Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2022-08-29, n. 202207499

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2022-08-29, n. 202207499
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202207499
Data del deposito : 29 agosto 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 29/08/2022

N. 07499/2022REG.PROV.COLL.

N. 06574/2021 REG.RIC.

N. 06578/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6574 del 2021, proposto dalla Banca D'Italia, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati G N e D M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia;

contro

il signor M G, rappresentato e difeso dagli avvocati G C e G C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato G C in Roma, via Cicerone, n. 44;

nei confronti

- del Ministero dell'economia e delle finanze, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, presso la cui sede domicilia per legge in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
- della Commissione nazionale per le società e la Borsa - Consob, in persona del rappresentante legale pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati Paolo Palmisano, A P e Emanuela Garzia, con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia;
- di Advance Sim S.p.a. in L.C.A. e di Blasi Luca Maria Commissario liquidatore di Advance Sim S.p.a., non costituiti in giudizio;



sul ricorso numero di registro generale 6578 del 2021, proposto dalla Banca D'Italia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati G N e D M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia;

contro

il signor L P, rappresentato e difeso dagli avvocati G C e G C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato G C in Roma, via Cicerone, n. 44;

nei confronti

- del Ministero dell'economia e delle finanze, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, presso la cui sede domicilia per legge in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
- della Commissione nazionale per le società e la Borsa - Consob, in persona del rappresentante legale pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Paolo Palmisano, A P e Emanuela Garzia, con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia;
- di Advance Sim S.p.a. in L.C.A. e di Blasi Luca Maria Commissario liquidatore di Advance Sim S.p.a., non costituiti in giudizio;

per la riforma

quanto al ricorso n. 6574 del 2021, della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, Sez. II- bis , 30 giugno 2021 n. 7726, resa tra le parti;

quanto al ricorso n. 6578 del 2021, della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, Sez. II- bis , 30 giugno 2021 n. 7734, resa tra le parti.


Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del signor M G, del signor L P, del MEF e di Consob e i documenti prodotti;

Visti, per il ricorso in appello n. R.g. 6574/2021 il decreto cautelare monocratico 16 luglio 2021 n. 4017 e l’ordinanza cautelare 2 agosto 2021 n. 4332 e, per il ricorso in appello n. R.g. 6578/2021, il decreto cautelare monocratico 16 luglio 2021 n. 4017 e l’ordinanza cautelare 2 agosto 2021 n. 4333;

Esaminate le memorie difensive, anche di replica e gli ulteriori atti depositati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 dicembre 2021 il Cons. S T e uditi, per le parti, gli avvocati G N, D M, G C, G C e A P nonché l'avvocato dello Stato F T;;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. - La presente controversia nella sede d’appello, con riferimento al primo dei due giudizi qui in esame (n. R.g. 6574/2021), muove dalla sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, Sez. II- bis , 30 giugno 2021 n. 7726 con la quale sono stati accolti il ricorso introduttivo (n. R.g. 12708/2019) e i due successivi ricorsi recanti motivi aggiunti proposti dal signor M G per ottenere l’annullamento dei seguenti atti e/o provvedimenti: (con il ricorso introduttivo) a) il decreto prot. DT 67900 – 3 luglio 2019 del Ministero dell’economia e delle finanze - Dipartimento del tesoro Direzione IV con cui “è revocata l’autorizzazione all’esercizio dell’attività alla “Advance SIM S.p.a.”, con sede in Milano e la stessa è posta in liquidazione coatta amministrativa ai sensi e per gli effetti dell’art. 57, comma 1, d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 e successive modificazioni”;
b) l’atto di Banca d’Italia - Unità di risoluzione e gestione delle crisi - Divisione liquidazioni prot. n. 0848868/19 del 5 luglio 2019 avente ad oggetto “Advance SIM in l.c.a. - Nomina degli Organi liquidatori”;
c) il verbale del 9 luglio 2019 di presa in consegna dell’azienda da parte degli organi di ADVANCE SIM S.p.a. in liquidazione coatta amministrativa;
d) tutti gli atti precedenti, conseguenti e connessi, ancorché non conosciuti (tra i quali in particolare: l’atto di Banca d’Italia - Unità di risoluzione e gestione delle crisi - Divisione liquidazioni prot. n. 0745246/19 dell’11 giugno 2019 avente ad oggetto “Advance SIM (MI). Proposta di liquidazione coatta amministrativa”;
l’atto di CONSOB - Divisione intermediari - Ufficio di Vigilanza imprese di investimento prot. 0373752/19 del 27 giugno 2019 avente ad oggetto “ADVANCE SIM S.p.a. – riscontro alla richiesta del 12 giugno 2019. Proposta di revoca dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività e di sottoposizione alla procedura di liquidazione coatta amministrativa, ai sensi dell’art. 57, comma 1, del d.lgs. n. 58/1998”;
la nota del 12 giugno 2019 prot. n. 0338590/19 trasmessa dal Ministero dell’economia e delle finanze a Consob, menzionata nell’atto di CONSOB prot. 0373752/19 del 27 giugno 2019;
il verbale ispettivo degli accertamenti condotti dalla Banca d’Italia presso ADVANCE SIM S.p.A. nel periodo 22 ottobre 2018-21 dicembre 2018;
la richiesta di collaborazione ispettiva trasmessa da Consob a Banca d’Italia in data 22 novembre 2018;
il riscontro a tale richiesta da parte di Banca d’Italia in data 13 giugno 2019), con richiesta di condanna ex artt. 30 e 34, c. 1 lett. c c.p.a. all’adozione di tutte le misure idonee a tutelare la situazione giuridica soggettiva del ricorrente e al risarcimento dei danni subiti;
(con i primi motivi aggiunti presentati il 9 dicembre 2019) e) nuovamente l’annullamento dei suelencati atti per ulteriori motivi;
f) (con i secondi motivi aggiunti presentati il 27 dicembre 2019) e) nuovamente l’annullamento dei suelencati atti per ulteriori motivi.

Il secondo ricorso in appello qui in esame (n. R.g. 6578/2021) muove dalla sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, Sez. II- bis , 30 giugno 2021 n. 7734 con la quale sono stati accolti il ricorso introduttivo (n. R.g. 12707/2019) e i due successivi ricorsi recanti motivi aggiunti proposti dal signor L P per ottenere l’annullamento degli stessi atti e/o provvedimenti impugnati dal signor M G e più sopra elencati. Le due sentenze di primo hanno quindi annullato i provvedimenti fatti oggetto di impugnazione dai signori G e P.

Da qui i ricorsi in sede di appello spiegati da Banca d’Italia per ottenere la riforma delle suindicate sentenze di primo grado, in quanto ritenute il frutto di una errata interpretazione delle questioni dedotte dai ricorrenti in quel grado di giudizio.

2. - Dalla documentazione versata dalle parti qui in controversia nei due gradi di giudizio, con riferimento ad entrambi i contenziosi qui in decisione nonché dalla lettura delle sentenze qui fatte oggetto di gravame, si può ricostruire la vicenda che ha condotto a questo giudizio in sede di appello come segue (in particolare con riferimento ai fatti che hanno dato luogo all’adozione dei provvedimenti assunti dal MEF e dalla Banca d’Italia e impugnati, con separati ricorsi, dinanzi al TAR per il Lazio dagli odierni appellati):

- la società Advance Sim S.p.a. è una società di intermediazione mobiliare autorizzata, a partire dal 2010, alla prestazione dei servizi di gestione di portafogli, consulenza in materia di investimenti e ricezione e trasmissione di ordini;

- nel mese di ottobre 2017 detta autorizzazione, su istanza della società, veniva estesa al collocamento senza impegno irrevocabile nei confronti dell’emittente;

- alla fine del 2015 aveva ingresso nella società una cordata di investitori, composta da CDR Advance Capital S.p.a. (azionista maggioritario) e da altre persone fisiche, tra i quali il signor M G, titolare del 6,67% delle azioni, che assumeva l’incarico di consigliere di amministrazione e il signor L P (titolare del 14,44% delle azioni), cha assumeva il ruolo di amministratore delegato. Tale assetto azionario corrisponderà poi a quello esistente al momento dell’adozione del provvedimento di liquidazione coatta amministrativa impugnato dai signori G e P in primo grado e annullato (insieme con altri provvedimenti impugnati) dal TAR per il Lazio;

- secondo quanto riferisce l’appellante Banca d’Italia, la suddetta società veniva dunque a caratterizzarsi, sino alla data dell’adozione dei provvedimenti impugnati dai signori G e P (in particolare quello di revoca dell’autorizzazione e di messa in liquidazione coatta amministrativa della società), per la sovrapponibilità tra proprietà ed amministrazione, atteso che gli incarichi amministrativi – tra i quali quello di amministratore delegato – erano svolti dagli stessi azionisti che si erano impegnati a risolvere le criticità patrimoniali e gestionali emerse sotto la precedente proprietà (e quindi per realizzare tali obiettivi la nuova cordata aveva ridefinito gli indirizzi aziendali, puntando, tra l’altro, all’estensione dell’operatività al collocamento, alla prestazione di consulenza in materia di finanza d’impresa ( corporate finance ) e alla fornitura di attività di risk management );

