Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2018-05-10, n. 201802798

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2018-05-10, n. 201802798
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201802798
Data del deposito : 10 maggio 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 10/05/2018

N. 02798/2018REG.PROV.COLL.

N. 01784/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1784 del 2015, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
M N, rappresentato e difeso dagli avvocati A Q e L B, con domicilio eletto presso il loro studio in Roma, piazza della Croce Rossa, 2/c;

contro

Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliato in Roma, via dei Portoghesi 12;
Banca d’Italia, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati A F e G N della Consulenza legale della Banca d’Italia, con domicilio eletto presso i medesimi in Roma, via Nazionale, 91;
Commissione Nazionale per le Società e la Borsa - Consob, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati Salvatore Providenti, Maria Letizia Ermetes e Michela Dini, presso i quali è elettivamente domiciliata in Roma, via G. B. Martini, 3;

nei confronti

Askar Sgr Spa in liquidazione coatta amministrativa, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall'avvocato Aldo Algani, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Sebastiano Ribaudo in Roma, via Lucrezio Caro, 62;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LAZIO, ROMA, SEZIONE III, n. 7398 del 2014.


Visti il ricorso in appello, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Avvocatura Generale dello Stato, della Banca d’Italia, della Consob e della Askar Sgr Spa in liquidazione coatta amministrativa;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 marzo 2018 il Cons. Roberto Caponigro e uditi per le parti gli avvocati A Q, G N, Michela Dini e l'Avvocato dello Stato Pietro Garofoli;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:


FATTO

La Banca d’Italia (di seguito anche BI), con delibera n. 373 del 10 luglio 2013, ha proposto al Ministero dell’Economia e delle Finanze (di seguito anche MEF) la revoca dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività nei confronti della Askar Investors SGR SpA (di seguito anche Askar), con sede in Milano, e la sottoposizione della stessa alla procedura di liquidazione coatta amministrativa (di seguito anche l.c.a.) ai sensi dell’art. 57, comma 1, d.lgs. n. 58 del 1998, per irregolarità nell’amministrazione e violazioni normative di eccezionale gravità.

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze, con provvedimento del 25 luglio 2013, ha revocato l’autorizzazione all’esercizio dell’attività alla Askar Investors SGR SpA, con sede in Milano, ed ha posto la stessa in liquidazione coatta amministrativa ai sensi e per gli effetti dell’art. 57, comma 1, d.lgs. n. 58 del 1998 e successive modifiche.

Il dott. M N, in precedenza nominato consigliere di amministrazione di Askar a partire dall’11 aprile 2013, ha impugnato tali atti e, per la riforma della sentenza del TAR Lazio, Terza Sezione, n. 7398 del 2014, che ha respinto il ricorso, ha proposto il presente appello, articolato nei seguenti motivi:

Error in judicando. Illegittimità ed erroneità della sentenza nella parte in cui ha rigettato l’eccezione di illegittimità degli atti gravati in primo grado per difetto di competenza della Banca d’Italia. Difetto di motivazione della sentenza.

Sarebbe illegittima la delega asseritamente conferita per l’emanazione della lettera del 20 dicembre 2012 con cui la Banca d’Italia ha annullato gli effetti del contratto di cointeressenza sottoscritto tra Askar e MFH, per cui tale atto sarebbe viziato per difetto di competenza.

Error in judicando. Illegittimità ed erroneità della sentenza nella parte in cui non ha riconosciuto carattere provvedimentale, ma endoprocedimentale, agli atti adottati da Banca d’Italia. Difetto assoluto di motivazione della sentenza.

Il giudice di primo grado avrebbe apoditticamente respinto i profili di censura rivolti avverso la proposta della Banca d’Italia in quanto tale proposta avrebbe carattere procedimentale e, come tale, non sarebbe impugnabile innanzi al giudice amministrativo.

Error in judicando. Violazione e falsa applicazione dell’art. 57 TUF. Illegittimità ed erroneità della sentenza nella parte in cui ha respinto le censure degli atti impugnati in primo grado (proposta B.I. e decreto MEF) per eccesso di potere nelle varie figure sintomatiche dedotte, quali il difetto di istruttoria, la contraddittorietà dell’azione amministrativa, il travisamento, il difetto e la carenza dei presupposti, difetto di motivazione. Erroneità della motivazione della sentenza.

Le censure di carattere sostanziale miravano a dimostrare molteplici vizi di eccesso di potere nelle valutazioni di carattere eminentemente tecnico-discrezionale effettuate a monte dalla Banca d’Italia, e recepite acriticamente dal MEF, prodromiche all’adozione degli atti per l’apertura della liquidazione coatta amministrativa nei confronti di Askar nonché nel diniego opposto da BI e MEF dapprima avverso la realizzazione dell’operazione di rafforzamento patrimoniale di Askar tramite la conclusione del contratto di cointeressenza (lettera BI del 20 dicembre 2012) e contro la conclusione della potenziale operazione di aumento della partecipazione sociale in Askar da parte della stessa MHF (lettera BI del 19 febbraio 2013).

Dette censure sarebbero state apoditticamente respinte dal Tar sulla base dell’erroneo assunto che si tratterebbe di decisione adottate all’esisto di valutazioni tecnico-discrezionali e, quindi, censurabili solo in caso di evidenti e macroscopici vizi di incongruenza, contraddittorietà, illogicità e irragionevolezza che, nel caso di specie, difettano.

Il sindacato giurisdizionale sulla discrezionalità tecnica, tuttavia, dovrebbe attestarsi sulla linea di un controllo che, senza ingerirsi nelle scelte discrezionali dell’Autorità, assicuri la legalità sostanziale del suo agire, anche e soprattutto in materie connotate da un elevato tecnicismo.

Il Tar, in particolare, avrebbe dovuto verificare se i fatti da cui si originava la asserita crisi aziendale di Askar avrebbero potuto effettivamente avere le caratteristiche di presupposti tali da far ritenere applicabile la misura sanzionatoria della apertura di una l.c.a. ai sensi di quanto previsto dall’art. 57 TUF.

Nel decreto del MEF mancherebbe una valutazione analitica e critica degli elementi posti, a base delle risultanze della Banca d’Italia, atteso che si sarebbe limitato a richiamare la discrezionalità tecnico-amministrativa della Banca d’Italia e ad effettuare un generico ed apodittico richiamo agli atti ispettivi della stessa.

In particolare, sarebbe mancata una approfondita analisi sugli effetti finanziari positivi che le vicende immediatamente precedenti alla dichiarazione di apertura della l.c.a. avevano prodotto in Askar, vale a dire: le operazioni di versamento a titolo di capitale sociale effettuata da molteplici soci, che avevano portato un afflusso di nuovi capitali per complessivi 880.000 euro (“l’aumento di capitale”);
le operazioni di cessione di crediti pro soluto realizzate da Askar nei confronti del socio P (già MHF) sempre nel corso del mese di giugno 2013, che avevano portato ad un’entrata per Askar di circa 526.000 euro, oltre che all’impegno per ulteriori cessioni di credito pro soluto tra Askar e P per taluni crediti di Askar eventualmente rimasti insoluti al 31 dicembre 2013 (“le cessioni dei crediti”). Tali operazioni finanziarie, realizzate allo scopo di consentire ad Askar di avere gli strumenti per la prosecuzione dell’attività aziendale e per un rilancio della stessa, sarebbero state completate subito prima dell’avvio della procedura di l.c.a.

