Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2010-05-26, n. 201003348

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2010-05-26, n. 201003348
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201003348
Data del deposito : 26 maggio 2010
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 01065/2010 REG.RIC.

N. 03348/2010 REG.DEC.

N. 01065/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

DECISIONE

Sul ricorso numero di registro generale 1065 del 2010, proposto da:
V F, rappresentata e difesa dall'avv. A C, con domicilio eletto presso l’avv. Marco Gardin in Roma, via L. Mantegazza 24;

contro

Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Ministero dell'Economia e delle Finanze, Agenzia del Demanio, Agenzia delle Entrate di Casarano, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria per legge presso la sede di Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. PUGLIA - SEZ. STACCATA DI LECCE - SEZIONE I, n. 00225/2009, resa tra le parti, concernente

DETERMINAZIONE CONGUAGLIO

2007-2008 CANONI DEMANIALI PER CONCESSIONE AREA.


Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, del Ministero dell'Economia e delle Finanze e dell’Agenzia del Demanio, nonché dell’Agenzia delle Entrate di Casarano;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 aprile 2010 il Cons. G D M e uditi per le parti l’avv. Caggiula e l'Avvocato dello Stato Biagini;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Attraverso l’atto di appello in esame, notificato il 2.2.2010, la signora V F impugnava la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, sez. I di Lecce, n. 225/09 del 12.2.2009 (che non risulta notificata), con la quale era stato dichiarato irricevibile il ricorso avverso le determinazioni del 3.1.2008 e del 12.2.2008 della Capitaneria di Porto del comune di Gallipoli, con le quali prima si stabilivano – e poi si correggevano in parte – il conguaglio per l’anno 2007 e l’importo da versare per l’anno 2008, a titolo di canoni demaniali per la concessione di un’area, già occupata da un chiosco bar, nonché avverso la concessione demaniale n. 66 del 27.6.2008 (limitatamente alla quantificazione del canone), ed altri atti presupposti, con ulteriore accertamento delle somme effettivamente dovute e condanna dell’Amministrazione alla restituzione di quanto versato in eccesso

Con la citata sentenza – rilevata la sussistenza di giurisdizione del giudice amministrativo, per questioni implicanti non il mero pagamento, ma l’esercizio del potere discrezionale di determinazione del canone concessorio – si rilevava tuttavia la tardività del gravame, notificato alle diverse parti intimate fra l’8 e il 9 ottobre 2008, ben oltre il termine decadenziale decorrente dal 18.2.2008 (data di notifica della determinazione del canone di cui trattasi).

In sede di appello – contestata la natura autoritativa degli atti impugnati, a fronte di un vero e proprio “diritto soggettivo a vedere inalterata la disciplina, afferente la misura del canone concessorio”, nonché in assenza delle prescritte indicazioni, negli atti stessi, circa la facoltà degli interessati di proporre ricorso e le relative modalità – venivano ribadite le seguenti argomentazioni difensive (previa formulazione, in via gradata, di eccezione di difetto di giurisdizione, tenuto condo della “innegabile configurabilità di una situazione di diritto soggettivo”, al di là della questione “inerente la quantificazione del canone”):

- Erronea applicazione della disciplina, di cui alla legge n. 296/2006 ad una attività commerciale e non già turistico-ricreativa, come definita dall’art. 7 L. n. 135/2001;

- arbitraria definizione dei beni, insistenti sull’area demaniale, come beni di proprietà pubblica, non essendo mai intervenuto alcun atto di acquisizione e non sussistendone i presupposti, in presenza di opere di facile rimozione e di concessioni sempre rinnovate nel tempo, senza soluzione di continuità: solo in caso di mancato rinnovo, revoca o decadenza della concessione, infatti, il rapporto in questione verrebbe a “cessare” (come specificato dall’art. 49 del codice della navigazione, e contrariamente a quanto affermato nella fuorviante circolare dell’Agenzia del Demanio n. 71 del 21.2.2007);

- assenza di adeguati accertamenti, circa la consistenza e la natura dei beni presenti sull’area demaniale, definiti in modo contraddittorio e perplesso come “struttura all’apparenza non amovibile”, mentre si tratterebbe di manufatto di facile rimozione;

- mancata comunicazione di avvio del procedimento (anche in considerazione del fatto che la mutata considerazione dell’oggetto della concessione – a seguito di incameramento avvenuto in modo occulto – avrebbe dato origine ad un procedimento di secondo grado, sostanzialmente in via di autotutela);

- applicabilità dei nuovi coefficienti solo alle concessioni rilasciate o rinnovate dopo il 1° gennaio 2007, dovendo il concessionario essere messo in grado di calcolare i costi e quindi la convenienza economica del rapporto di cui sia parte;

- erronea applicazione della rivalutazione istat agli importi base del canone, con decorrenza retroattiva al 1994 (essendo stata introdotta in tale anno una nuova disciplina dei canoni).

