Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2020-04-06, n. 202002255

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2020-04-06, n. 202002255
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202002255
Data del deposito : 6 aprile 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 06/04/2020

N. 02255/2020REG.PROV.COLL.

N. 05912/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 5912 del 2019, proposto da
Metro A, rappresentato e difeso dall'avvocato C R, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale delle Milizie, 9;

contro

Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente del Consiglio pro tempore , nonché Consiglio di presidenza della Giustizia amministrativa, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentati e difesi ex lege dall'Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi, 12, sono elettivamente domiciliati;

nei confronti

Potenza Raffaele, non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (Sezione Seconda), 26 marzo 2019, n. 4014, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello ed i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Consiglio di presidenza della Giustizia amministrativa;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 febbraio 2020 il Cons. Valerio Perotti ed uditi per le parti l’avvocato Giuliani e l’avvocato dello Stato Cesaroni;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con ricorso al Tribunale amministrativo per il Lazio, il dott. A Metro, in servizio di magistrato amministrativo dal 1982 e poi Consigliere di Stato (ora a riposo), chiedeva il risarcimento del danno subito per effetto dell’illegittima attività posta in essere dal Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa (delibere n. 24/2015 e 27/2015 della IV Commissione e del Plenum del 25 settembre 2015) che, in relazione alla domanda da lui presentata per il conferimento delle funzioni di presidente di tribunale amministrativo regionale, lo aveva - a suo dire - ingiustamente pretermesso all’esito di un’erronea valutazione.

In particolare, l’organo di governo autonomo della magistratura amministrativa avrebbe previsto che, per i posti resisi vacanti dopo l’entrata in vigore della sua delibera n. 99 del 2014, non avrebbero potuto essere nominati presidenti di sezione del Consiglio di Stato o presidenti di tribunale amministrativo regionale– in via assoluta – i magistrati il cui residuo periodo di permanenza in servizio, fino al collocamento a riposo per sopraggiunti limiti di età, fosse inferiore ad anni tre.

Il Consiglio di Presidenza, nella seduta del 21 novembre 2014, richiamato quanto previsto dall’art. 2, comma 3, d.-l. 24 giugno 2014, n. 90 ( Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari ) , convertito con modifiche dalla l. 11 agosto 2014 n. 114, in ordine ai magistrati ordinari (per i quali «… per il conferimento delle funzioni direttive e semidirettive relative alle vacanze pubblicate sino al 30 giugno 2015, i magistrati concorrenti devono assicurare almeno tre anni di servizio dalla vacanza prima della data di collocamento a riposo» ) e rilevato che quelle norme non si applicavano formalmente anche ai magistrati amministrativi, ai sensi dell’art. 52 d.lgs. n. 160 del 2006, nondimeno decideva di estendere anche a questi, in via analogica, tale preclusiva disciplina, .

Questo avveniva al fine di definire, anche per il futuro, un vincolo all’esercizio della discrezionalità amministrativa, per introdurre un criterio certo ed omogeneo “ al fine di esercitare con modalità uniformi e trasparenti il criterio discrezionale che il 5° comma del citato art. 21 (legge n.

186/1982) attribuisce a questo Consiglio di Presidenza per definire una volta per tutte le regole da applicare ai casi concreti ”.

Quella disposizione prevede che la nomina a presidente di sezione del Consiglio di Stato o di presidente di tribunale amministrativo « può non essere disposta nei confronti di magistrati il cui periodo di permanenza in servizio, fino al collocamento a riposo per raggiunti limiti di età, sia inferiore a tre anni dalla data di conferimento dell’incarico» .

Il ricorrente deduceva poi che la delibera non aveva previsto un regime transitorio, né “ un regime temporale e graduato ” di applicazione della nuova regolamentazione, sull’errato presupposto che si sarebbe causato un effetto discriminatorio apportando benefici a pochi magistrati, peraltro “ facilmente individuabili ”.

Egli lamentava inoltre che nemmeno erano stati posti criteri idonei a definire un vincolo anche per il futuro esercizio della discrezionalità, tali da introdurre un criterio certo ed omogeneo: tant’è che le successive nomine a presidente sarebbero state fondate sul solo criterio del tempo residuo di permanenza in servizio del magistrato, laddove la norma di legge in realtà impone una specifica motivazione per la mancata nomina alle funzioni direttive di magistrati carenti del requisito dei tre anni di servizio.

