Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2019-12-03, n. 201908285

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2019-12-03, n. 201908285
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201908285
Data del deposito : 3 dicembre 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 03/12/2019

N. 08285/2019REG.PROV.COLL.

N. 08065/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8065 del 2017, proposto da
C D, rappresentata e difesa, giusta procura in separato foglio, unito al ricorso in appello a formarne parte integrante e sostanziale, dall’avv.to B d V, con studio in via Aspromonte, 31, Reggio Calabria, entrambi elettivamente domiciliati in Roma, via Mario Cartaro, 5, presso lo studio dell’avv.to S T, e con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia;

contro

Il Comune di Villa San Giovanni, in persona del legale rappresentante pro - tempore , elettivamente domiciliato in Roma, via Ludovisi n. 36, presso lo studio dell’avv. A C, dal quale è rappresentato e difeso, giusta procura a margine della memoria di costituzione e in forza di decreto n. 92/2017 del 7.11.2017;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria, 24 aprile 2017, n. 386, resa tra le parti, che ha respinto il ricorso n.298/2016 R.G. proposto per l’annullamento del provvedimento 27 gennaio 2016, prot. n. 2162, notificato il giorno 3 febbraio 2016, con il quale il Comune di Villa San Giovanni ha denegato il rilascio del permesso di costruire in sanatoria di cui all’istanza di condono edilizio 21 ottobre 2015 n.20463 del 21.10.2015 e contestualmente ha ordinato la demolizione in quanto abusive delle opere cui l’istanza si riferisce;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Villa San Giovanni;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 novembre 2019 il Cons. Paolo Carpentieri e uditi per le parti gli avvocati Garruba, in dichiarata delega dell'avvocato Biagio Di Vece, e Domenico Sorace, in dichiarata delega dell'avvocato A C;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Con ricorso notificato il 18 ottobre 2017 la sig.ra C D ha proposto appello avverso la sentenza 24 aprile 2017, n. 386, con la quale il T.A.R. per la Calabria, Sezione di Reggio Calabria, ha respinto, con condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio in favore del Comune di Villa San Giovanni, il ricorso proposto per l’annullamento del provvedimento prot. n. 2162 del 27 gennaio 2016, notificato il 3 febbraio 2016, con il quale il Comune di Villa San Giovanni ha negato il rilascio del permesso a costruire in sanatoria ex art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001, di cui all’istanza n. 20463 del 21 ottobre 2015, con contestuale ordine di demolizione dei manufatti abusivi.

2. Giova, per una migliore comprensione della fattispecie, un breve riepilogo dei fatti di causa.

2.1. La sig.ra C D, proprietaria di un immobile sito nel Comune di Villa San Giovanni, località Ferrito, via Zagarella n. 12, identificato in catasto al foglio di mappa 5, particella n. 216, ultimato nel 1965, edificato in ampliamento di un immobile preesistente in muratura ordinaria risalente a prima del 1965 (presumibilmente ante 1942), confinante a nord con la scarpata ferroviaria, a sud con via Zagarella, ad ovest con il Torrente Piria e ad est con un rudere di altra ditta, presentava in data 30 aprile 1986 un’istanza di condono edilizio al Comune di Villa San Giovanni (prot. n. 6294, pratica n. 720) Nella suddetta istanza si dichiarava che l'immobile, ricadente in zona urbanistica B in area sottoposta a vincolo sismico e paesistico, era utilizzato come residenza primaria, era costituito da tre piani fuori terra (compreso il seminterrato), presentava una struttura prevalente in cemento armato, era stato ultimato nel 1965 ed aveva una superficie utile abitabile di mq 134,80 e una superficie complessiva di mq 207,50.

2.2. Il Comune di Villa San Giovanni chiedeva, con nota prot. n.6391 del 27 aprile 2006, il deposito della documentazione obbligatoria e il pagamento della differenza dell’importo versato a titolo di oblazione, pari ad euro 417,66. Successivamente, il 10 aprile 2014 il Comune chiedeva ancora una volta il deposito della documentazione senza richiedere il pagamento di altri oneri. La ditta depositava nel 2014 nuova documentazione. Sennonché il Comune di Villa San Giovanni notificava il provvedimento prot. n. 0013328 del 20 luglio 2015 di diniego del rilascio del condono e contestuale ordine di demolizione. La C impugnava dinanzi al Tar di Reggio Calabria tale diniego di condono, con ricorso ancora pendente alla data di proposizione dell’appello in trattazione.