Le amministrazioni appellate, costituitesi anche nel presente grado di giudizio, resistevano formalmente all’accoglimento del gravame.

DIRITTO

La questione sottoposta all’esame del Collegio concerne, in primo luogo, la definizione dell’ambito entro cui sussiste la giurisdizione del Giudice Amministrativo, in materia di concessione d’uso di aree demaniali;
tale ambito risulta disciplinato dal combinato disposto degli articoli 5 e 7 della legge 6.12.1971, n. 1034, come modificati ed integrati dall’art. 33 del D.Lgs. 31.3.1998, n. 80, nel testo sostituito dall’art. 7 della legge 21.7.2000, n. 205: norme, quelle appena indicate, che assegnano al predetto Giudice la giurisdizione esclusiva in materia di concessione di beni pubblici, facendo però salva – per quanto qui interessa – la “giurisdizione dell’autorità giudiziaria per le controversie concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi….”. Su tale base, un’ampia e consolidata giurisprudenza ha chiarito che la cognizione del giudice ordinario è riferibile alle controversie di contenuto meramente patrimoniale, ovvero inerenti quantificazione e pagamento dei corrispettivi in questione;
quanto sopra purchè non entri in discussione la qualificazione del rapporto concessorio, con esercizio di poteri discrezionali da parte dell’Amministrazione, dovendosi riconoscere in tal caso la cognizione del giudice amministrativo, in presenza sia di interessi legittimi che di diritti soggettivi (cfr. in tal senso, fra le tante, Cass. Civ. SS.UU. 11.3.1992, n. 2958, 20.11.2007, n. 24012, 31.7.2008, n. 20749 e 16.7.2009, n. 16568;
Cons. St., sez. IV, 15.5.2000, n. 2708;
sez. VI, 17.2.2004, n. 657, 27.6.2006, n. 4090, 24.10.2008, n. 5294 e 21.5.2009, n. 3122;
TAR Lazio, Roma, sez. II, 4.3.2009, n. 2233). L’ultima situazione sopra indicata non può non essere riconosciuta nel caso di specie, in presenza di una integrale revisione del canone concessorio, da effettuare ex art. 1, comma 251, della legge 27.12.2006, n. 296, previa ricognizione tecnico-discrezionale del carattere di pertinenze demaniali marittime delle opere, in precedenza realizzate dal concessionario, nonché in considerazione dell’inamovibilità, o meno, delle stesse. La predetta norma introduce infatti – per le concessioni attinenti ad utilizzazioni “turistico-ricreative di aree, pertinenze demaniali marittime e specchi acquei, per i quali si applichino le disposizioni relative…al demanio marittimo” – una forte rivalutazione dei canoni, a lungo lasciati a livelli del tutto inadeguati, rispetto agli equilibri di mercato, con disposta decorrenza 1 gennaio 2007, in relazione alle concessioni “rilasciate e rinnovate” e, dunque, anche con incidenza sui rapporti in corso, in corrispondenza ad una lettura della norma rispondente al dato testuale e alla finalità di interesse pubblico sottese, tenuto conto dei poteri riconosciuti all’ente proprietario nei confronti dei concessionari, nonché dell’esigenza di trarre dall’uso dei beni pubblici proventi non irrisori, da porre a servizio della collettività.

La rideterminazione degli equilibri dell’intero rapporto concessorio, a seguito dell’applicazione della nuova normativa, non può dunque che configurare una fattispecie rientrante nella giurisdizione del giudice amministrativo, in conformità ai principi in precedenza richiamati.