La Banca d’Italia, pertanto, sarebbe incorsa nell’errore di non considerare tutti i positivi effetti, immediati ed in prospettiva futura, delle operazioni di aumento di capitale e di cessione dei crediti.

Le amministrazioni procedenti non avrebbero preso atto, come invece avrebbe fatto la PWC, che nella relazione relativa al bilancio di esercizio 2012, analizzando gli accadimenti successivi a dicembre 2012, sarebbe stato presente un patrimonio di vigilanza in grado di assicurare l’equilibrio patrimoniale per tutto l’esercizio 2013.

Sarebbe comprovata la circostanza che il panorama della situazione finanziaria e delle dotazioni patrimoniali della Società avrebbe dovuto ritenersi del tutto mutata rispetto a quanto “fotografato” al 31 dicembre 2012 dalla Società di revisione, proprio a seguito dell’aumento di capitale.

La decisione di porre Askar in l.c.a. si presenterebbe irragionevole, sproporzionata ed inadeguata rispetto alle carenze riscontrate, atteso che le violazioni contestate dalla proposta BI e pedissequamente riportate nel decreto MEF non presenterebbero quel carattere di eccezionale gravità che costituisce il presupposto per l’adozione del provvedimento di l.c.a.

Sulla illegittimità degli atti gravati in primo grado per violazione degli obblighi di comunicazione e sui profili di instabilità e opacità degli assetti.

La negligenza nell’osservanza di obblighi di comunicazioni gravanti sui soci o aspiranti tali non potrebbe riverberare i propri effetti negativi sulla società della quale si intendeva acquistare le partecipazioni, a maggior ragione considerando che il potere di BI di vietare l’acquisto di tali partecipazioni già si porrebbe come presidio adeguato e sufficiente a tutelare il mercato e l’interesse pubblico.

Sulla illegittimità degli atti gravati in primo grado per difetto di istruttoria con riferimento alla sana e prudente gestione di Askar ed alle condizioni di equilibrio economico ed adeguatezza patrimoniale.

Nella proposta, la Banca d’Italia avrebbe fatto riferimento a molteplici situazioni di natura economica, quali l’impossibilità per la SGR di assicurare condizioni di adeguatezza patrimoniale ed equilibrio economico, la situazione di stallo dei fondi, l’insufficienza delle masse a generare flussi di ricavo in grado di coprirne i costi di funzionamento, ma tali valutazioni, da un lato, non terrebbero conto delle loro cause reali, ovvero la perdurante crisi del mercato finanziario e del settore immobiliare, dall’altro, non evidenzierebbero alcuna grave irregolarità nell’amministrazione di Askar, né violazioni di disposizioni normative.

Sulla illegittimità degli atti gravati in primo grado per difetto di istruttoria con riferimento alla non dimostrata sussistenza da parte della Banca d’Italia e del MEF dell’adozione di misure e presidi non improntati al criterio di sana e prudente gestione da parte del Consiglio di Amministrazione di Askar.

I punti principali da contestare nella proposta BI sarebbero: l’omessa convocazione dell’assemblea dei soci ai sensi degli artt. 2446-2447 c.c.;
l’omessa presentazione all’assemblea della proposta di scioglimento;
l’utilizzo del presupposto della “continuità aziendale” per la redazione del bilancio.

Sulla illegittimità degli atti gravati in primo grado con riferimento al difetto di istruttoria della Banca d’Italia in relazione al sistema dei controlli interni utilizzato per accertare le presunte violazioni commesse dalla società Askar.

Il giudice di prime cure avrebbe dovuto porre in essere una verifica dell’attendibilità delle operazioni tecniche sotto il profilo della loro correttezza quanto a criterio tecnico e procedimento applicativo disponendo una consulenza tecnica d’ufficio.

Sulla illegittimità degli atti gravati in primo grado con riferimento ai presupposti per l’applicazione dell’art. 57 TUF.

Le motivazioni contenute negli atti amministrativi non potrebbero essere considerate dirimenti e sufficienti ai fini della valutazione della sostanziale legalità dell’azione amministrativa sfociata nella proposta BI e nel decreto MEF atteso che:

- quanto alle “notevoli perdite” ed al profilo economico finanziario complessivo di Askar, sarebbe stata assente ogni indagine della portata e degli effetti positivi che in Askar si stavano producendo a seguito della conclusione delle operazioni di aumento di capitale e di cessione dei crediti;

- la crisi di Askar non avrebbe potuto dirsi irreversibile in quanto vi era una compagine societaria, ed un socio in particolare (P, già MFH) che stavano cercando in tutti i modi di porre rimedio alle problematiche esistenti.

Error in judicando. Illegittimità ed erroneità della sentenza nella parte in cui ha ritenuto legittime le valutazioni della Banca d’Italia relative al contratto di cointeressenza. Erroneità della motivazione ed omessa pronuncia su un punto decisivo della controversia.

Le considerazioni espresse dal TAR Lazio non riporterebbero correttamente né i fatti né gli effetti giuridici del contratto di cointeressenza, del quale la Banca d’Italia ha negato la conclusione, che avrebbe permesso ad Askar di ricevere un’entrata patrimoniale notevole.

Error in judicando. Illegittimità ed erroneità della sentenza nella parte in cui conferma la legittimità degli atti gravati in primo grado e, in particolare, il diniego di Banca d’Italia all’incremento da parte di MFH della propria partecipazione in Askar. Erroneità della motivazione della sentenza.

La pronuncia del giudice di prime cure non terrebbe conto dei travisamenti di fatto e degli errori di diritto che permeano la lettera della Banca d’Italia del 19 febbraio 2013, con cui l’Autorità di vigilanza ha formulato il proprio diniego in relazione alla richiesta di MFH di aumentare la propria partecipazione sociale in Askar. Apparirebbe quantomeno opinabile che MFH (oggi P), in grado di versare quasi 1 milione di euro ad Askar per l’acquisto di crediti commissionali verso i fondi gestiti, potesse essere caratterizzata da “fragilità finanziaria” e “mancanza di liquidità”.

Error in judicando. Illegittimità ed erroneità della sentenza nella parte in cui rigetta le puntuali censure di ordine procedimentale avanzate in primo grado in relazione agli atti gravati. Erroneità e carenza assoluta di motivazione della sentenza.

La sentenza gravata sarebbe illegittima anche con riferimento all’apodittico rigetto delle censure di ordine procedimentale.

L’appellante ha formulato istanza istruttoria, chiedendo, in considerazione della specialità della materia trattata, che sia disposta una consulenza tecnica d’ufficio ai sensi dell’art. 63 c.p.a.

