Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2023-01-03, n. 202300099

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2023-01-03, n. 202300099
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202300099
Data del deposito : 3 gennaio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 03/01/2023

N. 00099/2023REG.PROV.COLL.

N. 09308/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9308 del 2015, proposto dalle signore I F, M T M e P M, rappresentate e difese dall'avvocato G E I, con domicilio eletto presso lo studio del difensore, in Roma, via Panama 74;

contro

la società RFI- Rete Ferroviaria Italiana S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall'avvocato N C, con domicilio eletto presso lo studio del difensore, in Roma, viale Umberto Tupini 113;

per l’annullamento

della sentenza del T.a.r. Campania, sede di Napoli, sez. III, 27 agosto 2014 n. 4334, che ha respinto il ricorso n. 10204/2000 R.G. proposto per la condanna:

della convenuta RFI Rete Ferroviaria Italiana S.p.a. al pagamento dell’indennità integrativa speciale sul trattamento di buonuscita ai sensi della l. 29 gennaio 1994 n.87 a favore del dante causa M M;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Rete Ferroviaria Italiana S.P.A;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l'art. 87, comma 4- bis , cod.proc.amm.;

Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 16 novembre 2022 il Cons. F G S e uditi per le parti gli avvocati Massimo Raffio su delega dichiarata di G E I e Antonella Garonfolo su delega dichiarata di N C;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Le ricorrenti appellanti sono le eredi del sig. M M, dipendente delle allora Ferrovie dello Stato, cessato dal servizio per collocamento a riposo il 29 settembre 1984.

2. All’atto della cessazione dal servizio il predetto sig. M M ricevette dall’ente previdenziale allora competente l’indennità di buonuscita liquidata in base alle norme allora vigenti, ovvero in particolare dell’art 14 della l. 14 dicembre 1973 n.829.

3. Successivamente però la Corte costituzionale, con sentenza 19 maggio 1993 n.243, ha dichiarato l’illegittimità di tale norma nella parte in cui non prevede, per i dipendenti della Pubblica amministrazione allargata, e quindi anche delle allora Ferrovie dello Stato, che nella base di calcolo dell’indennità venga considerata anche l’indennità integrativa speciale.

4. Di conseguenza venne emanata la l. 29 gennaio 1994 n.87, che prevedeva un conseguente ricalcolo delle indennità di buonuscita, applicabile a certe condizioni anche ai dipendenti già cessati dal servizio, e in particolare prevedeva, all’art. 3, comma 2, che “ L'applicazione della presente legge ai dipendenti già cessati dal servizio avviene a domanda, che deve essere presentata all'ente erogatore su apposito modello nel termine perentorio del 30 settembre 1994 ”.

5. Consta che il sig. M M abbia adito il Giudice del Lavoro, ovvero il Tribunale del Lavoro di Napoli con la causa n.12485/1995, per ottenere la predetta riliquidazione dell’indennità già corrispostagli, venendo peraltro a morire in corso di giudizio, il giorno 27 aprile 1997. Il giudizio stesso veniva definito con sentenza T. Lavoro Napoli 29 gennaio 1999, che dichiarava il difetto di giurisdizione in favore del giudice amministrativo. L’interessato era infatti cessato dal servizio prima dell’entrata in vigore della l. 17 maggio 1985 n.210, istitutiva dell’ente Ferrovie dello Stato, solo per effetto della quale si era radicata la giurisdizione ordinaria.

6. Le attuali ricorrenti appellanti, eredi di M M, hanno quindi adito il T.a.r. Napoli con il ricorso n.10204/2000 R.G. notificato il giorno 15 settembre 2000 (fatti storici non controversi, si vedano la sentenza impugnata e l’atto di appello).

7. Con la sentenza meglio indicata in epigrafe il T.a.r. ha respinto il ricorso;
in motivazione, ha ritenuto che le ricorrenti fossero decadute dalla pretesa, dato che non constava che esse avessero assolto all’onere di presentare la necessaria domanda amministrativa di riliquidazione nel termine perentorio previsto dal citato art. 3, comma 2, della l. 87/1994, domanda ritenuta non surrogabile nemmeno dalla presentazione della domanda giudiziale.

8. Contro tale sentenza le interessate hanno proposto appello che contiene due motivi:

- con il primo di essi, deducono violazione ovvero falsa applicazione dell’art 64 c.p.a.;
sostengono infatti che in forza di una pretesa “strutturale presenza di disparità fra le parti nel processo amministrativo” (p. 3 dell’appello), il Giudice di I grado non avrebbe dovuto ritenere non assolto da parte loro l’onere di provare l’avvenuta presentazione della domanda, ma avrebbe dovuto ordinare l’acquisizione di ufficio del fascicolo personale dell’interessato presso la società convenuta. Sostengono infatti che l’onere stesso non si sarebbe potuto ritenere a loro carico, non essendo a loro avviso il documento nella loro disponibilità;

- con il secondo motivo, hanno poi dedotto il difetto di giurisdizione in favore del Giudice ordinario del lavoro.

9. La società intimata appellata ha resistito con atto 25 novembre 2015 e memoria 11 ottobre 2022, ed ha chiesto che l’appello sia respinto.

10. Alla pubblica udienza del giorno 16 novembre 2022, la Sezione ha trattenuto il ricorso in decisione.

11. L’appello è infondato e va respinto.

11.1 È infondato il primo motivo che contesta la sentenza di I grado per avere respinto la domanda per mancanza di prova dell’adempimento dell’onere di presentare la domanda di riliquidazione. Così come ritenuto da costante giurisprudenza, per tutte C.d.S. sez. VI 4 marzo 2015 n.1052 e 22 novembre 2010 n.8125, nelle materie devolute alla giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo, allorquando si controverta di diritti soggettivi, vale la regola generale dell’onere della prova, per cui chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti, nella specie la presentazione dell’istanza di cui si è detto, che ne costituiscono il fondamento;
in mancanza, la domanda non può che essere respinta.

11.2 È a sua volta infondato il secondo motivo, dato che colui il quale, come le appellanti, ha adito un dato giudice per far valere la propria pretesa non ne può contestare poi con l’appello la giurisdizione, perché ciò costituisce abuso dello strumento dell’azione;
così la costante giurisprudenza, per tutte C.d.S. II 6 maggio 2021 n.3543 e 14 novembre 2019 n.7811.

12. Sussistono giusti motivi per compensare le spese.

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