Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2023-03-27, n. 202303099

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2023-03-27, n. 202303099
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202303099
Data del deposito : 27 marzo 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 27/03/2023

N. 03099/2023REG.PROV.COLL.

N. 08914/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8914 del 2019, proposto dal signor -OMISSIS- rappresentato e difeso dall’avvocato R O, con domicilio digitale come da PEC dei Registri di Giustizia;

contro

il Ministero dell’interno, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato ope legis in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Toscana, sezione prima, n. -OMISSIS- resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’interno;

visti tutti gli atti della causa;

relatore, nell’udienza pubblica del giorno 20 settembre 2022, il consigliere F F e dato per presente, ai sensi dell’articolo 84, comma 5, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito in legge 24 aprile 2020, n. 27, l’avvocato R O per l’appellante;

ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso ritualmente notificato e depositato – rispettivamente in data 18 ottobre 2019 e in data 31 ottobre 2019 – il signor -OMISSIS- all’epoca dei fatti ispettore capo della Polizia di Stato, ha interposto appello avverso la sentenza in epigrafe con cui il Tribunale amministrativo regionale per la Toscana, sezione prima, ha in parte dichiarato inammissibili e in parte respinto i due riuniti ricorsi numeri -OMISSIS-.

1.1. L’impugnazione è stata espressamente rivolta soltanto nei confronti del capo di sentenza che ha dichiarato in parte infondati i due suddetti ricorsi proposti contro due rigetti espressi di due ricorsi gerarchici attinenti a due sanzioni disciplinari pecuniarie – pari a 1/30 e a 2/30 della retribuzione mensile – con contestuale impugnazione anche dei provvedimenti recanti le sanzioni.

Il gravame dunque non ha ad oggetto il capo che ha dichiarati in parte inammissibili i ricorsi per violazione del principio di alternatività tra ricorso straordinario e ricorso giurisdizionale, essendo state le due sanzioni già indirettamente oggetto di due ricorsi straordinari (peraltro respinti dal Consiglio di Stato in sede consultiva mediante i pareri numeri 13589/2012 e 13591/2012) avverso i silenzi rigetto dei ricorsi gerarchici, che solo successivamente sono stati decisi con provvedimento espresso, non consumandosi il potere di provvedere espressamente dopo 90 giorni.

Ne consegue che su quest’ultimo capo della sentenza impugnata si è formato giudicato interno.

2. Il Ministero dell’interno si è costituito in giudizio, eccependo l’inammissibilità del gravame per genericità e comunque la sua infondatezza.

3. La causa è stata trattenuta in decisione all’udienza pubblica del 20 settembre 2022.

4. In via pregiudiziale va rigettata l’eccezione d’inammissibilità dell’appello, in quanto la contestazione della sentenza impugnata è sufficientemente enucleata, consentendo per tal via la perimetrazione del thema decidendum , ed è idonea a integrare i requisiti di cui all’art. 101, comma 1, del codice del processo amministrativo.

