Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2021-06-11, n. 202104535

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2021-06-11, n. 202104535
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202104535
Data del deposito : 11 giugno 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 11/06/2021

N. 04535/2021REG.PROV.COLL.

N. 07786/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 7786 del 2020, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato S B, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale Regina Margherita, 1;

contro

Consiglio Superiore della Magistratura, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, con domicilio eletto presso i suoi uffici, in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio – sede di Roma (sezione prima) 28 febbraio 2020, n. -OMISSIS-, resa tra le parti, concernente la delibera del Consiglio Superiore della Magistratura recante il giudizio di non idoneità ad essere ulteriormente valutato ai fini della nomina alle funzioni direttive superiori;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Consiglio Superiore della Magistratura;

Viste le ordinanze collegiali della Sezione del 12 novembre 2020, n. 6954, del 12 febbraio 2021, n. 1256, e del 15 marzo 2021, n. 2175;

Viste le memorie tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 13 maggio 2021 il consigliere F F, nessuno essendo comparso per le parti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Il dottor -OMISSIS- magistrato ordinario, ora in pensione (dal 1° agosto 2012), impugna nel presente giudizio la delibera del Consiglio Superiore della Magistratura in data 24 maggio 2018, che lo ha dichiarato non idoneo ad essere ulteriormente valutato ai fini della nomina alle funzioni direttive superiori a decorrere dal 5 aprile 1991, ai sensi dell’art. 16 della legge 20 dicembre 1973, n. 831 ( Modifiche dell’ordinamento giudiziario per la nomina a magistrato di Cassazione e per il conferimento degli uffici direttivi superiori ), da cui è conseguito il mancato riconoscimento ai fini giuridici ed economici della VII valutazione di professionalità secondo il nuovo sistema di progressione di cui al d.lgs. 5 aprile 2006, n. 160 ( Nuova disciplina dell’accesso in magistratura, nonché in materia di progressione economica e di funzioni dei magistrati ).

2. Dopo avere ottenuto la qualifica di magistrato di cassazione fino alla data del 5 aprile 1991 (con delibera del CSM del 23 marzo 2016), la valutazione di non idoneità alle funzioni direttive superiori cui si riferisce il presente giudizio veniva dall’organo di governo autonomo fondata sulle condanne disciplinari riportate dal dott. -OMISSIS-, comportanti la perdita complessiva di tre anni di anzianità, per fatti di rilievo penale (malversazione in concorso con vertici della -OMISSIS-, per fatti risalenti al 1980, per i quali - dopo la condanna in primo grado - in appello il dottor -OMISSIS- ha riportato una pronuncia di non doversi procedere per intervenuta amnistia) e per l’affiliazione alla massoneria (quest’ultima ricadente nel periodo in valutazione posto che la dichiarazione di dissociazione del dott. -OMISSIS- risale al 1993, mentre gli otto anni in valutazione per l’attribuzione della qualifica vanno dal 1991 al 1999).

3. L’appello del dott. -OMISSIS- censura la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio – sede di Roma - indicata in epigrafe, di rigetto del suo ricorso contro la delibera e ripropone nei confronti di questa le contestazioni.

4. Si è costituito in resistenza il Consiglio Superiore della Magistratura.

DIRITTO

1. L’appello premette per un verso che le condanne disciplinari riportate dal dott. -OMISSIS- sono state considerate irrilevanti nei giudizi amministrativi concernenti l’attribuzione della qualifica di magistrato di cassazione (in particolare dalla sentenza della IV Sezione di questo Consiglio di Stato del 16 luglio 2010, n. -OMISSIS-);
e per altro verso che il giudizio di idoneità alle funzioni direttive superiori è autonomo rispetto al passaggio valutativo precedente di carriera del magistrato.

2. Sulla base di tale premessa, con un primo ordine di censure l’appello sottolinea che la rilevanza dei precedenti disciplinari in occasione di quella che oggi è la valutazione di professionalità e che allora era la dichiarazione di idoneità in questione, non si basa su automatismi ma richiede una valutazione di incidenza concreta sui requisiti di imparzialità e sulle condizioni di prestigio e decoro che connotato sul piano professionale la funzione istituzionale del magistrato.

A stare all’appello, una simile incidenza in concreto non può predicarsi per ragioni temporali, vale a dire a causa de « la rilevante risalenza storica » di quei precedenti disciplinari, come evidenziato dal Consiglio giudiziario presso la Corte d’Appello di Roma nel parere in data 27 marzo 2017, prodromico alla delibera consiliare impugnata, che ha dato atto del « definitivo superamento delle parziali criticità, che avevano portato alle pronunce disciplinari sopra menzionate ».

3. Con un ulteriore ordine di censure il dott. -OMISSIS- ripropone le contestazioni sull’esatto apprezzamento istruttorio delle condanne disciplinari.