Il riconosciuto esercizio, d’altra parte, di poteri autoritativi dell’Amministrazione, per l’emanazione dei provvedimenti di cui trattasi, implica impugnabilità di questi ultimi nei termini decadenziali, di cui all’art. 21 L. n. 1034/71: a tale riguardo, nella sentenza appellata si è ritenuto che il ricorso fosse tardivo, con riferimento alla data di notifica del medesimo (8 e 9 ottobre 2008), rispetto a quella di assunzione delle delibere di determinazione del nuovo canone (31 gennaio e 12 febbraio 2008). Il Collegio non condivide tale conclusione.

Non può non essere rilevato, infatti, che il medesimo ricorso risultava tempestivo in rapporto alla concessione demaniale n. 66 del 27.6.2008 (nella quale si recepiva il nuovo canone, previamente determinato) e che risultava, a sua volta, oggetto di impugnativa;
quanto ai provvedimenti di quantificazione del medesimo canone, anche a titolo di conguaglio 2007, da parte della Capitaneria di Porto, inoltre, il medesimo Collegio ritiene di dover riconoscere l’errore scusabile, rappresentato dall’appellante, tenuto conto della complessa configurazione delle situazioni soggettive protette, sussistenti nel caso di specie (diritti soggettivi, tutelabili entro gli ordinari termini di prescrizione, o interessi legittimi da far valere – in caso di ravvisata lesione – entro 60 giorni): la questione controversia, infatti, coinvolgeva sia la ricognizione del titolo di proprietà sul manufatto realizzato dal concessionario, sia l’esatta quantificazione del nuovo canone secondo le disposizioni vigenti, sulla base di parametri in parte puramente matematici, in parte tecnico-discrezionali. In aggiunta a quanto sopra, poi, i provvedimenti della Capitaneria di cui si discute non recavano alcuna indicazione circa i termini di impugnativa e l’organo giudiziario a cui ricorrere, come previsto dall’art. 3, comma 4 della legge 7.8.1990, n. 241: una omissione che, per pacifica giurisprudenza, non costituiva ex se vizio di legittimità dei provvedimenti in questione, ma poteva giustificarne la tardiva impugnazione, soprattutto in situazioni da ritenere giuridicamente non semplici, nei termini sopra specificati (cfr. in tal senso, per il principio, Cons. St., sez. V, 19.11.2009, n. 7243 e 15.4.1996, n. 434;
Cons. St., sez. IV, 30.3.2000, n. 1814;
Cons. St., sez. VI, 17.6.1998, n. 977).

Sotto il profilo appena esaminato, pertanto, non può che essere disposto l’annullamento della sentenza appellata, con la quale il ricorso era dichiarato irricevibile;
non deve essere disposto, tuttavia rinvio al giudice di primo grado, in applicazione dell’art. 35 della legge 6.12.1971, n. 1034, in quanto non appare ravvisabile “difetto di procedura o vizio di forma” della sentenza appellata, secondo l’indirizzo giurisprudenziale che ritiene attinenti al contenuto della decisione – e non identificabili con difetti procedurali (come quelli attinenti a non corretta valutazione di sussistenza, o meno, di giurisdizione) – erronee declaratorie di inammissibilità, irricevibilità o decadenza del ricorso, identificate come contenuto della sentenza appellata, con conseguente ritenzione della causa, per pronunce di quest’ultimo tipo, da parte del giudice di secondo grado (cfr. in tal senso, per il principio, Cons. St., sez. V, 6.12.1988, n. 797;
Cons. St., sez. IV, 15.1.1980, n. 13;
Cons. St., sez. IV, 23.10.1984, n. 774;
Cons. St., sez. VI, 17.4.2003, n. 2083;
Cons. St., sez., IV, 7.6.2004, n. 3608;
Cons. St., sez. V, 10.5.2005, n. 2348, 14.4.2008, n. 1605 e 2.10.2008, n. 4774).

Nel merito, le questioni da affrontare riguardano l’applicabilità della nuova disciplina dei canoni concessori, dettata dall’art. 1, comma 251 della legge n. 296/200: un’applicabilità contestata dall’interessata, sia in rapporto al carattere commerciale – e non turistico ricreativo (richiamato dalla norma) – dell’attività svolta, sia per non riferibilità alla fattispecie dell’art. 49 del codice della navigazione, da cui è stata fatta discendere l’avvenuta acquisizione da parte del Demanio del manufatto realizzato, sia infine per il carattere amovibile di quest’ultimo.

Sotto il primo profilo, le argomentazioni difensive dell’appellante non appaiono condivisibili.

