Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2017-11-08, n. 201705147
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Pubblicato il 08/11/2017
N. 05147/2017REG.PROV.COLL.
N. 09357/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 9357 del 2016, proposto dalla E-Distribuzione Spa (già: Enel Distribuzione S.p.a.), in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dagli avvocati C C, M L T e M M, con domicilio eletto presso lo Studio Legale De Vergottini in Roma, via A. Bertoloni, n. 44;
contro
Comune di Cinquefrondi, in persona del Sindaco
pro tempore
, rappresentato e difeso dall'avvocato R F, con domicilio eletto presso lo studio Giacomo Locopo in Roma, via Parioli, n. 55;
per la riforma della sentenza del T.A.R. della Calabria – Sezione staccata di Reggio Calabria, n. 903/2016;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Cinquefrondi;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 ottobre 2017 il Cons. Claudio Contessa e uditi per le parti gli avvocati Morra e Fidale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue
FATTO
La società Enel Distribuzione s.p.a., concessionaria del servizio pubblico di distribuzione dell’energia elettrica, impugnava dinanzi al T.A.R. dell Calabria – Sezione staccata di Reggio Calabria (ricorso n. 50/2016) il regolamento del Comune di Cinquefrondi (RC) avente ad oggetto la applicazione dei canoni non ricognitori per le occupazioni permanenti del proprio demanio e del patrimonio stradale, adottato ai sensi del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 ( Istituzione dell’imposta regionale sulle attività produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell’Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonché riordino della disciplina dei tributi locali ) e dell’articolo 27 del Codice della strada di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (delibera consiliare n. 39 del 3 settembre 2015).
Impugnava altresì l’atto del 12 novembre 2015 con cui l’amministrazione, in esecuzione delle previsioni contenute nel predetto regolamento, aveva chiesto alla società ricorrente la regolarizzazione dei canoni concessori non corrisposti.
Con il regolamento impugnato l’amministrazione ha assoggettato al canone non ricognitorio previsto dal citato art. 27 Cod. strada, le « occupazioni relative a erogazioni di servizi pubblici in regime di concessione amministrativa ».
Con la sentenza in epigrafe il Tribunale amministrativo adito ha dichiarato il ricorso in parte irricevibile per tardività e in parte inammissibile per carenza di giurisdizione dell’adito Giudice amministrativo.
La sentenza in questione è stata appellata dalla E-Distribuzione s.p.a., la quale ne ha chiesto la riforma articolando i seguenti motivi:
1) In via pregiudiziale: infondatezza della rilevata irricevibilità del ricorso per tardività dell’impugnazione. Violazione e/o fala applicazione degli artt. 29 e 41 c.p.a.;
2) Nel merito: illegittimità degli atti impugnati in primo grado per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 25 e 27 del decreto legislativo n. 285 del 1992 – Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 67 del d.P.R. n. 495 del 1992 e dell’art. 63 del decreto legislativo n. 446 del 1997 – Violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 52 del decreto legislativo n. 446 del 1997 – Eccesso di potere per erroneità dei presupposti e travisamento dei fatti – Violazione del principio di irretroattività di cui all’art. 11 delle preleggi, nonché del principio di legalità, di certezza del diritto e del legittimo affidamento.
Si è costituito in giudizio il Comune di Cinquefrondi, il quale ha concluso nel senso della reiezione dell’appello.
Alla pubblica udienza del 19 ottobre 2017 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
1. Giunge in decisione l’appello proposto dalla E-Distribuzione s.p.a., attiva nel settore della distribuzione di energia elettrica (la quale ha interrato alcuni cavi nel sottosuolo del Comune di Cinquefrondi (RC) ai fini dell’esercizio dell’attività di distribuzione), avverso la sentenza del T.A.R. della Calabria – Sezione staccata di Reggio Calabria - con cui è stato dichiarato in parte tardivo e in parte inammissibile per difetto di giurisdizione il ricorso avverso gli atti di imposizione del pagamento del ‘canone patrimoniale non ricognitorio’ di cui all’articolo 27 del decreto legislativo n. 285 del 1992 (‘ Nuovo codice della strada ’).
2. In primo luogo la Sezione osserva che non è stato ritualmente impugnato il capo della sentenza con cui (peraltro, in senso conforme ad orientamenti ormai consolidati) è stata dichiarata la carenza di giurisdizione del giudice amministrativo in ordine all’impugnativa degli atti puntuali con cui l’Ente ha richiesto il pagamento del canone patrimoniale non ricognitorio.
Su tale capo della sentenza si è quindi formato il giudicato.