In relazione ad ulteriori circostanze di cui l’appellante sostiene di essere venuto a conoscenza successivamente alla notifica del ricorso in appello e, in particolare, a seguito del ricevimento della nota del 29 maggio 2015 della P Italia S.p.a., il dott. N, riservandosi in ogni caso di proporre azione di revocazione della impugnata sentenza del Tar Lazio, ha proposto motivi aggiunti, con cui ha formulato, in sintesi, le seguenti doglianze:

- la Banca d’Italia, all’atto della costituzione nel giudizio di primo grado, ha prodotto una copia non integrale del verbale ispettivo, tralasciando la parte (pagine 12 e 13 dell’originale) che ne prevedevano la formale consegna ad Askar Investor SGR Spa con la concessione del termine di trenta giorni per contraddire;

- la mancata consegna del rapporto ispettivo all’azienda sarebbe stato ricondotto al fatto che la situazione fosse ormai irrimediabile, ma l’esigenza di celerità sarebbe smentita dai fatti in quanto l’ispezione si è conclusa in data 19 aprile 2013 e la proposta di revoca è stata adottata dalla Banca d’Italia il 10 luglio 2013 e comunicata al MEF in data 11 luglio 2013;

- il termine di trenta giorni da porsi a disposizione del soggetto ispezionato per produrre le proprie considerazioni non avrebbe influito sui tempi che la stessa Banca d’Italia si sarebbe concessa per formulare la proposta di revoca e l.c.a.;

- nel periodo intercorrente tra i primi rilievi formulata da BI (ante ispezione ) ed il provvedimento impugnato, Askar, come risulta dalla relazione della Società di revisione Pricewaterhouse Coopers Spa, avrebbe posto in essere una pluralità di operazioni provvedendo ad una piena patrimonializzazione ed eliminando le presunte irregolarità evidenziate dall’Autorità di vigilanza;

- si tratterebbe, quindi, non già di un mero vizio procedimentale, ma di un vizio sostanziale di omessa valutazione di presupposti essenziali ai fini della conclusione del procedimento.

L’appellante ha altresì sostenuto che:

- gli eventuali elementi emersi dopo la conclusione della ispezione dovrebbero essere obbligatoriamente oggetto di una autonoma attività di formazione istruttoria non potendo rientrare nella precedente attività ispettiva;

- la Banca d’Italia, evidentemente consapevole della volontà di Askar e dei suoi azionisti di rimediare alle pretese carenze che avevano portato all’avvio dell’ispezione, da un lato, non avrebbe voluto concedere i termini a difesa previsti anche dal proprio regolamento onde evitare di dover modificare o integrare le motivazioni sottese al provvedimento repressivo, dall’altro, avrebbe sottaciuto al MEF i progressi che la Società oggetto di indagine stava compiendo in ordine alla regolarità della propria attività;

- la Banca d’Italia, anche in violazione dell’art. 14 della legge n. 689 del 1981, avrebbe omesso la notificazione ad Askar ed all’appellante del verbale ispettivo nel termine perentorio e decadenziale di novanta giorni dall’asserito accertamento delle violazioni che hanno indotto la revoca dell’autorizzazione e la messa in l.c.a. di Askar;
la Società, di conseguenza, non avrebbe potuto esercitare i propri legittimi diritti di difesa facendo pervenire le proprie osservazioni;

- la Banca d’Italia, in conclusione, non avrebbe notificato il verbale nel termine perentorio di novanta giorni e, in sede di notifica tardiva, avrebbe notificato un verbale incompleto in quanto privo di una parte significativa (le pagine 12 e 13), ossia di quella parte in cui era specificamente indicata la disponibilità a favore del soggetto sottoposto a procedimento sanzionatorio del termine di trenta giorni per produrre le proprie considerazioni difensive.

La Banca d’Italia ha eccepito l’irricevibilità dell’appello in quanto notificato oltre il termine dimidiato di tre mesi dalla pubblicazione della sentenza appellata, che si applicherebbe in virtù del combinato disposto degli artt. 92, comma 3, e 119, commi 1 lett. b), 2 e 7, c.p.a.

Askar SGR in liquidazione coatta amministrativa ha eccepito l’inammissibilità dell’appello per omessa notifica nei suoi confronti del ricorso introduttivo e per carenza di legittimazione ad agire del dott. N nonché ha dedotto l’inammissibilità della domanda svolta in appello per carenza del potere di revoca della l.c.a. in capo alla Banca d’Italia.

La Banca d’Italia ha tra l’altro osservato, da un lato, che la Sezione Terza del TAR del Lazio, con sentenza n. 2913 del 2016, ha respinto ( rectius : dichiarato inammissibile) il ricorso per revocazione della sentenza n. 7398 del 2014, evidenziando che “la sentenza oggetto di istanza di revocazione ha espressamente affermato l’irrilevanza dei vizi di natura formale - tra cui certamente rientrano quelli che il dott. N afferma di non avere potuto dedurre nel giudizio a quo – ai sensi dell’art. 21 octies della L. n. 241 del 1990”, dall’altro, che il decreto ministeriale in contestazione è stato oggetto di un ricorso straordinario al Capo dello Stato proposto da P Italia Spa, respinto con d.P.R. del 10 marzo 2015, adottato in conformità al parere n. 1394 del 2014 reso dalla Seconda Sezione del Consiglio di Stato.

Con articolate memorie, B.I. ed Askar in l.c.a. hanno contestato la fondatezza delle censure dedotte concludendo per il rigetto dell’appello.

L’Avvocatura Generale dello Stato e la Consob si sono costituite in giudizio per resistere all’appello.

L’appellante ha prodotto altre memorie a sostegno ed illustrazione delle proprie difese;
Askar in l.c.a. ha anch’essa depositato altra memoria.

All’udienza pubblica dell’8 marzo 2018, la causa è stata trattenuta per la decisione.

DIRITTO

1. L’eccezione di irricevibilità dell’appello in quanto notificato alla Banca d’Italia oltre il termine di legge dimidiato risulta infondata in quanto il provvedimento lesivo della sfera giuridica dell’appellante, sia pure su proposta della Banca d’Italia, è stato emanato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, sicché non trova applicazione la normativa di dimidiazione dei termini prevista dall’art. 119, commi 1, lett. b), 2 e 7, c.p.a.

2. L’infondatezza dell’appello nel merito consente al Collegio di prescindere dall’esame delle eccezioni di inammissibilità formulate da Askar SGR in liquidazione coatta amministrativa.

3. Le doglianze di carattere più propriamente procedimentale formulate dal dott. N non sono idonee a dare conto dell’illegittimità dell’azione amministrativa.

3.1 In primo luogo, il decreto del MEF del 25 luglio 2015 che, come evidenziato al punto 1, costituisce il vero provvedimento lesivo della posizione giuridica soggettiva (interesse legittimo oppositivo) di cui l’appellante ha chiesto tutela in giudizio è stato adottato vista la delibera della Banca d’Italia n. 373 del 10 luglio 2013, sottoscritta dal Governatore dell’Istituto (che, ai sensi dell’art. 25 dello Statuto, rappresenta la Banca d’Italia di fronte ai terzi in tutti gli atti e contratti), sicché già sulla base di tale considerazione si rivela infondata in quanto totalmente priva di rilievo la doglianza secondo cui sarebbe illegittima la delega asseritamente conferita per l’emanazione della lettera del 20 dicembre 2012 con cui la Banca d’Italia ha annullato gli effetti del contratto di cointeressenza sottoscritto tra Askar e MFH ( rectius : ha chiesto alla SGR di procedere con tempestività ad adottare le iniziative necessarie ad annullare gli effetti del contratto di cointeressenza agli utili in essere).

La doglianza, infatti, si pone fuori dal thema decidendum del presente giudizio, atteso che afferisce ad una interlocuzione con l’Autorità di vigilanza in ordine al contratto di cointeressenza agli utili non posto precedentemente in contestazione né contestato nella presente controversia.

Peraltro, risulta che, sia pure tardivamente, la Askar abbia dato esecuzione alla richiesta di annullamento del contratto di cointeressenza tanto che, come desumibile dalla proposta di revoca dell’autorizzazione e di liquidazione coatta amministrativa, nell’aprile 2013, la Società interessata ha conferito all’amministratore delegato il mandato a procedere per la risoluzione del contratto.