2.3. Successivamente al diniego di condono, la ricorrente presentava comunque una distinta domanda di accertamento di conformità ai sensi dell’art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001 (prot. n. 20463 del 21 ottobre 2015). Tale ultima domanda è stata dunque respinta, con il provvedimento comunale oggetto di lite n. 2162 del 21 gennaio 2016, con pedissequo ordine di demolizione delle opere realizzate e il ripristino dello stato dei luoghi.

2.4. Il diniego impugnato presenta una plurima motivazione: l'istanza di sanatoria, riguardante una porzione di fabbricato in c.a. per civile abitazione a due piani fuori terra e parziale terzo piano, in ampliamento ad un fabbricato esistente di civile abitazione in muratura a due piani fuori terra, altro non sarebbe che una riproposizione della precedente istanza di condono edilizio (prot. n. 6294 del 30 aprile 1986) per la quale l'Amministrazione comunale aveva già emesso un provvedimento di diniego e contestuale ingiunzione a demolire (prot. 13328 del 20 luglio 2015), impugnato dinanzi al TAR dalla ditta ricorrente. Il dichiarato piano seminterrato risulterebbe aperto su tre lati e doveva dunque considerarsi alla stregua di un piano terra abitabile. La planimetria dello stato dei luoghi esibita era incompleta dell'indicazione di eventuali fabbricati limitrofi esistenti (compresi ruderi) ovvero dell'indicazione di suolo libero posti sul lato est (part. 77) del fabbricato in esame, dell'indicazione dell'area di parcheggio asservita al fabbricato, nonché dell'indicazione numerica della distanza dal fronte nord del fabbricato al prospiciente confine di proprietà. Le opere oggetto della sanatoria, seppur ricadenti nella sottozona B2 (completamento edilizio), indipendentemente dalla loro conformità o meno alle normative urbanistiche vigenti nell'anno 1965 (anno di costruzione dichiarato dalla ditta, ma non dimostrato), non risultavano conformi alle prescrizioni urbanistiche stabilite dall'art. 16 delle norme tecniche di attuazione del PRG, dalla legge n. 122 del 1989 in materia di parcheggi, dalla legge n. 1684 del 1962 in tema anche di distanze di costruzioni dai confini e dal codice civile, vigenti alla data di presentazione della domanda di sanatoria, in quanto risultavano realizzate in prospicienza a strada inferiore a mt 8,00 di larghezza, ovvero il cui lotto non risultava collegato alla viabilità principale da strada inferiore a mt 10,00 di larghezza, erano prive di aree di parcheggio ai sensi della legge n. 122 del 1989 in relazione alla volumetria realizzata;
inoltre, il fabbricato sul lato Nord era risultato posto a una distanza dal confine di proprietà da un minimo di m 1,00 ad un massimo di m 1,70, inferiori ai m. 3,00 prescritti dall'art. 8 della legge n. 1684 del 1962, sul lato Nord del fabbricato il balcone posto al primo piano risultava sconfinare in parte sull'attigua part. 71 di proprietà di altra ditta e in parte collocato a distanza illegale dal confine stesso, in quanto inferiore a m. 1,50 prescritti dall'art. 905 del codice civile. Le opere abusivamente realizzate consistenti in nuovi ampliamenti di superfici e volumi utili, non potevano comunque essere assoggettate a compatibilità paesaggistica sia perché, ai sensi dell'art. 1, comma 39, della legge n. 308 del 2004, non era stata presentata domanda all'autorità preposta alla gestione del vincolo entro il termine perentorio del 31 gennaio 2005, sia perché non rientranti nei casi elencati al comma 4 dell’art. 167 del d.lgs. n. 42 del 2004.

2.5. Avverso il suddetto provvedimento n. prot. 2162 del 27 gennaio 2016, di diniego dell’accertamento di conformità, la ditta C proponeva ricorso innanzi al TAR della Calabria, ricorso respinto con la sentenza del Tar reggino qui appellata, n. 386 del 2017.