3. Con il primo motivo di appello la E-Distribuzione chiede la riforma della sentenza in epigrafe per avere il primo giudice ritenuto che il ricorso di primo grado fosse tardivo per l’omessa tempestiva impugnazione del regolamento comunale recante la disciplina del canone patrimoniale non ricognitorio.
Secondo il T.A.R., infatti, il regolamento in questione (ritualmente pubblicato ai sensi dell’articolo 124 decreto legislativo n. 267 del 2000) conteneva già tutti gli elementi determinativi del tributo e recava quindi prescrizioni immediatamente lesive per la sfera giuridica dei destinatari;da ciò la tardività dell’impugnativa proposta soltanto a seguito della notifica degli atti applicativi del richiamato regolamento.
3.1. Il motivo di gravame è fondato.
Il regolamento comunale impugnato, coerentemente con il suo nomen iuris (‘ Regolamento per la disciplina dei canoni concessori non ricognitori ’), presenta indubbiamente un contenuto normativo, in quanto individua, con previsioni generali e astratte, le tipologie di concessioni sottoposte al canone concessorio non ricognitorio, i relativi presupposti applicativi e i criteri di quantificazione del canone.
Come la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ha ripetutamente affermato, rispetto agli atti di contenuto normativo (tra i quali evidentemente rientra il regolamento oggetto del giudizio), è soltanto con il successivo atto applicativo che si viene a radicare tanto l’interesse al ricorso, quanto la legittimazione a ricorrere (in tal senso – e in relazione alla materia che ne occupa -: Cons. Stato, V, sent. 1926 del 2016; id ., V, 2294 del 2016; id ., V, 2913 del 2016; id ., V, 4130 del 2016).
Pur non mancando isolate pronunce in senso contrario, la Sezione è dell’avviso che non sussistano ragioni per discostarsi dal prevalente indirizzo giurisprudenziale sopra ricordato.
A differenza di quanto ritenuto dal tribunale infatti, sebbene il regolamento preveda, in via generale ed astratta, che anche le concessioni di suolo pubblico finalizzate alla distribuzione di energia elettrica rientrino tra quelle soggette al canone concessorio non ricognitorio, tuttavia, è solo l’adozione dell’atto applicativo che concretizza ed attualizza la lesione e, soprattutto, differenzia l’interesse del singolo concessionario rispetto a quello di tutti gli altri concessionari che, rispetto all’annullamento della previsione normativa generale e astratta, si trovano nella medesima indifferenziata posizione.
In senso contrario non puoÌ€ rilevare la circostanza che alcune disposizioni del regolamento possano prefigurare una incisione futura sulla sfera giuridica di chi ne risulteraÌ€ in concreto destinatario, atteso che la lesione che radica l’interesse deve essere attuale e non puoÌ€ discendere da un pregiudizio futuro ed eventuale.
L’atto applicativo, oltre a radicare l’interesse al ricorso, determina, inoltre, come si è accennato, anche la legittimazione a ricorrere.
L’interesse all’annullamento del regolamento, invero, all’interno della “categoria” o della “classe” dei suoi potenziali destinatari è un interesse indifferenziato, seriale, adesposta (nella sostanza un interesse diffuso): esso diventa interesse soggettivamente differenziato (e, quindi, interesse legittimo) solo nel momento in cui il regolamento è concretamente applicato nei confronti del singolo.
Fino al momento dell’adozione dell’atto applicativo, quindi, il termine per l’azione di annullamento non può decorrere, perché non sono ancora sorte, per il singolo concessionario, le (necessarie) condizioni dell’azione, ovvero l’interesse al ricorso e la legittimazione al ricorso.
Il ricorso di primo grado (proposto soltanto a seguito della notifica del provvedimento in data 20 ottobre 2015, con il quale è stato richiesto il pagamento del canone per cui è causa) deve quindi essere dichiarato tempestivo, in quanto proposto entro l’ordinario termine di sessanta giorni decorrente dalla notifica di quel provvedimento.
3.2. Non può giungersi a conclusioni diverse da quelle appena delineate neppure in considerazione del fatto che, nel giudizio di primo grado, il ricorso avverso l’atto applicativo sia stato dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione (e che sul relativo capo della sentenza si sia ormai formato il giudicato).
L’atto applicativo, nel caso di specie, rileva soltanto come condicio sine qua non al fine di differenziare l’interesse e concretizzarne la lesione, radicando in capo al singolo concessionario (nella specie Enel) interesse e legittimazione al ricorso contro il regolamento.
