Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2022-10-18, n. 202208874

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2022-10-18, n. 202208874
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202208874
Data del deposito : 18 ottobre 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 18/10/2022

N. 08874/2022REG.PROV.COLL.

N. 05054/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Settima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5054 del 2020, proposto dalla
Vodafone Italia S.p.A., in persona del procuratore, società Lindam S.r.l., nella persona del suo legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avv.ti M S, P B e M P, con domicilio digitale come da P.E.C. da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso lo studio del terzo, in Roma, via Cicerone, n. 44;

contro

Comune di Gussola (CR), in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dall’avv. D B, con domicilio digitale come da P.E.C. da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso lo studio dell’avv. Paolo Rolfo, in Roma, via Appia Nuova, n. 96;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, Sezione staccata di Brescia, Sezione Prima, n. 81/2020 del 31 gennaio 2020, resa tra le parti e notificata il 3 febbraio 2020, con cui è stato accolto il ricorso principale R.G. n. 383/2019 presentato dal Comune di Gussola (CR) e respinto il ricorso incidentale proposto da Vodafone Italia S.p.A..


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Gussola (CR);

Visti le memorie, i documenti e le repliche delle parti;

Viste le istanze delle parti di passaggio della causa in decisione in base agli scritti difensivi e senza discussione orale;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 12 luglio 2022 il Cons. P D B e preso atto che nessuno è comparso per le parti;

Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto quanto segue:


FATTO e DIRITTO

1. Con l’appello in epigrafe Vodafone Italia S.p.A. (d’ora in poi anche solo “Vodafone” o “Società”) ha impugnato la sentenza del T.A.R. Lombardia – Brescia, Sez. I, n. 81/2020 del 31 gennaio 2020, chiedendone la riforma.

1.1. La sentenza appellata ha accolto il ricorso principale proposto dal Comune di Gussola (CR) per l’accertamento dell’inadempimento della Società all’obbligo di pagare il canone annuo di € 11.500,00 (fissato con convenzione dell’11 dicembre 2003) per la concessione di un’area demaniale ai fini dell’installazione di un impianto di telefonia mobile, e per la condanna della medesima Società al pagamento delle somme dovute a titolo di canoni dal 2011 al 2018.

1.1.1. La sentenza ha invece respinto il ricorso incidentale proposto da Vodafone per l’accertamento della nullità della clausola (art. 3) della suddetta convenzione che ha previsto il pagamento del canone nella misura sopra indicata, in quanto contraria a norma imperativa di legge, e la sua sostituzione, ai sensi degli artt. 1419 e 1339 c.c., con la previsione dell’obbligo di pagamento delle somme stabilite ex lege a titolo di TOSAP e/o di COSAP , nella misura minima di € 516,46 all’anno, nonché per l’accertamento dell’illegittimità del pagamento della somma totale di € 104.468,04, ricevuta dal Comune di Gussola fino a tutto il 2013.

2. In fatto, Vodafone e il Comune di Gussola stipulavano in data 11 dicembre 2003 una convenzione (registrata il successivo 23 dicembre 2003) con cui il Comune concedeva alla Società l’uso di un’area demaniale di circa mq. 58, ubicata in via Valdemaggi, per installarvi infrastrutture tecnologiche del servizio della telefonia mobile. La convenzione, della durata di nove anni con possibilità di rinnovo per altri sei anni, prevedeva all’art. 3 a carico di Vodafone il pagamento di un canone annuo pari a € 11.500,00.

2.1. Nel maggio del 2013, tuttavia, Vodafone inviava al Comune una nota in cui sosteneva l’invalidità dell’art. 3 della convenzione, perché contrastante con l’art. 93 del d.lgs. n. 259/2003, e chiedeva, di conseguenza, la riduzione della tariffa dovuta, avvisando che nelle more avrebbe provveduto a pagare l’importo minimo di € 516,46, ritenuto conforme a legge.

2.2. Instaurato il contenzioso dal Comune di Gussola e proposto da Vodafone ricorso incidentale, con la sentenza appellata il T.A.R. Brescia, dopo aver affermato esplicitamente la devoluzione della causa alla giurisdizione del G.A. (perché la controversia investirebbe il rapporto instaurato con l’operatore di telefonia mobile e in specie il possibile conflitto di una clausola convenzionale con le previsioni di legge, sicché il corretto ammontare del canone sarebbe una conseguenza indiretta e riflessa di tali questioni), ha – come detto – accolto (in parte) il ricorso principale del Comune, mentre ha respinto quello incidentale della Società.

2.3. In sintesi, il Tribunale ha ritenuto che il richiamo da parte di Vodafone all’art. 93, comma 2, del d.lgs. n. 259/2003, alla stregua della norma interpretativa dell’art. 12, comma 3, del d.lgs. n. 33/2016, per come da ultimo innovato dall’art. 8- bis , comma 1, lett. c) , del d.l. n. 135/2018, conv. con l. n. 12/2019, non si attagli al caso di specie, in quanto le disposizioni ora riportate prevedono l’esonero dell’operatore di telefonia mobile da ogni prestazione finanziaria diversa da COSAP e/o TOSAP e dal contributo per la costruzione di gallerie, ma siffatto esonero ha ad oggetto, per la lettera della legge, l’esecuzione delle opere e l’esercizio dei servizi di comunicazione elettronica e, quindi, non copre l’acquisizione della disponibilità dell’area per installarvi (e mantenervi) le opere. In contrario – ha osservato la sentenza – non serve invocare la portata onnicomprensiva della modifica alla norma di interpretazione autentica che è stata introdotta dal citato art. 8- bis , comma 1, lett. c) , poiché la norma di interpretazione autentica deve collocarsi nel perimetro oggettivo delineato dalla norma interpretata, che non detta una specifica disciplina sull’uso dei beni demaniali.