3. Il Giudice territoriale ha respinto il ricorso della sig.ra C ritenendo che legittimamente il Comune aveva ritenuto che la costruzione abusiva fosse composta, diversamente da quanto dichiarato, da un ulteriore piano costituito non già da un seminterrato, bensì da un piano terra;
che correttamente il Comune aveva rilevato il mancato rispetto delle distanze tra costruzioni, circostanza rilevante non solo nei rapporti privatistici, ma anche sul piano amministrativo;
che effettivamente le opere realizzate non erano conformi allo strumento urbanistico in vigore nel Comune di Villa San Giovanni poiché contrastanti con le previsioni contenute nell’art. 16 delle N.T.A., nonché con le leggi nn. 122 del 1989 e 1684 del 1962;
che effettivamente le opere non erano suscettibili di autorizzazione paesaggistica ex post ai sensi dell’art. 167 del d.lgs. n. 42 del 2004;
che, diversamente dalla tesi di parte ricorrente (settimo motivo di ricorso), il provvedimento gravato non recava alcuna comminatoria della sanzione pecuniaria di euro 20.000 unitamente alla sanzione reale ripristinatoria, ma si era limitato ad indicare le conseguenze che, a norma dell’art. 31 del testo unico dell’edilizia, conseguono alla mancata ottemperanza all’ordine di demolizione in caso di abuso su area sottoposta a vincolo;
che, infine, doveva considerarsi irrilevante il tempo intercorrente tra la commissione di un abuso edilizio e l’emanazione del provvedimento di demolizione, non essendo ravvisabile alcun legittimo affidamento sulla sanabilità delle opere.

4. La ricorrente censura la sentenza appellata in primo luogo per omessa motivazione “ in ordine alla non ammissione del mezzo istruttorio richiesto (nomina di un verificatore o di un CTU), non vagliata dal Collegio e laddove non lo considera omettendo del tutto di menzionarlo e valutarlo ”, tenuto conto anche del fatto che questa Sezione, nella sede dell’appello cautelare avverso l’ordinanza del Tar di rigetto della richiesta “sospensiva”, aveva già statuito circa la necessità della verificazione (con ordinanza cautelare n°4007/2016, nella quale la Sezione aveva ritenuto “ che nelle more degli opportuni accertamenti istruttori che saranno svolti in primo grado ai fini della decisione sul merito in ordine alla sanabilità della cubatura edilizia oggetto dell’avversato diniego di sanatoria appare opportuno fare luogo alla sospensione dell’efficacia degli atti in quella sede avversati (ivi incluso l’ordine di demolizione) risultando palese il danno grave e l’opportunità che alla definizione del giudizio di merito si addivenga re adhuc integra ”).

5. Il ricorso d’appello critica, dunque, la sentenza appellata nella parte in cui ha disatteso le plurime censure proposte in primo grado avverso l’atto impugnato, così ripercorrendo in sostanza i motivi di doglianza ivi prospettati e ritenuti infondati dal primo Giudice.

5.1. Più nel dettaglio, la parte appellante contesta la sentenza di primo grado nella parte in cui ha respinto la censura di violazione dell’art. 33 del regolamento edilizio comunale ed ha escluso la natura di seminterrato (e non di piano terra) della porzione del manufatto B (abusivo), in realtà allineato al piano campagna del corpo A preesistente. Il corpo B, caratterizzato da un lato interamente contro terra, sarebbe stato edificato a livello del corpo A e quindi in linea con il piano di campagna di quest’ultimo e posto ad una quota superiore del retrostante corpo B, che segue il declivio della collina su cui insiste. Il piano seminterrato del corpo B, inoltre, non sarebbe abusivo perché derivante dal recupero di una preesistente stalla.

5.2. La sentenza appellata avrebbe errato, inoltre, nella parte in cui non ha censurato l’avvenuta considerazione, da parte del Comune, di profili squisitamente privatistici e non di natura pubblicistica, stante l’assenza di sconfinamento e la non edificabilità dell’area limitrofa, nonché nella parte in cui non ha tenuto conto della doppia conformità urbanistica, illegittimamente non considerata dall’amministrazione.

