Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2010-04-13, n. 201002029

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2010-04-13, n. 201002029
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201002029
Data del deposito : 13 aprile 2010
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 08671/2007 REG.RIC.

N. 02029/2010 REG.DEC.

N. 08671/2007 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

DECISIONE

Sul ricorso numero di registro generale 8671 del 2007, proposto da:
F S C V, rappresentato e difeso dall'avv. Claudia Cardena', con domicilio eletto presso Antonio Fiorella in Roma, via P. Da Palestrina N. 19;

contro

A S, rappresentato e difeso dall'avv. M T B, con domicilio eletto presso Gian Marco Grez in Roma, corso Vittorio Emanuele II,18;

nei confronti di

Sogenus S in P. e Q. Mand. Ati, Ati Cons. Coop. Cons. Fra Coop. Produz. e Lavoro Anche in P.;

per la riforma

della sentenza del TAR

MARCHE

Sezione Prima n. 00783/2007, resa tra le parti, concernente AFFIDAMENTO TRIENNALE SERVIZIO RIFIUTI-RISARCIMENTO DANNI.


Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Vista la propria decisione parziale n. 3920/2009;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, nell'udienza pubblica del giorno 23 ottobre 2009, il Consigliere. Marco Lipari e uditi per le parti i difensori come da verbale di udienza;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:


FATTO e DIRITTO

La Società Coppari Virgilio, s.r.l., che ha partecipato alla gara indetta dall’A.S.A. – Azienda Servizi Ambientali di Corinaldo in vista dell’affidamento, per la durata di un triennio, prorogabile per altri tre anni, del servizio di stesura, compattazione, copertura dei rifiuti, esecuzione di sbancamenti e di trasporto del percolato relativo alla discarica di Corinaldo, ha impugnato in primo grado, con gli atti della relativa procedura, l’aggiudicazione della gara all’A.T.I. costituita dalla SO.GE.NU.S., S.p.A., e dal CONS.COOP – Consorzio tra Cooperative di produzione e lavoro.

L’A.S.A. e la SO.GE.NU.S., in proprio e quale mandataria dell’A.T.I. con il CONS.COOP – Consorzio tra Cooperative di produzione e lavoro, si sono costituite in giudizio opponendosi all’accoglimento del ricorso.

Il Tribunale Amministrativo Regionale delle Marche, con la sentenza del 15 maggio 2007, n. 783, ha respinto il ricorso.

La sentenza è stata appellata dal Fallimento della Società Coppari Virgilio, e per esso dal curatore dott. Paolo Renna, autorizzato dal giudice delegato del Tribunale di Ancona, con atto n. 5819 del 12 ottobre 2007.

L’appellante ha chiesto, con la riforma della sentenza appellata, anche il risarcimento dei danni.

L’A.S.A. ha resistito all’appello, chiedendo la conferma della sentenza impugnata.

Con decisione parziale n. 3920/2009, la Sezione ha accolto l’appello, annulland l’aggiudicazione impugnata in primo grado, e ha disposto incombenti istruttori relativi alla domanda di risarcimento del danno, svolgendo la seguente motivazione.

L’appello è fondato nel primo, assorbente motivo d’impugnativa, con il quale l’appellante ha dedotto che la società aggiudicataria doveva essere esclusa dalla gara in applicazione dell’art. 113, comma 6, del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267.

In base alla norma ora citata, non sono ammesse a partecipare alle gare per l’affidamento dei servizi pubblici locali di rilevanza economica “le società che in Italia o all’estero, gestiscono a qualunque titolo servizi pubblici locali in virtù di un affidamento diretto, di una procedura non ad evidenza pubblica o a seguito dei relativi rinnovi;
tale divieto si estende alle società controllate o collegate, alle loro controllanti, nonché alle società controllate o collegate con queste ultimi;
sono parimenti esclusi i soggetti di cui al comma 4”(gestori delle reti).

La Società SO.GE.NU.S., affidatarie diretta da parte del Comune di Moie di Maiolani Spuntini della gestione dell’impianto di discarica sita nel territorio comunale non doveva essere ammessa alla gara di cui trattasi.

Si rivela erroneo il rilievo del T.A.R. secondo cui l’art. 113, comma 6, del D.Lgs n. 267 del 2000 avrebbe disposto l’esclusione per le imprese ivi considerate nelle gare indette per la costituzione di società miste con gli enti locali ai fini della gestione dei servizi pubblici locali.

Le considerazioni che precedono sono sufficienti per riformare la sentenza appellata.

Tale pronuncia, peraltro, si rivela errata anche in relazione ad altro rilievo formulato con il ricorso originario, secondo cui l’A.T.I. aggiudicataria doveva essere esclusa perché aveva fatto presente di voler assegnare in subappalto il trasporto del percolato e per la manutenzione dell’impianto di sollevamento.