3.2 Parimenti infondate sono le censure, proposte con motivi aggiunti, con cui l’appellante ha dedotto che

- la Banca d’Italia, all’atto della costituzione nel giudizio di primo grado, ha prodotto una copia non integrale del verbale ispettivo, tralasciando la parte (pagine 12 e 13 dell’originale) che ne prevedeva la formale consegna ad Askar Investor SGR Spa con la concessione del termine di trenta giorni per contraddire;

- la mancata consegna del rapporto ispettivo all’azienda sarebbe stato ricondotto al fatto che la situazione fosse ormai irrimediabile, ma l’esigenza di celerità sarebbe smentita dai fatti in quanto l’ispezione si è conclusa in data 19 aprile 2013 e la proposta di revoca è stata adottata dalla Banca d’Italia il 10 luglio 2013 e comunicata al MEF in data 11 luglio 2013;

- il termine di trenta giorni da porsi a disposizione del soggetto ispezionato per produrre le proprie considerazioni non avrebbe influito sui tempi che la stessa Banca d’Italia si sarebbe concessa per formulare la proposta di revoca e l.c.a.;

- nel periodo intercorrente tra i primi rilievi formulata da BI ( ante ispezione) ed il provvedimento impugnato, Askar, come risulta dalla relazione della Società di revisione Pricewaterhouse Coopers Spa, avrebbe posto in essere una pluralità di operazioni provvedendo ad una piena patrimonializzazione ed eliminando le presunte irregolarità evidenziate dall’Autorità di vigilanza;

- si tratterebbe, quindi, non già di un mero vizio procedimentale, ma di un vizio sostanziale di omessa valutazione di presupposti essenziali ai fini della conclusione del procedimento.

La prospettazione di parte non può essere condivisa.

La Banca d’Italia, nella propria memoria difensiva, con argomentazioni puntuali e logiche, ha rappresentato che le pagine in questione del rapporto sono parte di un modulario predisposto in via amministrativa per la generalità dei casi, nei quali l’impresa ispezionata continuerà ad operare, ed in quei casi è utilizzato, mentre quando, come nel caso di specie, la BI intende proporre al competente Ministero la liquidazione coatta amministrativa il rapporto ispettivo non è destinato all’Azienda e l’invito a presentare osservazioni è destinato a rimanere non operativo.

L’Organo di vigilanza ha concluso l’ispezione accertando l’insussistenza dei presupposti per la prosecuzione dell’attività operativa di Askar sicché non ha consegnato il rapporto ispettivo all’azienda e non ha invitato la stessa a presentare osservazioni.

Né, una volta accertati i presupposti per proporre la revoca dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività e la liquidazione coatta amministrativa, può assumere rilievo dirimente quanto verificatosi nello iato temporale esistente tra la fine dell’ispezione e l’adozione del provvedimento di revoca e liquidazione coatta amministrativa, fermo restando che, nella proposta della Banca d’Italia, è stato comunque oggetto di valutazione il c.d. “aumento di capitale”, avvenuto in data successiva al termine degli accertamenti ispettivi.

In definitiva, appare ragionevole ritenere che la fissazione di un termine per la presentazione delle osservazioni è funzionale ad una situazione in cui, pur a fronte di anomalie, l’Autorità di vigilanza reputa che l’Azienda possa continuare a svolgere la propria attività, laddove si rivela ininfluente se le conclusioni sono preclusive a detta prosecuzione.

D’altra parte, in coerenza con l’evoluzione del giudizio amministrativo da giudizio sull’atto a giudizio sul rapporto (di cui è indice paradigmatico l’art. 21 octies della legge n. 241 del 1990), orientato maggiormente all’accertamento della spettanza del “bene della vita” (costituito, nel caso di specie, dalla conservazione dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività), non può sottacersi che non sono individuabili, né sono emerse nel corso del giudizio, le osservazioni che la Askar avrebbe potuto formulare per evitare la proposta di revoca e di sottoposizione a liquidazione coatta amministrativa.

In altri termini, non è dato comprendere in che modo Askar, venuta a conoscenza del rapporto, avrebbe potuto influire sull’esito del procedimento.

4. Il punto centrale della controversia, pertanto, è costituito dalla valutazione delle censure afferenti al legittimo esercizio della discrezionalità tecnica che ha condotto prima la BI a proporre il provvedimento contestato e poi il MEF ad adottare lo stesso.

L’art. 57 del d.lgs. n. 58 del 1998 (testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria) dispone che il Ministero dell’Economia e delle Finanze, su proposta della Banca d’Italia o della Consob, nell’ambito delle rispettive competenze, può disporre con decreto la revoca dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività e la liquidazione coatta amministrativa delle società di gestione del risparmio qualora le irregolarità nell’amministrazione ovvero le violazione delle disposizioni legislative, amministrative o statutarie o le perdite previste dall’art. 56 siano di eccezionale gravità.

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze, con provvedimento del 25 luglio 2013, ha revocato l’autorizzazione all’esercizio dell’attività alla “Askar Investors SGR S.p.A.”, con sede in Milano, ed ha posto la stessa in liquidazione coatta amministrativa si sensi e per gli effetti dell’art. 57, comma 1, d.lgs. n. 58 del 1998 e successive modificazioni.

Il provvedimento è stato adottato perché le violazioni normative e le irregolarità riscontrate sono risultate di gravità eccezionale, vale a dire per i primi due dei tre motivi che, ai sensi della norma di legge, possono determinare la revoca dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività e la liquidazione coatta amministrativa.

Più nello specifico, il provvedimento è stato adottato:

- vista la delibera n. 373 del 10 luglio 2013, con la quale la Banca d’Italia ha proposto la revoca dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività nei confronti della “Askar Investors SGR S.p.A.”, con sede in Milano, e la sottoposizione della stessa alla procedura di liquidazione coatta amministrativa per irregolarità nell’amministrazione e violazioni normative di eccezionale gravità;

- considerato che le violazioni normative e le irregolarità amministrative sono risultate di gravità eccezionale in quanto:

hanno comportato la violazione degli obblighi di comunicazione e profili di instabilità e opacità degli assetti proprietari, traducendosi in carenze nella governance e nelle strategie aziendali;

sono direttamente riconducibili agli organi di vertice della SGR, che non hanno assicurato la sana e prudente gestione dell’intermediario, compromettendone la permanenza sul mercato;

denotano una strutturale inadeguatezza dell’assetto organizzativo e del sistema dei controlli interni, inidonei al presidio dell’operatività;

hanno riguardato l’attività di investimento, che ha fatto emergere profili di conflitto di interessi, esponendo la SGR a rilevanti rischi legali e reputazionali e determinando lo stallo operativo dei fondi gestiti;

hanno compromesso i profili tecnici, rendendo la dotazione patrimoniale insufficiente alla copertura dei requisiti prudenziali minimi e pregiudicando la capacità reddituale;

considerato che la SGR versa in una perdurante crisi che ha assunto caratteristiche di eccezionale gravità e irreversibilità, escludendo qualunque prospettiva di ordinaria prosecuzione dell’attività e rendendo ineludibile l’immediato avvio di un processo liquidatorio;

vista la lettera del 24 luglio 2013, con la quale la Consob ha comunicato di prendere atto dei fatti come rilevati dalla Banca d’Italia e dei connessi giudizi di eccezionale gravità formulati;

ritenuto di poter condividere la suddetta proposta della Banca d’Italia e le motivazioni in essa contenute, che costituiscono parte integrante del presente decreto;

atteso pertanto che sussistono nei confronti della “Askar Investors SGR S.p.A.”, con sede in Milano, gli estremi per l’adozione dei provvedimenti previsti dal citato art. 57, comma 1, d.lgs. n. 58 del 1998.

La Banca d’Italia, con delibera n. 373 del 10 luglio 2013, ha proposto la revoca dell’autorizzazione e la sottoposizione della Società alla procedura di liquidazione coatta amministrativa con una motivazione molto ampia.

In particolare, la proposta è stata così formulata:

1. La Askar Investors SGR Spa, attiva dal 2008 nella gestione di fondi immobiliari riservati, è da tempo all’attenzione della Vigilanza a motivo delle difficoltà nel conseguimento degli obiettivi di raccolta e nel mantenimento di una adeguata dotazione patrimoniale. Profili di criticità hanno riguardato le diverse operazioni di riassetto societario, connotate da opacità e violazioni degli obblighi di comunicazione;
ciò ha condotto alla sospensione dei diritti di voto relativi ad una partecipazione rilevante, acquisita da Geseco Srl, tramite la controllata Mediac Srl, in assenza della preventiva comunicazione alla Vigilanza e al divieto di acquisto di una partecipazione di controllo da parte del Consigliere e allora socio sig. C, tramite la controllata Mediterranea Finance House S.p.A. (“MFH”, ora P Italia S.p.A.), in quanto il progetto non era in grado di assicurare la sana e prudente gestione dell’intermediario.

2. Gli accertamenti ispettivi, condotti dal 21.2.2013 al 19.4.2013, hanno posto in luce una conduzione aziendale non ispirata a criteri di sana e prudente gestione. Le diffuse carenze nell’azione di governo e nelle funzioni di controllo, amplificate da contrasti tra i soci e da conflitti d’interesse nell’attività di investimento, hanno inciso negativamente sulle prospettive di sviluppo e sulle capacità di prosecuzione ordinata delle attività.

A distanza di quattro anni dall’autorizzazione all’esercizio dell’attività, la SGR non è in grado di raggiungere l’equilibrio economico e di assicurare condizioni di adeguatezza patrimoniale. I fondi gestiti sono da tempo in condizioni di stallo operativo e con masse insufficienti a generare flussi di ricavo in grado di coprirne i costi di funzionamento.

Sul rapido degrado della situazione aziendale ha influito la conflittualità della compagine sociale, che ha pregiudicato la stessa possibilità di prosecuzione delle attività da parte della SGR.

3. A fronte della gravità della situazione delineata, il Consiglio di Amministrazione non ha adottato misure idonee a garantire la sana e prudente gestione. Il consesso in carica fino a giugno 2012: i) non ha proceduto, a seguito dell’emersione di perdite superiori a un terzo del capitale sociale, a convocare l’Assemblea dei soci, ai sensi degli artt. 2446 e 2447 del c.c.;
ii) non ha sottoposto all’Assemblea la proposta di scioglimento della società avanzata da alcuni soci allo stesso Consiglio e al Collegio sindacale;
iii) ha ritenuto appropriato utilizzare il presupposto della “continuità aziendale” per la redazione del bilancio, pur avendo riconosciuto nella propria Relazione sulla gestione la sussistenza di significative incertezze sulla possibilità di proseguire l’attività. In tale contesto, la società di revisione incaricata, nella propria Relazione al bilancio 2011, ha dichiarato l’impossibilità di esprimere un giudizio sullo stesso.

Analoga inerzia ha mostrato il Consiglio in carica da luglio 2012.

L’Organo, infatti, pur avendo invitato gli azionisti a procedere alla ricostituzione del capitale sociale, avvertendo che in mancanza avrebbe chiesto la liquidazione della società, non ha poi dato seguito alla prospettata iniziativa liquidatoria. Non sufficientemente approfondita è risultata la verifica della sussistenza dei requisiti di indipendenza e professionalità degli esponenti aziendali.

Nel tentativo di risolvere le difficoltà aziendali, l’Organo amministrativo ha posto in essere, tra l’altro, iniziative non improntate a sana e prudente gestione. In particolare, la SGR nel settembre 2012 ha stipulato un contratto di cointeressenza agli utili – nella misura del 45%, senza partecipazione alle perdite – con la citata “MFH”, a fronte del conferimento di n. 2 quote del fondo “Cerere Trading” (per euro 779 mila, in assenza di perizia ex art. 2343 del c.c.), nonostante la Vigilanza avesse chiesto alla SGR di attivarsi per la risoluzione del contratto, prevista in caso di parere negativo della Banca d’Italia;
ciò in quanto detto accordo comportava la sottrazione di risorse economiche a fronte dell’acquisizione di attività caratterizzate da elevata rischiosità e difficile liquidabilità, anche in relazione alle difficoltà in cui versava il fondo interessato. Solo da ultimo (nell’aprile 2013) è stato conferito all’Amministratore delegato il mandato a procedere per la risoluzione del suddetto contratto.

L’ex Amministratore delegato e Direttore generale … - dimessosi nel luglio 2012, con il mantenimento dell’incarico di Responsabile commerciale fino a gennaio 2013 – ha posto in essere per conto del fondo “Cerere Trading” operazioni eccedenti i limiti attribuitigli quali: i) la riduzione del canone di locazione (da euro 350 mila a euro 280 mila) al conduttore dell’Hotel Gaarten (principale attivo del Fondo conferito dal quotista R &
F Srl);
ii) la firma del contratto di opzione per l’acquisto dell’Hotel Gaarten Srl (già detentore e gestore dell’hotel, facente capo alla cennata R &
F Srl) del ramo d’azienda per la gestione dello stesso albergo, al prezzo di euro 400 mila.

Il Collegio sindacale ha denotato un insufficiente vaglio in ordine all’efficacia delle azioni adottate dal Consiglio e alla funzionalità dei controlli interni. L’Organo non ha assunto iniziative per dar corso ai cennati adempimenti ex artt. 2446 e 2447 del c.c. e per segnalare alla Vigilanza la gravità della situazione aziendale e l’inerzia degli amministratori nel procedere alla liquidazione della SGR. Nessun approfondimento preventivo è stato condotto, inoltre, sugli effetti contabili del citato contratto di cointeressenza, sulla correttezza delle segnalazioni del patrimonio di vigilanza e sulla affidabilità della contabilità della SGR e dei fondi.

4. Il sistema dei controlli interni è risultato inidoneo ad assicurare il presidio dell’operatività, risentendo tra l’altro dei continui avvicendamenti dei responsabili. Le attività amministrativo-contabili, in outsourcing, non sono soggette ad alcun autonomo riscontro critico, non essendo tra l’altro previsto uno specifico service level agreement che preveda parametri riscontrabili.

La funzione di Compliance non ha assicurato la conformità delle attività al quadro normativo, segnatamente con riguardo alla gestione dei fondi e in materia di antiriciclaggio. L’internal audit non ha sufficientemente approfondito l’esposizione ai rischi operativi, trascurando pure di cogliere le carenze del processo di investimento.

La funzione di risk management ha svolto analisi sugli investimenti in modo occasionale, non mettendo in rilievo la loro rischiosità. La semplificata mappatura dei processi non coglie appieno l’esposizione ai rischi operativi.

L’attendibilità delle informazioni aziendali risente del disordine amministrativo-contabile sul quale incide anche l’assenza di separatezza tra le strutture di front e back office, originata dall’esiguità delle risorse. Le segnalazioni di vigilanza presentavano ripetuti errori, suscettibili di inficiare la corretta rappresentazione della situazione aziendale.