5. L’appello è infondato e deve essere respinto.

6. Il T.a.r. ha rigettato, siccome infondate, le doglianze veicolate avverso i decreti di rigetto dei ricorsi gerarchici adottati dal Capo della Polizia - Direttore generale della pubblica sicurezza in data 11 ottobre 2012, così motivando la propria statuizione: « Per quello che riguarda la prima parte del primo motivo di ricorso, appare del tutto sufficiente il richiamo della piana giurisprudenza che, sulla base di principi già affermati da Cons. Stato, ad. plen. 27 novembre 1989 n. 16, ha continuamente riaffermato il <<principio pacifico in giurisprudenza … secondo cui il termine assegnato all'Amministrazione per pronunciarsi sul ricorso gerarchico non è perentorio, come si deduce dalla disposizione generale in materia di ricorso gerarchico (art. 6,d.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199), sicché il decorso dei novanta giorni previsti dalla norma non estingue il potere di decidere il ricorso amministrativo, ma il soggetto interessato ha la facoltà, alla scadenza di detto termine, di proporre ricorso giurisdizionale o straordinario avverso l’atto originario nei rispettivi termini di decadenza, ovvero di proporre ricorso giurisdizionale avverso il silenzio-rigetto, ovvero ancora di attendere, ai fini della eventuale impugnativa, la decisione tardiva dell'Amministrazione>>
(T.A.R. Marche, 19 giugno 2018, n. 435;
Cons. Stato, sez. V, 30 settembre 2013, n. 4828;
14 febbraio 2011, n. 950). Trattandosi di procedimenti autonomi e non caratterizzati da sostanziali interferenze, non sussisteva poi alcuna necessità di riunire i due procedimenti disciplinari;
l’unico elemento di possibile collegamento tra le due vicende è, infatti, costituito da una presunta situazione di abnorme carico di lavoro gravante sul ricorrente che non risulta, come si vedrà, in alcun modo dimostrata. Per quello che riguarda il ricorso R.G. n. -OMISSIS- assolutamente corretta risulta poi la motivazione apposta all’atto di reiezione del ricorso gerarchico che non risulta contrastata dal ricorrente con argomentazioni suscettibili di positiva considerazione. A questo proposito appare, infatti, del tutto sufficiente richiamare la chiara scansione dei notevoli ritardi accumulati dal ricorrente nella trattazione della pratica che ha originato la sanzione disciplinare contenuta nella nota 23 giugno 2011 del Dirigente della P. d. S. di -OMISSIS- che ha originato il procedimento disciplinare;
scansione che non risulta contestata dal ricorrente se non con generiche considerazioni relative ad una presunta situazione di abnorme carico di lavoro che non risultano accompagnate, come risulta dovere di un corretto pubblico dipendente, dalla segnalazione ai superiori di una situazione che può (e deve) trovare soluzione solo ove evidenziata agli organi competenti. Discorso sostanzialmente analogo anche per il ricorso R.G. n. -OMISSIS-anche in questo caso, la nota 23 giugno 2011 del Dirigente della P. d. S. di-OMISSIS- evidenzia i notevoli ritardi nella trattazione della pratica in questione accumulati dal ricorrente e che hanno portato anche alla proposizione di azione risarcitoria da parte degli interessati;
particolarmente importante ed insuscettibile di giustificazione appare poi il ritardo (dal 29 ottobre 2010 al 3 marzo 2011) nell’esecuzione di un provvedimento di dissequestro adottato dall’Autorità Giudiziaria, ovvero di un provvedimento che per natura e funzione deve trovare esecuzione con la maggiore celerità possibile e non a distanza di mesi e solo dopo i solleciti dell’A.G. e degli interessati. Completamente infondato risulta poi anche l’ultimo motivo di ricorso (anche in questo caso, comune ai due ricorsi);
la già citata segnalazione del 23 giugno 2011 del Dirigente della P. d. S. di-OMISSIS- appare, infatti, del tutto rispondente al modello di cui all’art. 12 del d.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737 (sanzioni disciplinari per il personale dell'Amministrazione di pubblica sicurezza e regolamentazione dei relativi procedimenti), se non per la richiesta finale <<di non procrastinare ulteriormente il trasferimento dell’ispettore in parola>>, ovvero per un elemento che non incide sul contenuto essenziale dell’atto, costituito dalla comunicazione all’organo competente di fatti astrattamente idonei a determinare l’esercizio disciplinare e dal divieto di indicare specie e misura della sanzione applicabile
».

