Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2013-06-11, n. 201303234

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2013-06-11, n. 201303234
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201303234
Data del deposito : 11 giugno 2013
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00429/2002 REG.RIC.

N. 03234/2013REG.PROV.COLL.

N. 00429/2002 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 429 del 2002, proposto da:
B G e B G, in proprio e quali eredi di T S d F, rappresentati e difesi dagli avvocati F D e R F, con domicilio eletto presso R F in Roma, via G.B. De Rossi n.30;

contro

Comune di Napoli, in persona del sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati G D, e A A, con domicilio eletto presso Gian Marco Grez in Roma, corso Vittorio Emanuele II, n. 18.

per la riforma

della sentenza del T.A.R. per la Campania – Napoli - Sezione II, n. 4199 del 13 novembre 2000, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Napoli;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 maggio 2013 il Cons. Luigi Massimiliano Tarantino e uditi per le parti gli avvocati Ferola e Pafundi, per delega dell'Avvocato Dardo;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. La controversia all’attenzione della Sezione origina dal diniego di sanatoria edilizia del 30 aprile 1996 opposto nei confronti degli originari ricorrenti, da parte del Comune di Napoli odierno intimato, in risposta all’istanza di sanatoria avanzata in data 21 marzo 1986, ed impugnato dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Campania – Napoli, unitamente ai pareri della Commissione edilizia del 18 maggio 1995, del 23 maggio 1995 e del 27 giugno 1995, nonché di ogni altro atto premesso, connesso o conseguenziale.

2. Con il ricorso di primo grado gli odierni appellanti lamentavano:

a) violazione e falsa applicazione dell’art. 35, l. n. 47/1985, per essersi formato il silenzio-assenso sull’istanza di sanatoria corredata dalla documentazione richiesta, essendo decorsi 24 mesi dal parere della Sovraintendenza, intervenuto in data 17 febbraio 1988, e avendo l’istante provveduto a pagare la relativa oblazione;

b) il travisamento dei fatti atteso che, contrariamente a quanto sostenuto dal provvedimento di diniego impugnato, la relazione del Settore Tecnico Condono del 23 maggio 1995 non esprime parere contrario sulla richiesta di condono;

c) violazione e falsa applicazione della circolare n. 3357-25/1985, applicativa della l. n. 47/1985, per essere i vincoli di piano scaduti per decorrenza del termine di cui all’art. 2, l. n. 1187/1968;

d) eccesso di potere per perplessità e illogicità manifesta, atteso che l’istanza è stata respinta per la presenza di vincoli urbanistici, mentre in dispositivo si è fatto riferimento alla non sufficiente integrazione ambientale;

e) violazione dell’art. 32, l. n. 47/1985, perché il diniego è stato opposto nonostante il parere favorevole della Sovrintendenza.

3. Con sentenza non definitiva n. 2500 del 10 ottobre 1997, il TAR adito disponeva consulenza tecnica, tesa ad accertare:

a) la natura e la consistenza delle opere oggetto della cennata domanda di sanatoria, con un confronto tra l’altezza e il volume del fabbricato autorizzato e quello invece effettivamente realizzato;

b) la data presumibile di effettiva realizzazione delle dette opere;

c) la corrispondenza di tali opere con quelle riportate nella domanda di condono;

d) la corrispondenza di tali opere con quelle oggetto del parere rilasciato dalla Soprintendenza ai BB.AA. di Napoli in data 17.2.1988.

4. Con sentenza n. 4199, pubblicata il 13 novembre 2000, il Tribunale amministrativo regionale per la Campania – Napoli, respingeva il ricorso evidenziando che:

a) i vincoli imposti dall’art. 15 NTA del P.R.G. non sono vincoli di inedificabilità che decadono decorsi 5 anni se non viene adottato un piano particolareggiato, perché non sono vincoli preordinati all’esproprio, ma vincoli di inedificabilità che una volta decaduti impongono l’applicazione della disciplina sulle cd. zone bianche ex art. 4 ult. co., l. n. 10/1977 e art. 4 L.R. Campania n. 17/1982;
inoltre, anche a voler ritenere decaduti i vincoli in questione, la delibera consiliare n. 422/1980 li aveva reiterati, senza dire che la zona ricade in area desinata a parco pubblico, vincolo ripristinato con la citata delibera ed è ulteriormente gravata dai vincoli di cui alla l. n. 1497/1939 e l. n. 431/1985;
pertanto, doveva ritenersi esistente non solo il vincolo urbanistico, ma anche quello paesaggistico;