Il ricorrente richiamava inoltre un precedente del Consiglio di Stato (ord. n. 832/2015), che aveva accolto il ricorso proposto da altro consigliere escluso dalla presidenza del Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa di Trento, rilevando come la delibera contestata attribuisce al Consiglio di Presidenza una facoltà discrezionale che va esercitata in concreto caso per caso, in relazione alle esigenze organizzative della sede da assegnare, alle condizioni soggettive dello scrutinato ed alla durata del residuo periodo di servizio.

A seguito di quella decisione del 2015, lo stesso Consiglio di Presidenza, in sede di riesame, aveva rilevato che nella specie si sarebbe dovuto tener conto anche della ridotta dimensione organizzativa dello specifico ufficio giudiziario (il T.R.G.A. di Trento è monosezionale) e dell’effettivo carico di lavoro locale, con conseguente possibilità di superare la recente prassi che imponeva una permanenza minima in servizio di tre anni. Dal che la contraddizione insanabile con i casi contestati, che riguardavano tribunali amministrativi parimenti monosezionali, e la loro illegittimità.

Si costituivano la Presidenza della Repubblica ed il Ministero della giustizia, evocati in giudizio, eccependo in primo luogo il difetto di legittimazione passiva.

Si costituivano altresì la Presidenza del Consiglio dei Ministri ed il Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa, concludendo per l’infondatezza del gravame.

Con sentenza 26 marzo 2019, n. 4014, il Tribunale amministrativo per il Lazio – previa declaratoria del difetto di legittimazione passiva della Presidenza della Repubblica e del Ministero della giustizia – respingeva il ricorso, perché il ricorrente avrebbe dovuto innanzitutto proporre un’azione di annullamento degli atti asseritamente lesivi (e spiegando l’opportuna domanda cautelare), anziché limitarsi a proporre direttamente (ed esclusivamente) un’azione risarcitoria. Inoltre la sentenza riteneva che il ricorrente non aveva fornito un adeguato riscontro al fatto che, ove mai si fosse proceduto al ri-esercizio del potere, avrebbe conseguito il bene della vita, a fronte dell’ampia discrezionalità valutativa dell’amministrazione.

Avverso tale decisione il dott. Metro interponeva appello, deducendo un unico motivo di impugnazione, così rubricato: “ Violazione e falsa applicazione art. 21, L. 186/82. Violazione e falsa applicazione art. 3, l. 241/90. Violazione art. 97 Cost. Eccesso di potere sotto il profilo del difetto di motivazione, illogicità, incongruità, irragionevolezza, falsità dei presupposti, difetto di istruttoria, sviamento. Violazione e falsa applicazione art. 1227 c.c. Violazione e falsa applicazione art. 30 cpa ”.

Si costituivano in giudizio la Presidenza del Consiglio dei Ministri ed il Consiglio di presidenza della Giustizia amministrativa, concludendo per l’infondatezza del gravame, che chiedevano fosse respinto.

Successivamente le parti ulteriormente ribadivano, con apposite memorie, le rispettive tesi difensive ed all’udienza del 6 febbraio 2020, dopo la rituale discussione, la causa veniva trattenuta in decisione.

DIRITTO

Alla luce delle complessive risultanze di causa, ritiene il Collegio di incentrare il vaglio sulla questione principale intorno alla quale è strutturato l’appello, vale a dire il diniego dell’invocata tutela risarcitoria da diniego di nomina dell’interessato a presidente di uno dei Tribunali amministrativi (monosezionali) di Marche, Basilicata o Molise, malgrado la rilevata illegittimità – e conseguente annullamento – delle relative deliberazioni del Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa, oggetto di sua rituale impugnazione.

Va anzitutto condiviso – per quanto ormai coperto da giudicato implicito, perché non contestato da appello incidentale dell’Amministrazione - l’assunto del primo giudice dell’illegittimità per difetto di motivazione del diniego di nomina a presidente per uno di quei tribunali amministrativi monosezionali (Marche, Basilicata e Molise), perché privo di concrete considerazioni circa il rapporto con la contenuta dimensione dell’ufficio e relative esigenze (come invece da ultimo il paradigmatico caso della Presidenza del T.R.G.A. di Trento mostrava dovuto), da comparare al contenuto residuo periodo di servizio. Invero, in nulla a questi riguardi rileva la circostanza – addotta nel procedimento dal Plenum - di una pretesa diversità della situazione di Trento perché in Regione a statuto speciale e Provincia autonoma, posto che nulla aggiungono alla intrinseca contenuta complessità della direzione una sede giudiziaria monosezionale. Sicché il mero riferimento alla modestia del residuo servizio non era comunque sufficiente, specie alla luce del citato precedente, per la valutazione di discrezionalità prevista dalla legge, che è generale e insita nel vigente art. 21 ( Nomina a presidente di sezione del Consiglio di Stato ed a presidente di tribunale amministrativo regionale ), quinto comma, u.p., l. 27 aprile 1982, n. 186, a tenore del quale «la nomina può non essere disposta nei confronti di magistrati il cui periodo di permanenza in servizio, fino al collocamento a riposo per raggiunti limiti di età, sia inferiore a tre anni dalla data di conferimento dell'incarico» e che sola regola la fattispecie (non avendo il c.d. autovincolo un effetto normativo) e che all’evidenza postula una valutazione di congruenza tra modesto residuo servizio e complessità dell’ufficio (invece in concreto fatta, e indipendentemente dalle dimensioni dell’ufficio, per le presidenze dei tribunali amministrativi di Umbria, Abruzzo, Emilia-Romagna e Liguria).