5.3. Avrebbe altresì errato la sentenza appellata nella parte in cui non ha ritenuto l’illegittimità del provvedimento impugnato per violazione dell’art. 16, lettera b ), delle NTA, dell’art. 2, comma 2, della legge n. 122 del 1989 in materia di parcheggi, nonché per eccesso di potere sotto vari profili e per violazione dell’art. 52 del regolamento edilizio. Il provvedimento impugnato – e la sentenza appellata - sarebbero illegittimi nella parte in cui non avrebbero considerato la condizione reale dello stato dei luoghi e avrebbero di conseguenza fatto un’applicazione erronea dell’art. 16 delle NTA, che disciplina la costruzione nella zona B, sottozona B2, in cui è inserito il manufatto in questione: non vi sarebbero, a detta dell’appellante, impedimenti legati alla prospicienza a strade, sarebbe rispettato il rapporto di copertura pari a 2/3 dell’area libera (il manufatto occuperebbe mq 124 e dunque nel rispetto del rapporto di copertura stabilito dal detto articolo 16, pari a 2/3 della superficie del lotto, essendo il lotto di proprietà C pari a 300 mq), sarebbe rispettata la distanza rispetto agli altri fabbricati (nel caso di specie, di 10 mt e quindi superiore ai 6 mt di cui al detto art. 16), così come la distanza dai confini (che sarebbe di 6 mt superiore ai 3 previsti). Sarebbe rispettata, inoltre, contrariamente a quanto asserito nel provvedimento impugnato, la prescrizione di cui alla legge n. 122 del 1989, poiché lo spazio destinato a parcheggio sarebbe pari a 100 mq, dislocato nel terreno identificato con la particella 75, graffata a sud del manufatto stesso, che presenta uno sviluppo volumetrico pari a 726 mc, ed attiguo a questo.

5.4. Un ulteriore profilo di censura della sentenza appellata concerne l’asserita insanabilità delle opere dal punto di vista paesaggistico. Si tratterebbe, a detta di parte ricorrente, di opere sanabili anche paesaggisticamente, in quanto rientranti tra quelle di cui all’art. 167, comma 4, del d.lgs. n. 42 del 2004 e comunque assoggettabili al parere del Ministero di settore del 16 dicembre 2015.

5.5. La sentenza appellata sarebbe inoltre errata nella parte in cui ha ritenuto legittima l’irrogazione della sanzione pecuniaria di euro 20.000 in aggiunta all’ingiunzione di demolizione. La sanzione pecuniaria avrebbe dovuto essere prevista solo qualora venisse constatata l’inottemperanza, ovverosia non fosse eseguita la demolizione nei termini.

5.6. La sentenza appellata sarebbe infine errata nella parte in cui non ha accolto le censure dedotte in primo grado contro la lesione del legittimo affidamento del privato, posto che l’amministrazione comunale intimata non aveva mai disconosciuto nel corso degli ultimi cinquant’anni dall’edificazione dei servizi igienici la loro legittimità e perfetta rispondenza all’assetto urbanistico comunale ed aveva sempre ricevuto dalla ditta C il pagamento di tutti gli oneri comunali, ossia allaccio alla rete fognaria, al servizio idrico comunale, allo smaltimento delle acque bianche e nere. Il manufatto abusivo inoltre risulterebbe strettamente connesso, anzi strutturalmente collegato al corpo di fabbrica denominato A, preesistente, ove risiede la madre ultraontantenne della signora C, sicché se il corpo B dovesse subire la demolizione, da ciò deriverebbero danni irreversibili alla struttura cui è ormai e da tempo, strettamente collegato, esponendo quasi certamente il corpo A al crollo, determinando così la perdita dell’unica abitazione ove la signora C e la di lei madre risiedono da sempre. A distanza di ben cinquant’anni dall’abuso, l’ordine di demolizione avrebbe dovuto contenere un’esaustiva motivazione circa l’esistenza delle ragioni di ordine pubblico che ne giustifichino l’adozione.

6. Si è costituito a resistere in appello il Comune di Villa San Giovanni, con memoria di costituzione depositata il 6 dicembre 2017, nella quale ha concluso per il rigetto dell’appello.

7. Con ordinanza n. 5426/2017 del 13 dicembre 2017 la Sezione ha disposto la sospensione dell’esecutività della sentenza appellata (“ Rilevato che l’ordinanza impugnata pregiudica irreparabilmente l’interesse sostanziale dedotto in giudizio e che, in relazione all’entità strutturale e morfologica del manufatto realizzato senza titolo edilizio, la cognizione delle censure necessita d’approfondimento nel merito ”).

8. All’udienza di merito dell’11 ottobre 2018 la Sezione, con l’ordinanza istruttoria n. 6284 dell’11 ottobre 2017, ha disposto una verificazione (“ Ritenuto che ai fini di decidere è necessario acquisire analitica relazione su natura, tipologia e presunta data d’esecuzione delle opere realizzate senza titolo edilizio nell’edificio di proprietà dell’appellante con specifico riferimento alla morfologia ed alla struttura composita del manufatto ”).

