Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2023-09-21, n. 202308450

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2023-09-21, n. 202308450
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202308450
Data del deposito : 21 settembre 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 21/09/2023

N. 08450/2023REG.PROV.COLL.

N. 01060/2023 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1060 del 2023, proposto da
-OMISSIS- rappresentata e difesa dall’avvocato R A, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Ministero della Giustizia, in persona del Ministro in carica, per legge con il patrocinio dell’Avvocatura Generale dello Stato e con domicilio nei suoi uffici in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

per la revocazione

della sentenza del Consiglio di Stato (Sezione Seconda), n. -OMISSIS-/2022, resa tra le parti;


Visti il ricorso per revocazione e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 27 giugno 2023 il Cons. Alessandro Enrico Basilico e viste le conclusioni delle parti come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. La ricorrente impugna per revocazione la sentenza con cui questo Consiglio di Stato, in riforma della pronuncia del TAR, ha annullato il provvedimento con cui le era stato negato il beneficio della “promozione alla vigilia”, riconoscendolo tuttavia ai soli fini giuridici, non a quelli economici.

2. In punto di fatto, si rileva che questa, già dirigente superiore dell’Amministrazione penitenziaria dal 1 gennaio 1999 poi inquadrata con la qualifica di dirigente penitenziario nella nuova carriera delineata dal d.lgs. 15 febbraio 2006, n. 63 (“ Ordinamento della carriera dirigenziale penitenziaria a norma della legge 27 luglio 2005, n. 154 ”), è stata posta in quiescenza con provvedimento del 19 ottobre 2010, avente effetto retroattivo al 2 dicembre 2009, data del riconoscimento dell’inidoneità al servizio per gravi motivi di salute.

3. Con istanza del 26 aprile 2010, ha richiesto a fini pensionistici l’applicazione dei benefici di cui all’art. 1, co. 260, lett. b), della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (legge finanziaria 2006).

Tale comma, poi abrogato dall’art. 1, co. 258, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (legge di stabilità 2015), ha previsto l’attribuzione « ai dirigenti superiori della Polizia di Stato con almeno cinque anni di anzianità nella qualifica, la promozione alla qualifica di dirigente generale di pubblica sicurezza, a decorrere dal giorno precedente la cessazione dal servizio » (come si evince dal richiamo al precedente comma 259, il beneficio s’inseriva in una serie di misure che avevano lo scopo di valorizzare le risorse dirigenziali delle Forze di Polizia, in modo da incrementare la funzionalità dell’Amministrazione di pubblica sicurezza),

4. Con provvedimento del 13 febbraio 2014, l’Amministrazione ha respinto l’istanza, ravvisando una preclusione nel d.lgs. n. 63 del 2006, che ha soppresso il ruolo dei dirigenti superiori, prevedendo solo la qualifica di dirigente penitenziario (con la quale si può accedere a incarichi superiori) e, all’apice, quella unitaria di dirigente generale.

5. L’interessata ha impugnato il diniego dinanzi al TAR, che tuttavia l’ha respinto, accogliendo la tesi dell’Amministrazione secondo cui dall’entrata in vigore della dirigenza penitenziaria sarebbe venuta meno la stessa qualifica di dirigente superiore, precludendo così il beneficio della “promozione alla vigilia”.

6. L’interessata ha quindi proposto appello (iscritto a ruolo con RG n. -OMISSIS-), che è stato accolto dal Consiglio di Stato con sentenza n. -OMISSIS- nella quale si è osservato che, anche nel nuovo sistema dirigenziale, « il legislatore ha enucleato una sorta di sottogruppo, costituito dai dirigenti “idonei a ricoprire incarichi superiori”, che presentano uno status diverso dai dirigenti normali », intervenendo poi con una disposizione transitoria « per regolare le situazioni giuridiche pendenti di coloro che erano in possesso della qualifica di dirigente superiore, non più contemplata nel nuovo assetto ordinamentale», nello specifico attribuendo a questo personale la qualifica di dirigente penitenziario con riconoscimento dell’idoneità a ricoprire gli incarichi superiori e, per l’effetto, assicurando loro «uno status più elevato di quello spettante di norma ai dirigenti penitenziari » e differenziandone la posizione rispetto a questi.

La medesima sentenza ha ritenuto che la conclusione raggiunta non trovasse ostacolo « nel fatto che il collocamento a riposo dell’appellante è avvenuto durante il periodo di vigenza del blocco contrattuale » previsto dall’art. 9, co. 21, del d.l. 31 maggio 2010, n. 78 (convertito in legge 30 luglio 2010, n. 122), in quanto tale legislazione non ha impedito le progressioni di carriera, sterilizzandone solamente gli effetti economici per contingenti esigenze di finanza pubblica.

Pertanto, la pronuncia, pur riformando l’arresto del TAR, ha annullato il provvedimento impugnato in primo grado solo « nei sensi di cui in motivazione », ossia riconoscendo all’appellante la promozione alla qualifica di dirigente generale con decorrenza dal giorno precedente il collocamento a riposo ai soli fini giuridici e senza effetti con riferimento al trattamento pensionistico e di fine servizio.

