Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2022-10-04, n. 202208488

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2022-10-04, n. 202208488
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202208488
Data del deposito : 4 ottobre 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 04/10/2022

N. 08488/2022REG.PROV.COLL.

N. 02817/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2817 del 2021, proposto da Immobiliare Gabbiano S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati F S e C A T, con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio F S in Roma, via G. Borsi nr 4;

contro

Comune di Chioggia, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato P P, con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Terza) n. 00727/2020.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Chioggia;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 settembre 2022 il Cons. Ugo De Carlo e viste le conclusioni delle parti presenti.


FATTO e DIRITTO

1. La s.r.l. Immobiliare Gabbiano ha impugnato la sentenza 727/2020 del T.a.r. per il Veneto che aveva respinto il ricorso per ottenere l’annullamento del diniego di costruire un immobile residenziale previa utilizzazione della volumetria di un fabbricato agricolo che veniva demolito.

2. La società appellante aveva presentato al Comune di Chioggia una D.I.A, per eseguire opere edilizie di manutenzione straordinaria di un vecchio capanno ad uso agricolo di circa 69 mq parzialmente abusivo e sanato con il condono edilizio ex L. 326/2003, che veniva tacitamente assentita. Nel 2009 richiedeva l’ampliamento del capanno ai sensi della L.R. 14/2009 con D.I.A. dichiarata improcedibile per inedificabilità della zona ove ricadeva il capanno destinata a verde pubblico. Nel 2010 la società instava per il cambio di destinazione d’uso senza opere del capanno, da agricolo a residenziale con D.I.A. tacitamente assentita. Con ulteriore D.I.A. la società chiedeva anche l’ampliamento del capanno ai sensi della L.R. n. 14/2009. Ma la richiesta veniva dichiarata improcedibile per inedificabilità della zona destinata a verde pubblico.

A seguito di un controllo della polizia locale, veniva accertata la demolizione del capanno di circa 69 mq. e la costruzione di una platea di fondazione di mq. 176 suddivisa con muretti divisori funzionale alla realizzazione di una unità immobiliare. I lavori erano stati realizzati in difformità dalle D.I.A, assentite che autorizzavano la sola manutenzione straordinaria del capanno e la variazione della destinazione d’uso.

Il Comune sospendeva i lavori abusivi ed irrogava all’appellante la sanzione pecuniaria ai sensi dell’art. 37, co. 1 del D.P.R. n. 380/2001 con atti inoppugnati.

Dopo aver presentato domanda in due occasioni per ampliare, in applicazione del cd. piano casa, il capanno che era già stato demolito, ottenendo un diniego per l’inedificabilità della zona “SC”, verde pubblico, con ulteriore istanza del 25 novembre 2015 la società chiedeva di costruire una nuova palazzina composta da due unità immobiliari in zona di espansione residenziale, utilizzando la superficie del capanno ampliata dell’80% ex art. 3, comma 2 e 3 LR 14/2009 e del 10% ex art. 65 delle N.T.A. del P.R.G.

L’istanza veniva respinta dal Comune con l’atto oggetto dell’impugnazione innanzi al T.a.r.

3. La sentenza impugnata riteneva legittimo il provvedimento del Comune di Chioggia poiché la richiesta non poteva essere accolte dal momento che il capanno agricolo non era più esistente oltre ad essere insuscettibile di ampliamento, anche in base al cd. piano Casa, perché ricadente in zona destinata a verde pubblico attrezzato.

Inoltre la circostanza che la zona verde “SC”, su cui insisteva il capanno agricolo interessato dall’ampliamento, sia inserita dal P.R.G. nell’ambito di una più ampia zona di espansione edilizia (C2) non consente di autorizzare l’intervento poiché la specifica destinazione a verde prevale su quella generica residenziale, la quale del resto individua soltanto un’astratta idoneità edificatoria, anche a fini perequativi.