2.4. Il T.A.R. richiama, infine, la particolarità della fattispecie, che ha visto la concessione dell’area in favore di Vodafone a seguito di una trattativa diretta (e non di gara), cosicché Vodafone ha ottenuto un vantaggio pattuendo liberamente le condizioni economiche del rapporto e non può ora pretendere di esserne esonerata.

3. Nell’appello Vodafone contesta l’iter argomentativo e le conclusioni della sentenza di prime cure, deducendo a supporto del gravame i seguenti motivi:

I) violazione degli artt. 7 e 88 c.p.a., falsità, perplessità e/o erroneità della motivazione, travisamento dei presupposti di fatto e diritto, violazione degli artt. 35, 88 e 93 del d.lgs. n. 259/2003 e dell’art. 12 del d.lgs. n. 33/2016, in quanto il T.A.R. sarebbe incorso in un palese travisamento nell’interpretare la normativa di riferimento, dalla quale emergerebbe che per l’occupazione di un’area del demanio comunale con un impianto di telecomunicazioni sia applicabile esclusivamente la disciplina prevista per la TOSAP e/o COSAP ex art. 93 del d.lgs. n. 259/2003;

II) violazione degli artt. 7 e 88 c.p.a., falsità, erroneità e/o perplessità della motivazione, travisamento dei presupposti di fatto e diritto, violazione degli artt. 4, 25, 86, 88, 89 e 93 del d.lgs. n. 259/2003 e degli artt. 3 e 9 del d.lgs. n. 33/2016, poiché non corrisponderebbe al vero quanto affermato dal T.A.R. e cioè che Vodafone avrebbe aderito a un modulo procedimentale tipizzato alternativo all’evidenza pubblica. Inoltre, il primo giudice sarebbe incorso nell’errore di ritenere contendibile l’attribuzione dell’ utilitas , laddove invece tutti gli operatori avrebbero pari diritto di installare infrastrutture per le reti di comunicazione elettronica su beni pubblici e privati e per i beni pubblici l’art. 4 del d.lgs. n. 259/2003 escluderebbe il ricorso all’evidenza pubblica.

3.1. L’appellante ha concluso per la riforma della sentenza appellata e, per l’effetto, per la reiezione del ricorso principale proposto in primo grado dal Comune e per l’accoglimento di quello incidentale della stessa Vodafone, con conseguente accertamento e declaratoria: a) della nullità dell’art. 3 della convenzione stipulata tra la Società e il Comune l’11 dicembre 2003, e la sostituzione di tale clausola con la previsione dell’obbligo di pagamento delle somme fissate ex lege a titolo di TOSAP o COSAP , determinate nella misura minima di € 516,46 all’anno, o nella diversa misura indicata dal Collegio;
b) dell’illegittimità del pagamento della somma di € 104.468,04, ricevuta dal Comune di Gussola fino a tutto il 2013;
c) della compensazione di detta somma con gli importi dovuti a titolo di TOSAP o di COSAP per gli anni dal 2013 e per tutta la durata effettiva dell’occupazione, determinati nella misura minima suindicata, o in quella stabilita dal Collegio, ovvero determinata per il futuro sulla base della tariffa agevolata stabilita dal Comune a norma dell’art. 63 del d.lgs. n. 446/1997;
d) dell’obbligo del Comune di Gussola di restituire al termine dell’occupazione l’importo residuo di cui al punto b) non oggetto di effettiva compensazione.

3.2. Si è costituito in giudizio il Comune di Gussola (CR), depositando memoria in vista dell’udienza pubblica e concludendo: in via principale, per la reiezione dell’appello, attesa la sua infondatezza;
in subordine, per la prescrizione dei canoni pagati al predetto Comune da Vodafone a partire dal 2003 e sino ai dieci anni precedenti la data della notifica del ricorso incidentale della Società (27 maggio 2019).

3.3. L’appellante, dal canto suo, ha depositato una breve memoria, insistendo per l’accoglimento delle conclusioni già rassegnate.

3.4. Ambedue le parti hanno depositato replica, nonché istanza di passaggio della causa in decisione sulla base dei soli scritti difensivi.

3.5. All’udienza del 12 luglio 2022 il Collegio, preso atto che nessuno è comparso per le parti, ha trattenuto la causa in decisione.

4. In via preliminare, il Collegio dà atto che non ha formato oggetto di impugnazione la statuizione della sentenza appellata che ha ritenuto che la controversia fosse devoluta alla cognizione di questo G.A.: tale statuizione non può pertanto essere più messa in discussione, essendo essa ormai coperta dal giudicato (cfr. art. 9 c.p.a.).