La disciplina della gara esclude, infatti, la possibilità di subappaltare il servizio o parte di esso.

L’espressione di avvalersi “di aziende specializzate già fornitrici di prestazioni per l’offerente A.T.I.” indica chiaramente che l’A,T.I. si sarebbe avvalsa di “aziende terze”, come denunciato dall’appellante e, cioè che per il trasporto del percolato avrebbe fatto ricorso al subappalto.

L’appello, in conclusione, deve essere accolto nella parte in cui è stata impugnata la sentenza del 15 maggio 2007 n. 783, del T.A.R. delle Marche e, per l’effetto, in riforma di tale pronuncia, deve annullarsi il provvedimento di aggiudicazione della gara di cui trattasi all’A.T.I. di cui la SO.GE.NU.S., è mandataria.

2. - Per l’esame della domanda di risarcimento del danno proposta, con altro capo dell’impugnativa in esame dal Fallimento appellante, il Collegio ritiene di disporre incombenti istruttori al fine di acquisire agli atti della controversia la sentenza dichiarativa del fallimento della S.r.l. Coppari Virgilio.

La parte appellante dovrà fornire la copia autenticata di tale sentenza nel temine di 45 (quarantacinque) giorni dalla comunicazione in via amministrativa della presente decisione.

In seguito agli adempimenti istruttori disposti dalla Sezione, l’appello è stato trattenuto in decisione all’odierna udienza.

La Sezione deve valutare la domanda di risarcimento del danno, proposta dalla parte interessata, concernente la riparazione del pregiudizio derivante dal provvedimento di aggiudicazione, annullato dalla parziale decisione della Sezione, ormai divenuta, in questa parte, definitiva.

Al riguardo, l’Azienda appellata ha svolto ampie ed articolate deduzioni, dirette a sostenere l’assenza di colpa nell’adozione degli illegittimi provvedimenti annullati. Ha contestato, inoltre, la quantificazione del danno indicata dall’impresa appellante, nei propri atti difensivi.

La tesi prospettata dall’appellata muove dalla condivisibile premessa secondo la quale l’accertata illegittimità di un provvedimento amministrativo annullato dal giudice competente non è condizione sufficiente per affermare la responsabilità civile dell’amministrazione che lo ha adottato.

Per ottenere la condanna dell’amministrazione al risarcimento del danno occorre dimostrare, invece, la concreta sussistenza di tutti gli elementi costitutivi dell’illecito aquiliano, compreso quello relativo all’elemento soggettivo della responsabilità (dolo o colpa del soggetto autore dell’atto illegittimo ritenuto produttivo di pregiudizio patrimoniale).

Infatti, in linea generale, questa Sezione ha affermato il consolidato principio secondo cui, “ ai fini dell'ammissibilità della domanda di risarcimento del danno a carico della pubblica amministrazione, non è sufficiente il solo annullamento del provvedimento lesivo, ma è altresì necessario che sia configurabile la sussistenza dell'elemento soggettivo del dolo ovvero della colpa, dovendo quindi verificarsi se l'adozione e l'esecuzione dell'atto impugnato sia avvenuta in violazione delle regole di imparzialità, correttezza e buona fede alle quali l'esercizio della funzione deve costantemente ispirarsi;
segue da ciò che in sede di accertamento della responsabilità della Pubblica amministrazione per danno a privati conseguenti ad un atto illegittimo da essa adottato il giudice amministrativo può affermare la responsabilità quando la violazione risulti grave e commessa in un contesto di circostanze di fatto e in un quadro di riferimenti normativi e giuridici tali da palesare la negligenza e l'imperizia dell'organo nell'assunzione del provvedimento viziato e negandola quando l'indagine presupposta con- duce al riconoscimento dell'errore scusabile per la sussistenza di contrasti giudiziari, per l'incertezza del quadro normativo di riferimento o per la complessità della situazione di fatto
” (fra le ultime pronunce in tal senso, si veda Consiglio Stato, Sez. V, 12 giugno 2009 , n. 3750).

Peraltro, si è anche chiarito ripetutamente, con riferimento alla ripartizione dell’onere probatorio relativo alla dimostrazione concreta del prescritto elemento soggetti vo dell’illecito, che, “in sede di giudizio per il risarcimento del danno derivante da provvedimento amministrativo illegittimo, il privato danneggiato può limitarsi ad invocare l'illegittimità dell'atto quale indice presuntivo della colpa, restando a carico dell'Amministrazione l'onere di dimostrare che si è trattato di un errore scusabile per contrasti giurisprudenziali sull'interpretazione della norma, per la complessità del fatto ovvero per l'influenza di altri soggetti” (Consiglio Stato, Sez. V, 20 luglio 2009 , n. 4527).

