Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2013-09-11, n. 201304494
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N. 04494/2013REG.PROV.COLL.
N. 00719/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 719 del 2012, proposto dal signor R D G, rappresentato e difeso dall’avvocato F B, con domicilio eletto presso lo studio del medesimo, in Roma, via Flaminia, 56;
contro
il Comune di Lecce, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dall’avvocato L A, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato G P, in Roma, via Cola di Rienzo, 271;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. PUGLIA - SEZIONE STACCATA DI LECCE, SEZIONE III, n. 1258/2011, resa tra le parti e concernente: reiterato diniego di condono edilizio, giudizio di ottemperanza;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Lecce;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, nella camera di consiglio del giorno 17 maggio 2013, il Cons. B L e uditi, per le parti, gli avvocati Giovanni Pellegrino, per delega dell’avvocato Baldassarre, e Malinconico, per delega dell’avvocato Astuto;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con la sentenza in epigrafe, il T.a.r. per la Puglia, Sezione staccata di Lecce, respingeva (a spese compensate) il ricorso n. 1860 del 2010, proposto dal signor D G Raffaele avverso il provvedimento n. 97599 del 29 luglio 2010 del Comune di Lecce, di diniego della domanda di condono edilizio presentata dal ricorrente ai sensi del d.-l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, in relazione alla realizzazione abusiva, nell’anno 2001, di un fabbricato adibito a civile abitazione, sito in località Torre Chianca e distinto nel catasto del Comune di Lecce al foglio 46, particella 1100.
Il ricorso introduttivo proposto dal signor D G era, inoltre, diretto all’ottemperanza alle precedenti sentenze n. 1782 del 16 giugno 2008 e n. 1199 del 20 maggio 2010, con la prima delle quali il Ta.r. aveva accolto il ricorso presentato avverso il primo diniego di condono (sempre relativo alla stessa opera) del 28 marzo 2008, motivato dall’insanabilità dell’opera per l’insistenza di vincoli paesaggistici e idrogeologici sulla zona di ubicazione dell’immobile, rilevando che il ricorrente già aveva acquisito il parere regionale di compatibilità idrogeologico, mentre, quanto al vincolo paesaggistico, il Comune avrebbe dovuto valutare la compatibilità dell’opera, non trattandosi di un vincolo assoluto.
Con la seconda sentenza (n. 1199/2010), il T.a.r. aveva accolto il ricorso per ottemperanza alla prima sentenza, che investiva il secondo provvedimento di diniego, reiterato il 4 novembre 2009 con identica motivazione, rilevando il contrasto col giudicato formatosi sulla sentenza n. 1782/2008 ed assegnando al Comune di Lecce un termine di quaranta giorni “ per riesaminare, in conformità alle indicazioni contenute nella sentenza n. 1782/08 (…) l’istanza del D G ”.
In esito al secondo giudizio, il Comune aveva adottato il terzo provvedimento di diniego n. 97599 del 29 luglio 2010 – impugnato nel presente giudizio –, motivato, oltre che dal contrasto con il vincolo paesaggistico, dalla nuova circostanza della violazione delle distanze tra costruzioni stabilite dal vigente regolamento edilizio comunale, con riferimento alla costruzione confinante realizzata da tale signor A L, a sua volta oggetto di concessione in sanatoria ai sensi della l. 28 febbraio 1985, n. 47.
L’adito T.a.r., con la qui appellata sentenza, rilevava, per un verso, che al Comune era impedita un’ulteriore valutazione di incompatibilità astratta dell’istanza di condono con il vincolo paesaggistico, ormai preclusa dai giudicati inter partes intervenuti al riguardo, e, per altro verso, respingeva il ricorso che investiva il rilievo, contenuto nel terzo provvedimento di diniego, della violazione delle distanze legali rispetto alla costruzione limitrofa (di per sé ritenuto ammissibile, trattandosi di profilo motivazionale nuovo, poiché nella sentenza n. 1199/2010 era stato espressamente chiarito, con efficacia di giudicato, che poteva ritenersi definita la sola questione dell’astratta condonabilità dell’abuso).
Infatti, secondo l’assunto del T.a.r., dall’acquisita relazione del competente ufficio comunale sarebbe emerso che il proprietario frontista avrebbe legittimamente usufruito del condono del 1985, per aver costruito in epoca anteriore al piano regolatore generale, con conseguente operatività della generale disciplina codicistica (art. 873 cod. civ.) e del principio della prevenzione, e consequenziale violazione delle distanze da parte del ricorrente, costruttore posteriore, legittimamente rilevata dall’Amministrazione comunale in sede di valutazione dell’istanza di condono.