b) i vincoli paesaggistici orientano la funzione sociale della proprietà ex art. 42, comma 2, Cost. e dalla loro imposizione non deriva un diritto ad un indennizzo;
mentre i vincoli urbanistici attuano il comma 3 dell’art. 42 Cost. nella misura in cui conformano il regime proprietario e fanno sorgere il diritto ad un indennizzo, ma i vincoli in questione attesa la loro natura possono coesistere;

c) il silenzio assenso non poteva formarsi per la pluralità di vincoli esistenti e, in costanza dei due pareri negativi resi ai sensi dell’art. 32, l. n. 47/1985, l’opera non poteva essere sanata;

d) il diniego di sanatoria appare adeguatamente confortato dai pareri contrari emessi dalla Commissione edilizia e dalla Commissione per i beni ambientali.

5. In data 22 dicembre 2001 gli originari ricorrenti notificavano atto d’appello, con il quale contestavano le conclusioni raggiunte dalla sentenza del TAR Napoli indicata in epigrafe, articolando i seguenti motivi di censura:

a) la pronuncia gravata ha omesso di considerare che l’immobile risulta autorizzato sotto il profilo urbanistico e paesaggistico e presenta soltanto alcune difformità rispetto al titolo edilizio rilasciato, ossia il mutamento di destinazione d’uso da agricolo a residenziale, e l’aumento di volumetria dovuto al fatto che sono stati realizzati tre piani in luogo dei due assentiti con incremento pari a 204 mc.;
inoltre, va considerato che l’art. 15 delle NTA del P.R.G. di Napoli, approvato con D.M. n. 1829 del 31 marzo 1972, ha destinato la zona I a verde pubblico, precisando al comma 1, che tali sono quelle aree destinate a parco pubblico o da destinare alla creazione di nuovi parchi, ed al comma 3, che nelle aree incluse nella sottozona I/2 possono essere ubicati interventi in sede di formazione dei piani particolareggiati;
la circostanza che l’area nella quale è ubicato l’immobile fosse zona destinata a parco pubblico previa adozione di piano particolareggiato si evincerebbe anche dalla delibera consiliare n. 422/1980;
da qui non può che trarsi la conclusione che i vincoli in questione fossero preordinati all’esproprio, secondo quanto già accertato dalla sentenza dello stesso TAR Campania, n. 182 del 1985 in un caso analogo;
pertanto, erra il primo Giudice nella misura in cui opera un’indebita equivalenza tra zona destinata a verde pubblico e zona destinata a parco pubblico, atteso che quest’ultima destinazione comporta la presenza di un vincolo preordinato all’esproprio dell’area;
e ciò trova ulteriore conferma nella delibera n. 249/1980, con la quale il Comune di Napoli, proprio per la realizzazione di un parco pubblico, aveva approvato un progetto esecutivo ai sensi dell’art. 1, l. n. 1/1978 allo scopo di sopperire alla mancata adozione dei piani particolareggiati;

b) esatto quanto affermato sub a), gli appellanti ritengono, quindi, che il vincolo di inedificabilità assoluta risale al 1980 ed è scaduto nel 1985;
mentre in relazione ai vincoli di cui alla l. n. 1497/1939 ed alla l. n. 431/1985, osservano che la l. n. 431 è successiva all’opera realizzata e l’opera ha, comunque, ottenuto il parere favorevole della Soprintendenza;

c) erronea risulta la sentenza gravata nella parte in cui non coglie il vizio rappresentato dalla contraddittorietà tra il dispositivo del provvedimento di diniego ispirato a valori ambientali e la motivazione che richiama valori urbanistici;
contraddittorietà che non risulta scalfita dalla circostanza che i vincoli in questione si possono sommare;

d) non condivisibile risulta la pronuncia gravata nella parte in cui ha escluso la formazione del silenzio assenso ex art. 35, l. n. 47/1985, sull’istanza di sanatoria, in assenza di vincoli urbanistici o paesaggistici;

e) il primo Giudice non ha colto la presenza di un vizio di motivazione che affligge il provvedimento impugnato, nella misura in cui il diniego si fonda sulla contrarietà ai valori ambientali in discordanza con quanto espresso dalla Soprintendenza nel parere rilasciato.