4.1. Sempre in via preliminare, si osserva inoltre che, nell’esposizione successiva, la menzione degli articoli del d.lgs. n. 259/2003 (cd. Codice delle comunicazioni elettroniche ) verrà fatta prendendo a riferimento la numerazione di tali articoli anteriore alla riforma del testo normativo attuata dall’art. 1, comma 1, del d.lgs. 8 novembre 2021, n. 207 (che ha sostituito gli articoli da 1 a 98 del Codice con gli articoli da 1 a 98- tricies ): ciò, per evidenti ragioni di comodità di lettura e semplicità del raffronto con gli scritti difensivi e i documenti versati in atti, risalendo i fatti di causa a un’epoca anteriore alla suddetta riforma (in cui, perciò, la numerazione era quella vecchia).

4.2. Nel merito, le censure della Società appellante non conducono all’accoglimento del gravame da essa proposto, pur dovendosi procedere a correzioni della motivazione della sentenza di prime cure, nei termini di seguito esplicitati.

4.3. Occorre iniziare dal primo motivo d’appello, con cui Vodafone insiste sull’applicazione al caso di specie dell’art. 93, comma 2, del d.lgs. n. 259/2003, che, nel testo sostituito dall’art. 68, comma 1, del d.lgs. n. 70/2012, avrebbe esplicitato il divieto di imporre agli operatori che forniscono reti di comunicazioni elettroniche oneri finanziari e/o reali diversi dalla tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche ( TOSAP ) o dal canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche ( COSAP ) “ in conseguenza dell’esecuzione delle opere di cui al Codice (il d.lgs. n. 259/2003) o per l’esercizio dei servizi di comunicazione elettronica ”: locuzione, quest’ultima, che si riferirebbe inequivocabilmente a una fase successiva all’esecuzione delle opere, ossia all’occupazione durevole di beni pubblici con gli impianti per l’esercizio dei suddetti servizi, e in tal modo chiarirebbe come anche in questa fase gli operatori siano soggetti unicamente alla TOSAP (o al COSAP ).

4.4. Nello stesso senso deporrebbero anche altre disposizioni del d.lgs. n. 259/2003 e cioè: l’art. 35, che stabilirebbe l’applicabilità della regola di cui all’art. 93, comma 2, cit. (obbligo degli operatori di pagare soltanto gli oneri connessi a TOSAP o COSAP ) “ per i contributi relativi alla concessione dei diritti per l’installazione, su aree pubbliche, di infrastrutture di reti di comunicazione elettronica ”;
l’art. 88, che, nel disciplinare la procedura per la realizzazione di opere civili o per l’effettuazione di scavi e l’occupazione di suolo pubblico ai fini dell’installazione di infrastrutture di comunicazione elettronica, menzionerebbe l’assegnazione del bene pubblico richiesta dal T.A.R. (“ concessione del suolo o sottosuolo pubblico necessario ”) e ne ribadirebbe la soggezione alle sole prestazioni imposte di cui all’art. 93, con esclusione di ogni altra indennità.

4.5. Da ultimo, l’appellante richiama l’art. 63 del d.lgs. n. 446/1997, che consente ai Comuni e alle Province di disporre attraverso proprio regolamento l’esclusione della TOSAP e l’assoggettamento dell’occupazione di strade, aree e spazi soprastanti e sottostanti appartenenti al proprio demanio (o al patrimonio indisponibile) al canone COSAP : il che è quanto si sarebbe verificato nel caso di specie, avendo il Comune di Gussola optato per il regime COSAP con delibera del Consiglio Comunale n. 22 del 21 luglio 2015.

4.6. Nei successivi scritti difensivi Vodafone invoca, a proprio sostegno, la norma di interpretazione autentica dell’art. 93, comma 2, del d.lgs. n. 259/2003 contenuta nell’art. 12, comma 3, del d.lgs. n. 33/2016, per come da ultimo novellato dall’art. 8- bis del d.l. n. 135/2018, che avrebbe chiarito che il principio per il quale gli operatori che forniscono reti di comunicazione elettronica sono soggetti solo alle prestazioni e alle tasse e canoni espressamente previsti dal citato art. 93, comma 2, si estende a tutte le fattispecie di determinazione del canone, incluse quelle derivanti da una fonte contrattuale e pattizia (come nel caso di specie). Replica altresì all’eccezione sollevata dal Comune di Gussola nelle sue difese, per la quale la novella di cui all’art. 8- bis , comma 1, lett. c) , del d.l. n. 135/2018 (conv. con l. n. 12/2019) avrebbe carattere non retroattivo, ma innovativo, poiché l’aggiunta dalla stessa introdotta non condividerebbe la natura di norma di interpretazione autentica propria della parte preesistente dell’art. 12, comma 3, del d.lgs. n. 33/2016: sostiene, invece, la Società appellante che la congiunzione “quindi”, che lega la parte preesistente dell’art. 12, comma 3, cit., alla parte introdotta dall’art. 8- bis , farebbe sì che anche la parte aggiunta partecipi della natura complessiva della norma come di interpretazione autentica, dotata perciò di efficacia retroattiva e, di conseguenza, applicabile alla fattispecie.

5. Le doglianze, pur suggestive, non sono suscettibili di positivo apprezzamento.

5.1. L’art. 93, comma 1, del d.lgs. 1° agosto 2003, n. 259 (“ Codice delle comunicazioni elettroniche ”), testualmente recita: “ Le Pubbliche Amministrazioni, le Regioni, le Province ed i Comuni non possono imporre per l’impianto di reti o per l’esercizio dei servizi di comunicazione elettronica, oneri o canoni che non siano stabiliti per legge ”.

