484 e composto da diversi manufatti, tra i quali alcuni a destinazione abitativa. Detta nota precisa che in nessuna di siffatte istanze di condono si fa espresso riferimento alle opere abusive richiamate nel presente giudizio.

8. All’udienza del 24 marzo 2022 l’appello è stato trattenuto per la decisione.

9. Con il primo motivo di appello si censura la sentenza impugnata, nella parte in cui [con riferimento al giudizio sulla legittimità dell'ordinanza di demolizione - (Disposizione Dirigenziale n. 574 del 27.6.2008)] ha affermato che l’istanza di accertamento di conformità non può in ogni caso avere alcun rilievo sull’efficacia dell’ordine di demolizione (e in sostanza sulla procedibilità dell’odierno ricorso), in quanto la stessa è stata inoltrata anni dopo l’adozione del provvedimento sanzionatorio gravato mentre avrebbe dovuto essere presentata entro i termini, considerati come perentori dall’orientamento giurisprudenziale maggioritario e dalla migliore dottrina, di cui all’art. 36 d.p.r. 380/01 (già art. 13 della l. 47/85). Quest’ultimo rinvia al termine di 90 giorni per la demolizione di cui all’art. 31, comma 3, d.p.r. 380/01 (già art. 7 l. 47/85) o comunque a quelli indicati negli artt. 33, comma 1, e 34, comma 1, del medesimo d.p.r.

A dire degli appellanti i primi giudici hanno posto a fondamento della loro pronuncia una assunta tardività della istanza di sanatoria, la quale non ha formato oggetto di specifica contestazione da parte del comune di Napoli né di contraddittorio processuale. L'erroneità di quanto innanzi esposto emergerebbe evidente atteso che, ai sensi dell'art. 34 c.p.a., la pronuncia del Giudice Amministrativo è limitata al thema decidendum così come prospettato nella domanda del ricorrente e, comunque, nelle eccezioni sollevate dalle controparti. Quanto innanzi, in conformità al "principio" processuale di carattere generale stabilito, altresì, dall'art. 112 c.p.c., secondo il quale " Il Giudice deve pronunciare su tutta la domanda e non oltre i limiti di essa;
e non può pronunciare d'ufficio su eccezioni, che possono essere proposte soltanto dalle parti
''. La sentenza impugnata avrebbe statuito oltre i limiti processuali dell’oggetto del giudizio in questione dando corpo al vizio di ultra o extra petizione, che ricorre ogni qualvolta il Giudice pronuncia oltre i limiti delle pretese e delle eccezioni fatte valere dalle parti.

La censura è infondata.

Gli appellanti sostengono che:

- essendo stato presentato un permesso di costruire in sanatoria (l’esistenza degli abusi non è dagli stessi messa in discussione), il Comune non avrebbe potuto adottare provvedimenti sanzionatori;

- poiché la tardività del permesso di costruire non è stata eccepita dal Comune bensì rilevata autonomamente dal giudice, la sentenza impugnata avrebbe statuito oltre i limiti processuali dell’oggetto del giudizio.

Questa prospettazione non merita di essere condivisa.

Come ribadito, di recente, da Consiglio di Stato, sez. III, 30/07/2021, n. 5622, “ Incombe sulla parte che agisce in giudizio indicare e provare specificamente i fatti posti a base delle pretese avanzate, in base al principio generale, applicabile anche al processo amministrativo, dagli artt. 2697 c.c. e 115 c.p.c.. Se è vero, infatti, che nel processo amministrativo il sistema probatorio è retto dal principio dispositivo con metodo acquisitivo degli elementi di prova da parte del giudice, è altrettanto vero che, in mancanza di una prova compiuta a fondamento delle proprie pretese, il ricorrente debba avanzare un principio di prova perché il giudice possa esercitare i propri poteri istruttori ”.

Nel solco appena indicato, ancora più specifica è la statuizione di Consiglio di Stato, sez. IV, 22/08/2018, n. 5030: “ Ai sensi dell' art. 64, comma 1, c.p.a., spetta alle parti l'onere di fornire gli elementi di prova che siano nella loro disponibilità riguardanti i fatti posti a fondamento delle domande e delle eccezioni;
il reticolo normativo del codice del processo amministrativo in materia di onere della prova richiama l' art. 2697 c.c., secondo cui chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento, mentre chi eccepisce l'inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l'eccezione si fonda;
il principio che domina il regime di acquisizione delle prove, anche nel processo amministrativo, è quindi scolpito dal brocardo onus probandi incumbit ei qui dicit
”.