Resta poi in disparte il caso della disparità di trattamento con l’assegnazione della presidenza della sede staccata di Lecce a un magistrato che aveva una prospettiva di lavoro inferiore ai tre anni.

Il motivo è dunque in principio fondato. Da tale illegittimità discendeva il diritto del ricorrente al risarcimento dei danni.

Si legge nella sentenza impugnata: “ in effetti, quanto alle presidenze dei TT.AA.RR. Marche, Basilicata e Molise, tutti monosezionali, non è data rinvenire una motivazione idonea dalla quale poter comprendere le ragioni della mancata nomina.

Nel verbale n. 24 del 2 luglio 2015 nulla è riportato ovvero deliberato con riferimento alle tre citate sedi.

Nel verbale n. 27 del 7 settembre 2015:

- per la nomina a presidente del TAR Marche, al punto 6 del verbale è solo contenuto un richiamo da parte del relatore alla “proposta negativa formulata sul Cons. Metro” (VGS verbale n. 24 del 2 luglio 2015), verbale tuttavia nel quale nulla è riportato con riferimento al TAR Marche;

- ugualmente al punto 10 del medesimo verbale, con riferimento alla nomina a presidente del TAR Molise, il relatore “richiama la proposta negativa formulata sul Cons. Metro” (VGS verbale n. 24

del 2 luglio 2015);

- al punto 11, anche con riferimento alla nomina a presidente del TAR Basilicata, il relatore richiama la proposta relativa formulata sul Cons. Metro (VGS verbale n. 24 del 2 luglio 2015), verbale tuttavia che anche in questo caso non contiene alcun riferimento a tale TAR.

Inoltre nel verbale del plenum del 25 settembre 2015, quanto alla presidenza dei TT.AA.RR. Marche, Basilicata e Molise, viene semplicemente riferita la proposta negativa formulata in commissione (v. pagg. 51, 57 e 60).

Sulla base di tali riscontri, appare evidente che, per le tre citate sedi giudiziarie, il Consiglio non ha provveduto a motivare la mancata nomina, neppure allegando una qualche circostanza che in concreto suggerisse la ritenuta inidoneità dell’aspirante presidente ”.

Ne è conseguita, per la stessa sentenza, l’illegittimità in parte qua delle impugnate delibere per la ricorrenza del vizio di omessa motivazione.

A fronte di tali premesse, però, la sentenza rileva, “ in via assorbente ”, che nel caso di specie deve trovare applicazione “ la nota regola causale contemplata dall’art. 1227 comma 2 c.c., la quale conferisce rilevanza, in termini di elisione del nesso causale tra condotta ed evento dannoso, all’inerzia colposa dell’asserito danneggiato, il quale poteva e doveva agire con l’azione di annullamento avverso gli atti lesivi, in particolare spiegando l’opportuna domanda cautelare.

L’esponente ha invece preferito, a fronte dell’ultimo atto lesivo rappresentato dalla delibera del 25 settembre 2015, notificare in data 29 gennaio 2016 un ricorso contenente una domanda risarcitoria proposta ai sensi dell’art. 30 comma 3 cpa, previa declaratoria di illegittimità dell’atto ”.

In estrema sintesi, secondo il primo giudice il ricorrente avrebbe dovuto coltivare diligentemente l’azione demolitoria contro i provvedimenti lesivi, con conseguente obbligo per l’amministrazione di nuovamente determinarsi in ordine alle nomine (con conseguente astratta possibilità – melius re perpensa – di ottenimento della nomina ambita).

In breve, secondo la sentenza il ricorrente non avrebbe potuto “saltare” la domanda di tutela in forma specifica e limitarsi a richiedere il risarcimento di un danno pecuniario (o per equivalente).