5.1.1. Il comma 2 del predetto art. 93, nel testo introdotto dall’art. 68, comma 1, del d.lgs. 28 maggio 2012, n. 70 – vigente all’epoca in cui è sorto il contrasto tra Vodafone e il Comune di Gussola (2013) – così recitava: “ 2. Gli operatori che forniscono reti di comunicazione elettronica hanno l’obbligo di tenere indenne la Pubblica Amministrazione, l’Ente locale, ovvero l’Ente proprietario o gestore, dalle spese necessarie per le opere di sistemazione delle aree pubbliche specificamente coinvolte dagli interventi di installazione e manutenzione e di ripristinare a regola d’arte le aree medesime nei tempi stabiliti dall’Ente locale. Nessun altro onere finanziario, reale o contributo può essere imposto, in conseguenza dell’esecuzione delle opere di cui al Codice o per l’esercizio dei servizi di comunicazione elettronica, fatta salva l’applicazione della tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche di cui al capo II del decreto legislativo 15 novembre 1993, n. 507, oppure del canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche di cui all’articolo 63 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, e successive modificazioni, calcolato secondo quanto previsto dal comma 2, lettere e) ed f) , del medesimo articolo, ovvero dell’eventuale contributo una tantum per spese di costruzione delle gallerie di cui all’articolo 47, comma 4, del predetto decreto legislativo 15 novembre 1993, n. 507 ”.

5.1.2. L’art. 12, comma 3, del d.lgs. 15 febbraio 2016, n. 33 ha dettato una norma di interpretazione autentica dell’art. 93, comma 2, cit., prevedendo, nel testo anteriore alle modifiche apportate dalla l. n. 12/2019 (di conversione del d.l. n. 135/2018), che “ L’articolo 93, comma 2, del decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259, e successive modificazioni, si interpreta nel senso che gli operatori che forniscono reti di comunicazione elettronica possono essere soggetti soltanto alle prestazioni e alle tasse o canoni espressamente previsti dal comma 2 della medesima disposizione ”.

5.1.3. Da ultimo, l’art. 8- bis del d.l. 14 dicembre 2018 n. 135, introdotto dalla legge di conversione 11 febbraio 2019, n. 12, al comma 1 ha stabilito che:

1. Al decreto legislativo 15 febbraio 2016, n. 33, sono apportate le seguenti modificazioni:

(……)

c) all’articolo 12, comma 3, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «, restando quindi escluso ogni altro tipo di onere finanziario, reale o contributo, comunque denominato, di qualsiasi natura e per qualsivoglia ragione o titolo richiesto». ”.

5.2. Con una recente pronuncia espressasi su fattispecie analoga a quella ora in esame e correttamente richiamata dal Comune nelle sue difese (Sez. VI, 3 giugno 2020, n. 3467), questo Consiglio ha avuto modo di precisare come il periodo aggiunto dall’art. 8- bis , comma 1, lett. c) , del d.l. n. 135/2018 alla norma di interpretazione autentica di cui all’art. 12, comma 3, del d.lgs. n. 33/2016 non ne condivida il carattere di norma di interpretazione autentica, ma sia disposizione innovativa, priva, pertanto, di efficacia retroattiva: ciò, in ragione del fatto che l’art. 93, comma 2, del d.lgs. n. 259/2003 (la norma interpretata) si riferiva alle “ prestazioni imposte ” e che la norma interpretativa dell’art. 12, comma 3, cit., ha delineato il perimetro di tali “ prestazioni imposte ”, mentre nel caso ora in esame - al pari di quello oggetto della pronuncia in commento, attinente al Comune di Bolzano – ci si trova dinanzi alla diversa ipotesi del canone liberamente contrattato tra le parti, che non è riconducibile alla categoria delle “ prestazioni imposte ”.

5.3. Si riportano di seguito i passaggi della sentenza ora citata che rilevano anche ai fini della presente controversia:

I contrasti interpretativi in seno alla giurisprudenza amministrativa e ordinaria, che hanno indotto il legislatore ad emanare la norma di interpretazione autentica del comma 2 dell’art. 93 d.lgs. n. 259/2003, ossia l’art. 12, comma 3, d.lgs. 15 febbraio 2016, n. 33, erano insorti in relazione alla questione della persistente assoggettabilità, o meno, al potere attribuito dall’art. 27 d.lgs. n. 285/1992 (preesistente al citato articolo 93) all’ente proprietario della strada, d’imposizione di un canone per l’uso o l’occupazione a qualsiasi titolo del suolo e del sottosuolo della strada medesima;
questione interpretativa, risolta positivamente da una parte della giurisprudenza con il richiamo al primo comma dell’art. 93, laddove lo stesso, con riferimento generale alle attività di «impianto di reti o
[…] esercizio dei servizi di comunicazione elettronica», vieta l’imposizione di oneri o canoni «che non siano stabiliti per legge» (sulla ricostruzione del contrasto interpretativo che aveva dato luogo a detto intervento legislativo, v. Cass. civ., sez. I, 10 gennaio 2017, n. 283, punto 1.2.5.). La sentenza della Corte di cassazione da ultimo citata ha, coerentemente, attribuito valenza di interpretazione autentica all’art. 12, comma 3, d.lgs. n. 33/2016, n. 33 – ovviamente, nella sua versione originaria, l’unica vigente al momento dell’intervento della Corte –, avendo questo stabilito, con specifico riferimento agli «operatori che forniscono reti di comunicazione elettronica», che la disposizione in parola deve essere interpretata nel senso che gli stessi siano sottoposti soltanto alle tasse o canoni ( TOSAP e COSAP ) previsti dal comma 2 dell’art. 93, con ciò restando per tali soggetti esclusa l’applicabilità del comma 1, concernente genericamente l’attività di «impianto di reti» o di «esercizio dei servizi di comunicazione elettronica».