Infatti, in tema di responsabilità dell'amministrazione per attività provvedimentale illegittima e con riguardo all'elemento soggettivo della colpa, la Sezione ha escluso l'applicabilità dei principi concernenti la responsabilità contrattuale per inadempimento in ordine alla presunzione relativa di colpa e l'ascrizione all'amministrazione dell'onere di dimostrare la propria incolpevolezza, e, nel far uso dello schema e della disciplina della responsabilità aquiliana, ha ripetutamente affermato che, mentre il privato può limitarsi a fornire al giudice elementi indiziari quali la gravità della violazione (come presunzione semplice di colpa e non già come criterio di valutazione assoluto), il carattere vincolato dell'azione amministrativa giudicata, l'univocità della normativa di riferimento ed il proprio apporto partecipativo al procedimento.

Dal canto suo, l'amministrazione può allegare elementi, anch'essi indiziari, rientranti nello schema dell'errore scusabile, spettando poi al giudice apprezzarne e valutarne liberamente l'idoneità a comprovare o ad escludere la colpevolezza dell'amministrazione stessa, senza che possa considerarsi valida l'equazione "illegittimità dell'atto-colpa dell'apparato pubblico" (cfr. Sez. V, 20 marzo 2007 n. 1346).

In altri termini, la responsabilità patrimoniale della pubblica amministrazione conseguente all'annullamento giurisdizionale di provvedimenti illegittimi dev'essere inserita nel sistema dell'accertamento dell'illecito extracontrattuale delineato dagli artt. 2043 ss. cod. civ., alla stregua del quale l'imputazione non può avvenire sulla base del mero dato oggettivo dell'illegittimità del provvedimento (cfr. pure, tra le tante di questa Sez., 6 marzo 2007 n. 1049).

In tale contesto, è stato altresì evidenziato che anche la giurisprudenza comunitaria (Corte di giustizia CE 5 marzo 1996, cause riunite nn. 46 e 48 del 1993;
23 maggio 1996, causa C5 del 1994), pur assegnando valenza decisiva alla gravità della violazione, indica, quali parametri valutativi di quel carattere, il grado di chiarezza e precisione della norma violata, la presenza di una giurisprudenza consolidata sulla questione esaminata e definita dall'amministrazione, nonché la novità della medesima questione, riconoscendo così portata esimente all'errore di diritto, in analogia all'elaborazione della giurisprudenza penale in tema di buona fede nelle contravvenzioni (cfr. cit. dec. n. 1346/07).

La parte appellata, senza contestare le regole riguardanti la ripartizione dell’onere probatorio in tema di dimostrazione della colpa dell’amministrazione elaborate dalla giurisprudenza, indica gli argomenti logici e fattuali che, a suo dire, condurrebbero a ritenere sussistente un rilevante errore scusabile, tale da escludere, in concreto, la sua colpa nell’adozione del provvedimento illegittimo.

Nell’ambito di queste corrette coordinate interpretative, in particolare, l’appellata sostiene che, nel caso di specie, vi sarebbe stata una “obiettiva incertezza e notevoli difficoltà interpretative”, in ordine all’applicabilità del divieto di partecipazione alla gara in contestazione.

Sotto un primo aspetto, la società appellata evidenzia la “peculiarità della fattispecie” in oggetto, che avrebbe resa incerta l’applicabilità concreta del divieto di partecipazione alle gare, sancito dall’articolo 113, comma 6, del decreto legislativo n. 267/2000. In quest’ottica, a suo dire, la circostanza che la società aggiudicataria SOGENUS fosse affidataria diretta da parte del comune di Moie di Maiolati Spontini della gestione dell’impianto di discarica sita nel territorio comunale non avrebbe determinato il sicuro divieto di partecipazione alla gara in contestazione.

A parere dell’ASA, infatti, la procedura selettiva in oggetto non riguarda un servizio pubblico locale “tipico” (raccolta, trasporto e conferimento in discarica dei rifiuti), bensì un’attività complessa e specifica da prestare all’interno della discarica comunale del comune di Corinaldo, nell’interesse della società titolare del servizio di gestione.

La non immediata qualificabilità dell’oggetto dell’appalto come espletamento di un servizio pubblico locale prestato nell’interesse degli utenti, quindi, avrebbe determinato una violazione del tutto incolpevole e giustificabile di regole dalla portata applicativa incerta.