Le procedure a supporto delle attività dei fondi non assicurano il rispetto dei limiti regolamentari. Sul riscontro delle attività dei fondi insiste anche la rinuncia (a maggio 2012) da parte della banca depositaria a svolgere il proprio incarico.

5. Con riferimento alla gestione dei fondi, a seguito di inadempimento degli obblighi di versamento da parte degli inziali sottoscrittori, l’operatività è stata indirizzata alla gestione dei patrimoni immobiliari di una ristretta base di quotisti.

L’attività di investimento ha evidenziato diffuse situazioni di conflitto di interesse riconducibili, da un lato, alla concentrazione in capo ai cennati quotisti dei ruoli di apportante, conduttore, appaltatore dei beni oggetto di investimento, in assenza di valutazioni su affidabilità e solvibilità delle controparti, dall’altro, a collegamenti tra alcuni quotisti nonché tra esponenti ovvero soci della SGR e sottoscrittori e advisor.

Tutto ciò ha comportato, per i fondi, il blocco dell’operatività a breve distanza dal perfezionamento degli apporti, una pesante esposizione debitoria nei confronti del sistema bancario, con quote sottoposte a pegno, e crediti di dubbia esigibilità;
per la SGR, lo spossessamento delle proprie prerogative gestorie e l’esposizione a rilevanti rischi operativi e legali.

Nelle relazioni di certificazione dei rendiconti dei fondi al 31.12.2012 la società di revisione incaricata ha espresso un giudizio negativo con riferimento al Fondo Eclisse, ha dichiarato l’impossibilità di esprimere un giudizio per il Fondo Cerere Trading e ha rappresentato incertezze significative sulla capacità del Fondo Cerere Land di perseguire i propri obiettivi in condizioni di equilibrio economico – finanziario.

6. Le predette irregolarità risultano di eccezionale gravità in quanto:

- hanno comportato la violazione degli obblighi di comunicazione e profili di instabilità e opacità degli assetti proprietari, traducendosi in carenze nella governance e nelle strategie aziendali;

- sono direttamente riconducibili agli organi di vertice della SGR, che non hanno assicurato la sana e prudente gestione dell’intermediario, compromettendone la permanenza sul mercato;

- denotano una strutturale inadeguatezza dell’assetto organizzativo e del sistema dei controlli interni, inidonei al presidio dell’operatività;

- hanno riguardato l’attività di investimento che ha fatto emergere profili di conflitto di interessi, esponendo la SGR a rilevanti rischi legali e reputazionali e determinando lo stallo operativo dei fondi gestiti;

- hanno compromesso i profili tecnici, rendendo la dotazione patrimoniale insufficiente alla copertura dei requisiti prudenziali minimi e pregiudicando la capacità reddituale.

7. La redditività della SGR è strutturalmente deficitaria;

L’esercizio 2012 si chiude con una perdita di euro 891 mila. Le commissione di gestione risultano inidonee alla copertura degli elevati costi di struttura riferibili, in prevalenza, alle spese per il personale e per il contratto di locazione della sede sociale. Il mancato avvio del fondo “Iside” non ha determinato l’incremento commissionale sul quale la SGR ipotizzava di poter basare la ripresa del circuito reddituale.

La redditività è condizionata da difficoltà finanziarie e dal blocco operativo dei fondi e dalla dubbia esigibilità di crediti verso i fondi per commissioni di gestione risalenti al 2011 (euro 1,3 milioni).

La situazione patrimoniale risente risente della descritta debolezza del processo reddituale e delle infruttuose iniziative di ricapitalizzazione. Il patrimonio di vigilanza, già inferiore dal dicembre 2011 al requisito minimo (euro 1 milione), al 31.12.2012 risultava pari a euro 679 mila, al netto dell’iscrizione di una plusvalenza di euro 733 mila riveniente dal cennato contratto di cointeressenza agli utili, la cui rilevazione da parte della SGR è stata ritenuta dalla società di revisione incompatibile con i principi contabili internazionali. Sono inoltre pendenti vari contenziosi a carico dei fondi (euro 508 mila), a fronte dei quali l’SGR potrebbe essere chiamata a rispondere e rispetto ai quali, al 31.12.2012, non è stato accantonato alcun importo.

Problematica la situazione finanziaria, atteso che al 31.12.2012 risultavano debiti insoluti per complessivi euro 637 mila, prevalentemente verso l’Erario, enti previdenziali e fornitori di servizi essenziali. La SGR, inoltre, anticipa con sistematicità per conto dei fondi pagamenti (euro 137 mila a marzo 2013) a fornitori e consulenti il cui rimborso avviene con forti dilazioni.

8. L’assemblea del 29 maggio u.s. ha deliberato delle modifiche statutarie, tra le quali il trasferimento della sede legale a Roma … e l’ampliamento dell’oggetto sociale alla gestione dei fondi mobiliari, senza riuscire a deliberare in merito all’aumento di capitale (in analogia a quanto avvenuto nell’assemblea del 10 maggio u.s.).

La successiva assemblea straordinaria dell’11 giugno u.s. si è limitata a deliberare un versamento, da parte di alcuni soci, di euro 880 mila a copertura delle perdite. Tale iniziativa non risulta comunque idonea a modificare la gravità del quadro valutativo emerso né ad incidere sulle prospettive di riequilibrio economico-patrimoniale e di permanenza sul mercato della SGR.

Rilevano, in proposito, le significative incertezze sulla continuità aziendale della SGR evidenziate, da ultimo, dalla società di revisione nella relazione al bilancio al 31.12.2012.

9. In conclusione, la SGR versa in una perdurante crisi cha ha assunto caratteristiche di eccezionale gravità e irreversibilità, escludendo qualunque prospettiva di ordinaria prosecuzione dell’attività e rendendo ineludibile l’immediato avvio di un processo liquidatorio ”.

Il Collegio, in primo luogo, rileva che il MEF non ha recepito acriticamente le valutazioni effettuate dalla Banca d’Italia, ma ha condiviso le stesse ed ha motivato sostanzialmente per relationem alla delibera di proposta.

La tesi dell’appellante, secondo cui il sindacato giurisdizionale sulla discrezionalità tecnica dovrebbe attestarsi sulla linea di un controllo che, senza ingerirsi nelle scelte discrezionali dell’Autorità, assicuri la legalità sostanziale del suo agire, anche e soprattutto in materie connotate da un elevato tecnicismo è senz’altro da condividere.

Parimenti da condividere è la considerazione del dott. N secondo cui il giudice amministrativo dovrebbe verificare se i fatti da cui si originava la asserita crisi aziendale di Askar avrebbero potuto effettivamente avere le caratteristiche di presupposti tali da far ritenere applicabile la misura sanzionatoria della apertura di una l.c.a. ai sensi di quanto previsto dall’art. 57 TUF.

Il sindacato giurisdizionale di legittimità sull’azione amministrativa contestata, pur tenendo conto di tali assunti, conduce tuttavia a ritenere infondate le censure sostanziali formulate in sede di appello.

La liquidazione coatta amministrativa, ai sensi dell’art. 57 TUF, può essere disposta per irregolarità nell’amministrazione, per violazione delle disposizioni legislative, amministrative o statutarie ovvero per perdite di eccezionale gravità.

Nel caso di specie, la liquidazione è stata disposta per irregolarità nell’amministrazione e violazioni normative di eccezionale gravità.