Diversa valenza deve, invece, essere attribuita all’integrazione apportata alla citata norma di interpretazione autentica (contenuta nell’art. 12, comma 3, d.lgs. n. 33/2016) dall’art. 8- bis , comma 1, lettera c) , d.l. n. 135/2018 convertito dalla l. n. 12/2019, n. 12, il quale vi ha inserito l’aggiunta: «restando quindi escluso ogni altro tipo di onere finanziario, reale o contributo, comunque denominato, di qualsiasi natura e per qualsivoglia ragione o titolo richiesto». Trattasi, invero, di norma che, lungi dal limitarsi ad assegnare alla disposizione interpretata (ossia all’art. 93, comma 2, d.lgs. n. 259/2003) un significato già in essa contenuto, riconoscibile come una delle possibili letture del testo originario, estende il contenuto precettivo della limitazione dei poteri impositivi unilaterali degli enti territoriali ad oneri che trovino la loro fonte in qualsiasi altro titolo, anche diversi dai poteri impositivi unilaterali degli enti territoriali, e, quindi, anche ai canoni riconducibili a titoli convenzionali quali – per quanto qui rileva – le convenzioni accessive ad atti di concessione in uso di beni pubblici che, in via pattizia, disciplinano l’assetto patrimoniale del rapporto concessorio.

Infatti, per consolidata giurisprudenza la qualificazione di una disposizione legislativa come norma di interpretazione autentica di preesistenti disposizioni legislative non può fondarsi sul mero titolo del testo legislativo o sui lavori preparatori, oppure sull’intenzione del legislatore in sé considerata, ma presuppone una particolare struttura della fattispecie normativa, per la quale la legge medesima, essendo rivolta a imporre una data interpretazione a una precedente norma, con efficacia retroattiva, lasci immutato il tenore testuale della disposizione interpretata e si limiti a chiarirne e precisarne il significato e a rendere vincolante, tra le tante interpretazioni possibili, una tra le varie interpretazioni possibili, essendo sufficiente che la scelta ermeneutica imposta dalla legge interpretativa rientri tra le varianti di senso compatibili con il tenore letterale del testo interpretato, stabilendo un significato che ragionevolmente poteva essere ascritto alla legge anteriore (v., ex plurimis , Cons Stato, Sez. IV, 27 marzo 2008, n. 1268;
Cons Stato, Sez. VI, 17 novembre 2004, n. 7512);
per converso, non può attribuirsi natura interpretativa alla disposizione che provveda ad integrare il precetto della disposizione preesistente aggiungendone uno nuovo e allargandone l’ambito di applicazione a fattispecie esulanti da quello originario, proprio della norma preesistente.

Alla luce di tali criteri ermeneutici, l’estensione del divieto impositivo di cui all’art. 93, comma 2, d.lgs. n. 259/2003 a fattispecie di determinazione del canone che trovino il loro titolo in una fonte contrattuale e pattizia (accessiva alla concessione in uso del bene pubblico), scaturente dall’aggiunta apportata dall’art. 8- bis , comma 1, lettera c) , d.l. n. 135/2018 alla norma di interpretazione autentica contenuta nell’art. 12, comma 3, d.lgs. n. 33/2016 a sua volta comportante l’ampliamento dell’ambito applicativo dell’art. 93, comma 2, d.lgs. n. 259/2003, deve qualificarsi alla stregua di nuovo ed innovativo precetto normativo: Come tale, lo stesso – in mancanza di diversa disposizione espressa – è applicabile solo alle fattispecie future, da cui invece esula la fattispecie sub iudice , ormai esaurita sotto la disciplina previgente, essendo la concessione-contratto de qua , decorrente dal 15 marzo 2011, venuta a scadenza il 14 marzo 2017, quindi in data anteriore all’entrata in vigore del nuovo precetto normativo ”.