6.1. Il signor -OMISSIS- ha censurato la suddetta statuizione, deducendo in sintesi che: « La prima sanzione disciplinare riguardava un asseritamente ingiustificato ritardo nella evasione di una pratica. Si trattava di una delicata attività di rilevazione e catalogazione di un gran numero di armi, di cui si dovevano riscontrare i dati nella documentazione amministrativa in possesso del titolare (cioè per ciascuna arma rilevare i dati e compararli con la documentazione in possesso del proprietario nonché con quella in possesso della amministrazione) peraltro attività da svolgere in luogo molto distante dal luogo abituale di lavoro del ricorrente (-OMISSIS- a 90 Km di distanza). Si trattava quindi di una attività, difficile, lunga articolata, in luogo da raggiungere di volta in volta, e che si sommava alle altre attività in capo al ricorrente (…) Nello specifico si trattava di verificare i dati identificativi impressi sulle armi dal fabbricante, importatore, assemblatore (marca matricola, calibro e stato di produzione) ai sensi degli articoli 11 e 11bis della legge n.110/1975, e di riscontrare i dati identificativi delle armi raccolti, durante i numerosissimi sopralluoghi in -OMISSIS- via Cesare Battisti, con la copiosa documentazione cartacea presente in modo disordinato nei fascicoli a sostegno delle varie denunce di armi, presentate ai sensi dell’articolo 38 del T.U.L.P.S. e dell’articolo 58 del Regolamento di esecuzione al T.U.L.P.S., e successivamente con i dati identificati delle armi di volta in volta inseriti negli archivi informatizzati delle Forze dell’Ordine. Detta attività di rilevazione ebbe inizio nei primi giorni del mese di luglio 2010. Successivamente si verificò anche un grave infortunio che tenne il soggetto, presso la cui abitazione erano state lasciate le armi in sequestro, per lungo tempo in ospedale, nonché gravi problemi di salute del ricorrente (….) La seconda sanzione disciplinare riguardava invece l’asseritamente ingiustificato ritardo nella esecuzione di un provvedimento di dissequestro, la cui mancata esecuzione avrebbe addirittura originato una richiesta di risarcimento del danno. La revoca del sequestro penale operato dalla autorità giudiziaria, tuttavia, non solo non sanava le pur numerose irregolarità amministrative, ma neppure esimevano l’autorità preposta alla restituzione ad operarla nelle mani di un soggetto abilitata a riceverla, cioè che fosse in possesso di tutte le necessarie autorizzazioni. Dette autorizzazioni l’interessato però non le aveva, per essergli state revocate (…) senza contare che per di più il materiale in sequestro necessitava di essere catalogato, ed una parte di esso era sostanzialmente non identificato né identificabile. Ma il destinatario della restituzione, prodigo di solleciti per ottenerla, è invece sempre stato avarissimo nell’esibire o procurarsi le necessarie autorizzazioni (…) Si trattava quindi di compiti tutt’altro che facili e di rapida esecuzione, sempre che non si voglia dire che si dovessero svolgere in maniera poco accurata, le cui difficoltà venivano sempre comunicate ai superiori. Ma non solo. Si inserisce in questo quadro anche una complessa situazione di difficoltà, propria del ricorrente e del suo ufficio, rappresentata dal fatto che, con un ordine di servizio di poco antecedente alla assegnazione dei compiti che poi hanno generato le sanzioni disciplinari (…) , la sezione cui egli apparteneva (e che contava tre effettivi) era stata sdoppiata in due sottosezioni, una con due persone e una a cui era assegnato in perfetta solitudine il solo ricorrente, al quale era stata peraltro assegnata una nuova postazione di lavoro, priva dei necessari strumenti (…) In un simile quadro, che vede operazioni lunghe e complesse, assegnate a un soggetto che comunque doveva svolgere anche altre pratiche, e che per di più era rimasto da solo privo ogni aiuto e di ogni strumento, dispiace che il Tribunale Regionale abbia ritenuto di dover valorizzare solo il fatto che non risultasse che egli si sia mai lamentato coi superiori del suo disagio né abbia chiesto loro di provvedere, peraltro a fronte di una situazione già perfettamente a loro conoscenza (tra l’altro per avere quantomeno concorso a originarla) e dispiace che siano state classificate come “ doglianze generiche relative al carico di lavoro ” la schematica ma esaustiva esposizione da parte dello scrivente degli aspetti di difficoltà delle pratiche in questione e delle condizioni oggettive in cui si svolgeva il suo lavoro: a tale proposito basti evidenziare due aspetti che non sono stati valorizzati come meritavano, per quanto entrambi portati a conoscenza del Tribunale Regionale, e cioè le comunicazioni in atti da parte del sindacato circa il fatto che il ricorrente fosse stato cambiato di postazione senza avere i necessari strumenti, e il fatto che il dirigente che disponeva la divisione delle sottosezioni, assegnando ad una di esse il solo ricorrente, sentiva il bisogno di aggiungere che egli “ nella attività di controllo esterno sarebbe stato coadiuvato dal personale disponibile in Divisione ” il che dimostra che il superiore era direttamente a conoscenza del fatto che di un aiuto vi fosse bisogno, demandandone tuttavia la ricerca al ricorrente e il reperimento alla sorte (…) Infine del tutto non condivisibili appaiono le conclusioni cui perviene il Tribunale Regionale nel rigettare siccome completamente infondato il IV motivo, comune ad entrambi i ricorsi, atteso che si deve dare un valore sostanziale al divieto di indicare la specie e misura della sanzione da applicare, talché non basti il parziale rispetto formale del modello di legge, se poi lo si correda di un inciso finale che nella sua sostanza integra in pieno, più che un suggerimento, una vera e propria richiesta ».