9. È seguito il decreto collegiale n. 960/2019 dell’8 febbraio 2019, con il quale la Sezione ha concesso la proroga di ulteriori 60 giorni il termine di deposito della relazione di verificazione.

10. Con decreto monocratico n. 201/2019 del 22 febbraio 2019 è stato autorizzato il verificatore arch. D S A al deposito cartaceo della documentazione relativa alla verificazione.

11. Con successivo decreto collegiale n. 03342/2019 del 23 maggio 2019 si è provveduto alla liquidazione del compenso all’arch. D S A, pari a complessive euro 2.287,00, ponendolo provvisoriamente a carico della ricorrente sig.ra Domenica C.

12. In data 7 marzo 2019 è stata depositata la relazione di verificazione.

13. Le parti hanno depositato memorie all’esito della verificazione, insistendo nelle proprie tesi (la ricorrente in data 20 ottobre 2019, il Comune in data 24 ottobre 2019).

14. Alla pubblica udienza del 28 novembre 2019 la causa è stata chiamata, discussa e assunta in decisione.

DIRITTO

1. L’appello è infondato e andrà come tale respinto.

2. Occorre in primo luogo premettere che fuoriesce dal tema della decisione la questione pregiudiziale se, a seguito del diniego della domanda di condono con annesso ordine di demolizione, la medesima parte possa presentare una nuova e autonoma domanda volta a ottenere l’accertamento di conformità ex art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001 delle stesse opere abusive per le quali l’amministrazione ha già respinto la precedente domanda di condono. Il primo dei plurimi motivi di diniego sui quali è fondato il provvedimento impugnato consiste esattamente nel rilievo che la domanda ex art. 36 (prot. n. 20463 del 21 ottobre 2015) altro non era che una riproposizione di un'istanza di condono edilizio (prot. n. 6294 del 30 aprile 1986) per la quale l'Amministrazione comunale aveva già emesso un provvedimento di diniego di condono edilizio e contestuale ingiunzione a demolire (prot. 13328 del 20 luglio 2015), impugnato dinanzi al TAR dalla ditta ricorrente. Questo profilo, pure in astratto rilevante, non è stato esaminato nella sentenza di primo grado e non può, dunque, essere vagliato nella presente sede di appello.

3. Occorre, dunque, esaminare nel merito i diversi motivi dell’impugnato diniego, ritenuti legittimi dal Giudice di primo grado e invece qui riproposti dalla parte appellante, in termini di critica alla prima decisione. Con l’avvertenza che, trattandosi, come detto, di provvedimento plurimotivato, è sufficiente ad accertarne la legittimità la ritenuta validità anche di uno solo di tali motivi, con conseguente respingimento del gravame. Ed invero, ciascuno dei plurimi motivi di rigetto della domanda di sanatoria oggetto di lite risulta idoneo di per se solo a sorreggere la validità del diniego impugnato, sicché l’accoglimento del ricorso richiederebbe la confutazione di ciascuno e di tutti i sopra detti motivi di reiezione.

4. Ebbene, alla stregua delle risultanze della eseguita verificazione, i primi – e più rilevanti - motivi di diniego devono giudicarsi legittimi, risultando infondate le contestazioni di parte ricorrente ad essi riferite.

5. Occorre in primo luogo evidenziare che la prima censura portata contro la sentenza appellata, inerente il mancato accoglimento delle istanze istruttorie avanzate in primo grado, risulta superata e assorbita dalla verificazione disposta nel presente grado di giudizio.

6. Venendo all’esame delle altre censure, sulla base delle non contestate conclusioni della esperita verificazione, che il Collegio giudica correttamente svolta e logicamente condotta, e che ha fornito, come richiesto, una “ analitica relazione su natura, tipologia e presunta data d'esecuzione delle opere realizzate senza titolo edilizio nell'edificio di proprietà dell'appellante con specifico riferimento alla morfologia ed alla struttura composita del manufatto ”, risulta che l'immobile per cui è causa consta di due corpi di fabbrica, identificati come A e B, con ingressi indipendenti, corrispondenti ai numeri civici n. 4 e 6, realizzati in epoche diverse e tra loro comunicanti, tali da formare un'unica unità abitativa, con ingressi posti a due diversi livelli, in conseguenza del dislivello dell'area edificata.