6. Con memoria del 12 giugno 2002 e del 21 marzo 2013 si costituiva in giudizio il Comune di Napoli, chiedendo la reiezione dell’appello.

7. Con memoria difensiva dell’11 aprile 2013 l’amministrazione comunale approfondisce le sue difese, evidenziando come l’art. 15 NTA del P.R.G. prevede un vincolo meramente conformativo, come si desume anche dalla rubrica della disposizione citata intitolata: “ Zona I: Verde Pubblico ”.

8. Con memoria del 12 aprile 2013 gli appellanti ribadiscono alcune considerazioni svolte nell’atto d’appello, evidenziando come l’esito negativo dinanzi al primo Giudice sia in parte il frutto della contestuale trattazione di altri casi solo apparentemente simili, atteso che gli immobili oggetto dei dinieghi impugnati risultavano del tutto sprovvisti di titolo edilizio e non semplicemente eseguiti in difformità come nel caso all’esame del Collegio.

9. Con memoria del 23 aprile 2013 gli appellanti replicano alle considerazioni svolte dall’amministrazione appellata, sottolineando come il thema decidendi non sia la condonabilità di un immobile violativo di un vincolo, ma la condonabilità di un immobile realizzato difformemente da quanto prescritto nel titolo edilizio. Inoltre, il manufatto realizzato non è incompatibile con il preteso vincolo di cui al più volte citato art. 15 NTA.

10. All’udienza del 14 maggio 2013 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. L’appello, che riproduce le doglianze contenute nel ricorso di primo grado con esclusione del secondo motivo del ricorso di primo grado sul quale la pronuncia gravata ha, quindi, acquisito sia pure in parte qua autorità di giudicato, è infondato e deve essere respinto.

2. Preliminarmente, occorre dare atto delle risultanze della perizia tecnica disposta dal primo giudice con sentenza non definitiva n. 2500 del 10 ottobre 1997, il cui mancato richiamo da parte della pronuncia gravata non si traduce in un vizio rilevante ai fini di una sua eventuale riforma. Come rammentato supra al punto 3, il Tribunale amministrativo fissava quattro quesiti ai quali il consulente offriva le risposte contenute nella relazione del 12 maggio 1998.

2.1. Quanto al primo quesito: “ Accertare la natura e la consistenza delle opere oggetto della cennata domanda di sanatoria, con un confronto tra l’altezza e il volume del fabbricato autorizzato e quello invece effettivamente realizzato ”, il Consulente scindeva il quesito in due sottoquesiti. Al primo dei due rispondeva dando atto dei contenuti della domanda di condono edilizio, formulata da Scotto Teonilla di Freca, dante causa degli odierni appellanti, presentata in data 21 marzo 1986. Nei tre modelli costituenti la domanda veniva dichiarato che: l’opera, situata in Napoli alla via Camaldolilli, n. 59, oggetto della domanda di condono edilizio consiste in un edificio di tre piani adibito ad uso residenziale, dal quale sono stati ricavati sei appartamenti in difformità da quanto stabilito dalla licenza edilizia concessa per la realizzazione di un fabbricati di due piani ad uso agricolo. Il piano realizzato in eccesso sviluppa secondo quanto dichiarato una superficie complessiva di 264,20 mq, ed ospita sei abitazione. Il piano terra ed il primo piano rispetto ai quali si registra un mutamento di destinazione d’uso sviluppano una superficie complessiva di 713,80 mq ed ospitano nove abitazioni. Al secondo dei due sottoquesiti il Consulente dava risposta, evidenziando che il fabbricato autorizzato, doveva essere costituito da due piani fuori terra di altezza falda pari a 10,60 metri, altezza colmo 8,00, di volume colmo pari a 2332mc, e di volume falda pari a 2711mc;
mentre quello realizzato è di tre piani, raggiunge un’altezza falda di 10 metri, un’altezza colmo di 10 metri, un volume colmo pari a 2915mc ed un volume falda pari a 2915mc.