- sempre secondo quanto riferisce l’appellante Banca d’Italia, posto che il processo di riposizionamento strategico e di revisione degli assetti interni mostrava, nel suo realizzarsi, significativi ritardi e crescenti elementi di attenzione, riconducibili, in particolare, a debolezze di carattere organizzativo e a criticità nella prestazione dei servizi di investimento, con specifico riguardo ai profili dell’adeguatezza degli investimenti al profilo di rischio dei clienti, alla gestione dei conflitti d’interesse, al rispetto dei limiti di concentrazione, alla selezione degli strumenti finanziari proposti alla clientela, all’illiquidità dei titoli presenti nei portafogli, la stessa Banca d’Italia provvedeva a segnalare all’intermediario tali criticità sia tramite missive che nel corso di riunioni, tenutesi tra il 2016 e il 2018;

- a quanto sopra seguiva una fase, collocabile temporalmente tra il 22 ottobre 2018 e il 21 dicembre 2018, nel corso della quale la Banca d’Italia sottoponeva la Advance Sim ad accertamenti ispettivi, che si concludevano con una valutazione sfavorevole;

- in particolari i suddetti accertamenti avevano ad oggetto anche profili rientranti nella competenza della Consob, in ossequio alla richiesta in tal senso avanzata da quest’ultima in corso d’ispezione con lettera del 22 novembre 2018 (ai sensi dell’art. 6- ter T.U.F.);

- all’esito delle specifiche verifiche effettuate, rammenta sempre l’appellante Banca d’Italia, emergevano numerose irregolarità in relazione a molteplici aspetti dell’assetto aziendale, con conseguente sottoposizione dell’ente a rilevanti rischi di contenzioso e reputazionali. Venivano inoltre riscontrati, a carico della società, accantonamenti patrimoniali di notevole entità, la misura dei quali era tale da condurre il patrimonio di vigilanza al di sotto del capitale minimo stabilito dalla normativa di settore per l’esercizio dell’attività di intermediazione mobiliare;

- nel riassumere, l’appellante Banca d’Italia ricorda come, all’esito della fase ispettiva, fossero emerse (in sintesi), le seguenti irregolarità a carico della Advance (che vengono qui di seguito testualmente riproposte, per completezza espositiva, traendole dall’atto di appello di Banca d’Italia): “ a) la prestazione dei servizi di consulenza in materia di investimenti e di gestione dei portafogli era connotata da diffusi conflitti di interesse, derivanti dal parallelo svolgimento di servizi di consulenza alle imprese da parte di Advance, dalle attività consulenziali degli esponenti della società o di società a questi riconducibili e dalla presenza nei portafogli gestiti di titoli emessi dal socio di riferimento della Advance (CDR Advance Capital S.p.a.), senza che fossero assicurati la separatezza delle cennate attività e il rispetto delle norme di settore. I citati conflitti non erano accompagnati da presidi in grado di mitigare l’esposizione dell’intermediario a rischi legali e reputazionali, i quali, al contrario, risultavano accresciuti dalla ritardata adozione di regole di “policy” in materia di conflitti di interessi (avvenuta solo con la delibera del consiglio di amministrazione del 10.4.2017, a fronte dell’avvio della prestazione di servizi di investimento già nel 2016), nonché dalla mancata esclusione, all’interno di tali regole di policy, della possibilità di investire in titoli di emittenti verso cui la società prestava altri servizi, esclusione introdotta soltanto a fine giugno 2018 (delibera consiliare del 20 giugno 2018). A conferma delle carenze nella gestione dei conflitti d’interesse, Advance aveva mancato di dare specifica indicazione della presenza degli stessi in relazione a: i) € 3 milioni di obbligazioni convertibili di una società (Energy Lab s.p.a.) poi andata in default, per la quale la società aveva svolto la consulenza all’emissione;
per la sottoscrizione dei predetti titoli Advance aveva incassato commissioni per € 118 mila;
ii) € 3,5 mln di obbligazioni emesse da due società lussemburghesi (Eastern Europe Resources SA e Alfa Value), le quali erano state strutturate da una società svizzera (Advance Advisor sagl) di proprietà del sig. G, (…) e dell’amministratore delegato, sig. P. Oltretutto, nonostante i richiami della Funzione “Compliance”, il ruolo svolto dalla cennata società svizzera nella strutturazione delle citate obbligazioni era stato rappresentato al Consiglio di amministrazione solo al termine degli accertamenti ispettivi;
iii) € 0,6 mln di obbligazioni convertibili emesse, con la consulenza di Advance, dalla controllante Advance Capital s.p.a. Con riferimento alla gestione dei titoli elencati, pervenivano, solo nel periodo in cui era in corso l’ispezione, tre reclami da parte della clientela per un valore contestato di oltre € 6 mln, (…) e il rilievo n. 7 al rapporto ispettivo: doc. 1);
b) per tutti i portafogli in consulenza o in gestione non era stata rispettata la normativa in tema di adeguatezza degli investimenti rispetto al profilo di rischio della clientela né la coerenza della composizione dei portafogli con le previsioni contrattuali (…);
c) l’acquisizione “fuori sede” della clientela per il tramite del consulente M P era connotata da criticità, stante la mancanza di controlli e l’assenza di una regolamentazione dell’attività fuori sede (…);
d) a dimostrazione delle irregolarità che segnavano la gestione dei servizi di investimento, in corso di ispezione pervenivano, come detto, tre reclami, nei quali i clienti (due persone fisiche e un ente pubblico) lamentavano il danno subito per la presenza di titoli, per oltre € 6 mln, non rispondenti alle caratteristiche del contratto, non liquidabili e per i quali Advance non aveva comunicato la presenza di un conflitto di interesse, e chiedevano, pertanto, la restituzione del capitale investito. A fronte di tali reclami e della possibilità di riceverne altri, Advance aveva stimato perdite potenziali in misura del tutto insufficiente. Infatti, il criterio utilizzato dalla società per la stima delle possibili perdite risultava inadeguato, giacché non teneva conto della effettiva estensione e portata delle anzidette anomalie, come messi in luce anche dalla Funzione “Compliance”. Le stime aziendali degli accantonamenti necessari per far fronte ai reclami della clientela scontavano, inoltre, le carenze del processo di determinazione del valore dei titoli presenti nei portafogli dei clienti, dato che nei rendiconti periodici i titoli erano valorizzati al prezzo di acquisto anziché al fair value [e molti titoli erano illiquidi (…)]. La necessaria quantificazione correttiva delle perdite potenziali effettuata dagli ispettori – pur dovendo valorizzare i titoli al prezzo di acquisto anziché al fair value, vale a dire, pur usando un criterio valutativo particolarmente favorevole alla società - risultava superiore a quella effettuata dall’intermediario per € 380 mila e determinava un deficit patrimoniale di 210 mila euro rispetto ai requisiti patrimoniali minimi fissati dalla normativa prudenziale (…);
e) il consiglio di amministrazione non aveva esercitato il suo ruolo di supervisione e di indirizzo della gestione;
detto organo, in particolare, non conduceva un vaglio preventivo del profilo di rischio, in rapporto al rendimento, delle principali operazioni aziendali, avendo delegato ampi poteri all’amministratore delegato senza controllare l’esercizio di tali deleghe e pretendere la predisposizione di adeguate informative. Esso, inoltre, non si era adoperato per la rimozione delle criticità relative al superamento dei limiti di concentrazione in strumenti finanziari per i quali sussisteva un conflitto di interesse, ancorché segnalate dalle Funzioni “Compliance” e “Risk management” nelle relazioni del 23.5.2017 e sottoposte nella medesima data al consiglio. Il consiglio non si era attivato nemmeno con riferimento alle anomalie segnalate dalla della Funzione “Compliance”, nella relazione del 15.12.2017, con riguardo all’osservanza delle norme in materia di adeguatezza degli investimenti al profilo di rischio del cliente. Infine, a fronte della richiesta di chiarimenti della Banca d’Italia del 29.6.2018 in merito alla presenza nei portafogli gestiti di titoli di un emittente (Energy Lab s.p.a.) poi divenuto insolvente, il Consiglio non aveva fornito all’autorità di vigilanza un quadro esaustivo, né aveva menzionato l’esistenza di un conflitto di interessi, che, oltretutto, non era stato reso noto neanche alla clientela (...);
f) l’amministratore delegato, sig. P, quale responsabile della struttura operativa nonché dei servizi di investimento e accessori, non aveva assicurato la realizzazione di procedure e assetti organizzativi coerenti con l’operatività. Mancavano, ad esempio, i c.d. controlli “di primo livello” (di competenza delle stesse strutture che compiono le operazioni aziendali) e l’attività informativa in favore del consiglio di amministrazione, anche a causa della mancata predisposizione di un sistema di controllo di gestione (...);
g) analogamente il collegio sindacale, pur avendo ricevuto dalle funzioni di controllo informative in merito alla presenza di irregolarità nella prestazione dei servizi di gestione patrimoniale di investimento, non ne aveva analizzato i possibili effetti né valutato l’opportunità di effettuare, in proposito, una segnalazione alle autorità di vigilanza competenti, limitandosi a formulare generiche raccomandazioni al consiglio di amministrazione. Nonostante quanto segnalato dalle funzioni di controllo nelle relazioni del 23.5.2017, il Collegio non aveva approfondito la natura né la portata dei conflitti di interesse presenti nella prestazione dei servizi di investimento, né aveva valutato gli effetti patrimoniali derivanti dai descritti rischi legali e reputazionali cui Advance risultava esposta (...);
h) Advance risultava priva di un mansionario e non aveva formalizzato ruoli e responsabilità delle varie unità operative;
inoltre, le procedure interne, ove esistenti, erano incomplete e in larga parte non applicate. Infine, la mancanza di un protocollo aziendale determinava incertezze nei flussi informativi e, in particolare, difficoltà per la Funzione Compliance nel censimento dei reclami (...);
i) mancavano procedure di riscontro dell’attendibilità e della completezza dei dati trasmessi dai fornitori;
tale circostanza aveva comportato frequenti anomalie e incongruenze nelle segnalazioni trasmesse alla Banca d’Italia riguardanti aggregati rilevanti, quali i fondi propri, nonché lacune ed errori nel censimento dei contratti nel sistema informativo (...);
l) la Funzione Risk management, pur avendo, nel 2017, portato a conoscenza degli organi aziendali le anomalie nei portafogli gestiti, non aveva effettuato con la dovuta continuità il monitoraggio di questi ultimi, né calcolato il valore degli strumenti il cui prezzo di mercato era indisponibile;
tali circostanze avevano contribuito, tra l’altro, alla comunicazione ai clienti di rendimenti sopravvalutati (...);
m) quanto ai profili attinenti al rispetto della normativa per il contrasto al riciclaggio, il censimento e la conservazione delle informazioni relative alla clientela avveniva con modalità manuali. I questionari e le relative profilature non erano registrate nel sistema informativo: ciò aveva fatto sì che nei fascicoli dei clienti si fossero rinvenute differenti profilature assegnate a uno stesso cliente. A causa dell’anomala acquisizione “fuori sede” di clienti, i clienti riferibili al consulente finanziario M P non risultavano censiti, né profilati a fini antiriciclaggio (...)
”.