Dal sopralluogo effettuato e dal riscontro con le planimetrie allegate all'istanza ex art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001, il verificatore ha rilevato “ che le parti oggetto di sanatoria, evidenziate in giallo, identificate come corpo B sono indicate in modo errato in quanto includono nel corpo B una porzione del fabbricato in muratura, facente parte del corpo A ”. Ma nella stessa prospettazione di parte ricorrente è il corpo “B” ad essere indicato come quello oggetto della domanda di sanatoria per cui è processo [ad es., pag. 2 del ricorso ina appello: “ L’immobile da sanare (corpo B) e quello preesistente (corpo A) ”].

La verificazione ha poi stabilito che la parte del fabbricato, identificata come "corpo A", risulta esser stata originariamente edificata antecedentemente al 1939, sia per quanto rinvenuto presso gli uffici catastali, ovvero planimetria del corpo A datata 31 dicembre 1939, che ne rispecchia la sagoma esterna, sia sulla base di quanto riscontrato durante il sopralluogo. Ha altresì stabilito che, invece, il corpo B, interessato dalla domanda di sanatoria per cui è causa, “ ha una struttura portante in cemento armato ed è costituito da un piano terra, da un primo piano e da un parziale secondo piano con terrazza a livello ”. “ Il suddetto piano terra – aggiunge il verificatore - risulta illuminato su tre lati ovvero dal lato Nord e dal lato Ovest da due finestre e un finestrone, oltre la porta di accesso in alluminio a due ante dal lato Sud. Le suddette aperture sono di regolare dimensione tali da potere essere considerate vedute secondo l'art. 901 del codice civile ”. L’epoca di realizzazione del corpo “B”, considerato il sistema costruttivo e le finiture interne dei locali, può collocarsi, a giudizio del verificatore, nel 1965, come dichiarato dalla sig.ra C nella nota 21507 del 4 novembre 2015, trasmessa al Comune di Villa San Giovanni.

7. La parte ricorrente desume da tali accertamenti la conclusione (memoria del 20 ottobre 2019) per cui, avendo il verificatore rilevato che i due corpi di fabbrica, A e B, sono il primo risalente ai primi anni trenta, il secondo al 1965, “ appare chiaro che l’immobile nel suo complesso, ma anche considerato solo il corpo B oggetto del diniego del permesso a costruire in sanatoria e del relativo ordine di demolizione sia del tutto privi di legittimità ” (ossia, il provvedimento di diniego e l’ordine di demolizione sarebbero, nella tesi di parte appellante, per ciò solo illegittimi).

8. Tuttavia il verificatore, premesso che la legge urbanistica n. 1150 del 1942 imponeva la richiesta di autorizzazione (licenza edilizia) solo per gli immobili ricadenti all'interno della perimetrazione dei centri abitati e che tale obbligo è stato esteso a tutto il territorio comunale nel centro abitato e fuori dal perimetro con la legge “ponte” n. 765 del 1967;
premesso altresì che il fabbricato per cui è causa era ubicato al di fuori della perimetrazione del centro abitato (rispetto alle planimetrie risalenti al 1971, redatte in seguito all'entrata in vigore della legge n. 765 del 1967), ha precisato che “ il Comune di Villa San Giovanni era dotato di Regolamento edilizio approvato con deliberazione del Commissario Prefettizio n. 86 del 03.11.1933 che imponeva l'obbligo di Nulla Osta ai fini edificatori, per cui per tutti gli immobili edificati dopo il 1933, la legittimità urbanistica doveva essere attestata tramite Autorizzazione edilizia di cui l'immobile de quo è privo ”.