Secondo l’appellante, invece, non si potrebbe a lui attribuire l’ipotizzata colpa del mancato esercizio della domanda cautelare, “ atteso che anche il suo accoglimento non avrebbe attribuito allo stesso il bene della vita richiesto ma avrebbe solo stimolato ulteriori provvedimenti che sarebbero stati oggetto di ulteriore impugnativa, con conseguente vanificazione di ogni effettiva tutela, attesi i ristretti termini per il conferimento della presidenza in relazione alla data di pensionamento del ricorrente ”.

Il motivo d’appello è fondato.

E’ patente, infatti, che l’ormai prossima data di collocamento in quiescenza dell’interessato rendeva praticamente inutile coltivare, nei diversi gradi del giudizio, l’ordinaria azione di annullamento, in quanto i tempi normali di durata del processo amministrativo – per quanto formalmente contingentati – non avrebbero comunque consentito il pratico raggiungimento dell’obiettivo perseguito dal ricorrente, ossia il perseguito bene della vita dell’effettivo esercizio delle funzioni di presidente di un tribunale autonomo regionale (la cui probabilità era – come si vedrà - pressoché netta, in ragione del criterio della preferenza per l’anzianità di servizio, fino ad allora ancora pacificamente applicato, in una con la proficua posizione di ruolo dell’interessato). Dunque, un tale dato di comune esperienza evidenzia come il tempo possa assurgere a elemento condizionante del bene della vita ricercato e restituito in giustizia: e così a connotare diversamente l’utilità effettiva di un’azione rispetto a un’altra per attuare davvero l’ordinamento. In quel concreto contesto, e visti quei tempi, nella realtà effettuale la tutela di annullamento si offriva all’interessato come un mezzo simbolico ma concretamente inidoneo perché privo di un’effettiva attitudine pratica a soddisfare la sua ben ragionevole e più che probabile aspettativa.

D’altra parte, ad escludere la spettanza del risarcimento sarebbe stato necessario individuare una precisa condotta, attiva od omissiva, contraria al principio di buona fede ed al parametro della diligenza, che consenta la produzione di danni che altrimenti sarebbero stati evitati secondo il canone della causalità civile imperniato sulla probabilità relativa, secondo il criterio del “più probabilmente che non” ( ex multis , Cons. Stato, Ad. plen. 23 marzo 2011, n. 3): condotta che per le ragioni evidenziate non era rintracciabile nella scelta processuale di optare in via autonoma per la sola tutela risarcitoria – inutile ormai essendo nei fatti quella di annullamento, seppure intermediata da un’eventuale fase cautelare – dovendosi valutare il parametro della diligenza processuale non in termini astratti ed assoluti, bensì in relazione alle fattive particolarità (e possibilità) del caso concreto e al carattere effettivamente satisfatorio della tutela domandata.

Del resto è lo stessa legge che prevede la possibilità dell’esercizio, in via autonoma, dell’azione risarcitoria, mediante il combinato disposto dell’art. 30, commi 1 e 2, Cod. proc. amm.: possibilità che verrebbe di fatto sistematicamente frustrata, a seguire l’indimostrato ragionamento della sentenza impugnata.

Sotto altro profilo, appare pacifico (perché incontestato tra le parti e coperto dal vincolo del giudicato) l’accertamento dell’illegittimità delle delibere impugnate, per vizio di omessa motivazione relativamente alla negata nomina a presidente per il Tribunale amministrativo della Marche, il Tribunale amministrativo della Basilicata ed il Tribunale amministrativo del Molise, di cui alla sentenza di primo grado, sul punto non impugnata. Ed è ormai acquisita la sussistenza dei presupposti della responsabilità aquiliana in capo all’amministrazione, per le medesime ragioni.

Si legge infatti, nelle motivazioni dell’appellata sentenza – non fatte oggetto di impugnazione – che “ pur essendo il Consiglio dotato di ampio potere discrezionale, la mancata motivazione dei riferiti dinieghi di nomina alle presidenze dei citati TT.AA.RR. appare colpevolmente adottata, posto che era ben chiaro come, anche in presenza di un limitato servizio di periodo residuo, andasse spiegato anche sinteticamente il perché della ritenuta inidoneità.

Che il Consiglio fosse consapevole di tale necessità, lo si evince anche dal fatto che una succinta e pur tuttavia bastevole spiegazione è stata fornita per la mancata nomina al TAR Umbria (problematiche di organico) ed anche, seppur tramite rinvio ed in modo brachilogico, per il TAR Calabria, le cui complessità gestionali facilmente si deducono dal carattere plurisezionale e dal fattore ambientale (che costituisce fatto notorio).