Con riguardo al fatto di rilievo penale di malversazione in concorso con il direttore generale della -OMISSIS-, l’appellante sottolinea che a fronte del proprio proscioglimento per amnistia quale coimputato per concorso morale, nel parallelo giudizio penale svoltosi in altro distretto giudiziario l’autore materiale del fatto e gli altri imputati sono stati assolti nel merito;
e inoltre a suo dire il risalto giornalistico di tale pronuncia ha determinato il venir meno della compromissione del prestigio per l’ordine giudiziario conseguente al coinvolgimento nei medesimi fatti di un suo appartenente.

4. Per l’affiliazione alla massoneria, l’appellante si duole della duplicazione sanzionatoria conseguente al fatto di avere già riportato a quel proposito una condanna disciplinare.

In punto di rilevanza della condotta ai fini della valutazione di professionalità, egli richiama invece il giudicato formatosi in suo favore, consistente nella menzionata sentenza di questo Consiglio di Stato, IV, 16 luglio 2010, n. -OMISSIS-, di conferma dell’annullamento della delibera del Consiglio Superiore della Magistratura del 9 giugno 2004, con cui gli era stata riconosciuta la qualifica di magistrato di cassazione a decorrere solo dal 5 aprile 1997, anziché dal 5 aprile 1991. Il dottor -OMISSIS- sottolinea che detta sentenza dà atto che egli « ha aderito alla massoneria ufficiale quando l’appartenenza non era ancora considerata un disvalore e l’aveva abbandonata (giugno 1993) prima che intervenisse il divieto (luglio 1993) »;
e precisamente prima che, con delibera in data 14 luglio 1993, il CSM considerasse in via generale l’affiliazione del magistrato a logge massoniche come illecito disciplinare, diversamente da quanto evincibile dalla precedente risoluzione del 22 marzo 1990 dell’organo di governo autonomo.

5. Le censure così sintetizzate non possono essere accolte.

6. Sono infatti da respingere le censure sull’affiliazione alla massoneria e la rilevanza di tale condotta per la valutazione di idoneità alle funzioni direttive superiori .

A questo specifico riguardo, è pur vero che il precedente richiamato dall’appellante ha escluso che tale condotta potesse avere rilievo per l’attribuzione della qualifica di magistrato di cassazione, sulla base dei principi affermati dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (sentenza del 2 agosto 2001, ric. n. 37119/97), che ha giudicato contraria alla libertà di associazione garantita dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (art. 11) una sanzione disciplinare inflitta ad un magistrato italiano in una situazione ordinamentale antecedente alla risoluzione del CSM del 14 luglio 1993 non recante un divieto espresso, e dunque in termini non sufficientemente chiari per permetterne la prevedibilità, di adesione dell’appartenente all’ordine giudiziario una loggia massonica.

7. Il punto è però che la violazione convenzionale è stata ravvisata rispetto ad una sanzione disciplinare, vale a dire ad un provvedimento afflittivo circa il quale ben può essere invocato il principio generale di sufficiente determinatezza della fattispecie e, per conseguenza, di irretroattività delle previsioni sanzionatorie.

Ma qui non si versa in tema sanzionatorio, bensì in tema di valutazione della personalità professionale del magistrato ai fini dell’attribuzione della massima qualifica dell’ordinamento giudiziario precedente la riforma di cui al d.lgs. n. 160 del 2006. Si tratta di un profilo distinto e autonomo rispetto all’ambito disciplinare: e in esso viene tra l’altro in primario rilievo il dimostrato possesso – come elementi costitutivi della professionalità del magistrato - dei requisiti personali di indipendenza e imparzialità, coessenziali alla funzione giurisdizionale, con i relativi riflessi sull’immagine e la diffusa fiducia da cui devono essere circondati gli appartenenti all’ordine giudiziario.

In relazione a questo diverso profilo l’affiliazione a una loggia massonica – in quanto potenziale occasione di sollecitazioni o di indebiti vantaggi - costituisce un fattore di compromissione o comunque di appannamento dei requisiti stessi, per i conseguenti rischi, quand’anche presunti, di condizionamenti derivanti dal vincolo di affiliazione . A questi riguardi, la detta risoluzione del CSM del 14 luglio 1993 ha solo una funzione costitutiva di previsione di illeciti disciplinari (con la conseguenza, rammentata, dell’applicazione del principio di irretroattività delle sanzioni disciplinari). Ma a ben vedere non innova alla valutazione degli elementi di coerenza con l’oggettività, la terzietà e l’indifferenza agli interessi, quand’anche meramente potenziali, che debbono connotare la funzione del magistrato e il suo status effettivo. Se una tale limitazione alla generale libertà di associazione che è e resta propria del cittadino è predicata, e già a livello costituzionale, per i partiti politici (art. 98, terzo comma, Cost.;
e, in attuazione, art. 3, comma 1, d.lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, come sostituito dall’art. 1, comma 3, lett. h) , n. 2, l. 24 ottobre 2006, n. 269, che equipara disciplinarmente «l’iscrizione o la partecipazione sistematica e continuativa a partiti politici» a, lett. g) , «la partecipazione ad associazioni segrete o i cui vincoli sono oggettivamente incompatibili con l'esercizio delle funzioni giudiziarie» ; Corte cost., 20 luglio 2018, n. 170), a fortiori ciò vale – in ragione dei cennati vincoli e dei vantaggi che può comportare - per la massoneria e, evidentemente, per le associazioni consimili.