3. – In ragione dei fatti come sopra sinteticamente descritti, la Banca d’Italia, anche all’esito di contatti istruttori con la Consob in ordine alle irregolarità emerse, proponeva al Ministero dell’economia e delle finanze la messa in liquidazione coatta amministrativa di Advance Sim per irregolarità nell’amministrazione, violazioni normative e perdite patrimoniali di eccezionale gravità, situazione confermata, peraltro, da ulteriori informazioni pervenute successivamente alla chiusura degli accertamenti ispettivi, dalle quali emergeva un (generale e diffuso) quadro di gravissima anomalia rilevato in sede ispettiva, riferito a tutto lo spettro dell’operatività aziendale, neppure mitigato dalla scelta, assunta dalla società Advance Sim in corso di ispezione (con delibera del consiglio di amministrazione del 30 ottobre 2018) e messa in atto a partire dai primi mesi del 2019, di dismettere i servizi di investimento e di gestione di portafogli, per concentrarsi su quelli di assistenza al collocamento e consulenza alle imprese, tenuto conto che (ad avviso di Banca d’Italia) tale soluzione non era in grado di eliminare o di attenuare il quadro di eccezionale gravità emerso con l’ispezione, tenuto conto che permaneva “ l’esposizione della Sim ai rischi di contenzioso derivanti dalle gravi irregolarità compiute sui dossier gestiti e in consulenza, in presenza di accantonamenti largamente insufficienti a fronteggiare i contenziosi in essere ” e che le violazioni investivano “ l’intera operatività della Sim ” denotando “ una strutturale inadeguatezza del complessivo assetto organizzativo ” (così, testualmente, a pag. 10 dell’atto di appello).

A quanto sopra l’appellante aggiunge che, con lettera del 30 aprile 2019, il collegio sindacale dell’intermediario aveva già segnalato (alla Banca d’Italia e alla Consob) le violazioni delle disposizioni interne in materia di operazioni personali commesse dai signori G e P (nelle rispettive funzioni), entrambi anche soci di Advance. In particolare veniva segnalato che costoro avrebbero sottoscritto azioni di società, quotate e quotande, nonostante Advance avesse svolto un ruolo consulenziale (segnatamente di Nominated Advisor e di Global Coordinator ) per tali società e ciò in spregio del divieto, previsto dalla normativa interna all’intermediario, “ di acquisto, vendita, sottoscrizione o scambio (…) direttamente o per interposta persona, di strumenti finanziari di società quotate e/o quotande per le quali la 11 SIM intrattiene incarichi di corporate finance, nomad, ivi incluso l’incarico di collocamento ”.

Alla luce di tutto quanto sopra e all’esito della segnalazione rivolta al MEF, quest’ultimo disponeva la liquidazione coatta amministrativa di Advance Sim ai sensi dell’art. 57 T.U.F. e, di conseguenza, la Banca d’Italia provvedeva, in data 23 luglio 2019, ad avviare un procedimento sanzionatorio nei confronti di Advance (allora in liquidazione), che si concludeva con l’inflizione di una sanzione pecuniaria.

4. - Sia il signor G che il signor P, con due distinti ricorsi giurisdizionali, sostenendo la illegittimità dei provvedimenti afflittivi adottati nei loro confronti e della società SIM Advance, ne chiedevano l’annullamento al TAR per il Lazio.

Il giudice di prime cure, con sentenze sostanzialmente sovrapponibili quanto alla motivazione:

1) ha dapprima sinteticamente riassunto i motivi di doglianza e le ragioni prospettate dai ricorrenti al fine di dimostrare la illegittimità dei provvedimenti impugnati (in estrema sintesi: a) premesso, in punto di fatto, che nel periodo in cui era intervenuta la revoca dell’autorizzazione, l’operatività della SIM poteva dirsi concentrata principalmente sul servizio di collocamento e sui servizi di finanza straordinaria d’impresa tipici dell’ investment banking , essendo la Advance anche abilitata da Borsa Italiana allo svolgimento del ruolo di Nominated Advisor per la quotazione delle società al Mercato AIM Italia, generando al 31.12.2018 il 95% dei suoi ricavi proprio in tali ambiti e che solo in via residuale, per il restante 5% dei ricavi, la predetta SIM aveva proseguito la sua attività di prestazione di servizi di investimento dedicati al patrimonio di terzi, che aveva svolto anche prima dell’ingresso della nuova compagine proprietaria di cui lui faceva parte, decidendo, anzi l’interruzione di tali servizi al 31 marzo 2019;
b) premesso ulteriormente, in punto di fatto, che l’esito degli accertamenti di Banca d’Italia, alla quale la società era stata sottoposta dal 22 ottobre 2018 al 21 dicembre 2018 non aveva manifestato un quadro generale così severamente compromesso, come invece Banca d’Italia ha ritenuto di rilevare e accentuare nell’ispirare e nell’adottare i provvedimenti impugnati, tenuto conto che – proprio nel corso dell’attività di vigilanza - era stata dimostrata la presenza di un andamento assai positivo sia in termini assoluti sia in rapporto agli anni precedenti da parte della società, oltre al fatto che l’attività (poi) considerata irregolare dagli organi di vigilanza - ossia quella di gestione individuale di portafogli e consulenza - quotava meno del 10% dell’intera attività ed era stata da tempo abbandonata e il percorso intrapreso per il riposizionamento dei servizi core e per l’irrobustimento del sistema di governance e di controllo era a buon punto, sicché la società era stata inaspettatamente (e contraddittoriamente) destinataria di un provvedimento di messa in l.c.a. a causa di “ irregolarità e violazioni (che) per il loro carattere di eccezionale gravità… (avrebbero indicato) che il complessivo contesto aziendale non (sarebbe stato) compatibile con l’esigenza di assicurare i canoni della sana e prudente gestione, anche sotto il profilo patrimoniale, ed (avrebbero escluso) qualunque prospettiva di ordinaria prosecuzione dell’attività, rendendo necessario l’immediato avvio di un processo liquidatorio ”;
c) in punto di diritto, in primo luogo, si contestava il difetto di competenza del dirigente del MEF ad adottare il decreto impugnato, spettando la relativa competenza al Ministro, oltre all’assenza di una specifica e autonoma istruttoria dal parte del suddetto Ministero che, invece, si è limitato a fondare il provvedimento afflittivo sull’istruttoria svolta dalla Banca d’Italia e senza assumere alcuna valutazione autonoma nonché senza avere tenuto nel debito conto le rilevanti modifiche alla situazione della società rispetto a quella ritratta mesi prima dagli accertamenti ispettivi della Banca d’Italia e, soprattutto, le azioni poste in atto dalla SIM per superare le criticità contestatele, quali la chiusura dei servizi di gestione patrimoniale e di consulenza, l’implementazione delle procedure e dei presidi interni, l’adeguamento al rinnovato quadro normativo MiFID II ed il continuo monitoraggio delle attività correlate al default del titolo Energy Lab e alle problematiche insorte con Cosvig;
d) il decreto ministeriale poi, come pure la proposta ad esso formulata dalla Banca d’Italia, non recano le fonti normative delle violazioni all’origine degli addebiti, né le fonti documentali poste a fondamento delle contestazioni, come pure non vi è traccia della valutazione di adeguatezza al caso di specie della misura della messa in l.c.a. e del necessario preventivo vaglio della praticabilità di altre misure di prevenzione e di gestione della crisi meno afflittive, in grado di tutelare l’interesse pubblico, ma anche di preservare l’operatività aziendale ed il valore economico del capitale, come la rimozione dei soli componenti degli organi di amministrazione e controllo ex art. 56-bis del TUF o l’amministrazione straordinaria di cui all’art. 56 TUF;
e) anche il procedimento svolto dalla Banca d’Italia e dalla Consob, rispettivamente nella proposta e nelle osservazioni inviate al MEF, aveva mostrato carenze rilevanti, atteso che le due Autorità di vigilanza non avrebbero rispettato, nella specie, le disposizioni relative ai termini di durata dell’ iter procedimentale, alla comunicazione di avvio dello stesso, all’obbligo di consegna del verbale ispettivo e al principio del contraddittorio, pretermettendo ogni interlocuzione con i diretti interessati);