Infine, la destinazione a verde non costituisce un vincolo di natura espropriativa ma di tipo conformativo in quanto è previsto su una vasta porzione del territorio comunale e risulta compatibile con la proprietà privata, non comportando la perdita delle aree private ad esso assoggettate.

4. La società ha proposto appello articolando i seguenti quattro motivi di ricorso, il primo per contestare la motivazione della sentenza, e gli altri tre per riproporre i motivi assorbiti in primo grado:

a) con il primo motivo si contesta l’inedificabilità che il Comune giustifica con riferimento all’art. 9, comma 1, lett. d) l.r. n. 14/2009, che vieta gli interventi previsti dal c.d. “piano casa” per gli edifici «ricadenti nelle aree di inedificabilità assoluta di cui all’articolo 33 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, dal momento che la ricostruzione del nuovo edificio in luogo di quello demolito avverrebbe su differente sedime rispetto all’area inedificabile poiché individuata dal p.r.g. come “SC – verde pubblico”. Ma non tutte le forme di inedificabilità sono assolute come quelle previste dal citato art. 33 che si riferisce ai vincoli previsti da leggi volte alla tutela di interessi generali diversi da quelli urbanistici. Inoltre, il vincolo, se non di natura espropriativa, non può neanche considerarsi di natura conformativa perché gli interventi in quelle aree sono considerati di pubblica utilità e sono prioritariamente realizzati dal Comune o dall’Ente competente previa approvazione del relativo progetto. Quindi non si verterebbe nell’ipotesi di inedificabilità assoluta.

Quanto alla prevalenza della destinazione a verde pubblico rispetto a quella residenziale di espansione, vi sarebbe una discrasia tra le tavv. 13.3.3 e 13.3.4 da un lato, che qualificano il sedime del vecchio edificio come z.t.o. C2, cioè edificabile a destinazione residenziale, e la tav. 13.1.D dall’altro lato che, invece, classifica la stessa area come verde pubblico. Un ulteriore censura riguarda il fatto che l’originaria collocazione dell’immobile da demolire e di cui si dovrebbe sfruttare la volumetria in zona non edificabile non consentirebbe la sua ricostruzione in area edificabile cioè su diverso sedime;

b) il secondo contesta l’interpretazione in base alla quale l’art. 3 l.r. n. 14/2009 non potrebbe trovare applicazione perché, alla data di presentazione della domanda di permesso di costruire, l’edificio preesistente risultava già demolito a seguito della sentenza penale n. 1933/2013 del Tribunale di Venezia pronunciata nell’ambito del giudizio per opposizione al decreto penale di condanna che aveva contraddetto l’asserzione del Comune secondo cui la demolizione non sarebbe avvenuta sulla base di un regolare titolo edilizio;

c) il terzo motivo lamentala violazione dell’art. 10 bis L. 241/1990 poiché a proposito dell’impossibilità di assentire l’ampliamento del 10% della superficie netta di pavimento (s.n.p.) previsto dall’art. 65, comma 19, n.t.a. del p.r.g. perché in contrasto con la scheda urbanistica riguardante l’ambito d’intervento che destinerebbe l’area a verde pubblico inedificabile che costituiva uno delle ragioni poste a fondamento del rigetto, la motivazione del successivo provvedimento di diniego non teneva conto delle osservazioni sul punto della società;

d) il quarto motivo attiene all’improcedibilità dell’autorizzazione paesaggistica da impugnare a titolo derivato rispetto a tutte le censure formulate nei confronti del diniego di permesso di costruire. Viene, altresì, proposto un motivo autonomo in quanto l’autorizzazione paesaggistica costituisce atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti l’intervento «urbanistico-edilizio» non è possibile condizionare il suo rilascio all’assentibilità dell’intervento sotto il profilo edilizio cosicché il procedimento doveva concludersi con un provvedimento che entrasse nel merito della richiesta.