6.2. Il costrutto difensivo dell’appellante non è suscettibile di favorevole valutazione, giacché vi è stato oggettivamente un cospicuo ritardo nell’adempimento di pratiche delicate in materia di armi da fuoco, nonostante il dipendente sia stato formalmente sollecitato dal suo superiore ad agire.

In proposito si osserva che l’appellante, all’epoca ispettore capo in servizio presso la divisione della Polizia amministrativa, sociale e dell’immigrazione della Questura di -OMISSIS- quale responsabile della sezione armi ed esplosivi, è stato sanzionato in data 18 gennaio 2012, in quanto, malgrado alcuni solleciti scritti e orali del proprio dirigente in ordine al sequestro di numerose armi, ha adempiuto con eccessivo ritardo ad accertamenti delegati dall’autorità giudiziaria e alla trasmissione di alcuni reperti alla polizia scientifica per i riscontri di competenza, tantoché all’atto della contestazione dell’addebito (in data 4 ottobre 2011) la pratica d’interesse, iniziata in data 8 luglio 2010, non era stata ancora conclusa.

Il signor -OMISSIS- non risulta altresì aver mai formalmente e specificamente segnalato ai superiori le problematiche inerenti al carico di lavoro tali da non avergli consentito di espletare, nei tempi e modi previsti, gli accertamenti amministrativi.

Inoltre, in data 19 gennaio 2012, gli veniva irrogata la seconda sanzione per aver eseguito in data 28 febbraio 2011 un provvedimento dell’autorità giudiziaria di dissequestro di materiale pirotecnico del 29 ottobre 2010, con conseguente pregiudizio per i legittimi proprietari, i quali, in data 26 settembre 2011, hanno presentato un’istanza di risarcimento per la mancata restituzione del materiale di loro proprietà, sicché la condotta omissiva dell’ispettore capo ha anche esposto l’amministrazione di appartenenza a potenziali ripercussioni finanziarie.

Successivamente, a seguito del sollecito del pubblico ministero nel mese di febbraio 2011 con relativa richiesta di spiegazioni in merito alla mancata esecuzione del dissequestro, il dipendente si è limitato a redigere un verbale in cui ha rappresentato che la ditta interessata non era autorizzata alla detenzione del materiale, senza fornire soluzioni ed indicazioni utili. Peraltro, avendo curato direttamente tale pratica con l’autorità giudiziaria, l’ispettore capo ha provveduto ad informare, fino a marzo 2011, solo incidentalmente il dirigente dell’ufficio, il quale, a fronte di un nuovo sollecito del magistrato per il ritardo accumulato, è intervenuto direttamente, assegnando il fascicolo ad altro personale.

Pertanto le sanzioni disciplinari adottate sono state legittime e congrue, come correttamente evidenziato dal T.a.r., poiché dall’illustrato coacervo di accadimenti emerge una grave, reiterata e ingiustificata negligenza dell’appellante, il quale, per il ruolo rivestito, esperienza e professionalità maturata, avrebbe dovuto operare con maggiore senso di responsabilità e piena coscienza delle proprie funzioni, segnalando formalmente al proprio dirigente, nell’ambito di un corretto rapporto di collaborazione, difficoltà e problematiche, alla luce della delicata attività svolta in materia di armi ed esplosivi.

Si rileva infine l’infondatezza dell’asserita non aderenza della segnalazione al modello di cui all’art. 12 del d.P.R. n. 737/1981. La segnalazione disciplinare del dirigente infatti è conforme ai moduli predisposti, se non per una piccola variazione finale, ovverosia per la presenza della richiesta della specie della sanzione, che per converso non dovrebbe essere inserita;
tuttavia siffatta minima difformità non è idonea a incidere sul contenuto essenziale dell’atto endoprocedimentale, né tanto meno sul provvedimento finale, non comportando in ogni caso alcun concreto vulnus per la posizione dell’interessato, considerato tra l’altro che gli è stata inflitta la pena pecuniaria, mentre nella segnalazione si sollecitava il suo trasferimento.

6.3. In conclusione l’appello va respinto.

7. La peculiarità della vicenda giustifica la compensazione tra le parti delle spese di lite del presente grado di giudizio.

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