2) quindi ha declinato le disposizioni normative rilevanti nel caso di specie (in sintesi: a) gli artt. 56 e 56 bis d.lgs. 58/1998 (c.d. TUF) nella parte in cui stabiliscono che “ 1. La Banca d'Italia, di propria iniziativa o su proposta formulata dalla Consob nell'ambito delle sue competenze, può disporre lo scioglimento degli organi con funzione di amministrazione e di controllo delle Sim, delle società di gestione del risparmio, delle Sicav e delle Sicaf quando: a) risultino gravi irregolarità nell'amministrazione ovvero gravi violazioni delle disposizioni legislative, amministrative o statutarie che ne regolano l'attività sempre che gli interventi indicati dagli articoli 55-quinquies o 56-bis, ove applicabili, non siano sufficienti per porre rimedio alla situazione;
b) siano previste gravi perdite del patrimonio della società;
c) lo scioglimento sia richiesto con istanza motivata dagli organi amministrativi o dall'assemblea straordinaria ovvero dal commissario nominato ai sensi dell'(articolo 7-sexies)
” (art. 56 Amministrazione straordinaria), e che “ 1. La Banca d'Italia (sentita la Consob) può disporre la rimozione di tutti i componenti degli organi con funzione di amministrazione e di controllo delle Sim, delle società di gestione del risparmio, delle Sicav e delle relative società capogruppo, al ricorrere dei presupposti indicati all'articolo 56, comma 1, lettera a)… ” (Art. 56-bis Rimozione collettiva dei componenti degli organi di amministrazione e controllo”);
b) il successivo art 57 (applicato dall’amministrazione nel caso di specie), che si occupa della “liquidazione coatta amministrativa”, prevedendo che “ 1. Il Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, su proposta della Banca d'Italia o della CONSOB, ciascuna per le materie di propria competenza, può disporre con decreto la revoca dell'autorizzazione all'esercizio dell'attività e la liquidazione coatta amministrativa delle SIM, delle società di gestione del risparmio e delle SICAV, anche quando ne sia in corso l'amministrazione straordinaria ovvero la liquidazione secondo le norme ordinarie, qualora le irregolarità nell'amministrazione ovvero le violazioni delle disposizioni legislative, amministrative o statutarie o le perdite previste dall'articolo 56 siano di eccezionale gravità ”), deducendone quindi che “ l’applicazione della l.c.a. nel caso delle Sim (come anche di altri soggetti rilevanti in campo economico-finanziario, come quelli bancari o assicurativi) possa essere disposta non solo in caso di crisi economica o finanziaria dell’impresa, ad esempio di grave squilibrio patrimoniale legato all’eccedenza delle passività sulle attività, bensì anche al ricorrere di una varietà di altri presupposti di natura eterogenea, quali le gravi irregolarità della gestione o le cosiddette “crisi di legalità” (cfr. «qualora le irregolarità nell'amministrazione o le violazioni delle disposizioni legislative, amministrative o statutarie […] siano di eccezionale gravità») e, dunque, in caso di sussistenza, comunque, di un interesse pubblico - come tale riconosciuto e valutato dall’autorità amministrativa di riferimento, preposta al controllo di vigilanza sull’attività in questione - alla soppressione ed eliminazione dal mercato dell’impresa, per via appunto della sua coatta liquidazione .” (così, testualmente, alle pagg. 12 e 13 nelle due sentenze qui oggetto di appello);

3) ha poi osservato, in via preliminare e generale e in ragione del contenuto delle disposizioni normative sopra richiamate e fondanti il potere amministrativo esercitato con gli atti oggetto di impugnazione, che stante “ il carattere “definitivo” ed “estintivo” nel senso proprio, di eliminazione del soggetto giuridico-economico dal sistema, della misura della l.c.a., dalla documentazione in atti, e principalmente dal decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze e dalla proposta della Banca d’Italia avrebbe dovuto emergere una valutazione d’insieme effettuata dall’Amministrazione circa le ragioni assolutamente preclusive al mantenimento dell’attività aziendale, tenuto conto delle violazioni riscontrate e degli effetti da esse scaturenti, congiuntamente ad un giudizio di insufficienza e di inidoneità, (o almeno un attento vaglio) degli altri strumenti messi a disposizione dall’ordinamento per il caso di crisi di imprese così particolari come le Sim ” e quindi “ L’Amministrazione avrebbe, in breve, dovuto dar conto del perché ritenesse impossibile aspettarsi un superamento delle criticità rilevate dall’Autorità di Vigilanza, nonostante le plurime misure adottate dalla Sim per far fronte alle carenze, alle disfunzioni e alle illegittimità segnalate e nonostante le altre peculiari circostanze caratterizzanti il caso di specie, e non limitarsi apoditticamente ad affermare la “eccezionale gravità” delle irregolarità nell'amministrazione ovvero delle violazioni delle disposizioni legislative, amministrative o statutarie o delle perdite;
ciò, sia per le caratteristiche specifiche del sistema delle misure appena illustrate, previste nel TUF con una crescente “incidenza” sugli organi, sul funzionamento e sull’esistenza stessa dei soggetti economici, per fronteggiare con strumenti calibrati di volta in volta sulla gravità delle varie situazioni la crisi delle imprese finanziarie, sia per il principio di portata, in realtà, generale per cui “gli atti amministrativi non debbono andare oltre quanto è opportuno e necessario per conseguire lo scopo prefissato e, qualora si presenti una scelta tra più opzioni, la pubblica amministrazione deve ricorrere a quella meno restrittiva, non potendosi imporre obblighi e restrizioni alla libertà del cittadino in misura superiore a quella strettamente necessaria a raggiungere gli scopi che l’amministrazione deve realizzare, sicché la proporzionalità comporta un giudizio di adeguatezza del mezzo adoperato rispetto all’obiettivo da perseguire e una valutazione della portata restrittiva e della necessità delle misure che si possono prendere
”;

4) ha conclusivamente rilevato che i provvedimenti impugnati manifestano la loro illegittimità per violazione del principio di proporzionalità e del suo canone applicativo, nell’ottica del concreto bilanciamento fra interesse pubblico ed interessi privati, dovendosi privilegiare il parametro del minor sacrifico per il privato, in particolar modo, nel settore delle sanzioni amministrative punitive, nei provvedimenti ablatori e anche in provvedimenti, come quello oggetto di causa, che vanno ad incidere direttamente sulla sorte dei soggetti economico-finanziari nel mercato, In siffatto contesto impostativo, le amministrazioni coinvolte in giudizio non hanno esaustivamente affrontato (né nel decreto del MEF né nella proposta della Banca d’Italia né, infine, in alcuno dei numerosi atti (ispettivi e non) prodotti in giudizio), alcuna indagine istruttorio-valutativa circa la possibilità di mettere in campo soluzioni alternative rispetto a quella oggetto della decisione impugnata, vulnerando altresì i principi di gradualità, di proporzionalità e di adeguatezza della sanzione inflitta, poiché, tenendo conto della circostanza che le criticità rilevate non appaiano di incidenza tale da non consentire la rimozione delle irregolarità e, dunque, la permanenza del soggetto sul mercato, non hanno svolto alcuna perlustrazione fattuale e giuridica che avrebbe potuto condurre ad un differente risultato provvedimentale, mancando anche, di conseguenza, di motivare adeguatamente i provvedimenti poi divenuti oggetto di impugnazione;

5) ha dunque accolto entrambi i ricorsi con le sentenze qui fatte oggetto di appello, annullando i provvedimenti impugnati.