8. Quanto all’asserita contraddittorietà con la vicenda dell’attribuzione della precedente qualifica, vale considerare che la reciproca autonomia di ciascuna verifica della professionalità ai fini dell’attribuzione progressiva delle allora qualifiche nel corso della carriera del magistrato, secondo la scansione prevista dall’ordinamento giudiziario ratione temporis vigente, supera i rilievi dell’appellante incentrati sul precedente a lui favorevole dato dalla richiamata sentenza della IV Sezione di questo Consiglio di Stato n. -OMISSIS- del 2010, relativa alla attribuzione della qualifica di magistrato di cassazione.

Essenziale è poi considerare – come bene ha fatto l’appellata sentenza - che tale autonomia rispetto alle valutazioni precedenti era qui del più alto livello perché l’attribuzione delle idoneità alle funzioni direttive superiori rappresentava (in quel sistema ordinamentale) la massima valutazione di professionalità, tale – se positiva - da abilitare l’interessato ai più elevati uffici dell’ordinamento giudiziario: sicché richiedeva la più accorta e la più rigorosa delle considerazioni sulla professionalità complessiva.

All’autonomia delle valutazioni si era rapportato, del resto, questo Consiglio di Stato proprio nei confronti del dott. -OMISSIS- già in occasione del precedente giudizio di inidoneità ad essere ulteriormente valutato ai fini della nomina alle funzioni direttive superiori (la prima valutazione negativa del CSM, del 4 febbraio 2009), dallo stesso riportato. Si tratta di principi immanenti alla verticalità della struttura e della funzionalità dell’ordinamento giudiziario e in esso dell’importanza primaria delle funzioni apicali: per cui la verifica della personalità professionale assume particolare autonomia - trattandosi di attività che comportano maggiore esposizione relazionale e maggiore visibilità - rispetto ad ogni altra valutazione precedente, per via della più alta importanza e delicatezza della direzione di siffatti uffici (Cons. Stato, IV, 10 giugno 2011, n. -OMISSIS-). Le successive vicende di contenzioso dell’interessato al riguardo non mutano questa rilevazione che è in stretto punto di diritto.

Tutto ciò in questa sede va ribadito, come legittimamente ha fatto la (nuova) delibera del CSM qui impugnata. Invero, il giudizio di idoneità alle funzioni direttive superiori è finalizzato alla successiva attribuzione degli incarichi di vertice presso la Suprema Corte e le Corti d’Appello e, ai due livelli, i corrispondenti organi di Procura Generale, e dunque « di funzioni ulteriori e diverse da quelle giudicanti e requirenti ». Ne consegue l’esigenza che nel magistrato in valutazione sia riscontrata un’« integrità dell’immagine professionale e deontologica » (così rispettivamente il precedente giurisdizionale richiamato da ultimo e la delibera impugnata).

9. Quanto infine al tema generale della rilevanza sul piano della valutazione di professionalità (o, allora, attribuzione di idoneità alle funzioni direttive superiori ) del magistrato dei precedenti disciplinari, riguardo al quale egli lamenta un bis in idem sanzionatorio, vale rilevare ancora, in fatto, che la sua dichiarazione di dissociazione risale al 1993, mentre gli otto anni in valutazione per l’attribuzione della qualifica vanno dal 1991 al 1999, dunque riguardano comunque almeno un periodo (1991-1993) per il quale non vi era stata quella dissociazione. In relazione a quel tempo la valutazione del CSM andava effettuata e senza che vi potesse incidere quella sorta di non prevista prescrizione ( «la rilevante risalenza storica» ) che l’appellante qui invoca in ragione del lungo tempo trascorso;
e che in ipotesi dovrebbe allora valere anche, in senso inverso, circa la sua pretesa al riconoscimento, per quel tempo, della pretesa qualificazione.

Inoltre vale ribadire il principio generale per cui le vicende inerenti alle sanzioni disciplinari sono in sé non direttamente rilevanti, e quale che ne sia l’esito, sulla valutazione di professionalità del magistrato, dove vengono in considerazione non gli atti sanzionatori ma i fatti e le situazioni: e non come (eventuali) illeciti, bensì come elementi comunque denotativi della personalità e qualità professionale dell’interessato.