La rivalutazione dei canoni, disposta dalla legge finanziaria 2007 con riferimento ad “aree, pertinenze o specchi acquei…” ad alta o normale “valenza turistica” recepisce, infatti, una nozione generalizzata di concessione, finalizzata ad uso pubblico delle aree in questione e dei manufatti sulle medesime insistenti, con specificazione – riguardo a questi ultimi (art. 1, comma 251 cit., punto 2.1) – di criteri riferiti a “pertinenze demaniali marittime….destinate ad attività commerciali, terziario-direzionali o di produzione di beni e di servizi”. Non si richiede, pertanto, che il soggetto concessionario sia titolare di una vera e propria impresa turistica – da individuare a norma dell’art. 5 della legge 29.3.2001, n. 135 - essendo sufficiente che l’attività, anche di tipo prettamente commerciale, sia riconducibile all’offerta integrata dei sistemi turistico-ricreativi locali (come, deve ritenersi, l’attività della citata appellante, inerente la gestione di un chiosco-bar sul litorale di un territorio, di sicuro interesse turistico come quello del comune di Gallipoli, con le connesse esigenze di ristorazione).

Resta dunque da stabilire se fosse applicabile nel caso di specie l’art. 49 del codice della navigazione, secondo cui “…quando venga a cessare la concessione, le opere non amovibili, costruite sulla zona demaniale, restano acquisite allo Stato, senza alcun compenso o rimborso, salva la facoltà dell’autorità concedente di ordinarne la demolizione, con restituzione del bene demaniale al pristino stato”. La disposizione in esame – che richiama in pratica l’istituto dell’accessione, di cui all’art. 934 cod. civ (con deroga al principio dell’indennizzo, di cui al successivo art. 936) – è stata più volte interpretata nel senso che l’accessione si verifica “ipso iure”, al termine del periodo di concessione e, secondo parte della giurisprudenza (Cass. Civ., sez. III, 24.3.2004, n. 5842 e sez. I, 5.5.1998, n. 4504) va applicata anche in caso di rinnovo della concessione stessa, implicando il rinnovo – a differenza della proroga – una nuova concessione in senso proprio, dopo l’estinzione della concessione precedente alla relativa scadenza, con automatica produzione degli effetti, di cui al predetto art. 49 cod. nav. (cfr. in tal senso anche Cons. St., sez. VI, 27.4.1995, n. 365 e 5.5.1995, n. 406).

La soluzione indicata non si presta, tuttavia, a generalizzazioni, essendo le pronunce sopra ricordate riferibili a fattispecie di effettiva cessazione del titolo concessorio, o addirittura di realizzazione senza titolo di manufatti in aree demaniali, con scarsa rispondenza a situazioni come quella in esame, in cui il concessionario abbia edificato sul suolo demaniale in base a regolare permesso di costruire e la concessione sia stata rinnovata più volte con istanza – e anche pagamento del canone – prima della relativa scadenza. Nel caso di specie, in tutti gli atti di concessione depositati (per il periodo compreso fra il 2002 e il 2008) è riportata la seguente clausola: “nel giorno della scadenza il concessionario dovrà sgomberare a proprie spese l’area occupata, asportando i manufatti impiantati, e quindi riconsegnarla nel pristino stato all’Amministrazione marittima, salvo che questa non consenta di rinnovare la presente licenza su una nuova domanda del concessionario, da presentarsi prima di detta scadenza, in modo che, all’epoca in cui questa dovrà verificarsi, siano pagati il canone e le tasse relative al nuovo periodo di concessione”. Non va dimenticato, a tale riguardo, che il più volte citato art. 49 del codice della navigazione prevede l’acquisizione di quanto costruito dal concessionario da parte dello Stato, ma “salvo che non sia diversamente stabilito nell’atto di concessione”.

Ad avviso del Collegio, detto inciso può giustificare l’inapplicabilità del principio dell’accessione gratuita – fortemente penalizzante per il diritto dei superficiari e per gli investimenti, che potrebbero contribuire alla valorizzazione del demanio marittimo – anche quando il titolo concessorio preveda, come nel caso di specie, forme di rinnovo automatico e preordinato in antecedenza, rispetto alla data di naturale scadenza della concessione, tanto da configurare il rinnovo stesso – al di là del “nomen iuris” – come una vera e propria proroga, protraendosi il medesimo rapporto senza soluzione di continuità.