5. – L’Istituto appellante, con due ricorsi in appello dal contenuto sostanzialmente sovrapponibile tra di loro, prospetta tre traiettorie contestative idonee a dimostrare la erroneità che pervade le sentenze di primo grado e qui appellate. Dette traiettorie possono sintetizzarsi nei seguenti profili di doglianza:

I) violazione e falsa applicazione dell’art. 57 T.U.F., per avere il TAR erroneamente misconosciuto il requisito dell’eccezionale gravità delle irregolarità, delle violazioni e delle perdite rilevate dall’Autorità di vigilanza. Il giudice di primo grado, in particolare, avrebbe errato nell’escludere l’eccezionale gravità delle irregolarità e violazioni rilevate da Banca d’Italia nel corso dell’attività di vigilanza nei confronti della società SIM Advance, finendo per valorizzare la circostanza (sostenuta dalla predetta società nel ricorso di primo grado) che SIM Advance aveva progressivamente dismesso l’attività di gestione dei servizi d’investimento, sulla quale avrebbero poi prevalentemente poggiato i rilievi sviluppati dalla Banca d’Italia e prodromici all’adozione dei provvedimenti impugnati. Il TAR ha invece trascurato di considerare che le carenze individuate dagli ispettori attenevano in realtà all’intero assetto aziendale, avendo in larga parte portata organizzativa, che conseguentemente trascendeva gli specifici caratteri dell’operatività della società Advance e non ha approfondito la significativa circostanza per cui le violazioni accertate hanno specificamente riguardato anche i nuovi servizi sui quali Advance aveva dichiarato di voler concentrare la propria operatività (ad esempio l’inosservanza, da parte dei signori G e P, delle disposizioni interne in materia di operazioni personali, per aver detti esponenti sottoscritto azioni di società, quotate e quotande, per le quali Advance aveva svolto un ruolo consulenziale (segnatamente di Nominated Advisor e di Global Coordinator ). Non può, poi, non considerarsi come le irregolarità emerse nel corso dell’attività di vigilanza esponevano la Advance a rilevanti rischi di contenzioso e reputazionali, che rendevano, tra l’altro, necessari accantonamenti patrimoniali di notevole entità, in misura tale da condurre il patrimonio di vigilanza al di sotto del capitale minimo stabilito dalla normativa di settore per l’esercizio dell’attività di intermediazione mobiliare;

II) violazione e falsa applicazione del principio di proporzionalità dell’azione amministrativa e dell’obbligo di motivazione. Con tale motivo la Banca d’Italia appellante ricorda come il giudice di prime cure abbia ritenuto i provvedimenti impugnati in primo grado colpiti irreparabilmente da deficit nella motivazione in quanto la decisione di procedere alla liquidazione coatta amministrativa di una Sim “ potrebbe essere disposta solo al ricorrere di due requisiti cumulativi: non soltanto, cioè, l’Amministrazione dovrebbe accertare che l’intermediario versi in una qualificata situazione di crisi economica (in presenza di perdite di eccezionali gravità) o di legalità (in presenza di irregolarità o violazioni di eccezionale gravità);
ma in aggiunta, l’Autorità di vigilanza dovrebbe esprimere pure un motivato “giudizio di insufficienza e di inidoneità, (o almeno un attento vaglio) degli altri strumenti messi a disposizione dall’ordinamento” (sentenza impugnata, p. 14), “dando conto... della… inevitabilità” 27 della l.c.a. “in quanto nessuno degli altri rimedi previsti dal TUF sarebbe idoneo al ripristino della sana e prudente gestione consentendo la permanenza sul mercato del soggetto” (sentenza impugnata, p. 28). Tale duplice onere motivazionale sarebbe imposto dal generale canone di proporzionalità, in forza del quale l’Amministrazione sarebbe tenuta a dimostrare che il sacrificio degli interessi legati all’estinzione autoritativa dell’impresa sia giustificato dall’insufficienza di misure “più miti” a soddisfare gli interessi pubblici protetti dalla disciplina di settore, sottesi alla procedura liquidatoria: pur in assenza di specifici indici testuali in tal senso nell’art. 57 del t.u.f., l’interpretazione descritta sarebbe, secondo il TAR, l’unica in grado di assicurare la “tenuta costituzionale della norma” (sentenza impugnata, p. 28)
” (così, testualmente alle pagg. 26 e 27 degli atti di appello). Tale ricostruzione, a giudizio dell’appellante, è errata perché l’art. 57 del T.U.F. indica espressamente i requisiti cui è subordinata la l.c.a. delle Sim che, come la Advance, non assumono rischi in proprio, e alle quali (correlativamente) non si applicano le norme di cui al Capo I-bis dello stesso T.U.F: di conseguenza, per il legittimo avvio della procedura, occorre – ed è sufficiente – che le autorità competenti motivino in ordine alla ricorrenza dei soli requisiti menzionati dal citato art. 57 del T.U.F., sicché le ulteriori esigenze di motivazione richiamate dal TAR non sono necessarie e quindi la mancanza di tali elementi nei provvedimenti impugnati non li rende illegittimi. Una volta dunque dimostrata, come è avvenuto nel caso in esame, la sussistenza del requisito della “eccezionale gravità” previsto dall’art. 57 T.U.F., peraltro spettante all’autorità amministrativa competente sulla base di valutazioni che possono essere vagliate dal giudice esclusivamente sotto il profilo della logicità e coerenza del ragionamento e dell’adeguatezza della motivazione, nulla di più è richiesto all’Autorità di vigilanza al fine di motivare la decisione assunta. In secondo luogo, tenuto conto che la Banca d’Italia aveva svolto, nel corso del tempo, un’insistente e multiforme attività sollecitatoria nei confronti degli organi della SIM, indicando a più riprese le azioni da intraprendere per porre rimedio alle criticità riscontrate, non si vede di quale altro adempimento si sarebbe dovuta onerare l’Autorità di vigilanza al fine di appurare la praticabilità o meno di misure di intervento meno gravose rispetto a quelle, poi, effettivamente assunte. Può dirsi, pertanto, più che dimostrato come la proposta di avvio della l.c.a. sia stata correttamente concepita dalla Banca d’Italia quale extrema ratio di intervento, stante l’acclarata indisponibilità degli organi della Advance a recepire le indicazioni a più riprese fornite dalla Vigilanza per il risanamento della situazione aziendale;

III) violazione e falsa applicazione dell’art. 3, comma 3, l. 241/1990 in tema di motivazione con riguardo alla motivazione ob relationem . Errore di fatto con riguardo alla motivazione ob relationem . Appare, in conclusione, insanabile la contraddittoria scelta, fatta propria dal giudice di prime cure, di avere, per un verso, ribadito la legittimità della motivazione dei provvedimenti amministrativi per relationem , per poi criticare il decreto ministeriale impugnato in primo grado, in quanto con esso il MEF si sarebbe piegato alle indicazioni e alle conclusioni proposte dalla Banca d’Italia.

6. – Si sono costituiti nei due diversi giudizi di appello (qui in esame) i signori G e P nonché il Ministero dell’economia e delle finanze e la Consob, amministrazione entrambe evocate in giudizio dalla Banca d’Italia appellante.

I signori G e P hanno contestato analiticamente le prospettazioni formulate in sede di appello dall’appellante Banca d’Italia nei due ricorsi qui in scrutinio, segnalando, in particolare, la correttezza della decisione assunta dal giudice di primo grado nelle due sentenze qui oggetto di appello, atteso che, per un verso la misura liquidatoria assunta nei confronti della società Advance presentava quale presupposto le criticità emerse in un settore di attività (i servizi di investimento di gestione di portafogli e di consulenza) ormai dismesso e, comunque, già da tempo di rilevanza marginale per la detta SIM, oltre al fatto che dette criticità non presentano le caratteristiche strutturali che avrebbero potuto giustificare l’adozione di un sì grave rimedio quale è la liquidazione coatta amministrativa della società.

I signori G e P chiedevano quindi la reiezione dei due appelli.

La Consob, costituita in entrambi i giudizi di appello, ha riformulato l’eccezione già sollevata in primo grado e riferita alla inammissibilità dei due ricorsi perché non sarebbe stata svolta nessuna censura riferita alla nota della Consob del 27 giugno 2019, espressamente richiamata nel decreto ministeriale impugnato e recante gli elementi circa la sussistenza di violazioni di eccezionale gravità nella prestazione dei servizi di investimento da parte di Advance SIM, costituenti ulteriori ed autonomi presupposti del provvedimento ministeriale.

Il MEF, infine, nel costituirsi in entrambi i giudizi di appello, ha argomentato circa la effettiva ricorrenza delle condizioni per l’adozione dei provvedimenti ministeriali impugnati, sussistendo gli elementi di fatto che emergono da quanto rilevato dall’Autorità di vigilanza e specificando, nello stesso tempo, che in materia sono esclusi autonomi poteri ispettivi del Ministero presso l’intermediario per verificare la veridicità degli accertamenti effettuati dagli organi competenti di Banca d’Italia

Nel corso dei due giudizi sono stati adottati:

- per il ricorso in appello n. R.g. 6574/2021 il decreto cautelare monocratico 16 luglio 2021 n. 4017 e l’ordinanza cautelare 2 agosto 2021 n. 4332;

- per il ricorso in appello n. R.g. 6578/2021, il decreto cautelare monocratico 16 luglio 2021 n. 4017 e l’ordinanza cautelare 2 agosto 2021 n. 4333.

Le parti hanno quindi, con riferimento ad entrambi i giudizi, prodotto memorie, anche di replica, depositando ulteriori documenti e confermando le conclusioni già rassegnate nei precedenti atti processuali.

7. - In via preliminare deve disporsi la riunione dei due ricorsi in appello qui in scrutinio, atteso che la vicenda fattuale è identica per entrambi, attengono alla medesima controversia e hanno quale bersaglio due sentenze del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (n. 7726/2021 e 7734/2021) dal contenuto decisionale pressoché tra di loro sovrapponibile.

Va a tal proposito rammentato, in via generale e per completezza espositiva, che nel processo amministrativo, con riferimento al grado di appello, sussiste l’obbligo per il giudice di disporre la riunione degli appelli allorquando questi siano proposti avverso la stessa sentenza (art. 96, comma 1, c.p.c.), mentre in tutte le altre ipotesi la riunione dei ricorsi connessi attiene ad una scelta facoltativa e discrezionale del giudice, come si desume dalla formulazione testuale dell'art. 70 c.p.a., con la conseguenza che i provvedimenti adottati al riguardo hanno carattere meramente ordinatorio, sono privi di valenza decisoria e restano conseguentemente insindacabili in sede di gravame con l'unica eccezione del caso in cui la medesima domanda sia proposta con due distinti ricorsi dinanzi al medesimo giudice (cfr., tra le ultime, Cons. Stato, Sez. V, 24 maggio 2018 n. 3109).