Era compito degli appellanti dimostrare:

a) che un permesso di costruzione in sanatoria era stato presentato prima dell’adozione del provvedimento sanzionatorio;
ovvero

b) che, comunque, un permesso di costruzione in sanatoria era stato presentato entro i termini previsti dall’art. 36 d.p.r. 380/01 (già art. 13 della legge 47/85).

Nessuna prova è stata fornita dagli appellanti su alcuna di queste due circostanze. Invece è acclarato in atti che la domanda di sanatoria è stata presentata anni dopo la scadenza del termine previsto dall’articolo 36 d.p.r. 380/01. Infatti, risulta presentata un’istanza di accertamento di conformità in data 15 marzo 2011 - quindi successivamente agli atti impugnati in primo grado - dichiarata improcedibile con nota del 6 aprile 2011.

Tra l’altro, i primi giudici hanno fatto anche corretta applicazione del principio ribadito da Consiglio di Stato, sez. VI, 15/02/2019, n. 714, secondo il quale “ la sanatoria di un immobile abusivo ai sensi dell'art. 36 d.p.r. n. 380/2001 non può essere più richiesta quando sia definitivamente decorso il termine di novanta giorni dall'ingiunzione di demolizione e di ripristino dello stato dei luoghi ”.

Risulta pertanto acclarata l’infondatezza del primo motivo di appello.

10. Con il secondo motivo di appello si censura la sentenza impugnata nella parte in cui [con riferimento al giudizio sulla legittimità dell'ordinanza di acquisizione - (disposizione dirigenziale prot. n. 554 del 15.11.2010)] ha affermato che “ le parti ricorrenti non hanno in alcun modo comprovato la loro estraneità alla realizzazione dell'abuso ”.

Si sostiene che la "proprietà" ed il "possesso" dell'immobile in questione sono pervenuti agli attuali appellanti in epoca "successiva" alla realizzazione delle opere per cui è causa e che a tali opere gli appellanti erano, e sono, incontestabilmente "estranei".

La censura è infondata.

Come ribadito dalla consolidata giurisprudenza amministrativa e anche da Consiglio di Stato, sez. VI, 23/12/2020, n. 8283, i provvedimenti sanzionatori a contenuto ripristinatorio/demolitorio riferiti ad opere abusive hanno carattere reale, con la conseguenza che la loro adozione prescinde dalla responsabilità del proprietario o dell'occupante l'immobile, applicandosi gli stessi anche a carico di chi non abbia commesso la violazione, ma si trovi al momento dell'irrogazione in un rapporto con la res tale da assicurare la restaurazione dell'ordine giuridico violato (v., ex plurimis, Cons. Stato, Sez. VI, 23 ottobre 2020, n. 6446, con ulteriori richiami). Infatti, in materia di abusi edilizi, il presupposto per l'adozione di un'ordinanza di ripristino è non già l'accertamento di responsabilità nella commissione dell'illecito, ma l'esistenza d'una situazione dei luoghi contrastante con quella prevista nella strumentazione urbanistico-edilizia, per cui è inciso anche il proprietario non responsabile e colui che v'è succeduto a qualunque titolo. La repressione degli abusi edilizi può esser disposta in qualsiasi momento, trattandosi di misure a carattere reale (piuttosto che di vere e proprie sanzioni) che colpiscono illeciti permanenti, ossia di misure oggettive in rapporto alle quali non può neppure esser invocato utilmente il principio d'estraneità dei proprietari all'effettuazione dell'abuso e, al più, l'eventuale estraneità assume rilievo sotto altri profili, non inficianti la legittimità dell'ordine di demolizione/rispristino.

Di qui l’infondatezza della doglianza.

11. Con il terzo motivo di appello si censura la sentenza impugnata nella parte in cui (sempre con riferimento al giudizio sulla legittimità dell'ordinanza di acquisizione - disposizione dirigenziale prot. n. 554 del 15.11.2010) ha ritenuto che nel caso in esame nessuna violazione risulterebbe configurabile ai sensi della legge 7.8.1990 n. 241, sotto il doppio profilo, sia dei principi del giusto procedimento sia dell'obbligo di motivazione.

Si sostiene che:

a) il Comune di Napoli avrebbe illegittimamente acquisito al patrimonio comunale la "intera" particella n. 259 sub 1 SCN8 del N.C.E.U., omettendo ogni "misurazione" dell'area e delle opere da acquisire e omettendo di considerare che all'interno della medesima particella insistono sia opere legittimamente realizzate in forza della licenza di costruzione rilasciata dal Comune di Napoli in data 27.11.1957, n. 1164, sia opere per le quali pendeva, e pende, non ancora definito, istanza di condono edilizio ex l. 47/85 presentata nell'anno 1986;

b) la contestazione edilizia in esame riguarda l'avvenuto mero "mutamento di destinazione d'uso" unicamente di una "parte" soltanto del predetto fabbricato, la cui intera regolarizzazione ai fini urbanistici - edilizi è oggetto della predetta istanza di condono edilizio non ancora esaminata;

c) la particella 259 ha una superficie complessiva di circa 144,78 mq.;
il Comune di Napoli avrebbe acquisito sia la parte che ha subito il mutamento di destinazione d'uso oggetto di contestazione sia la parte residua legittimamente realizzata (licenza di costruzione n. 1164/57) che ha conservato inalterata la sua destinazione, sia anche la parte "oggetto" di condono edilizio e non ancora definita;

d) la illegittima acquisizione di "tutto" quanto insistente su tale particella (ivi comprese le opere oggetto di condono edilizio) viola anche il regime di sospensione ope legis dei provvedimenti repressivi previsto dall'art. 38 l. 47/85. La presentazione di un'istanza di condono edilizio comporta "la paralisi del potere repressivo complessivamente inteso" ed occorre, in ogni caso, il pronunciamento del Comune prima di adottare i provvedimenti repressivi per abusi edilizi, e ciò fino alla definizione delle domande di condono edilizio (Cons. Stato, Sez. IV, 30.6. 2004, n. 5011);

e) l’adozione di provvedimenti sanzionatori in merito a tali opere oggetto di condono necessitava, e necessita, della preventiva partecipazione al relativo procedimento amministrativo, ai sensi dell'art. 7 legge 47/85, del destinatario del provvedimento acquisitivo.

Anche questo motivo di appello è privo di fondamento.

Nella disposizione dirigenziale 554/2010, avente ad oggetto “Acquisizione gratuita al patrimonio comunale ai sensi dell'art. 31 del Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia (D.P.R. 06 giugno 2001, n. 380)”, si legge esplicitamente quanto segue: “ vista la disposizione dirigenziale n.574 del 27.06.08 con la quale si ordinava … la demolizione, nel termine di 90 (novanta) giorni delle opere eseguite in assenza del permesso di costruire in Napoli, via Janfolla n.484: modificazione della destinazione d'uso di un'area e di parte di un manufatto in muratura a destinazione agricola "allevamento avicolo" in ragione di mq 85,00 x h m 3,00 in unità a destinazione residenziale mediante la suddivisione interna in tre vani e accessori, adeguamento funzionale e antistante patio pavimentato costituito da una copertura in tegole sorrette da struttura in legno per mq 39,00;
pavimentazione retrostante dell'area scoperta pari a mq 44,00
”.

Se è vero, quindi, che nel dispositivo del provvedimento si dispone “ l'acquisizione gratuita al patrimonio comunale dell'opera abusiva e della sua area di sedime, individuate con la p.lla 259 sub 1 SCA/8 del N.C.E.U. ”, è altrettanto vero che dal testo del provvedimento si evince esattamente quale è lo specifico bene che viene acquisito e che tale individuazione è avvenuta già con la ordinanza di demolizione.

Circa la non rilevanza, nel caso di specie, dell’invocato regime di sospensione ope legis dei provvedimenti repressivi previsto dall'art. 38 l. 47/85 si è già detto in precedenza.

Per dimostrare l’infondatezza dell’asserito mancato riconoscimento delle garanzie procedimentali nel procedimento sanzionatorio è sufficiente richiamare il principio ribadito da Consiglio di Stato, sez. II, 13/06/2019, n. 3971: “ L'attività di repressione degli abusi edilizi tramite l'emissione dell'ordine di demolizione di cui all' art. 31 del d.p.r. 380 del 2001 costituisce attività di natura vincolata e, pertanto, la stessa non è assistita da particolari garanzie partecipative, tanto da non ritenersi necessaria la previa comunicazione di avvio del procedimento di cui all' art. 7 e ss. della l. 241 del 1990 agli interessati. In tale contesto deve parimenti escludersi che ai destinatari del provvedimento recante l'ordine di demolizione debbano essere riconosciute le prerogative connesse alla partecipazione procedimentale, tra cui quella di presentare osservazioni con conseguente obbligo per l'amministrazione di prenderle in considerazione prima di assumere la decisione finale ”.

Circa l’affermazione secondo cui all'interno della medesima particella insisterebbero opere legittimamente realizzate in forza di una licenza di costruzione rilasciata dal Comune di Napoli in data 27.11.1957, n. 1164, si rileva che gli appellanti non hanno fornito neanche un principio di prova in ordine al fatto che ci fosse coincidenza ed identità tra le opere che hanno formato oggetto di acquisizione e le opere di cui alla licenza del 1957.

Circa l’affermazione secondo cui all'interno della medesima particella insisterebbero opere per le quali pendeva, e pende, non ancora definito, istanza di condono edilizio ex l. 47/85 presentato nell'anno 1986, si rileva che dalla nota della Direzione Centrale VI n. 51963 del 04/07/2012 risulta che sono state presentate 4 domande di condono ai sensi della legge 47/85. In particolare:

- pratica n° 4409/4/86 intestata a Russo Luigi, relativa ad opere abusive eseguite alla via Janfolla n. 484. Detta istanza contiene un modello 4 7 /85-A ed un modello 4 7 /85-D. Il modello A è relativo a parte di un fabbricato per civili abitazioni di tre livelli fuori terra, in particolare all'appartamento ubicato al secondo piano, nonché al piano terra adibito a deposito, ad una cantinola parzialmente interrata e all'androne del fabbricato. L'altra unità abitativa al primo piano è oggetto di condono con l'appresso menzionata pratica n. 3501/4/86. Il Modello D è relativo a quattro manufatti destinati a pollai ed un quinto manufatto destinato in parte a deposito ed in parte a pollaio;

- pratica n° 3501/4/86 intestata a Russo Gaetano, relativa all'appartamento ubicato al primo piano facente parte del summenzionato fabbricato condonato per la restante parte con la suddetta pratica 4409/4/86;

- pratica n° 4496/4/86 intestata a Russo Elisabetta per opere abusive eseguite alla via Janfolla n. 484, relativa ad unità abitativa ubicata a piano terra di un fabbricato per civili abitazioni di due livelli fuori terra;

- pratica n° 4403/4/86 intestata a R L, relativa all'altra unità abitativa sita al primo piano dello stesso fabbricato di cui alla suddetta pratica 4496/4/86.

In nessuna di siffatte istanze di condono si fa riferimento alle opere abusive che formano oggetto del presente giudizio, circostanza non smentita dagli appellanti. L’affermazione, pertanto, secondo la quale sarebbero state acquisite opere che hanno formato oggetto di istanza di condono non risulta provata.

12. Con il quarto motivo di appello si censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto, altresì, che alcun difetto di motivazione risultasse rinvenibile in relazione agli atti impugnati.

Si sostiene che:

a) le opere edilizie oggetto di contestazione (mutamento di destinazione d'uso, pavimentazione area esterna) risulterebbero prive di qualsiasi propria "autonoma" identità e non sarebbero suscettibili di propria autonoma utilizzazione. Ne deriverebbe l'inapplicabilità nella fattispecie concreta della disposizione normativa indicata nel provvedimento impugnato;

b) non si comprendono le ragioni per le quali il comune di Napoli ha ritenuto di dover adottare la sanzione della acquisizione né le motivazioni circa la sussistenza del pubblico interesse a sacrificare gli interessi del privato.

La censura è infondata.

Come ribadito da Consiglio di Stato, sez. II, 07/02/2020, n. 996: “ l'ordinanza di acquisizione gratuita al patrimonio comunale di un'opera abusiva si configura quale atto dovuto, privo di discrezionalità, subordinato al solo accertamento dell'inottemperanza di ingiunzione di demolizione ed al decorso del termine di legge (che ne costituiscono i presupposti), così che la censura di carenza di motivazione in ordine alla valutazione dell'interesse pubblico è destituita di qualsiasi fondamento giuridico, non essendovi alcuna valutazione discrezionale da compiere e, di conseguenza, da giustificare ”.

13. Con il quinto motivo di appello si censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto infondata la censura di illegittimità del provvedimento di acquisizione impugnato anche nella parte in cui il suddetto provvedimento di acquisizione omette di specificare l'esatta entità delle aree da acquisire.

La censura è infondata alla luce di quanto già esposto circa la puntuale individuazione delle aree da acquisire.

14. L’appello, pertanto, va respinto e le spese del giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza, considerando comunque la limitata attività difensionale svolta dal Comune appellato.

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