2.2. Sul secondo quesito: “ Accertare la data presumibile di effettiva realizzazione delle dette opere ”, la relazione in atti indica come data di inizio dei lavori il 9 febbraio 1970 e come termine il 1975.

2.3. In ordine al terzo quesito: “ Accertare la corrispondenza di tali opere con quelle riportate nella domanda di condono ”, il Consulente verificava la rispondenza tra quanto dichiarato in sede di domanda di condono e quanto in concreto realizzato.

2.4. In merito, infine, al quarto quesito: “ Accertare la corrispondenza di tali opere con quelle oggetto del parere rilasciato dalla Soprintendenza ai BB.AA. di Napoli in data 17.2.1988 ”, la relazione concludeva nel senso che l’aspetto plano-volume-altimetrico è risultato conforme, mentre quello prospettico presenta lievi modifiche.

3. Venendo, pertanto, all’esame del primo motivo d’appello non risulta conforme a quanto emerso dall’istruttoria processuale che l’immobile risulta autorizzato sotto il profilo urbanistico e paesaggistico e presenta soltanto alcune difformità rispetto al titolo edilizio rilasciato, ossia il mutamento di destinazione d’uso da agricolo a residenziale, e l’aumento di volumetria dovuto al fatto che sono stati realizzati tre piani in luogo dei due assentiti con incremento pari a 204 mc. Invero, a parte le differenze prospettiche accertate in risposta al quesito n. 4, in relazione al volume colmo, l’incremento volumetrico si attesta sui 583mc, così come l’altezza colmo autorizzata risultava pari a 8 metri, mentre quella realizzata è pari a 10 metri (con la ulteriore conseguenza dell’aumneto del numero delle unità abitative complessive e del relativo carico urbanistico). Quanto, invece, all’invocato parere della Soprintendenza, va evidenziato come lo stesso veniva reso limitatamente alla tutela delle bellezze naturali ex l. n. 1497/1939.