Nel caso di specie emergono evidenti profili di connessione soggettiva e oggettiva tra i due ricorsi in appello, recando quali parti processuali le stesse già costituite nel giudizio di primo grado ed avendo ad oggetto la delibazione di motivi di appello dal contenuto pressoché sovrapponibile.

Deriva da quanto sopra che va disposta la riunione del ricorso in grado di appello n. R.g. 6578/2021 al ricorso in grado di appello n. R.g. 6574/2021, in quanto quest’ultimo ricorso (in appello) è stato proposto in epoca antecedente rispetto al precedente, perché siano decisi in un unico contesto processuale e ciò sia per evidenti ragioni di economicità e speditezza dei giudizi sia al fine di prevenire la possibilità (eventuale) di un contrasto tra giudicati (cfr., ancora, Cons. Stato, Sez. IV, 7 gennaio 2013 n. 22 e 23 luglio 2012 n. 4201).

8. – Il punto nodale delle due controversie sottoposte all’esame di questo Consiglio di Stato dalla Banca d’Italia, ad avviso del Collegio, consiste dall’avere il TAR (con riferimento ad entrambi i ricorsi proposti dai signori P e G) erratamente applicato il principio di proporzionalità dell’azione amministrativa, che sempre deve caratterizzare l’attività delle Autorità, in particolar modo se svolgono funzioni di vigilanza assumendo decisioni “definitive” per il destino dei soggetti vigilati, ritenendo che fosse stato violato dalle autorità intervenute, ma soprattutto di avere erratamente affermato che l’istruttoria svolta (che ha poi dato luogo all’adozione del provvedimento afflittivo adottato dal MEF nei confronti della società Advance e dei soggetti appellati) non fosse stata sufficiente a dimostrare la sussistenza del necessario requisito della eccezionale gravità della gestione societaria, tanto da meritare Advance l’incisivo intervento eliminativo dal mercato di riferimento, conseguente alla messa in liquidazione coatta amministrativa della stessa. L’errore nel quale sarebbe incorso il giudice di primo grado si concentrerebbe, quindi, secondo quanto viene sostenuto da Banca d’Italia, sia nel non aver adeguatamente apprezzato la completezza dell’istruttoria svolta e il peso specifico degli elementi acquisiti dalla Banca d’Italia e dalla Consob che, tutti, deponevano per la conclusione dell’istruttoria coagulata nella proposta della stessa Banca d’Italia e nel provvedimento del MEF e comunque nel non avere adeguatamente interpretato il principio di proporzionalità così doveva essere applicato nella specie.

Va considerato principale tale motivo di appello e di conseguenza la valutazione di tale capo delle sentenze fatte oggetto dei due mezzi di gravame qui in decisione in quanto, in un’ottica di complessivo bilanciamento degli elementi che compongono l’intero quadro contestativo dei due giudizi, la rilevanza attribuita dal giudice di primo grado del mancato rispetto, nella procedura sottostante e al momento della valutazione degli elementi istruttori acquisiti da parte delle amministrazioni procedenti, dei principi di proporzionalità e di adeguatezza della misura afflittiva decisa a carico della società Advance, impongono uno scrutinio congiunto degli aspetti inerenti alla questione della effettiva sussistenza degli elementi di assoluta gravità descritti dalle norme di settore per poter disporre la messa in liquidazione coatta amministrativa di una SIM con quelli riferibili all’adeguatezza e alla proporzionalità della misura adottata in ragione di tutti gli elementi posti all’attenzione delle amministrazioni procedenti e decidenti, che impongono di considerare se, effettivamente, la misura decisa fosse realmente congrua e assolutamente non sostituibile da una misura meno afflittiva. Ciò comporta, dunque, un sostanziale scrutinio congiunto dei primi due motivi di appello per come dedotti nei due giudizi qui riuniti dalla Banca d’Italia.

Il Collegio ritiene, con riferimento a tale doppio profilo di doglianza (e poi, come si avrà modo di illustrare, con riferimento a tutti i percorsi censori prospettati dall’Istituto appellante nei confronti delle sentenze qui oggetto dei due mezzi di gravame), che gli argomenti prospettati dalla Banca d’Italia non conducono alla riforma delle due decisioni assunte nella specie dal TAR.

9. - Dando per scontata la conoscenza (da parte di tutti i controvertenti) delle norme del TUF che governano l’esercizio del potere di vigilanza rimesso alla competenza dalle Autorità coinvolte nei fatti dai quali è derivato il presente contenzioso (essendo state ampiamente richiamate e per più parti riprodotte negli atti processuali – ed anche sopra nella descrizione della vicenda contenziosa - nonché nelle stesse sentenze qui fatte oggetto di appello), al Collegio preme ricordare, in via preliminare, che:

- l'art. 1 della legge 7 agosto 1990, n. 241 indica i principi dell'ordinamento dell’Unione europea tra quelli che reggono l'attività amministrativa, ivi compresi (per quanto è qui di rilievo) i principi unionali della proporzionalità dell’azione amministrativa e della trasparenza della stessa, intesa nel senso del rispetto delle regole (del gioco) che governano i procedimenti amministrativi e che si pongono a fondamento dell’adozione dei provvedimenti amministrativi, in specie se di grave portata, afflittivi e, soprattutto, punitivo-sanzionatori;

- è noto che la prescritta conformità dell'attività amministrativa ai principi dell'ordinamento unionale deve essere valutata in relazione all'intero sistema dei principi dell'ordinamento stesso, e pertanto sia a quelli generali sia, nel caso di specie, a quelli che caratterizzano il sistema normativo che regola l'intermediazione finanziaria. In tale peculiare settore, le direttive degli organi comunitari (in particolare direttiva 93/22/CEE del Consiglio, del 10 maggio 1993, relativa ai servizi di investimento nel settore dei valori mobiliari) si propongono di realizzare, nel settore delle imprese di investimento, il mercato interno, sotto il duplice profilo della libertà di stabilimento e della libera prestazione dei servizi;
il perseguimento di tali obiettivi è tuttavia subordinato a un controllo operato dagli organi competenti dei singoli stati membri tale da salvaguardare gli (altrettanto fondamentali) obiettivi di tutela degli investitori e della stabilità del sistema finanziario. Mentre al perseguimento dei principi della libertà di stabilimento e della libera prestazione dei servizi nel settore dell'intermediazione sono funzionali le norme volte al rilascio di un'unica autorizzazione valida in tutta la Comunità, le misure di vigilanza, nonché quelle sanzionatorie o interdittive dell'attività, che (in particolare) sono volte a garantire l'investitore nonché la stabilità del mercato finanziario;

- in siffatto contesto, dal punto di vista degli interessi tutelati, la mancata gestione dei fondi o dei titoli non priva i risparmiatori-investitori dall'esposizione ai rischi tipici dell'attività professionale di intermediazione. Nelle prestazioni dei servizi di intermediazione, l'onere di garantire gli investitori grava su tutti quei soggetti abilitati che indirizzano in modo professionale le scelte del risparmiatore-investitore e le norme che ne disciplinano l'esercizio rispondono sia ad esigenze di tutela del privato che si avvale dell'attività di un professionista, sia a interessi superiori costituzionalmente garantiti;

- per quanto concerne l'attività di vigilanza, affidata alla Banca d'Italia e alla Consob, ciascuna titolare di specifiche competenze, essa si sostanzia in un controllo continuo sull'attività delle imprese autorizzate, in cui l'oggetto della valutazione risiede sia nelle singole ed eventuali mancanze in sé considerate, sia nell'idoneità delle stesse a riflettersi negativamente sul complessivo andamento dell'attività. Così, il rischio a cui sono esposti gli investitori, le informazioni agli stessi fornite, le misure di controllo interno predisposte, l'andamento economico, le prospettive di mercato, l'esistenza e l'ammontare del patrimonio di garanzia, sono tutti elementi di un giudizio complessivo sull'andamento dell'impresa e dell'attività esercitata;