In altri termini, il legislatore ha stabilito “a monte” al verificarsi di quali presupposti può essere disposta la misura liquidatoria utilizzando concetti giuridici indeterminati (irregolarità dell’amministrazione, perdite di eccezionale gravità) o comunque generici (violazioni di disposizioni legislative, amministrative o statutarie).

La categoria dei concetti giuridici a contenuto indeterminato (o generico) attiene ad una particolare tecnica legislativa nella quale, per individuare il fatto produttivo di effetti giuridici, la norma non descrive la fattispecie astratta in maniera tassativa ed esaustiva, ma rinvia, per la sussunzione del fatto concreto nell’ipotesi normativa, all’integrazione dell’interprete, mediante l’utilizzo di concetti che vanno completati e specificati con elementi o criteri extragiuridici.

Di talché, è solo il giudizio “a valle” dell’amministrazione competente che potrà ritenere sussunta la fattispecie concreta nei presupposti descritti in astratto dalla norma di legge e ciò attraverso valutazioni di carattere tecnico, che, tanto nei loro presupposti generali quanto nella loro specifica applicazione ai singoli casi, può talora presentare margini di opinabilità.

Le valutazioni connotate da discrezionalità tecnica sono evidentemente sindacabili in sede di giurisdizione generale di legittimità per tutti i vizi possibili dello svolgimento della funzione pubblica, e tra queste le figure sintomatiche dell’eccesso di potere, ma non per ragioni di merito.

Ne consegue che, sulle valutazioni tecniche opinabili, il giudice adito non può sovrapporre la propria valutazione a quella dell'amministrazione, fermo però restando che anche sulle valutazioni tecniche è esercitabile in sede giurisdizionale il controllo di ragionevolezza, logicità e coerenza.

La non estensione al merito del sindacato giurisdizionale sugli atti delle Autorità implica, quindi, che il giudice non possa sostituire con un proprio provvedimento quello adottato da detta Autorità, ma non che il sindacato sia limitato ai profili giuridico-formali dell'atto amministrativo, restandone esclusa ogni eventuale verifica dei presupposti di fatto (cfr. Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione, sentenza 20 gennaio 2014, n. 1013).

L’utilizzo di criteri di valutazione tecnica, in qualsiasi campo, non offre sempre risposte univoche, atteso che sovente conduce ad un ventaglio di soluzioni possibili, destinato inevitabilmente a risolversi in un apprezzamento non privo di un certo grado di opinabilità. In situazioni del genere, il sindacato del giudice, essendo pur sempre un sindacato di legittimità e non di merito, è destinato ad arrestarsi sul limite oltre il quale la stessa opinabilità dell'apprezzamento operato dall'amministrazione impedisce d'individuare un parametro giuridico che consenta di definire quell'apprezzamento illegittimo, fermo restando che compete comunque al giudice di vagliare la correttezza dei criteri giuridici, la logicità e la coerenza del ragionamento e l'adeguatezza della motivazione con cui l'amministrazione ha supportato le proprie valutazioni tecniche, non potendosi altrimenti neppure compiutamente verificare quali siano in concreto i limiti di opinabilità dell'apprezzamento da essa compiuto.

Ciò è ancora più evidente nel sindacato sui provvedimenti delle cc.dd. autorità amministrative indipendenti, trattandosi di autorità cui proprio in ragione della loro specifica competenza tecnica, oltre che del carattere oggettivo e neutrale delle loro funzioni, sono stati affidati dal legislatore compiti di vigilanza ed accertamento nei settori di rispettiva competenza

In presenza di simili complesse valutazioni, come anche osservato dalla giurisprudenza europea, il sindacato giurisdizionale è senz’altro definibile di “piena giurisdizione”, ma deve riguardare la verifica del rispetto delle regole di procedura e di motivazione, nonché dell'esattezza materiale dei fatti, dell'insussistenza di errori manifesti di valutazione nonché di fattispecie sintomatiche di eccesso di potere, restando peraltro precluso al giudice sostituire le proprie valutazioni economiche a quelle dell'autore della decisione di cui gli venga chiesto di verificarne la legittimità (cfr. Corte di Giustizia 6 ottobre 2009, n. 501, 513, 515, 519/06 P. GlaxoSmithKline).

Le valutazioni compiute nella fattispecie in esame dalle Autorità competenti, in particolare dalla Banca d’Italia proponente, in ragione dello sviluppo argomentativo contenuto nella analitica motivazione per tale ragione sopra riportata per esteso, si presentano plausibili e basate su una corretta percezione dei fatti, sicché devono ritenersi scevre dai vizi di legittimità dedotti.

Il nucleo centrale delle censure dedotte attiene alla mancanza di una approfondita analisi sugli effetti finanziari positivi che le vicende immediatamente precedenti alla dichiarazione di apertura della l.c.a. avevano prodotto in Askar, vale a dire: le operazioni di versamento a titolo di capitale sociale effettuata da molteplici soci, che avevano portato un afflusso di nuovi capitali per complessivi 880.000 euro (“l’aumento di capitale”);
le operazioni di cessione di crediti pro soluto realizzate da Askar nei confronti del socio P (già MHF) sempre nel corso del mese di giugno 2013, che avevano portato ad un’entrata per Askar di circa 526.000 euro, oltre che all’impegno per ulteriori cessioni di credito pro soluto tra Askar e P per taluni crediti di Askar eventualmente rimasti insoluti al 31 dicembre 2013 (“le cessioni dei crediti”).

L’appellante ha sostenuto che sarebbe comprovata la circostanza che il panorama della situazione finanziaria e delle dotazioni patrimoniali della Società avrebbe dovuto ritenersi del tutto mutata rispetto a quanto “fotografato” al 31 dicembre 2012 dalla Società di revisione, proprio a seguito dell’aumento di capitale.

In generale, il dott. N assume che la decisione di porre Askar in l.c.a. si presenterebbe irragionevole, sproporzionata ed inadeguata rispetto alle carenze riscontrate, atteso che le violazioni contestate dalla proposta BI e pedissequamente riportate nel decreto MEF non presenterebbero quel carattere di eccezionale gravità che costituisce il presupposto per l’adozione del provvedimento di l.c.a.

Le doglianze non sono persuasive.

In primo luogo, occorre ribadire che il provvedimento di liquidazione coatta amministrativa è fondato sulla commissione di irregolarità nell’amministrazione e su violazioni normative eccezionalmente gravi, ma non anche sulla previsione di perdite patrimoniali.

Ne consegue che un eventuale effetto positivo, peraltro tutto da dimostrare, delle operazioni finanziarie poste in essere nello iato temporale tra la fine degli accertamenti ispettivi (19 aprile 2013) e l’adozione della delibera con cui la BI ha proposto la revoca e la sottoposizione a liquidazione coatta amministrativa (10 luglio 2013), non avrebbe comunque fatto venire meno i presupposti fondanti della proposta su cui l’Autorità, con argomentazioni analitiche ed esaustive, si è lungamente soffermata nella motivazione dell’atto.

Ad ogni buon conto, la delibera n. 373 del 2013 della Banca d’Italia, come in precedenza riportato, ha anche fatto specifico riferimento al fatto che l’assemblea straordinaria dell’11 giugno 2013 ha deliberato un versamento, da parte di alcuni soci, di euro 880 mila a copertura delle perdite, evidenziando come tale iniziativa non sarebbe comunque idonea a modificare la gravità del quadro valutativo emerso né ad incidere sulle prospettive di riequilibrio economico-patrimoniale e di permanenza sul mercato della SGR.