L’ammissibilità (o la procedibilità) del ricorso avverso il regolamento non può, tuttavia, essere subordinata all’ulteriore condizione che l’impugnazione dell’atto applicativo rientri anch’essa nella giurisdizione del giudice amministrativo. Un simile assunto porterebbe all’inaccettabile risultato di escludere l’azione di annullamento contro quei regolamenti che (come quello oggetto del presente giudizio) regolano canoni, corrispettivi, indennità o che, comunque, incidono, a valle, su rapporti paritetici, rispetto ai quali la giurisdizione sull’atto applicativo non appartiene di regola al giudice amministrativo. Una simile conclusione, oltre che palesemente irragionevole, solleverebbe profili di significativo contrasto con i principi costituzionali che garantiscono l’effettività diritto di azione contro gli atti della pubblica amministrazione (artt. 24, 103 e 113), non consentendo che esso sia limitato o escluso “ per determinate categorie di atti ” (art. 113, comma 2, Cost.)
3.3. La domanda di annullamento del regolamento è, quindi, ricevibile e va, di conseguenza, esaminata nel merito.
4. Nel merito il ricorso è fondato per l’assorbente ragione che il ricorso impugnato in primo grado impone la corresponsione del canone non ricognitorio al di fuori delle ipotesi legali in cui esso può essere legittimamente imposto e preteso.
4.1. Un orientamento ormai consolidato (e qui condiviso) ha rilevato, per un verso, che l’articolo 27 del Codice della strada va essenzialmente letto alla luce del principio generale posto dall’articolo 1, vale a dire come corpo normativo inteso alla sicurezza delle persone nella circolazione stradale, rispetto al quale le sue norme sono evidentemente serventi, e, per altro verso, che l’articolo stesso fonda la legittimità dell’imposizione del canone non ricognitorio su un provvedimento di autorizzazione o di concessione dell’uso singolare della risorsa pubblica - la sede stradale - (in tal senso, ex multis : Cons. Stato, V, 1926 del 2016, cit.).
Tuttavia, l’insieme delle disposizioni del Titolo II (Della costruzione e tutela delle strade) di quel Codice (per come espressamente richiamate dal ridetto articolo 27) dimostra che le concessioni e le autorizzazioni che giustificano l’imposizione del canone non ricognitorio di cui all’articolo 27 sono caratterizzate dal tratto comune – riferibile in ultimo alla libera e sicura circolazione delle persone sulle strade – di sottrarre in tutto o in parte l’uso pubblico della res a fronte dell’utilizzazione eccezionale da parte del singolo.
E’ qui il caso di richiamare:
- le ipotesi di autorizzazione all’occupazione della sede stradale anche con “ veicoli, baracche, tende e simili ” ai sensi dell’articolo 20;
- le ipotesi di autorizzazione o concessione all’esecuzione di “ opere o depositi e aprire cantieri stradali, anche temporanei, sulle strade e loro pertinenze, nonché sulle relative fasce di rispetto e sulle aree di visibilità ” ai sensi dell’articolo 21;
- le ipotesi di autorizzazione alla realizzazione di “ nuovi accessi e nuove diramazioni dalla strada ai fondi o fabbricati laterali, [ovvero di] nuovi innesti di strade soggette a uso pubblico o privato ”, ovvero ancora di passi carrabili ai sensi dell’articolo 22.
In tutti detti casi è evidente che la condizione a un tempo necessaria e sufficiente per giustificare l’imposizione del canone ricognitorio sia rappresentata dal rilascio di un titolo che abilita a un uso singolare della risorsa pubblica, limitandone o comunque condizionandone in modo apprezzabile il pieno utilizzo.
Ai fini della presente disamina merita particolare attenzione –sempre considerando il ricordato principio generale - la previsione di cui all’articolo 25 del Codice (rubricato “ Attraversamenti ed uso della sede stradale ”), secondo cui “ non possono essere effettuati, senza preventiva concessione dell'ente proprietario, attraversamenti od uso della sede stradale e relative pertinenze con corsi d'acqua, condutture idriche, linee elettriche e di telecomunicazione, sia aeree che in cavo sotterraneo, sottopassi e soprappassi, teleferiche di qualsiasi specie, gasdotti, serbatoi di combustibili liquidi, o con altri impianti ed opere, che possono comunque interessare la proprietà stradale. Le opere di cui sopra devono, per quanto possibile, essere realizzate in modo tale che il loro uso e la loro manutenzione non intralci la circolazione dei veicoli sulle strade, garantendo l'accessibilità delle fasce di pertinenza della strada ”.