3.1. Occorre a questo punto assodare quali vincoli insistano sull’area oggetto dell’intervento edilizio, al fine di accertare se gli stessi siano finalizzati all’esproprio dell’area oppure si limitino a caratterizzarne le proprietà. La corretta individuazione della tipologia dei vincoli gravanti sul bene comporta conseguentemente l’applicazione, o meno, del principio di decadenza quinquennale espresso nell’art. 2, l. 19 novembre 1968 n. 1187, ispirato direttamente dal precetto dell’art. 42, comma 3, Cost. Il principio in questione, secondo la giurisprudenza consolidata di questo Consiglio ( ex multis , Cons. St., sez. IV, 10 giugno 2010, n. 3700, cui si rinvia a mente dell’art. 88, co. 2, lett. d), c.p.a.), si applica soltanto ai vincoli di piano regolatore generale, che incidono su beni determinati, assoggettandoli a vincoli preordinati all'espropriazione o a vincoli che ne comportano l'inedificabilità e, dunque, svuotano il contenuto del diritto di proprietà, incidendo sul godimento del bene tanto da renderlo inutilizzabile rispetto alla sua destinazione naturale ovvero diminuendone in modo significativo il suo valore di scambio;
la previsione di una determinata tipologia urbanistica, quale nella specie relativa alla realizzazione o conservazione di parco urbano o di quartiere, non configura un vincolo preordinato all'espropriazione né comporta l'inedificabilità assoluta, trattandosi di una prescrizione diretta a regolare concretamente l'attività edilizia e quindi, costituendo esercizio di potestà conformativa che sfugge al ricordato limite temporale (cfr. art. 11, l. 17 agosto 1942 n. 1150). L’indagine in questione discende dalla esatta collocazione dell’area sulla quale ricade l’immobile oggetto di istanza di condono. Dall’esame della sentenza, che sul punto non risulta essere stata oggetto di impugnazione, e delle delibere n. 249/1980 e n. 168/1986, si evince che l’area si trova al di fuori del perimetro del parco di Camaldoli ma in zona classificata dall’art. 15 NTA del P.R.G. del Comune di Napoli come zona I|2. Secondo la suddetta disposizione, rubricata: “ Zona I: verde pubblico ”, le aree ricomprese nella zona I sono quelle già destinate a parchi pubblici e da mantenere a siffatta destinazione, nonché quelle da destinare alla creazione di nuovi parchi pubblici. Nella sottozona I\2, secondo quanto dispone il comma 2, “ …è vietata qualsiasi costruzione e qualsiasi modifica e trasformazione del suolo, ivi compresa l’esecuzione di strade (ad eccezione di quelle pedonali), di opere di sbancamento e di riporto. In tali zone gli edifici esistenti possono essere demoliti o utilizzati per i servizi connessi con le funzioni del parco o per le attrezzature previste nella zona H/1, con esclusione di quelle private ”. Ebbene, secondo la giurisprudenza consolidata di questo Consiglio un simile vincolo ha carattere conformativo. Infatti, è stato a più riprese ribadito che la destinazione urbanistica dell’area a zona di “verde pubblico” non assume la natura di vincolo ablatorio o assimilabile, ma rientra nell’ambito della normale conformazione della proprietà privata, espressione del potere di pianificazione del territorio comunale. Infatti la destinazione a “verde pubblico” di un’area è sussumibile tra le ipotesi di qualificazione delle zone territoriali omogenee di cui lo strumento urbanistico primario si compone e, anche se pone preclusione all’edificazione implicando l’esclusione della possibilità di realizzare qualsiasi opera edilizia incidente sulla destinazione a verde, rimane comunque espressione delle funzioni di ripartizione in zone del territorio, senza determinare vincoli tali da escludere potenzialmente il diritto di proprietà nella sua interezza (v. in tal senso, con riguardo specifico alla destinazione a “verde pubblico” Cons. St., Sez. VI, 20 giugno 2012, n. 3571;
Id., Sez. IV, 13 luglio 2011, n. 4242;
Id., Sez. IV, 23 dicembre 2010, n. 9372). Inoltre, nel caso in esame il comma 2 del citato art. 15, consente che gli edifici esistenti vengano utilizzati per i servizi connessi con le funzioni del parco secondo una destinazione non rimessa alla necessaria iniziativa pubblica e, quindi, attuabile, senza previa ablazione del bene, anche ad iniziativa privata o promiscua pubblico-privata. Dalla individuazione della natura conformativa e non ablatoria del vincolo urbanistico discende l’applicazione del regime fissato dalla sentenza della Corte cost. 20 maggio 1999, n. 179. Infatti, si è in presenza di un vincolo che riguarda un’intera zona del territorio comunale e che importa una destinazione realizzabile ad iniziativa privata o promiscua pubblico privata, che non implica necessariamente espropriazione o intervento ad esclusiva iniziativa pubblica e quindi è attuabile anche dal soggetto privato e senza necessità di previa ablazione del bene. Pertanto, il vincolo in questione non può ritenersi sottoposto alla disciplina della decadenza quinquennale e per l’effetto deve ritenersi fosse operante anche al tempo in cui veniva presentata l’istanza di condono e al tempo in cui veniva opposto il diniego successivamente impugnato, trattandosi di una prescrizione diretta a regolare concretamente l'attività edilizia, in quanto inerente alla potestà conformativa propria dello strumento urbanistico generale, la cui validità è a tempo indeterminato, come espressamente previsto dall'art. 11 L. 17 agosto 1942 n. 1150 (cfr. C.G.A., 24 ottobre 2007, n. 1017).