Nella situazione in esame, peraltro, il collegio rileva un ulteriore vizio, assorbente in ordine alla corretta applicazione della norma, cui sono legate la nuova qualificazione dei manufatti, quali pertinenze demaniali marittime, nonchè la conseguente determinazione del relativo canone concessorio.

Ai sensi e per gli effetti del citato art. 49 cod. nav., infatti, sono soggette ad accessione, al termine del rapporto concessorio, solo le opere “non amovibili”, nel presupposto che solo per tali opere, destinate a restare sul territorio o ad essere distrutte, debba assicurarsi la piena disponibilità per l’ente proprietario del suolo, a fini di corretta gestione del medesimo – quando non più in uso del concessionario – nell’interesse pubblico. L’individuazione delle opere in questione può essere effettuata, per quanto qui interessa, in base alla circolare dell’Agenzia del Demanio n. prot. 2007/71/62/DAO del 21.2.2007, che definisce “opere inamovibili o di difficile rimozione – non costituenti pertinenze demaniali marittime”, ai sensi del codice della navigazione – “impianti, manufatti, opere aventi struttura stabile, in muratura di cemento armato” o realizzate con sistema misto, “con elementi di prefabbricazione di notevole peso, la cui rimozione comporti necessariamente la distruzione parziale o totale del manufatto e che non ne consente la recuperabilità”. Sono definite, invece, “opere amovibili o di facile rimozione…quegli impianti e manufatti…le cui strutture possono essere effettuate con montaggio di parti elementari leggere…(strutture prefabbricate leggere realizzate su piattaforma di cemento armato amovibile… o appoggiate con calcestruzzo in basamento amovibile…sul suolo o interrate…), con possibile recupero e spostamento altrove della struttura attraverso semplice rimontaggio, “senza che la rimozione comporti necessariamente la distruzione” della stessa. Nella situazione in esame, risultano depositati in atti la concessione edilizia n. 4648 del 13.8.1990 ed una nota descrittiva trasmessa al Demanio dall’interessata il 7.3.2008: nella prima si autorizza la realizzazione di un chiosco di mq. 24, in “pannelli prefabbricati leggeri”;
nella seconda si precisa la non avvenuta effettuazione di opere di ampliamento e l’attuale sussistenza di una struttura delle dimensioni sopra indicate in pannelli di cemento rimovibili, con ulteriore area coperta da pannelli metallici smontabili, per la preparazione delle vivande. A fronte di tali descrizioni, che sembrano riprodurre la nozione di opere amovibili, contenute nella circolare sopra ricordata, l’Amministrazione ha prodotto una nota della Capitaneria di Porto di Gallipoli (n. 03.03.02/27915/DEM del 28.10.2008), in cui si afferma l’irrilevanza, ai fini di cui trattasi, della amovibilità delle singole parti del manufatto, quando la “res nova” realizzata non possa essere spostata altrove “senza distruggere l’unità creatasi per effetto degli elementi di facile rimozione, di cui risulta composta”. Tale argomentazione, tuttavia, resta indimostrata e sostanzialmente contraddittoria, in quanto si ribadisce che tutte le componenti del manufatto risultano “di facile rimozione”, con inamovibilità dell’insieme, ricondotta soltanto alla presenza di “malta e intonaco di rivestimento, strati di pittura, pavimenti, impianti di acqua e luce”.

L’eventuale complessità dell’operazione di smontaggio, riconducibile alle predette caratteristiche, non esclude tuttavia sul piano logico che l’operazione sia effettuabile senza distruzione del manufatto, sia pure con successiva necessità di ripristinarne gli elementi accessori, stante la non smentita realizzazione del medesimo con pannelli prefabbricati leggeri e pannelli di facile rimozione. I presupposti applicativi del più volte citato articolo 49 del codice della navigazione appaiono pertanto, conclusivamente, non sussistenti.

Per le ragioni esposte il Collegio ritiene che l’appello debba essere accolto, con assorbimento delle ragioni difensive non esaminate ed annullamento senza rinvio sia della sentenza appellata che degli atti impugnati in primo grado di giudizio;
quanto alle spese giudiziali, tuttavia, la complessità della normativa di riferimento e la novità della questione trattata ne giustificano la compensazione.

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