La disposizione è pertinente al fine di vagliare la legittimità dell’imposizione da parte dell’ente locale di un canone ricognitorio a fronte della posa, in prossimità della sede stradale, di infrastrutture pubbliche cc. dd. “a rete”, come quelle che rilevano ai fini del presente giudizio.
La disposizione (in relazione sistematica con il successivo articolo 27, che fonda la pretesa del Comune appellante) rende palese che:
- ciò che rileva, al fine di fondare la pretesa dell’ente locale, non è un qualunque utilizzo della sede stradale (nonché dello spazio soprastante e sottostante ad essa), bensì un utilizzo singolare che incida in modo significativo sull’uso pubblico della risorsa viaria;
- ciò che rileva ai medesimi fini è il singolare “uso della sede stradale” (laddove l’articolo 3, comma 1, n. 46 del Codice definisce la sede stradale come “ superficie compresa entro i confini stradali. Comprende la carreggiata e le fasce di pertinenza ”).
Ebbene, il fatto che il Codice abbia operato un espresso richiamo alla sola “sede stradale” ( i. e.: alla superficie e non anche al sottosuolo e al soprasuolo) depone nel senso che l’imposizione di un canone non ricognitorio a fronte dell’uso singolare della risorsa stradale è legittima solo se consegue a una limitazione o modulazione della possibilità del suo tipico utilizzo pubblico;ma non anche a fronte di tipologie e modalità di utilizzo (quali quelle che conseguono alla posa di cavi e tubi interrati) che non ne precludono ordinariamente la generale fruizione.
Naturalmente, in questi ultimi casi, l’imposizione di un canone non ricognitorio avrà un giusto titolo che la renderà legittima per il tratto di tempo durante il quale le lavorazioni di posa e realizzazione dell’infrastruttura a rete impediscono la piena fruizione della sede stradale;ma non si rinviene una giustificazione di legge per ammettere che una siffatta imposizione possa proseguire anche indipendentemente da questa occupazione esclusiva, cioè durante il periodo successivo (che può essere anche pluridecennale) durante il quale la presenza in loco dell’infrastruttura di servizio a rete non impedisce né limita la pubblica fruizione della sede stradale.
4.2. Riconducendo i princìpi appena richiamati alle peculiarità del caso in esame, si osserva che il regolamento comunale impugnato in primo grado risulta in radice contrastante con il richiamato paradigma normativo in quanto consente l’imposizione del canone patrimoniale non ricognitorio anche in ipotesi in cui tale imposizione non risulti in alcun modo correlata con l’‘utilizzo singolare’ della risorsa stradale.
Per effetto del regolamento in questione, infatti, il Comune ha assoggettato all’imposizione coattiva per cui è causa anche le infrastrutture del servizio di distribuzione dell’energia elettrica le cui condutture – secondo circostanze non contestate in atti – sono realizzate in interrato, nonché in sedi stradali appositamente deputate alla collocazione dei sottoservizi ( i.e .: secondo modalità che non escludono in alcun modo – sia pure parziale – la piena fruibilità della sede stradale da parte degli utenti).
Basti osservare al riguardo che l’articolo 2 del Regolamento in esame (articolo rubricato ‘ Tipologie soggette al Canone di concessione non ricognitorio ’), in combinato disposto con l’Allegato ‘A’, assoggetta ad imposizione – inter alia – tutte “ [le] condutture sotterranee per la distribuzione di (…) energia elettrica ”.
4.3. La circostanza appena esposta risulta del tutto dirimente ai fini del decidere e comporta di per sé l’annullamento del regolamento impugnato, palesando l’illegittimità dello stesso presupposto impositivo.
Restano quindi assorbiti gli ulteriori motivo con cui la E-Distribuzione lamenta sotto ulteriori e diversi aspetti l’illegittimità del medesimo regolamento comunale.
5. Per le ragioni esposte deve in primo luogo essere confermato il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in relazione all’impugnativa dei singoli atti impositivi del canone patrimoniale non ricognitorio.
Nel merito la sentenza in epigrafe deve essere parzialmente riformata, per la parte in cui ha statuito la tardività dell’impugnativa proposta avverso il Regolamento comunale recante la disciplina del canone non ricognitorio: il ricorso in primo grado, che deve essere considerato tempestivo per le ragioni dinanzi evidenziate, risulta fondato e conseguentemente deve essere disposto l’annullamento del richiamato regolamento comunale.
La Sezione ritiene che sussistano giusti ed eccezionali motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese fra le parti.