9. Orbene, sotto il profilo in esame il Collegio rileva che non costituisce oggetto del contendere la “abusività” delle opere relative al “corpo B”, posto che è la stessa parte ricorrente che ha presentato, per esse, dapprima una domanda di condono edilizio e poi una domanda di accertamento di conformità (dalla quale è sortito il diniego oggetto di lite), senza mai dubitare della abusività del manufatto, né nei procedimenti amministrativi, né nella sede giurisdizionale dell’impugnativa dinanzi al Tar di Reggio Calabria del diniego di sanatoria, e nemmeno, infine, nella presente sede di appello, nella quale non ha articolato motivi intesi a sostenere la non abusività delle opere per la non necessità di acquisire, per esse, alcun titolo a edificare (né ha chiesto termine per l’eventuale proposizione di motivi aggiunti, ex art. 104, comma 3, c.p.a.). L’intera controversia si è invero incentrata sui motivi del diniego di sanatoria, non già sulla necessità di conseguire una sanatoria per le opere de quibus , ritenute pacificamente, dunque, abusive. Che le opere relative al corpo di fabbrica “B” siano da ritenersi abusive, perché realizzate senza titolo, costituisce dunque un dato acquisito non ridiscutibile in questa sede. Né rileva in senso contrario il fatto che la parte ricorrente abbia sostenuto nel ricorso in primo grado che il piano seminterrato (piano terra) del corpo B non sarebbe abusivo perché derivante dal recupero di una preesistente stalla. Tale assunto si pone infatti in contraddizione con la pretesa sostanziale azionata, fondata su una domanda di accertamento di conformità riferita all’intero manufatto B, ivi compreso il piano terra. In ogni caso, rileva il Collegio, non risulta contestata e può dunque accettarsi come incontroversa in causa la corretta ricostruzione giuridica svolta dal verificatore, secondo la quale il corpo “B”, ancorché realizzato nel 1965, deve comunque considerarsi abusivo per violazione del già allora vigente, citato regolamento edilizio comunale del 1933, che imponeva il nulla osta dell’autorità comunale.

10. Tutto ciò chiarito e premesso, occorre tornare all’esame dei motivi dell’impugnato diniego di sanatoria, essi sì contestati dalla parte ricorrente.

11. Sotto un primo profilo, risulta dalla verificazione che correttamente il Comune, nel provvedimento impugnato, ha qualificato come “piano terra” la porzione del manufatto B allineato al piano campagna del corpo A preesistente e ne ha escluso la natura di seminterrato: nella relazione di verificazione, non contestata sul punto, è scritto chiaramente che il corpo B “ è costituito da un piano terra, da un primo piano e da un parziale secondo piano con terrazza a livello ”, con l’ulteriore precisazione che “ Il suddetto piano terra risulta illuminato su tre lati ovvero dal lato Nord e dal lato Ovest da due finestre e un finestrone, oltre la porta di accesso in alluminio a due ante dal lato Sud ”, e che “ Le suddette aperture sono di regolare dimensione tali da potere essere considerate vedute secondo l'art. 901 del codice civile ”. Cade sotto questo profilo la contestazione di parte ricorrente e deve giudicarsi corretta la sentenza di primo grado, lì dove ha concluso nel senso che “ Conseguentemente l’opera, lungi dal presentare le caratteristiche edilizie di un locale seminterrato, si atteggia, invece, a superficie abitabile ”.

12. Sotto un secondo profilo il Collegio giudica infondate, in quanto sfornite di adeguata prova, le censure rivolte dalla ricorrente al provvedimento impugnato (e alla sentenza appellata) riguardo alla violazione delle distanze tra gli edifici: l’affermazione, contenuta nel provvedimento impugnato, secondo cui il fabbricato sul lato Nord era risultato posto a una distanza dal confine di proprietà da un minimo di m 1,00 ad un massimo di m 1,70, inferiori ai m. 3,00 prescritti dall'art. 8 della legge n. 1684 del 1962, e secondo cui, sempre sul lato Nord del fabbricato, il balcone posto al primo piano risultava sconfinare in parte sull'attigua part. 71 di proprietà di altra ditta e in parte collocato a distanza illegale dal confine stesso, in quanto inferiore a m. 1,50 prescritti dall'art. 905 del codice civile, viene contestata assertivamente dalla parte appellante con la mera affermazione contraria secondo cui sarebbe rispettata la distanza rispetto agli altri fabbricati (nel caso di specie, di 10 mt e quindi superiore ai 6 mt di cui all’art. 16 delle NTA), così come la distanza dai confini (che sarebbe di 6 mt superiore ai 3 previsti), nonché la prescrizione di cui alla legge n. 122 del 1989, poiché lo spazio destinato a parcheggio sarebbe pari a 100 mq, dislocato nel terreno identificato con la particella 75, graffata a sud del manufatto stesso, che presenta uno sviluppo volumetrico pari a 726 mc, ed attiguo a questo.