7. Contro tale sentenza, l’interessata ha proposto ricorso per revocazione.

8. Nel giudizio, si è costituito il Ministero della giustizia, resistendo all’impugnazione.

9. All’udienza pubblica del 27 giugno 2023, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

10. Con il ricorso per revocazione, si denuncia l’erroneità della sentenza sotto il profilo dell’errore di fatto, rilevante ai sensi degli 9-5495-93cf-d1294e9bf17a::LRCA156D52C05C4C619696::2010-07-07" href="/norms/codes/itatexti9fkbifolgczza/articles/itaart183vdedp3kbi1v?version=57caaebe-e509-5495-93cf-d1294e9bf17a::LRCA156D52C05C4C619696::2010-07-07">artt. 106 cod. proc. amm. e 395, n. 4, cod. proc. civ..

In particolare, si sostiene che sia erroneo il presupposto su cui è stata fondata la limitazione del riconoscimento del beneficio della “promozione alla vigilia” ai fini giuridici e non a quelli economici, osservando che il pensionamento della ricorrente non sarebbe avvenuto durante il periodo di vigenza del “blocco” di cui al d.l. n. 78 del 2010, ma prima della sua entrata in vigore.

Pertanto, in riforma della pronuncia impugnata, si domanda il riconoscimento del diritto della ricorrente alla promozione a dirigente generale con ogni effetto di legge, sia giuridico, sia economico.

11. Il ricorso è fondato.

12. L’art. 106 cod. proc. amm. stabilisce che le sentenze del giudice amministrativo sono impugnabili per revocazione, nei casi e nei modi previsti dagli artt. 395 e 396 cod. proc. civ., con ricorso da proporre allo stesso organo che ha pronunciato la decisione.

13. Secondo la consolidata ricostruzione della giurisprudenza, il giudizio per revocazione si articola in due fasi: « quella rescindente, volta a verificare se il ricorso è ammissibile e se sussiste una delle cause legali tipiche di revocazione (in caso di positivo riscontro, la sentenza viene “rescissa”, ossia revocata);
quella rescissoria, meramente eventuale, che consegue ad una pronuncia (necessariamente positiva) circa la sussistenza della causa di revocazione invocata;
in questa seconda fase viene in rilievo l’obbligo per il giudice di rinnovare il giudizio, emendandolo del vizio o dei vizi che avevano afflitto quello precedente
» (Cass. civ., ss.uu., sent. n. 21869 del 2019).

14. Dal punto di vista rescindente, nel caso di specie viene denunciato il vizio di cui all’art. 395, n. 4, cod. proc. civ., a norma del quale una sentenza è revocabile se « è l’effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa. Vi è questo errore quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell’uno quanto nell’altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare ».

L’errore revocatorio, quindi, è configurabile solo quando ricorrano tutti i seguenti requisiti: si tratti di un errore « di fatto », ossia di una errata od omessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio, che abbia indotto il giudice a decidere sulla base di un falso presupposto;
la questione attenga a un punto non controverso, su cui la decisione non abbia espressamente pronunciato;
la sentenza sia « fondata » su tale elemento, ossia questo sia stato determinante nella decisione adottata.

15. Nel caso di specie, sussiste un simile errore.

La sentenza impugnata, per la parte oggetto di contestazione in questa sede, si fonda sul presupposto che « il collocamento a riposo dell’appellante è avvenuto durante il periodo di vigenza del blocco contrattuale » disposto dall’art. 9, co. 21, del d.l. n. 78 del 2010.

È bene precisare che si tratta di una circostanza di fatto, perché non riguarda l’individuazione del periodo di vigenza del “blocco” (che configurerebbe una questione di diritto, perché inerente l’interpretazione della normativa che l’ha istituito), ma la data in cui è iniziato il periodo di quiescenza della ricorrente, il cui accertamento discende dalla percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio e, in particolare, della nota del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria dell’8 novembre 2010 (prodotta dalla ricorrente già nel giudizio dinanzi al TAR quale doc. 1), nonché dal decreto del 19 ottobre 2010 e dallo stato matricolare (prodotti dalla difesa erariale nel giudizio di secondo grado quali doc. 1 e 8), dai quali si evince che la risoluzione del rapporto di lavoro dell’interessata è stata disposta a decorrere dal 2 dicembre 2009.

Pertanto, il collocamento a riposo dell’appellante è avvenuto prima che iniziasse il periodo di vigenza del blocco contrattuale disposto dall’art. 9, co. 21, del d.l. n. 78 del 2010, che ha riguardato « le progressioni di carriera comunque denominate eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 » (con previsione poi prorogata per gli anni 2014 e 2015).

Il presupposto in base al quale la sentenza impugnata ha limitato ai soli effetti giuridici il beneficio della “promozione alla vigilia” è dunque erroneo ed è stato determinante di quella decisione;
inoltre, la questione non è stata dibattuta dalle parti nel corso del giudizio.

Sussistono dunque tutti i presupposti per procedere alla revocazione della pronuncia censurata.

16. Dal punto di vista rescissorio, la ricorrente ripropone i motivi di appello già articolati nel precedente giudizio.

Con il primo, si deduce: « Erroneità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 260, lettera b), della legge 23 dicembre 2005. Violazione dell’art. 40 della legge 15 dicembre 1990, n. 395. Violazione degli artt. 2 e 4 della legge 27 luglio 2005, n. 154 nonché degli artt. 26, 27 e 28 del decreto legislativo 15 febbraio 2006, n. 63. Violazione della Circolare del Ministero della Giustizia 13 giugno 2007

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