5.4. La pronuncia in commento sottolinea che il fatto che l’art. 93, comma 2, del d.lgs. n. 259/2003, sino alla modifica apportata nel 2018, abbia posto un limite al potere impositivo degli Enti territoriali senza, però, contemplare in alcun modo eventuali canoni pattuiti nell’ambito di concessioni per l’uso di beni demaniali o patrimoniali indisponibili, è conforme al diritto UE. In base al “ Considerando ” 22, seconda parte, della direttiva del 7 marzo 2002 n. 2002/21/CE, che istituisce un quadro normativo comune per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica (direttiva quadro), infatti, le disposizioni della direttiva stessa non pregiudicano “ le disposizioni nazionali vigenti in materia di espropriazione o uso di una proprietà, normale esercizio dei diritti di proprietà, normale uso dei beni pubblici ” (ciò, in armonia con l’art. 345 TFUE ). D’altro canto, l’eventuale applicazione retroattiva dell’art. 8- bis , comma 1, lett. c) , cit. a fattispecie di determinazione del canone che trovino il loro titolo in una fonte di natura contrattuale o comunque pattizia “ comportante ex post e retroattivamente la nullità della clausola del disciplinare per violazione della sopravvenuta norma imperativa, rispettivamente la sua eterointegrazione ai sensi degli artt. 1339 e 1419, comma 2, cod. civ. con il regime del canone forfetario previsto dall’art. 63, comma 2, lettere e) ed f) , d.lgs. n. 446/1997, si porrebbe in contrasto con i principi del legittimo affidamento delle parti contrattuali (compresa la parte pubblica) e della ragionevolezza ”: di tal ché anche per questo verso e in un’ottica di interpretazione costituzionalmente (e comunitariamente) orientata, il predetto art. 8- bis , comma 1, lett. c) non può che qualificarsi come norma innovativa.

5.5. Il Collegio condivide appieno le argomentazioni sopra riportate e aggiunge ad esse che, come si è accennato, l’art. 8- bis è stato introdotto dalla legge di conversione del d.l. n. 135/2018 (la l. n. 12 dell’11 febbraio 2019): ma, ai sensi dell’art. 15, comma 5, della l. n. 400/1988, le modifiche apportate ai decreti legge in sede di conversione hanno effetto ex nunc e non ex tunc . La pretesa di riconoscere al citato art. 8- bis , comma 1, lett. c) , natura di norma di interpretazione autentica e, così, efficacia retroattiva, contrasta, quindi, anche con il dato formale dell’ora menzionato art. 15, comma 5, che ha positivizzato l’insegnamento tradizionale secondo cui gli emendamenti inseriti in sede di conversione dei decreti legge hanno efficacia ex nunc (cosicché non può dirsi formalmente corretto introdurre una norma retroattiva con lo strumento dell’emendamento al decreto legge).

6. Andando ad applicare l’insegnamento giurisprudenziale ora riportato al caso di specie, se ne evince l’impossibilità per Vodafone di giovarsi della modifica prevista dall’art. 8- bis , comma 1, lett. c) , del d.l. n. 135 cit. per i periodi anteriori all’entrata in vigore di detta disposizione: vero è che la stessa ha escluso la debenza da parte dell’operatore di telefonia di qualunque prestazione patrimoniale (tranne TOSAP , COSAP e contributo gallerie) e, dunque, anche dei canoni contrattati negozialmente, ma in virtù del carattere innovativo di tale disposizione, che ha aggiunto all’art. 93, comma 2, del d.lgs. n. 259/2003 un qualcosa che quest’ultimo non prevedeva, la nuova disciplina non si può estendere ai canoni relativi alle annualità anteriori, che la Società sostiene – errando – di non dover pagare se non in misura minima e per i quali ha avanzato richiesta di compensazione con le somme da essa dovute, nonché di restituzione del residuo.

6.1. Va precisato, sul punto, che Vodafone non si è limitata a cessare, a decorrere dall’annualità 2013, di corrispondere il canone annuale convenzionalmente fissato (€ 11.500,00), versandolo nella misura minima di € 516,46, ma ha altresì chiesto a questo Giudice la declaratoria di illegittimità dei canoni pagati ab initio (fin dal 2003), per un totale a tutto il 2013 di € 104.468,04: ma da quanto detto finora emerge l’infondatezza della doglianza, poiché questa riposa sul presupposto erroneo che l’art. 8- bis , comma 1, lett. c) , cit. abbia portata retroattiva, quale norma di interpretazione autentica dell’art. 93, comma 2, del d.lgs. n. 259/2003 e che, perciò, quest’ultima disposizione ab origine – e quindi già all’epoca della stipula tra le parti della concessione-contratto del 2003 – dovesse intendersi nel senso di vietare l’assoggettamento della Società al canone convenzionalmente stabilito, sicché la suddetta concessione-contratto sarebbe, in parte qua , nulla.

6.2. Ad abundantiam , una volta esclusa, per i motivi indicati, l’efficacia retroattiva della disposizione introdotta in sede di conversione del d.l. n. 135/2018, l’affermazione della non debenza da parte della Società del canone contrattualmente fissato per le annualità anteriori all’entrata in vigore al predetto art. 8- bis , comma 1, lett. c) verrebbe a poggiare sulla configurazione delle clausole convenzionali che hanno previsto detto canone come affette da nullità sopravvenuta: senonché, tale istituto civilistico è ipotizzabile, semmai, per le annualità successive all’entrata in vigore della norma e non già per quelle anteriori (cfr. Cass. civ., Sez. I, 31 luglio 2020, n. 16556;
id., 20 gennaio 2017, n. 1580;
id., 9 febbraio 2007, n. 2871;
Sez. VI, 9 ottobre 2017, n. 23485). Va precisato, peraltro, che ai sensi dell’art. 2 della concessione-contratto la durata del rapporto era fissata in nove anni decorrenti dall’11 novembre 2003 con possibilità di rinnovo per altri sei anni, di tal ché la concessione risulta venuta a scadenza prima dell’entrata in vigore dell’art. 8- bis del d.l. n. 135/2018 (introdotto, è d’uopo ribadirlo, dalla legge di conversione n. 12 dell’11 febbraio 2019).