La “cessione dei crediti”, inoltre, avrebbe inciso per circa euro 526.000, pari a circa il 40% del totale dei crediti di dubbia esigibilità verso i fondi per commissioni di gestione risalenti al 2011 (euro 1,3 milioni, come riportato a pag. 5 della proposta) e, comunque, come rappresentato dalla Banca d’Italia nella propria memoria difensiva, detta operazione è stata comunicata da Askar all’Autorità di vigilanza in data 10 luglio 2013, vale a dire il giorno stesso della formalizzazione della proposta di liquidazione coatta amministrativa.

Per quanto attiene ai presupposti legittimanti del provvedimento, e cioè le irregolarità nell’amministrazione e le violazioni normative di eccezionale gravità, la proposta, recepita dal provvedimento conclusivo del MEF, si diffonde ampiamente su molteplici aspetti: i profili di criticità che hanno riguardato le diverse operazioni di riassetto societario;
gli accertamenti ispettivi che hanno posto in luce una conduzione aziendale non ispirata a criteri di sana e prudente gestione, tanto che a distanza di quattro anni dall’autorizzazione all’esercizio dell’attività, la SGR non è in grado di raggiungere l’equilibrio economico e di assicurare condizioni di adeguatezza patrimoniale;
la mancata adozione da parte del Consiglio di amministrazione di misure idonee a garantire la sana e prudente gestione;
il sistema dei controlli interni, che è risultato inidoneo ad assicurare il presidio dell’operatività;
l’operatività della gestione dei fondi che, a seguito di inadempimenti degli obblighi di versamento da parte degli iniziali sottoscrittori, è stata indirizzata alla gestione dei patrimoni immobiliari di una ristretta base di quotisti.

Di talché, con valutazione del tutto plausibile e, quindi, esente dai vizi di legittimità prospettati, l’Autorità ha ritenuto che le riscontrate irregolarità siano di eccezionale gravità in quanto:

- hanno comportato la violazione degli obblighi di comunicazione e profili di instabilità e opacità degli assetti proprietari, traducendosi in carenze nella governance e nelle strategie aziendali;

- sono direttamente riconducibili agli organi di vertice della SGR, che non hanno assicurato la sana e prudente gestione dell’intermediario, compromettendone la permanenza sul mercato;

- denotano una strutturale inadeguatezza dell’assetto organizzativo e del sistema dei controlli interni, inidonei al presidio dell’operatività;

- hanno riguardato l’attività di investimento che ha fatto emergere profili di conflitto di interessi, esponendo la SGR a rilevanti rischi legali e reputazionali e determinando la stallo operativo dei fondi gestiti;

- hanno compromesso i profili tecnici, rendendo la dotazione patrimoniale insufficiente alla copertura dei requisiti prudenziali minimi e pregiudicando la capacità reddituale.

Né, ovviamente, può assumere rilievo, al fine di dedurre l’illogicità di tale valutazione, la perdurante crisi del mercato finanziario e del settore immobiliare che ha avuto dimensioni mondiali e non limitate al contesto di riferimento di Askar e che di per sé sola non reca alcuna giustificazione delle irregolarità e delle violazioni riscontrate.

Per quanto attiene alle contestazioni mosse in relazione al contratto di cointeressenza stipulato tra MFH ed Askar ed al diniego di Banca d’Italia all’incremento da parte di MFH della propria partecipazione in Askar, nel ribadire che i relativi atti del 20 dicembre 2012 e del 19 febbraio 2013 sono rimasti inoppugnati e, quindi, non possono più essere messi in discussione, occorre evidenziare che in entrambi i casi la Banca d’Italia ha evidenziato con rigore la propria valutazione.

In particolare, con la nota del 20 dicembre 2012, ha chiesto alla GSR di procedere con tempestività ad adottare le iniziative necessarie ad annullare gli effetti del contratto di cointeressenza agli utili stipulato in data 28 settembre 2012 con MFH Spa e di adottare misure incisive di rafforzamento patrimoniale, volte ad assicurare, con congruo margine, condizioni di adeguatezza, mediante il versamento di mezzi finanziari liquidi da parte degli azionisti.

A fronte di tale intervento di vigilanza, come emerge dalla delibera di proposta BI del 10 luglio 2013, solo nell’aprile 2013 la Società ha dato mandato all’amministratore delegato a procedere per la risoluzione del suddetto contratto, il che costituisce indice delle anomalie riscontrate nella gestione aziendale.

Le considerazioni espresse dall’organo di vigilanza, inoltre, si rivelano del tutto plausibili laddove – dato conto che il contratto di cointeressenza prevede il conferimento in natura effettuato da MFH Spa di 2 quote del fondo immobiliare Cerere Trading a fronte del conferimento di una compartecipazione ai risultati economici futuri della SGR in misura pari al 45% degli utili netti annuali senza partecipazione alle perdite - rilevano che tale contratto produce effetti distorsivi sulla sana e prudente gestione della SGR “sottraendo annualmente risorse economiche altrimenti utilizzabili per il rafforzamento patrimoniale dell’intermediario, a fronte del conferimento di attività caratterizzate da un elevato grado di rischiosità e da difficile liquidabilità”, atteso che dalla relazione semestrale al 30 giugno 2012 risulta che il fondo Cerere Trading versa in una situazione di difficoltà finanziaria.

La consequenzialità logico-giuridica delle considerazioni espresse nella nota del 20 dicembre 2012, ad alcuni passaggi della quale si è fatto cenno, porta a ritenere del tutto immune dai vizi dedotti la decisione assunta dall’organo di vigilanza.

Del pari plausibili appaiono le ragioni che hanno determinato il divieto, ai sensi dell’art. 15, secondo comma, del TUF e del regolamento della Banca d’Italia dell’8 maggio 2012, posto all’acquisto da parte del sig. Marco C, per il tramite della MFH SpA, di una partecipazione del capitale della Askar Investors SGR del 56,39%.

L’Autorità, infatti, con una articolazione argomentativa non irragionevole, in cui ha anche rappresentato la mancata informazione di elementi rilevanti per le conseguenti valutazioni, ha concluso, con nota del 19 febbraio 2013, che dagli elementi risultanti dall’istruttoria - sotto il profilo sia della situazione economica e patrimoniale di MFH, sia della definizione del piano industriale e di rafforzamento patrimoniale della SGR - non ricorrono le condizioni prescritte dalla normativa vigente per l’incremento della partecipazione in Askar.

In definitiva, il giudizio sotteso all’individuazione dei presupposti legittimanti la sottoposizione dell’azienda a liquidazione coatta amministrativa è per sua natura complessivo, vale a dire che considera la situazione nell’insieme, e la sua legittimità, ove motivato, plausibile dal punto di vista logico-giuridico e non fondato su erronei presupposti di fatto, non può essere messa in discussione da considerazioni atomistiche, relative a singoli ed isolati profili della questione, ma non afferenti alla complessiva valutazione preclusiva del prosieguo dell’attività aziendale.

Tale è la situazione in esame, in cui l’appellante non ha dedotto motivi idonei a far ritenere illegittima la complessiva valutazione compiuta dall’Autorità procedente.

5. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e, liquidate complessivamente in euro 10.000,00 (diecimila/00), oltre accessori di legge, sono poste a carico dell’appellante ed a favore, in ragione dell’attività difensiva svolta, per euro 3.000,00 (tremila/00) ciascuno, della Banca d’Italia e di Askar SGR Spa in liquidazione coatta amministrativa e, per euro 2.000,00 (duemila/00) ciascuno, del MEF e della Consob.

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