Riguardo al profilo in esame, benvero, parte ricorrente, nel ricorso di prime cure, più che contestare in fatto la violazione dei limiti distanziali, aveva contestato soprattutto il potere comunale di porre tale profilo, a detta di parte ricorrente di mero rilievo civilistico, a base del provvedimento amministrativo di diniego della sanatoria. In proposito il Collegio condivide quanto statuito sul punto dal Giudice di primo grado che, in conformità a pacifica e condivisa giurisprudenza, ha osservato come “ il rispetto delle prescritte distanze tra edifici è ispirato non soltanto alla necessità di tutelare la proprietà nei rapporti tra vicini, ma è altresì espressione del principio pubblicistico per il quale lo sviluppo del territorio deve svolgersi secondo regole alla cui tutela è preposta l’amministrazione comunale, all’uopo titolare del potere – dovere di vigilanza urbanistica ”.

13. Trattandosi di provvedimento plurimotivato, già solo i motivi di diniego sopra esaminati e ritenuti non illegittimi sono sufficienti a decretare l’infondatezza dell’intero gravame, stante la carenza di interesse alla disamina delle ulteriori ragioni addotte dal Comune a sostegno del rigetto della domanda di sanatoria. Non occorre, in particolare, esaminare in questa sede l’autonomo e distinto profilo di non sanabilità addotto dall’ente locale per quanto concerne la carenza di aree idonee asservite a parcheggio e la non acquisibilità della sanatoria ex art. 167 del codice di settore del 2004, relativamente al vincolo paesaggistico.

14. Devono, invece, esaminarsi comunque gli autonomi motivi di appello concernenti la comminatoria della sanzione pecuniaria e la pretesa lesione dell’affidamento della parte sulla sanabilità dell’opera, stante il lungo lasso di tempo trascorso dall’abuso.

14.1. Sotto il primo profilo il Collegio conferma la bontà della lettura del provvedimento impugnato svolta dal primo Giudice: effettivamente, l’atto gravato non reca alcuna irrogazione diretta e immediata della paventata sanzione pecuniaria in aggiunta all’ordine di demolizione, ma si limita a recare la relativa comminatoria di legge per il caso di inesecuzione.

14.2. Sotto il secondo profilo, soccorrono, a sostegno della validità della statuizione della sentenza appellata, le pronunce dell’adunanza plenaria di questo Consiglio 17 ottobre 2017, nn. 8 e 9, alle cui motivazioni può qui farsi rinvio ai sensi dell’art. 88, comma 2, lettera d ), c.p.a., tenuto conto anche del fatto che la lungaggine della procedura si riconnette alla domanda di condono azionata dalla parte in base alla legge n. 47 del 1986, ritenuta inidonea anche per le carenze documentali imputabili alla parte richiedente e poi da quest’ultima commutata in domanda di accertamento di conformità a seguito dell’ingiunzione di demolizione recata dal diniego di condono (separatamente impugnato dinanzi al Tar territoriale, con causa ancora ivi pendente).

15. Nella parte finale del ricorso in appello (motivo n. 9, pag. 20, terzo periodo) parte ricorrente, infine, ha rappresentato che “ Il manufatto abusivo è strettamente connesso, anzi a questo strutturalmente collegato al corpo di fabbrica denominato A, preesistente, ove risiede la madre ultraontantenne della signora C. Se il corpo B dovesse subire la demolizione, arrecherebbe danni irreversibili alla struttura cui è ormai e da tempo, strettamente collegato, esponendo quasi certamente il corpo A al crollo, determinando così la perdita dell’unica abitazione ove la signora C e la di lei madre risiedono da sempre ”. Orbene, questo rilievo, sul quale la parte ricorrente lamenta la mancata pronuncia del Giudice di primo grado, attiene alla fase dell’esecuzione dell’ingiunzione impugnata e potrà essere fatto valere nelle successive fasi del procedimento sanzionatorio edilizio. Come da pacifica giurisprudenza, condivisa dal Collegio, " La possibilità di sostituire la sanzione demolitoria con quella pecuniaria deve essere valutata dall'Amministrazione competente nella fase esecutiva del procedimento, successiva ed autonoma rispetto all'ordine di demolizione: il dato testuale della legge è univoco ed insuperabile, in coerenza col principio per il quale, accertato l'abuso, l'ordine di demolizione va senz'altro emesso " (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 23 novembre 2017, n. 5472;
sez. IV, 10 maggio 2018, n. 2799).

16. Conclusivamente, l’appello deve essere respinto.

17. Le spese di causa del presente grado di giudizio possono essere compensate, ferma restando la condanna della parte appellante a sostenere le spese della verificazione, come già liquidate con il richiamato decreto collegiale n. 03342/2019 del 23 maggio 2019.

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