6.3. Correttamente, dunque, la sentenza appellata ha accolto la domanda del Comune di Gussola di accertamento dell’inadempimento di Vodafone all’obbligo di pagare il canone annuo di € 11.500,00 convenzionalmente stabilito per l’uso dell’area demaniale in concessione ai fini dell’installazione su di essa dell’impianto di telefonia mobile e di condanna della citata Società al pagamento delle somme dovute a titolo di canoni dal 2011 al 2018, mentre ha respinto la domanda di Vodafone di declaratoria dell’illegittimità della somma complessiva ricevuta dal medesimo Comune di Gussola fino a tutto il 2013.

6.3.1. Non può essere condivisa, tuttavia, la motivazione della sentenza di prime cure, nella parte in cui afferma che l’art. 93, comma 2, del d.lgs. n. 259/2003, per il suo tenore letterale, non recherebbe una disciplina espressa degli oneri finanziari per l’acquisizione della disponibilità di un’area pubblica al fine di installarvi le opere delle reti di comunicazione elettronica. In particolare, secondo il T.A.R. l’art. 93 cit., pur dopo l’intervento della norma di interpretazione autentica del 2016, nonché dell’art. 8- bis , comma 1, lett. c) , del d.l. n. 135/2018, prenderebbe in considerazione soltanto l’esecuzione dei lavori e l’erogazione dei servizi: dunque, la preclusione di ogni onere aggiuntivo al di fuori di TOSAP o COSAP (e contributo gallerie) riguarderebbe solo tali ambiti, dovendo essa collocarsi nel perimetro oggettivo delineato dallo stesso art. 93, comma 2, il quale non detterebbe una disciplina specifica per l’uso dei beni demaniali. Sicché, in definitiva, non sarebbe vero che dopo l’installazione delle opere, alle occupazioni durevoli mediante stazioni radio base per l’esercizio dei servizi di comunicazione elettronica si applicherebbe la preclusione di cui al citato art. 93, comma 2, in quanto la disponibilità dell’area per effetto dell’assegnazione del bene pubblico sarebbe immune – almeno dal punto di vista strettamente letterale – da una regola vincolante sulla predeterminazione del corrispettivo da versare, con i corollari della legittimità della previsione pattizia di un canone annuo a carico della Società e della fondatezza delle pretese creditorie del Comune.

6.4. La motivazione della sentenza non può, però, essere condivisa, non apparendo corretto affermare che l’art. 93, comma 2, del d.lgs. n. 259/2003 non abbia disciplinato la questione dell’uso del suolo demaniale per l’installazione degli impianti di telefonia mobile e del corrispettivo da versare per tale uso. A ciò osta la considerazione, comune in giurisprudenza e riportata dalla stessa sentenza di prime cure, che la limitazione dell’onere economico del concessionario stabilita dall’art. 93, comma 2, cit. ha natura di principio fondamentale dell’ordinamento del settore delle telecomunicazioni, di tal ché sarebbe singolare che tale principio “copra” l’esecuzione dei lavori (cioè l’installazione delle opere) e l’esercizio dell’attività e non anche l’occupazione dell’area su cui le opere stesse sono installate ai fini dell’erogazione dei servizi: del resto, sul piano strettamente ermeneutico, essendo – come detto – l’occupazione del suolo pubblico con i manufatti (stazioni radio base) strumentale allo svolgimento dell’attività di erogazione dei servizi, essa deve intendersi ricompresa nella nozione di “ esercizio dei servizi di comunicazione elettronica ” contenuta nella norma ora in esame.

6.4.2. A ben vedere, l’errore in cui incorre la sentenza appellata deriva dall’avere anch’essa attribuito all’art. 8- bis , comma 1, lett. c) , del d.l. n. 135/2018 cit. natura di norma di interpretazione autentica dell’art. 93, comma 2, del d.lgs. n. 259/2003, racchiusa dunque nel perimetro oggettivo di questo, per come individuato (non condivisibilmente) dal T.A.R.: laddove invece, la sentenza della Sesta Sezione n. 3467/2020 sopra riferita, nel sottolineare la portata innovativa dell’art. 8- bis , ha indicato come esso abbia esteso la preclusione dell’art. 93, comma 2, cit. anche agli oneri di fonte convenzionale, quali i canoni previsti dalle convenzioni accessive ad atti di concessione in uso di beni pubblici. La Sesta Sezione ha osservato, altresì, come dal punto di vista eurounitario tale aspetto rientri nelle competenze degli Stati membri, poiché a questi ultimi spetta la disciplina dello statuto della proprietà, sia privata che pubblica: disciplina che non è pregiudicata dai Trattati (art. 345 TFUE ). Sicché, in definitiva, è evidente nell’ iter argomentativo seguito dalla sentenza n. 3467/2020 e condiviso da questo Collegio, come la limitazione degli oneri finanziari del concessionario stabilita dall’art. 93, comma 2, del d.lgs. n. 259 cit. (che con l’aggiunta del 2018/2019 “copre” pure i canoni pattiziamente fissati) riguardi anche gli oneri conseguenti all’occupazione stabile di suolo pubblico.

7. La motivazione della sentenza appellata va corretta, altresì, nella parte in cui allega a sostegno della valutazione di fondatezza delle pretese creditorie del Comune la circostanza che l’utilizzo dell’area da parte della concessionaria Vodafone è stato assentito a seguito di una procedura negoziata diretta, a cui si è accompagnata la previsione di un canone annuo, frutto di una libera determinazione delle parti.