Solo per le ambite nomine alle sedi delle Marche, Basilicata e Molise nulla il Consiglio ha dedotto se non un inammissibile rinvio ai verbali precedenti, dai quali tuttavia, neppure per implicito rinvio, è possibile ritrarre una spiegazione che giustificasse il diniego.

Ne consegue che sussiste anche l’elemento soggettivo della fattispecie di responsabilità, dovendosi ravvisare nel caso di specie una grave negligenza in cui è incorso il Consiglio ”.

Va infine considerata la configurabilità, nel caso di specie, di una effettiva chance di ottenere la nomina ambita in capo all’appellante.

Sul punto la sentenza di primo grado, pur senza affrontare compiutamente la questione, ha rilevato che, “ versandosi in tema di risarcimento del danno da lesione di interesse legittimo, per poter configurare una lesione risarcibile, è necessario condurre il noto giudizio prognostico sull’esito favorevole del riesercizio del potere, dal quale l’istante avrebbe potuto conseguire il bene della vita.

Esito questo, tuttavia, per nulla scontato, posto che l’organo di autogoverno avrebbe potuto ugualmente negare la nomina stavolta apportando le congrue giustificazioni ”.

Ritiene invece il Collegio che, alla luce delle particolarità della vicenda controversa, l’odierno appellante effettivamente avrebbe avuto una rilevante chance di ottenere la nomina a Presidente di una delle sedi monosezionali di Tribunale amministrativo regionale, ove l’Amministrazione avesse adeguatamente motivato le sue scelte in conformità alle statuizioni al tempo vigenti.

Invero, l’art. 3 della delibera 22 ottobre 2010 del Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa, nel testo ratione temporis applicabile alla vicenda, stabiliva: “ È nominato il magistrato in possesso della maggior anzianità computabile secondo la normativa vigente, una volta verificata la sua attitudine all’ufficio direttivo da assegnare ”, fatto salvo quanto previsto dal successivo art. 8 in ordine al periodo residuo di permanenza in servizio (il triennio di cui si è detto in precedenza).

In assenza pertanto di rilievi di demerito circa l’attitudine professionale del dott. Metro a ricoprire l’incarico – questione nemmeno mai sollevata dall’Amministrazione e, dunque pacifica – l’unico dato decisivo da considerare sarebbe stata l’anzianità di servizio: ma su questo parametro, l’allora Consigliere Metro era il primo in ordine tra gli aspiranti.

La chance di ottenere la nomina di una delle sedi monosezionali messe a concorso, dunque, poteva oggettivamente stimarsi in termini prossimi alla certezza.

Riconosciuta quindi la sussistenza, sotto il profilo dell’ an , della responsabilità risarcitoria dell’Amministrazione, occorre porsi la questione della determinazione del relativo quantum .

Al riguardo, va anzitutto precisato che non si può accogliere la domanda di risarcimento del cd. danno biologico , che troverebbe riscontro in “ plurime certificazioni mediche che attestano l’esistenza di una situazione di stress, sia psico-fisico con conseguente necessità di uso di farmaci, sia di danno psicologico, con necessità anche di sedute terapeutiche dovute ai fatti oggetto di ricorso, che hanno determinato una situazione di disagio protrattasi fino a tempi recenti ”.

La relativa domanda infatti, è comunque generica e priva di dimostrazione dell’univoca riconducibilità causale all’illegittimità provvedimentale del lamentato vulnus all’integrità psico-fisica del ricorrente.

Risulta invece fondata la domanda relativa al danno cd. “esistenziale” “ per la frustrazione delle sue ragionevoli aspettative di progressione professionale, idoneo a riflettersi sulla personalità sulla vita di relazione ”, tanto più che l’interessato, come evidenziato nell’appello, pur avendo maggiori requisiti di anzianità – rispetto ad altri colleghi che solo qualche mese prima avevano conseguito la presidenza di uffici giudiziari di dimensioni anche maggiori rispetto a quelli su cui si discute – è stato di fatto pretermesso dalla presidenza anche di quanti per i quali “ si trovava in prima posizione e senza alcun demerito, in favore di colleghi con notevole minore anzianità di ruolo ”.

La determinazione del quantum debeatur non può che essere equitativa, trattandosi di voce di danno non quantificabile sulla base di parametri certi e predefiniti, ma da valutare nella sua concreta portata alla luce dei parametri di adeguatezza e di proporzione.

L’appello va dunque accolto limitatamente all’istanza risarcitoria del danno esistenziale, che alla luce delle concrete circostanze del caso il Collegio ritiene congruo liquidare nell’importo unitario e onnicomprensivo di euro 15.000,00 (quindicimila).

Le spese di lite, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

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