2. Avverso tale sentenza interponeva appello il ricorrente soccombente, deducendo i seguenti motivi:
a) l’erronea reiezione della censura di violazione ed elusione del giudicato formatosi sulle sentenze n. 1782/2008 e n. 1119/2010, essendo al Comune, in esito all’annullamento dei primi due provvedimenti di diniego, precluso di adottare una decisione sfavorevole all’istante, neppure in relazione a profili non ancora esaminati;
b) l’erronea motivazione in relazione ai dedotti vizi di difetto d’istruttoria, di errore nei presupposti di fatto e di diritto, di disparità di trattamento, di illogicità e di ingiustizia manifesta, poiché, contrariamente a quanto ritenuto dal T.a.r., già all’epoca della costruzione eseguita dal proprietario frontista (nell’anno 1982) erano vigenti, anche nella zona di ubicazione di detta opera, il programma di fabbricazione e il relativo regolamento edilizio del Comune di Lecce, sicché il proprietario frontista non avrebbe potuto usufruire del condono, a prescindere dal rilievo che, in ogni caso, l’eventuale violazione delle distanze legali atteneva a rapporti di esclusiva natura privatistica, irrilevanti in sede di condono, comunque subordinato alla salvezza dei diritti dei terzi, da valutare in separata sede civilistica.
L’appellante chiedeva dunque, in riforma dell’appellata sentenza, l’accoglimento del ricorso di primo grado.
3. Costituendosi in giudizio, l’appellato Comune di Lecce contestava la fondatezza dell’appello e ne chiedeva la reiezione, con vittoria di spese.
4. Con ordinanza n. 3912 del 4 luglio 2012, veniva disposta una verificazione ai sensi dell’art. 66 cod. proc. amm. sui seguenti quesiti: “ Esaminati gli atti di causa e ogni altra documentazione ritenuta utile, nonché eseguiti gli accertamenti ritenuti necessari, chiarisca l’organismo verificatore se, al momento dell’adozione della deliberazione della Giunta municipale del Comune di Lecce n. 1261 del 30 agosto 1979, la località Torre Chianca rientrava (o meno) nell’aggregato urbano del territorio leccese ed era assoggettata (o meno) al regime urbanistico-edilizio di cui al Programma di fabbricazione (e connesso Regolamento edilizio) approvato con decreto del Ministero dei lavori pubblici n. 1543 del 7 aprile 1965;accerti, in particolare, l’organismo verificatore, qual’era il regime urbanistico-edilizio (specie con riferimento alla disciplina delle distanze dal confine) applicabile all’area (Catasto Urbano al foglio 46, particella 1381 sub 1) su cui insiste la costruzione realizzata dal signor A L nell’anno 1982, oggetto dell’istanza di condono del 27 marzo 1986 (acquisita agli atti del Comune di Lecce al n. 13996) ”;quale organismo verificatore veniva individuata l’Area di Coordinamento Politiche per la mobilità e qualità urbana, Servizio Urbanistica, della Regione Puglia, in persona del Dirigente in carica o di funzionario delegato.
5. Depositata in data 5 marzo 2013 (dopo una richiesta di proroga) la relazione di verificazione, la causa all’udienza camerale del 17 maggio 2013 veniva trattenuta in decisione.
6. L’appello è fondato nei sensi di cui appresso.
6.1. Al fine di delimitare l’ambito oggettivo del presente giudizio d’impugnazione, s’impone la preliminare considerazione che avverso il capo dell’appellata sentenza, equivalente a pronuncia di parziale accoglimento del ricorso di primo grado (seppure non esplicitata nel dispositivo della sentenza), con il quale è stata affermata la preclusione, dal preesistente giudicato, del potere dell’Amministrazione a riconsiderare l’istanza di condono sotto il profilo del vincolo paesaggistico, non risultano proposti specifici motivi d’appello, né in via principale né in via incidentale, sicché ogni relativa questione esula dal devolutum ed è, ormai, coperta da giudicato endoprocessuale.
6.2. Il motivo ostativo della violazione delle distanze, in quanto integrante profilo nuovo che non aveva costituito oggetto né dei due precedenti dinieghi di condono, né delle due precedenti sentenze intervenute tra le parti, poteva, bensì, essere assunto a ragione motivazionale dell’ulteriore provvedimento di diniego, in sede di riesercizio del potere, non risultando precluso dai giudicati intervenuti tra le parti sui primi due provvedimenti di diniego, con conseguente infondatezza del primo motivo d’appello, di cui sopra sub 2.a).