7.1. Sostiene al riguardo il T.A.R. che, al fine di garantire concorrenza e parità di trattamento, l’Ente territoriale che intende cedere a terzi l’utilizzo di un’area di proprietà è tenuto ad osservare le regole dell’evidenza pubblica, con indizione di una gara aperta alla platea degli operatori interessati. Nella fattispecie è stata seguita invece la procedura derogatoria della negoziazione diretta, da cui Vodafone avrebbe tratto il vantaggio di essersi sottratta ad un confronto concorrenziale, sicché, avendo aderito a tale modulo procedimentale tipizzato alternativo all’evidenza pubblica (e basato sulle condizioni concordate dalle parti), non potrebbe ora invocarne lo scioglimento, al fine di ottenere un vantaggio ulteriore.

7.2. Senonché, il ragionamento non persuade, perché sembra ricostruire l’operato del Comune come volto ad accordare un privilegio all’operatore, a fronte del quale il canone da versare annualmente si porrebbe più come la contropartita di un simile privilegio, che come il corrispettivo per l’uso del bene pubblico. Tale condotta sarebbe ingiustificata e di legittimità tanto più dubbia, dal momento che nel fare ciò – come afferma la stessa sentenza – il Comune avrebbe rinunciato all’indizione di una gara aperta agli operatori della comunicazione elettronica, al fine di individuare il miglior offerente per conseguire il profitto massimo, ossia il canone di locazione più elevato possibile: ma, allora, sarebbe stridente il contrasto dell’operato del Comune con le regole di buona amministrazione e diverrebbe del tutto contraddittorio il riferimento, che si legge nel prosieguo della sentenza, all’interesse/obbligo degli Enti pubblici di valorizzare il proprio demanio e patrimonio.

7.3. Piuttosto, sembra corretta l’osservazione formulata sul punto dall’appellante nel secondo motivo di gravame, per cui, in base alla disciplina speciale del d.lgs. n. 259/2003, ogni operatore autorizzato a fornire reti pubbliche ha diritto di installare infrastrutture su proprietà pubbliche o private secondo procedure “ semplici, efficaci, trasparenti, pubbliche e non discriminatorie ” (v. art. 86, comma 1, del d.lgs. n. 259 cit.), dove la non discriminatorietà sta a indicare non la necessità di una procedura di selezione, ma il dovere degli Enti territoriali di concedere l’accesso alle infrastrutture disponibili a tutti gli operatori e ciò alle medesime condizioni. Del resto, non è chiaro come potrebbe un Comune, nell’attuale assetto ordinamentale, cercare di spuntare un canone locatizio il più alto possibile tramite una selezione aperta a tutti gli operatori, visto che poi l’onere finanziario dell’operatore risultato in ipotesi vincitore non potrebbe comunque eccedere i limiti e le preclusioni stabilite dall’art. 93, comma 2, del d.lgs. n. 259/2003.

7.4. Di tal ché, anche sotto l’aspetto ora visto la motivazione della sentenza impugnata non convince, dovendosi condividere la doglianza formulata a tal proposito dalla Società con il secondo motivo di appello: tuttavia, la fondatezza di tale doglianza non porta, per quanto sopra detto, all’accoglimento del gravame, ma più limitatamente alla correzione in parte qua della motivazione della sentenza di prime cure, secondo quanto esposto ai paragrafi 7.2 e 7.3.

7.5. L’ultima questione da vagliare è quella della possibilità o meno di configurare il canone stabilito convenzionalmente come uno strumento usato dalla P.A. per eludere il divieto di imporre prestazioni patrimoniali diverse da TOSAP e COSAP , nel qual caso sarebbe ipotizzabile una nullità parziale della convenzione per frode alla legge (art. 1344 c.c.), rilevata d’ufficio da questo Giudice, perché la nullità dedotta da Vodafone ha un diverso fondamento giuridico, fondandosi sulla violazione di una norma imperativa di legge (art. 1418 c.c.).

7.5.1. Tale possibilità, che pur viene adombrata dalla giurisprudenza citata dalla sentenza appellata, nel caso di specie non è rinvenibile, non essendovi elementi per configurare un dolo del Comune. In via generale, peraltro, ragionando in termini di elusione dell’art. 93, comma 2, del d.lgs. n. 259/2003, si torna a configurare tale norma, nella sua versione anteriore al d.l. n. 135/2018, come comprensiva del divieto di qualunque prestazione patrimoniale a carico del concessionario diversa da TOSAP o COSAP , incluse le prestazioni che rinvengano la propria fonte in un titolo convenzionale: il che non è, per tutte le argomentazioni sopra riportate.

8. In conclusione, l’appello deve essere nel suo complesso respinto, attesa l’infondatezza del primo motivo con esso dedotto e conducendo la fondatezza del secondo motivo non al suo accoglimento, ma alle correzioni della motivazione della sentenza gravata che si sono sopra esposte.

9. Sussistono comunque giusti motivi per disporre l’integrale compensazione tra le parti delle spese del giudizio d’appello, attese la complessità delle questioni esaminate e l’esistenza in primo grado di orientamenti giurisprudenziali contrastanti sulle questioni stesse.

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