- nel caso di specie, il giudizio degli organi di vigilanza, formalizzato nella proposta poi recepita dal Ministero dell'economia e delle finanze, ha evidenziato una progressiva erosione del capitale sociale con perdite di clientela e potenziale esposizione a ulteriori perdite derivanti da criticità pregresse e non colmate dall’ingresso in Advance dei signori P e G. Infatti (come si è già riferito sopra descrivendo i fatti di causa) “ l’assetto azionario esistente al momento dell’adozione del provvedimento di l.c.a. annullato dal TAR derivava dall’ingresso, alla fine del 2015, di una cordata di investitori, composta da CDR Advance Capital s.p.a. (azionista maggioritario) e da altre persone fisiche, tra i quali il sig. G, titolare del 6,67% delle azioni, che ha altresì rivestito l’incarico di consigliere di amministrazione sino alla liquidazione coatta dell’intermediario, e il sig. L P (titolare del 14,44% delle azioni), cha ha ricoperto fino alla data predetta il ruolo di amministratore delegato La società veniva dunque a caratterizzarsi, sino alla data dell’adozione del provvedimento impugnato dal sig. G, per la sovrapponibilità tra proprietà ed amministrazione, atteso che gli incarichi amministrativi – tra i quali quello di amministratore delegato – erano svolti dagli stessi azionisti. I citati azionisti subentrati nel 2015 si erano impegnati a risolvere le criticità patrimoniali e gestionali emerse sotto la precedente proprietà;
pertanto, avevano ridefinito gli indirizzi aziendali, puntando, tra l’altro, all’estensione dell’operatività al collocamento, alla prestazione di consulenza in materia di finanza d’impresa (corporate finance) e alla fornitura di attività di risk management (cfr. appunto al Capo Dipartimento del 28 marzo 2019: doc. 33 fasc. TAR di controparte). Il processo di riposizionamento strategico e di revisione degli assetti interni mostrava, tuttavia, significativi ritardi e crescenti elementi di attenzione, riconducibili, in particolare, a debolezze di carattere organizzativo e a criticità nella prestazione dei servizi di investimento, con specifico riguardo ai profili dell’adeguatezza degli investimenti al profilo di rischio dei clienti, alla gestione dei conflitti d’interesse, al rispetto dei limiti di concentrazione, alla selezione degli strumenti finanziari proposti alla clientela, all’illiquidità dei titoli presenti nei portafogli
” (così, testualmente, a pag. 5 dei ricorsi in appello di Banca d’Italia). Gli accertamenti ispettivi, svolti da Banca d’Italia dal 22 ottobre al 21 dicembre 2018 nei confronti della società Advance Sim, accompagnati dall’attività istruttoria svolta dalla Consob, si concludevano con una valutazione sfavorevole e aprivano la strada per la proposta, poi coagulata nel provvedimento adottato dal MEF, di (revoca dell’autorizzazione con conseguente) messa in liquidazione coatta amministrativa di Advance Sim per irregolarità nell’amministrazione, violazioni normative e perdite patrimoniali di eccezionale gravità, oltre alla (successiva) inflizione di sanzione pecuniaria;

- sempre nel caso di specie, gli appellati sostengono che il decreto di revoca dell’autorizzazione e di messa in liquidazione coatta amministrativa non avrebbe tenuto conto delle rilevanti modifiche alla situazione della società rispetto a quella che era stata accertata in precedenza dagli organi ispettivi della Banca d’Italia e, soprattutto, è stata trascurata la sicura rilevanza delle azioni poste in atto dalla società per superare le criticità che le erano state attribuite, quali – ad esempio - la chiusura dei servizi di gestione patrimoniale e di consulenza, l’implementazione delle procedure e dei presidi interni, l’adeguamento al rinnovato quadro normativo MiFID II ed il continuo monitoraggio delle attività correlate al default del titolo Energy Lab e alle problematiche insorte con Cosvig. In tale contesto di evidente carenza istruttoria, gli organi della vigilanza (e poi il MEF) non avrebbero effettuato alcuna valutazione di adeguatezza circa la indispensabilità della decisione di porre in liquidazione coatta amministrativa la società, non tentando neppure di percorrere una via solutoria alternativa e meno afflittiva, imponendo quindi misure diverse, rispetto all’unica individuata, di prevenzione e di gestione della crisi che, in un sano ed equilibrato bilanciamento di tutti gli interessi in gioco, fossero in grado, all’un tempo, di tutelare l’interesse pubblico ma anche di preservare l’operatività aziendale ed il valore economico del capitale (come, ad esempio, la rimozione dei soli componenti degli organi di amministrazione e controllo ex art. 56- bis del TUF o la scelta di porre la società in amministrazione straordinaria, ai sensi dell’art. 56 TUF).

Le risultanze istruttorie degli organi di vigilanza ed uno studiato esame della documentazione prodotta nei due gradi di giudizio (con analitico scrutinio appositamente riedizionato in sede d’appello), ad avviso del Collegio, avrebbero potuto condurre ad una valutazione più approfondita e articolata, da parte di detti organi (di vigilanza), circa la reale sussistenza delle condizioni che hanno condotto alla revoca dell’autorizzazione e a porre la società in liquidazione coatta amministrativa, che, però, nella specie non vi è dimostrazione documentale che sia stata operata, potendosi dunque ritenere che si sia realizzato un non puntuale rispetto dei principi di proporzionalità e di completezza nella scelta amministrativo-sanzionatoria coagulata nel provvedimento del MEF impugnato.

Se è vero che dagli artt. 56 e 56- bis d.lgs. 58/1998 nonché dal successivo art. 57 discendono un complesso di previsioni che impongono, nel caso che ci occupa riferito alle SIM, perché possa essere imposta la misura della liquidazione coatta amministrativa, che sia debitamente accertata non solo la sussistenza di una crisi economica in capo alla società oggetto di istruttoria di vigilanza ma (e si potrebbe dire “soprattutto”, altrimenti la misura non avrebbe carattere peculiare ed eccezionale ma ordinario) una vera e propria “crisi di legalità”, quindi la presenza di una caleidoscopica e pulviscolare di circostanze fattuali e giuridiche che possono fotografare, al di là di ogni ragionevole dubbio, la messa in pericolo dell’interesse pubblico che non può essere tutelato altrimenti se non attraverso la soppressione e la eliminazione dal mercato della società, per mezzo del meccanismo della messa in liquidazione coatta amministrativa impresa. Tale scelta dunque, per quel che emerge dalla lettura delle disposizioni più sopra (solo) richiamate, costituisce un intervento di extrema ratio del sistema che si trova costretto, nel bilanciamento degli interessi in gioco, a tutelare l’interesse pubblico e la credibilità dei sistemi e dei meccanismi finanziari, amputando un operatore economico tra quelli operanti nel mercato finanziario.

10. – Va premesso, in via generale, che è ormai pacifica in giurisprudenza l’ampia portata dello scrutinio che il giudice amministrativo può operare nei confronti dei provvedimenti (e delle istruttorie che ne precedono l’adozione) delle amministrazioni pur se è coinvolto un esercizio di potere caratterizzato da discrezionalità tecnica.

Infatti, un adeguato controllo giurisdizionale sui provvedimenti impugnati impone un pieno accesso al fatto da parte del giudice amministrativo, ammettendosi un penetrante scrutinio sotto i profili della ragionevolezza, proporzionalità, adeguatezza, logicità, coerenza e completezza della valutazione operata dall’amministrazione procedente, considerati anche per l'aspetto concernente la correttezza del criterio tecnico e del procedimento applicativo prescelto (cfr., tra le molte, Cons. Stato, Sez. VI, 3 marzo 2022 n. 1510).

Il limite che il sindacato giurisdizionale incontra rispetto ad elementi valutativi, quali quelli che possono essere coinvolti nella controversia oggi in esame, in base alla giurisprudenza più recente è declinabile in termini di “attendibilità”, o meglio della “maggiore attendibilità”, sempre con esclusione della possibilità per il giudice di sostituirsi all'amministrazione. Ad ogni modo tale esito non costituisce un limite ai poteri del giudice, suscettibile di risolversi in una minorata tutela della situazione giuridica sottostante, bensì la conseguenza del modo in cui è congeniata la situazione giuridica sottostante, che non può non riflettersi sulla valutazione della conformità dei fatti alla relativa fattispecie astratta. In tali ipotesi, il giudice è pienamente abilitato a pervenire all'accertamento della fondatezza della pretesa sostanziale invocata, senza che entri in gioco e sia di ostacolo il divieto del sindacato sostitutivo del giudice amministrativo (cfr., ancora, Cons. Stato, Sez. VI, 19 gennaio 2021 n. 584).

Chiarito quanto sopra può riferirsi che:

- per un verso la motivazione ob relationem deve essere considerata quale una delle possibili declinazioni dell'obbligo sancito dall'art. 3, comma 3, l. 241/1990, di talché non vi è motivo di denunciare sul piano della legittimità un provvedimento che abbia fatto ricorso a tale tecnica motivazionale prevista dalla legge, tenuto conto che la motivazione ad hoc è espressamente richiesta solo nel caso in cui l'organo decidente disattenda la proposta (cfr., ex multis , Cons. Stato, Sez. VI, 23 marzo 2016 n. 1199). Ne consegue la legittimità del provvedimento del MEF adottato sulla scorta dei pareri istruttori resi dalle Autorità di vigilanza che hanno svolto i relativi procedimenti;

- nondimeno, proprio dall’indagine dei documenti nei quali è fotografato il complesso delle acquisizioni istruttorie che hanno condotto all’adozione del provvedimento del MEF non si rinviene, come invece (per quanto si è più sopra ampiamente chiarito) sarebbe stato indispensabile al fine di garantire il rispetto dei principi di proporzionalità e di adeguatezza dell’azione amministrativa (rispetto ai quali si dà per scontata la conoscenza dei presupposti normativi unionali e nazionali – peraltro ampiamente riprodotta nelle sentenze qui oggetto di appello e pressoché in quasi tutti gli atti processuali depositati in questo secondo grado di giudizio dalle parti in controversia - che dunque non vi è ragione di riprodurre nuovamente, appesantendo inutilmente lo sviluppo delle presenti argomentazioni decisorie), alcuna traccia di un percorso (come detto, neppure accennato, nonostante quanto Banca d’Italia ha inteso riferire negli atti processuali prodotti nei due gradi di giudizio) inteso a perlustrare se fossero individuabili spie di attenuabilità della misura da adottarsi, in ragione degli interventi messi in campo e dei primi risultati raggiunti dalla società Advance e dai suoi amministratori, dimostrativi dell’avvio di un percorso virtuoso teso a superare le criticità rilevate dagli organi di vigilanza;