4. Il vincolo urbanistico imposto dall’art. 15 NTA del P.R.G. del Comune di Napoli non è il solo gravante sul bene, pertanto, anche il secondo motivo d’appello deve essere respinto. Non può, infatti, accogliersi l’impostazione esposta dagli appellanti secondo la quale il vincolo derivante dalla l. n. 431/1985, non sarebbe operante, perché successivo all’opera realizzata. Al riguardo, va rammentato l’insegnamento dell’Adunanza Plenaria di questo Consiglio (sentenza n. 20 del 22 luglio 1999), dal quale non sussistono motivi per discostarsi: “ La pubblica amministrazione, sulla quale a norma dell'articolo 97 Cost. incombe più pressante l'obbligo di osservare la legge, deve necessariamente tener conto, nel momento in cui provvede, della norma vigente e delle qualificazioni giuridiche che essa impone;
pertanto, la disposizione di portata generale di cui all'articolo 32, primo comma, della legge 28 febbraio 1985 n.47, relativa ai vincoli che appongono limiti all'edificazione, non recando nessuna deroga a questi principi, deve interpretarsi nel senso che l'obbligo di pronuncia da parte dell'autorità preposta alla tutela del vincolo sussiste in relazione alla esistenza del vincolo al momento in cui deve essere valutata la domanda di sanatoria, a prescindere dall'epoca d'introduzione del vincolo, atteso che tale valutazione corrisponde alla esigenza di vagliare l'attuale compatibilità, con il vincolo, dei manufatti realizzati abusivamente
”. Pertanto, non appare di nessun rilievo la circostanza che l’illecito sia stato posto in essere prima dell’entrata in vigore della l. n. 431/1985 (nello stesso senso, successivamente, cfr. fra le tante, Cons. St., sez. V, n. 5553 del31 ottobre 2012).

4. Del tutto infondato appare anche il terzo motivo d’appello, essendo necessario ribadire che il diniego di sanatoria delle opere abusive per incompatibilità ambientale è notoriamente frutto di una valutazione tecnica ampiamente discrezionale, tipica manifestazione del potere autoritativo dell’amministrazione che, come tale, si sottrae al sindacato di legittimità, tranne le ipotesi di manifesta abnormità ovvero macroscopico travisamento dei fatti, che nella fattispecie non ricorrono (cfr. Cons. St., Sez. V, n. 5553 del 2012 cit.).

5. Con il quarto motivo d’appello si sostiene che il diniego espresso non poteva essere adottato per essere medio tempore maturato il silenzio-assenso ex art. 35, l. n. 47/1985, ma anche quest’affermazione non può essere condivisa. Il meccanismo del silenzio assenso decorsi 24 mesi è sottoposto, infatti, al ricorrere di quattro condizioni:

a) il pagamento dell’oblazione;

b) la presentazione all'ufficio tecnico erariale della documentazione completa necessaria all'accatastamento;

c) l’assenza di vincoli di in edificabilità assoluta che rendano l’opera insanabile ai sensi dell’art. 33 l. n. 47 cit;

d) il rispetto di quanto prescritto dal comma 1 dell’art. 40, l n. 47/1985 in ordine alla tempestività e alla fedeltà della domanda di condono, nonché in relazione alla necessità che l’abuso non consista nella difformità rispetto al titolo edilizio a suo tempo rilasciato. Nella fattispecie difettano i requisiti sub lett. c) e d), stante la presenza di vincoli di inedificabilità assoluta sull’area precedentemente identificata ( supra sub 3.1.) e 4.) e controvertendosi di una totale difformità non consente di ritenere che si sia formato il silenzio-assenso.

6. Anche l’ultimo motivo dell’odierno gravame non si presta ad essere accolto, in quanto l’art. 33, l. n. 47/1985, con grande chiarezza esclude la condonabilità degli immobili, che risultino sottoposti a vincoli di inedificabilità assoluta o ambientale (Cons. St., Sez. V, 9 ottobre 2007, n. 5320). La circostanza che entrambi i profili di contrarietà siano stati richiamati dall’amministrazione comunale non risulta viziare in termini di contraddittorietà il provvedimento dalla stessa assunto;
il parere reso dalla soprintendenza, infatti, ha avuto ad oggetto esclusivo il vincolo di in edificabilità relativo derivante dalla legge n. 1497 del 1939 e non può ritenersi influente sulla gestione del diverso vincolo ambientale imposto autonomamente dal comune in sede di P.R.G.

7. Sulla scorta delle rassegnate conclusioni è giocoforza respingere l’appello.

8. Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.

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