5. Si costituiva il Comune di Chioggia che concludeva per il rigetto dell’appello.

6. L’appello non è fondato.

6.1. L’aspetto dirimente sul piano edilizio è costituito dall’illegittima demolizione del capanno che la società ha eseguito prima di chiedere il permesso di costruire denegato e la cui volumetria era indispensabile per assentire l’intervento edilizio. La D.I.A. presentata nel 2008 era relativa ad interventi di manutenzione straordinaria del capanno che, invece, è stato demolito con realizzazione di una platea in cemento oggetto poi di sequestro a seguito di un sopralluogo da cui risultò al Comune per la prima volta l’avvenuta demolizione.

In precedenza era stata bloccata la D.I.A. del 2009 che voleva procedere ad un ampliamento del capanno ai sensi della L.R. 14/2009 per inedificabilità della zona destinata a verde pubblico ove ricadeva il capanno.

Orbene, la previa demolizione del capanno ha fatto sì che non vi fosse nessuna volumetria da utilizzare per realizzare il nuovo immobile cosicché non è rilevante stabilire che la nuova costruzione sarebbe stata posta su un sedime esterno alla zona destinata a verde pubblico con conseguente possibilità di chiedere l’ampiamento della superficie.

Parimenti superfluo è verificare quale sia la portata del limite posto dall’art. 33 l. 47/1985 richiamato dall’art. 9 lettera d) L.R. 14/2009;
peraltro è da dubitare che l’ambito dell’applicazione della norma sia ristretto nei termini indicati nel ricorso poiché l’art. 33 richiama qualunque vincolo che comporti la inedificabilità delle aree.

6.2. Viene anche contestato che si tratterebbe di un vincolo di natura espropriativa o comunque di un vincolo che, al di là della sua qualificazione, non determinerebbe un’inedificabilità assoluta.

La censura non è fondato poiché si tratta di un vincolo conformativo che ricomprende un’ampia parte di territorio e non un singolo bene in funzione di una finalità pubblica da realizzare tramite espropriazione e limita ma non sopprime il godimento della proprietà privata.

6.3. L’assoluzione ottenuta in sede penale non ha rilievo quanto alla valutazione della non assentibilità dell’intervento richiesto;
il fatto che la realizzazione della platea non sia stata ritenuta integrare un illecito penale edilizio non incide sull’autonoma valutazione che il Comune è chiamato ad effettuare in ordine ad un progetto edilizio. Una domanda fondata su una volumetria da utilizzare comporta che essa sussista al momento della decisione e solo successivamente si potrà procedere alla demolizione, mentre nel caso in esame la demolizione è avvenuta dopo la presentazione di una D.I.A. che si limitava a segnalare la manutenzione dell’immobile.

6.4. Viene, infine, dedotta la violazione della norma sul preavviso di rigetto perché il provvedimento finale comporta un ulteriore motivo di rigetto che non era stato inserito nel preavviso ex art. 10 bis L. 241/1990. La difformità tra il preavviso di rigetto ed il provvedimento finale è irrilevante perché si tratta di atto vincolato che non poteva essere diverso qualsiasi fosse stato l’apporto del privato ed inoltre i motivi su cui il contraddittorio si era formato erano sufficienti per determinare il rigetto dell’istanza: l’aggiunta di un ulteriore ragione per denegare il permesso di costruire non ha inciso sul diritto al contraddittorio . Costituisce, inoltre, indirizzo giurisprudenziale ormai pacifico che non ci debba essere una confutazione dettagliata di tutte le argomentazioni introdotte dal privato con le sue osservazioni (tra gli altri, Cons. Stato, sez. II, 20 febbraio 2020, n. 1306.;
Cons. Stato, sez. I V, 24 ottobre 2016, n. 4421;
Cons. Stato, sez. IV, 10 dicembre 2007, n. 6325).

6.5. L’infondatezza dei motivi attinenti al diniego di permesso di costruire rende superfluo l’esame dei vizi prospettati quanto all’improcedibilità dell’autorizzazione paesaggistica decisa dal Comune.

7.Le spese seguono la soccombenza.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi