Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2022-08-12, n. 202207104

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2022-08-12, n. 202207104
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202207104
Data del deposito : 12 agosto 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 12/08/2022

N. 07104/2022REG.PROV.COLL.

N. 01871/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Settima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1871 del 2020, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato A C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Emilio de' Cavalieri, 11



contro

Università degli Studi di Parma, Ministero dell'Istruzione dell’Università e della Ricerca, Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per la Funzione Pubblica - in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12



per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna sezione staccata di Parma (Sezione Prima) -OMISSIS-


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Università degli Studi di Parma, del Ministero dell'Istruzione dell’Università e della Ricerca e della Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per la Funzione Pubblica;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 giugno 2022 il Cons. Rosaria Maria Castorina e uditi per le parti l’avvocato Francesco Mangazzo per delega dell'Avv. A C;

Viste le conclusioni delle parti come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.




FATTO

L’appellante, professore ordinario in regime di tempo pieno, presentava all’Università di Parma istanza di autorizzazione in sanatoria in relazione ad una pluralità di incarichi professionali svolti negli anni 2007-2012.

L’Università, con distinti atti, comunicava al ricorrente l’avvio del procedimento finalizzato al recupero ex art. 53, comma 7, del D. Lgs. n. 165/2001 dei compensi percepiti.

Con nota del 10 settembre 2013, il Dipartimento della Funzione Pubblica trasmetteva all’Università la relazione del Nucleo Speciale Pubblica Amministrazione della Guardia di Finanza che quantificava l’importo oggetto di recupero in euro 1.531.604,29, cui seguiva il D.R. del 24 settembre 2013 con il quale l’Università procedeva al recupero del credito nei precisati termini.

L’appellante impugnava le comunicazioni unitamente al “provvedimento tacito di diniego di autorizzazione ora per allora”.

Con nota del 26 settembre 2013, che richiamava la citata comunicazione dell’Ispettorato per la Funzione Pubblica del 10 settembre precedente (contenente l’elenco degli incarichi svolti in regime di impegno a tempo pieno, dei compensi percepiti e gli importi da recuperare), l’Università comunicava al ricorrente l’avvio del procedimento per il recupero di euro 1.531.604,29. Anche questo atto veniva impugnato con motivi aggiunti. Nelle more del giudizio interveniva la sentenza di condanna n. 33/19 della Corte dei Conti.

Il T, con la sentenza -OMISSIS- respingeva il ricorso ad eccezione del rilievo che il recupero doveva essere effettuato al netto e non già al lordo delle ritenute fiscali e previdenziali.

Impugnata ritualmente la sentenza, resistevano l’Università degli Studi di Parma, il Ministero dell’Università e della Ricerca e la Presidenza del Consiglio dei Ministri.

All’udienza pubblica del 21 giugno 2022 la causa passava in decisione.



DIRITTO

1. Con il primo motivo di appello (che corrisponde al secondo motivo del ricorso di primo grado) l’appellante deduce violazione di legge con riferimento all'art. 10- bis della l. 241/1990; Eccesso di potere sotto il profilo della carenza di motivazione.

Lamenta che l’art. 10- bis citato rappresenta una garanzia fondamentale per il privato nell’ambito del procedimento amministrativo e deve essere sempre rispettato. Contesta che l’atto adottato dall’Università fosse un atto vincolato.

2. Con il secondo motivo di appello (che corrisponde al terzo motivo del ricorso di primo grado), si lamenta violazione di legge con riferimento all'art. 3 della l. 241/1990 e falsa applicazione in relazione ai presupposti per il rilascio dell'autorizzazione in sanatoria; Eccesso di potere sotto il profilo della perplessità dell'azione amministrativa; Contraddittorietà manifesta rispetto alle scelte procedimentali, con particolare riferimento alla decisione di non tener conto delle valutazioni espresse (né di motivare alcunché sul punto) dal Collegio degli Esperti; Eccesso di potere sotto i profili della illogicità; Difetto di istruttoria e carenza della motivazione.

3. Con il terzo motivo (che corrisponde al quarto motivo del ricorso) si lamenta eccesso di potere per illogicità, difetto di istruttoria e di motivazione; Eccesso di potere sotto il profilo della contraddittorietà rispetto ai precedenti atti autorizzatori rilasciati dalla stessa amministrazione.

4. Con il dodicesimo motivo (corrispondente al primo mezzo aggiunto) l’appellante deduce eccesso di potere per evidente disparità di trattamento tra la posizione del ricorrente e quella degli altri docenti che, come lui, avevano presentato un’istanza di autorizzazione “ora per allora” in sanatoria avente ad oggetto i medesimi incarichi; Eccesso di potere sotto il profilo della contraddittorietà manifesta, illogicità, perplessità dell’azione amministrativa; Eccesso di potere sotto i profili del difetto di istruttoria e di carenza di motivazione.

Lamenta che non era sufficiente sostenere che il parere del Collegio degli Esperti non fosse vincolante per ritenere assolto l’obbligo motivazionale di cui all’art. 3 della legge 241/90.

Le censure suscettibili di trattazione congiunta non sono fondate.

5. Osserva il Collegio che il D.Lgs. n. 165 del 2001, all’art. 53, disciplina le incompatibilità, il cumulo di impieghi e gli incarichi dei dipendenti pubblici, ivi compresi, per quanto qui interessa, anche quelli dei professori universitari "a tempo pieno", regolati anche della legge n. 240 del 2010, art. 6, comma 10, secondo periodo. La norma da ultimo citata conferma che i professori e i ricercatori a tempo pieno possono svolgere, "previa autorizzazione" del Rettore, funzioni didattiche e di ricerca, nonché compiti istituzionali e gestionali senza vincolo di subordinazione presso enti pubblici e privati senza scopo di lucro, purché non si determinino situazioni di conflitto di interesse con l'Università di appartenenza, a condizione comunque che l'attività non rappresenti detrimento delle attività didattiche, scientifiche e gestionali loro affidate dall'università di appartenenza.

Non rileva, nella specie, il richiamo al regolamento di Ateneo, che nulla dispone in merito, e che, comunque, quale fonte subordinata al D.Lgs. n. 165 del 2001, non potrebbe derogare alle disposizioni primarie, che prevedono un criterio generale di necessaria autorizzazione in via preventiva degli incarichi.

La normativa, nel suo insieme, non vieta dunque l'espletamento di incarichi extraistituzionali retribuiti, ma li consente solo ove gli stessi siano conferiti dall'amministrazione di provenienza ovvero da questa "preventivamente autorizzati", rimettendo al datore di lavoro pubblico la valutazione della legittimità dell'incarico e della sua compatibilità, soggettiva e oggettiva, con i compiti propri dell'ufficio. In tal senso, la Corte di Cassazione ha rilevato che, in tema di pubblico impiego, il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 53, comma 6, in cui è confluito il D.Lgs. n. 29