Vi sarebbe, poi, un ulteriore errore scusabile, originato dalla circostanza che anche la giurisprudenza di questo Consiglio si sarebbe espressa, in un primo tempo, nel senso di ritenere che le disposizioni di cui all’articolo 35 della legge n. 448/2001 non potessero ritenersi immediatamente applicabili nelle more dell’entrata in vigore del previsto regolamento di attuazione.

La tesi della parte appellata, benché ampiamente argomentata, non è condivisibile.

Se è vero, infatti, che la disciplina in materia ha presentato senz’altro alcune difficoltà interpretative, non si può dire che il comportamento della stazione appaltante sia stato condizionato dall’adesione a un indirizzo interpretativo univoco.

Né sembra esatta l’affermazione di un scarsa chiarezza della disciplina positiva, in relazione ai due profili indicati (oggetto dell’appalto in contestazione e differimento dell’entrata in vigore della nuova disciplina recante il divieto di partecipazione alle gare).

Le caratteristiche obiettive dell’appalto potevano lasciare, forse, un certo margine di dubbio interpretativo fisiologico, ma la riconduzione allo schema del servizio pubblico locale non avrebbe richiesto uno sforzo interpretativo troppo marcato ed intenso.

Non può giovare all’appellata, poi, nemmeno il riferimento ad un isolato precedente giurisprudenziale di primo grado, secondo cui il divieto di partecipazione sarebbe stato differito al 1 gennaio 2007. Infatti, non risulta che questa circostanza abbia influito sulla determinazione adottata dalla stazione appaltante, la quale, negli atti del procedimento selettivo in contestazione, non ha mai utilizzato questo argomento logico-giuridico. E non può essere trascurato nemmeno che la pronuncia invocata (TAR Lazio, III, 18 luglio 2007, n. 7698) faccia riferimento, essenzialmente, ad una disposizione (l’articolo 113, comma 5 quater , introdotto dall’articolo 4, comma 284 della legge n. 350/2003), entrata in vigore solo dopo l’aggiudicazione dell’appalto in oggetto.

Sotto altro aspetto, poi, la società appellata ritiene di essere incorsa in un errore scusabile anche in relazione all’altro profilo di illegittimità accertato dalla decisione parziale di questo Consiglio n. 3920/2009 (“ l’A.T.I. aggiudicataria doveva essere esclusa perché aveva fatto presente di voler assegnare in subappalto il trasporto del percolato e per la manutenzione dell’impianto di sollevamento” ).

In relazione a tale aspetto, la violazione della lex specialis di gara, che espressamente vietava il subappalto, risulta evidente. L’accertamento istruttorio compiuto in sede di gara (svolto nell’ambito della valutazione circa l’anomalia dell’offerta) avrebbe dovuto confermare la sussistenza della violazione riscontrata e non certo giustificarla.

Resta quindi integrato, in concreto, il requisito della colpa dell’amministrazione. Pertanto, in accoglimento della domanda dell’impresa interessata, deve essere affermata la responsabilità della Azienda appellata, per i danni derivanti dall’illegittima aggiudicazione dell’appalto.

Ai fini della liquidazione del danno, in applicazione del disposto dell’articolo 35 del decreto legislativo n. 80/1998, entro trenta giorni dalla comunicazione o notificazione della presente decisione, l’ASA dovrà offrire all’appellante una somma determinata in applicazione dei seguenti criteri.

a) Nulla va dovuto quale ristoro economico delle spese sostenute per la partecipazione alla gara, trattandosi di costo che grava, fisiologicamente, sulle imprese concorrenti. Né risulta dimostrato che la società appellante abbia sopportato spese maggiori di quelle ordinarie, a causa degli atti illegittimamente adottati dalla stazione appaltante.

b) Non possono essere computati i danni riferiti alla asserita “disgregazione” dei beni strumentali e alla perdita dell’attività di impresa conseguente al fallimento. Infatti, anche prescindendo dai possibili profili di novità della domanda in appello, non risulta dimostrato, allo stato, il rapporto di causalità tra l’illegittimità della mancata aggiudicazione del servizio e il fallimento dell’impresa. Tale circostanza, in particolare, non è affatto accertata dalla sentenza dichiarativa del fallimento e l’appellante, a tale riguardo, non ha svolto adeguate attività difensive volte a dimostrare il proprio assunto.

c) Ai fini della liquidazione del lucro cessante derivante dalla mancata aggiudicazione della gara deve essere utilizzato il parametro della misura dell’utile di impresa indicato nell’ambito delle giustificazioni dell’offerta economica presentate dall’appellante, oppure, in subordine, una somma equitativamente determinata nel cinque per cento del prezzo offerto in sede di gara, rapportato all’effettiva durata dell’appalto.

Le spese dei due gradi di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

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