Si richiama invero la consolidata giurisprudenza di questo Consiglio di Stato che precisa che nelle periodiche verifiche connesse alla progressione di carriera dell’appartenente all’ordine giudiziario l’organo di governo autonomo è titolato a considerare i precedenti disciplinari, quali elementi utili all’accertamento di meritevolezza della qualifica superiore, e tanto più se si tratta di atti che hanno accertato la violazione dei doveri inerenti alla funzione giudiziaria oggetto di valutazione di professionalità, sempreché ciò avvenga in modo autonomo rispetto alla sede disciplinare: sicché una nuova e distinta considerazione di un fatto già interessato da precedente disciplinare non configura, in sé, un’inammissibile duplicazione di sanzione, perché è volta al diverso scopo di un completo apprezzamento obiettivo della personalità professionale del magistrato, attraverso la disamina di tutti gli elementi atti a ricostruirla in vista del suo successivo svolgimento di carriera ( ex aliis : Cons. Stato, IV, 3 giugno 2010, n. 3544;
5 luglio 2010, n. 4250;
7 giugno 2005, n. 2921;
17 giugno 2003, n. 3401;
28 marzo 1992, n. 3391;
V, 13 settembre 2018, n. 5369;
8 giugno 2018, n. 3479;
3 aprile 2018, n. 2038;
31 agosto 2017, n. 4149;
13 febbraio 2017, n. 620). Il fondamento originario di tale ius receptum riposa tra l’altro nell’art. 1 della legge 20 dicembre 1973, n. 831 ( Modifiche dell'ordinamento giudiziario per la nomina a magistrato di Cassazione e per il conferimento degli uffici direttivi superiori ), per il quale ai fini della valutazione per la nomina a magistrato di cassazione, il Consiglio Superiore della Magistratura valuta anche i « precedenti relativi al servizio prestato » e « [o] gni ulteriore elemento di giudizio che sia reputato necessario per la migliore valutazione del magistrato », che con specifico riguardo alla dichiarazione di idoneità alle funzioni direttive superiori va integrato (art. 16) con il rilievo organizzativo e di funzionamento dell’organo di vertice della giurisdizione ordinaria ad esso connesso, conformemente a quanto contemplato dalla giurisprudenza di questo Consiglio di Stato richiamata (in particolare, Cons. Stato, IV, 10 giugno 2011, n. -OMISSIS-, riguardante l’odierno appellante).

10. Nella descritta prospettiva, il Consiglio Superiore della Magistratura appare aver formulato il giudizio di inidoneità alle funzioni direttive superiori ponendo a base il fatto che nella prima parte del periodo di carriera in valutazione l’interessato ha esposto a serio rischio la propria immagine di magistrato indipendente ed imparziale « in ragione dell’affiliazione tramite un giuramento di terzo grado alla massoneria fino al 1993 ».

Non può poi essere pretermesso che il giudizio di inidoneità così correttamente espresso è stato ulteriormente corroborato dalla vicenda, di rilievo penale e conclusa non con una assoluzione nel merito ma con un’amnistia, relativa alla grave ipotesi penale di malversazione che sarebbe stata commessa dall’appellante nel 1980 in concorso con il direttore generale dell’istituto di credito: il che è stato coerentemente e logicamente – indipendentemente dall’esito formale del processo penale, che comunque nessun effetto condizionante spiega sulla valutazione professionale in questione - considerato fattore di « discredito dell’immagine del magistrato » per lungo tempo;
e che non può essere riparato, per il profilo che andava considerato dal CSM, dall’assoluzione nel merito non già del dott. -OMISSIS-, ma del coimputato (in presenza appunto di una pronuncia di non doversi procedere per intervenuta amnistia invece da lui riportata). Anche per quest’ultimo elemento, non è dunque possibile ravvisare i lamentati profili di illegittimità nei confronti del giudizio di discrezionale dall’organo di governo autonomo per la sola circostanza del carattere risalente del fatto, tale da collocarlo al di fuori del periodo di carriera in valutazione.

11. Quanto infine al parere del Consiglio giudiziario favorevole all’appellante, la delibera del CSM motiva esprimendosi in modo puntuale nel senso del suo superamento. Ciò attraverso il rilievo assorbente attribuito alla valutazione negativa in precedenza formulata con riguardo ai « predetti requisiti di prestigio e di affidabilità », considerati « in via autonoma rispetto agli altri parametri rilevanti ai fini della valutazione di professionalità » e, in modo incensurabile nella presente sede di legittimità, prevalenti sulle « positive considerazioni in ordine ai profili di preparazione, capacità, laboriosità o diligenza » (così la delibera impugnata).

12. L’appello va quindi respinto.

Le spese del grado di giudizio possono invece essere compensate in ragione della particolarità della questione controversa.

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