- ciò di cui non vi è traccia e che non si rinviene (neppure embrionalmente) nel percorso istruttorio svolto dagli organi della vigilanza è (almeno) il tentativo di scongiurare in assoluto la possibilità che una misura alternativa rispetto alla messa in liquidazione coatta amministrativa della SIM potesse mostrarsi proponibile, ovviamente tenendo conto di quanto stava realizzando la società al momento dello svolgimento di tale percorso istruttorio (svolto sia dalla Banca d’Italia che da Consob), senza che nel provvedimento finale assunto dal MEF sia stato dato conto, in motivazione, di tale eventuale approfondimento di indagine circa la “sostenibilità assoluta” e la “indispensabilità accertata” della misura estrema costituita dalla messa in l.c.a. della SIM in questione;

- ancor più in particolare e per quanto concerne lo specifico requisito della “eccezionale gravità” che costituisce il presupposto fondante l’assunzione della misura della l.c.a. (secondo la normativa TUF più volte richiamata), negli atti istruttori (e di conseguenza nel provvedimento assunto dal MEF) vengono declinati una serie di deficit rilevati dagli organi di vigilanza con riferimento a numerosi settori nei quali si dispiegava l’attività della SIM (in relazione ai servizi di investimento, di gestione patrimoniale e di consulenza), aggravati da una generale assenza di un’organizzazione societaria idonea a garantire il rispetto della normativa antiriciclaggio e incapace di rilevare e rivelare situazioni di conflitto di interesse ma (come ha avuto modo di rilevare anche il primo giudice);
tali elementi non vengono (mai, né singolarmente né congiuntamente) posti in correlazione con il peso specifico (ovvero il “ruolo”) che la società aveva assunto nell’ambito del mercato dell’intermediazione finanziaria, correlandosi con le aspettative (di sua permanenza in quel mercato da parte) degli investitori. In altri termini la rilevanza in ordine alla “eccezionale gravità” nella quale era caduta la situazione della SIM avrebbe dovuto essere considerata anche in senso complessivo, sia proporzionalmente rispetto alla posizione di mercato della SIM sia con adeguatezza rispetto alle aspettative e alla fiducia in essa riposta dagli investitori, prima di decidere che la sola soluzione percorribile fosse quella della eliminazione dal mercato della intermediazione mobiliare;

- anche in questa sede di appello deve riflettersi sulla circostanza che la maggior parte degli elementi di criticità denunciati in sede istruttoria nei confronti di Advance attenevano ai servizi di investimento del patrimonio di terzi e, per come è stato documentalmente dimostrato, detta società aveva ridotto, al 31 dicembre 2018, a circa un 5% i ricavi per tali prestazione dei servizi di investimento dedicati al patrimonio di terzi (gestione patrimoniale e consulenza in materia di investimenti), segno di una significativa flessione e di un sintomatico avvio di un percorso idoneo (seppure astrattamente) a risolvere le predette criticità, che tuttavia le autorità impegnate nell’istruttoria di vigilanza hanno omesso di considerare (anche solo per escluderne, all’esito di una analitica e specifica verifica di inadeguatezza, la rilevanza ai fini della scelta della misura finale da adottare);

- a ciò si aggiunga che è poi ulteriore frutto del corredo documentale già presente nel corso del giudizio di primo grado, la conferma che tale percorso fosse davvero virtuoso, in ragione dell’appurata riduzione drastica del numero dei contratti ancora presenti nel settore e dell’ormai modesto valore complessivo delle transazioni registrate (meno di quindici contratti e un patrimonio complessivo, riferibile alle attività di gestione e consulenza, che non raggiungeva i 30 milioni di euro), fino a quando, proprio per effetto di tali riscontri emersi a fine 2018 (quindi proprio nel periodo in cui Advance era sottoposta all’attività di vigilanza), tale attività di servizi si esauriva definitivamente a far data dal 31 gennaio 2019;

- altri elementi si sommano poi nel quadro di, quantomeno, incertezza circa la sussistenza dei presupposti della eccezionale gravità idonea a determinare l’inevitabile messa in liquidazione della Advance. Come ad esempio il modesto numero di operazioni che sarebbe stato realizzato in una situazione di conflitto di interessi, peraltro concentrate nell’attività di consulenza, che non assumeva ruolo nevralgico nelle operazioni della SIM, tanto essere successivamente del tutto abbandonata ovvero l’attività svolta fuori sede dal consulente finanziario, all’esito della quale non erano registrati clienti, tanto che le contestazioni relative alle violazioni della normativa antiriciclaggio, con riguardo alla carenza di acquisizione e di distribuzione delle necessarie informazioni, dovevano riferirsi solo a clienti puramente “potenziali”;

- è dimostrato poi, anche dalla semplice lettura della “proposta” redatta da Banca d’Italia quale parere tecnico fondante il provvedimento adottato dal MEF, che l’attenzione attirata nel corso dell’indagine di vigilanza alcune delle molteplici attività svolte dalla società Advance e alcuni profili di svolgimento di tali attività, quali ad esempio l’organizzazione societaria dedicata allo svolgimento dell’attività svolta dalla SIM, che non sarebbe stata compliant con la normativa antiriciclaggio, le conseguenze di alcuni contenziosi dai quali sarebbe emersa una scarsa trasparenza in talune operazioni ove si manifestava la possibile commistione con alcuni interessi proprietari e talune ipotesi di conflitto di interessi. Orbene, nel complesso delle numerose attività svolte da Advance tali profili ne colpiscono solo una parte e nella documentazione prodotta non si scorge alcuna valutazione in ordine alla preponderanza assoluta delle attività patologicamente colpite dalle rilevate criticità rispetto all’intero complesso delle attività svolte da Advance, circostanza che denota, quantomeno, una significativa carenza considerativa di tutti gli elementi necessari per giungere ad affermare (al di là di ogni ragionevole dubbio) che la sola misura possibile da adottare fosse quella (poi scelta) di porre la società in liquidazione coatta amministrativa;

- a ciò si aggiunga ancora che non vi è traccia, nella documentazione istruttoria che ha condotto all’adozione degli atti e provvedimenti impugnati, di alcuna considerazione del sensibile “cambio di rotta” realizzato dalla società alla fine del 2018, allorquando (anche) l’ asset societario si organizzava e si dirigeva verso il settore del c.d. investment banking (vale a dire sul servizio di collocamento e sui servizi di finanza straordinaria d’impresa diversificati quali l’attività di reperimento di fondi sul mercato di capitali, la consulenza finanziaria nelle fusioni e acquisizioni, la consulenza nella ristrutturazione del debito dell’impresa e negli aumenti di capitale, fino ad includere servizi finanziari, quali il project financing , la gestione di fondi, il trading, la gestione patrimoniale, il brokering e molto altro), essendo stata abilitata anche da Borsa Italiana allo svolgimento del ruolo di Nominated Advisor per la quotazione delle società al “Mercato AIM Italia”.

Ad avviso del Collegio, dunque, i numerosi elementi posti all’attenzione dell’organo di vigilanza nel corso dell’’istruttoria (tenuto conto che oltre a quelli sopra solo esemplificativamente richiamati ne emergono molti altri ancora, come ad esempio il reale stato e affidabilità del patrimonio di garanzia nella evoluzione temporale dell’intera vicenda procedimentale), avrebbero potuto condurre le amministrazioni procedenti ad effettuare una più accurata valutazione, da manifestare in sede di stesura della relativa motivazione, in merito alla inevitabile scelta della misura da adottarsi, operazione che, per quanto si è sopra riferito, è mancata, incrinando patologicamente la legittimità degli atti impugnati.

11. – In ragione di tutto quanto si è sopra esposto con riferimento agli appelli qui in esame e riuniti, i mezzi di gravame proposti vanno respinti con conseguente conferma delle sentenze del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, Sez. II- bis , 30 giugno 2021 n. 7726 e 7734 con le quali è stati accolti i ricorsi (rispettivamente nn. R.g. 12708/2019 e 12707/2019), accompagnati da motivi aggiunti, proposti in primo grado.

La presente decisione è stata assunta tenendo conto dell’ormai consolidato “principio della ragione più liquida”, corollario del principio di economia processuale (cfr. Cons. Stato, Ad. pl., 5 gennaio 2015 n. 5 nonché Cass., Sez. un., 12 dicembre 2014 n. 26242), che ha consentito di derogare all'ordine logico di esame delle questioni e tenuto conto che le questioni sopra vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell'art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis , per le affermazioni più risalenti, Cass. civ., Sez. II, 22 marzo 1995 n. 3260 e, per quelle più recenti, Cass. civ., Sez. V, 16 maggio 2012 n. 7663 e per il Consiglio di Stato, Sez. VI, 18 luglio 2016 n. 3176), con la conseguenza che gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

Per la peculiarità e la complessità delle questioni che, sia in punto di fatto che di diritto, hanno caratterizzato il presente contenzioso, ritiene il Collegio che sussistano i presupposti di cui all’art. 92 c.p.c, per come espressamente richiamato dall’art. 26, comma 1, c.p.a., per compensare le spese del grado di appello tra tutte le parti in giudizio.

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