Nel merito, tuttavia, il diniego in esame, contrariamente a quanto ritenuto dal T.a.r., deve ritenersi illegittimo.
Infatti, dalla verificazione espletata nel presente grado di giudizio è rimasto accertato, “ con riferimento all’anno 1982, di (dichiarata) realizzazione della costruzione da parte di A L sull’area in Catasto Urbano al foglio 46, particella 1381 sub 1, oggetto dell’istanza di condono del 27 marzo 1986 (acquisita agli atti del Comune di Lecce n. 13996), che per il regime urbanistico-edilizio (specie con riferimento alla disciplina delle distanze dal confine) applicabile all’area stessa, occorre riferirsi alle disposizioni di carattere generale, valide per tutte le zone del territorio comunale, di cui all’art. 47 (Parte Seconda - Norme tecnico-igieniche e funzionali) del ‘Regolamento Edilizio Comunale’ (testo approvato ‘a condizione’ con Decreto Interministeriale n. 1543 del 07/04/1965 ed integrato con Delibera Commissariale n. 58 del 18/0/1967) ” (v. così, testualmente, la relazione di verificazione) – il quale prevedeva una precisa disciplina delle distanze delle costruzioni dal confine di proprietà con un’area non edificata, stabilendo, segnatamente, una distanza non inferiore alla metà dell’altezza massima ammissibile, ai sensi del quarto comma del citato art. 47 –, e che tale regime è rimasto immutato anche in seguito ai successivi atti pianificatori comunali adottati nel 1979 (v. la relazione di verificazione, supportata da ampi riscontri istruttori).
Ne consegue che non ha trovato riscontro l’assunto dell’Amministrazione comunale (v. relazione dell’Ufficio condono edilizio del Comune di Lecce dell’11 marzo 2011, acquisita nell’ambito del giudizio di primo grado), posto a base del rilievo motivazionale della violazione delle distanze in sede di terzo diniego di condono, secondo cui andava applicato il criterio della prevenzione in favore del proprietario frontista che aveva costruito per primo (nel 1982), sicché deve ritenersi illegittima la correlativa motivazione su cui si fonda il terzo diniego di condono.
Inoltre, secondo il prevalente orientamento giurisprudenziale di questo Consiglio di Stato (v., ex plurimis , Cons. St., sez. IV, 10 dicembre 2007, n. 6332;Cons. St., sez. IV, 30 dicembre 2006, n. 8262), da cui non v’è motivo di discostarsi, il condono edilizio attiene al rapporto pubblicistico tra il comune e il richiedente e permette a quest’ultimo di ottenere il titolo edilizio, nonostante la violazione di disposizioni di carattere urbanistico-edilizio, pagando la prevista oblazione, nel senso che, attraverso questo meccanismo, resta sanata la violazione nei (soli) rapporti tra l'amministrazione e il richiedente, ma – attesa la relatività del titolo – non sono incisi i rapporti tra il richiedente e i terzi, i cui diritti siano lesi dall’edificazione, e dunque non resta estinto il diritto del proprietario confinante al rispetto delle distanze previste, il quale può farlo valere innanzi all’autorità giurisdizionale competente.
Tale impostazione trova, del resto, puntuale conferma nella disposizione dell'articolo 39, comma 2, l. 23 dicembre 1994, n. 724, nel testo modificato dall’articolo 37, comma 2, l. 23 dicembre 1996, n. 662, secondo cui “ il rilascio della concessione o autorizzazione in sanatoria non comporta limitazione ai diritti dei terzi ”;è, al riguardo, utile ricordare che il testo originario della medesima disposizione aveva, invece, disposto che “ le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano alle opere edilizie che creano limitazioni di tipo urbanistico alle proprietà finitime , a meno che queste ultime non siano conformi e compatibili sia con lo strumento urbanistico approvato che con quello adottato, e che siano state realizzate su parti comuni ”, sicché la sua espunzione dall’ordinamento implica l’esclusione della natura ostativa (al condono) di eventuali limitazioni alle proprietà finitime, ivi compresa la violazione delle distanze legali.
Se, poi, si considera che nel caso di specie è, altresì, oggettivamente controvertibile il rispetto delle distanze da parte del proprietario frontista (per il fatto stesso che egli a sua volta aveva commesso un abuso edilizio, poi condonato), ogni eventuale relativa controversia non può che essere risolta nella competente sede civile, su iniziativa del proprietario che vi abbia interesse.
In altri termini, la circostanza considerata rilevante nel ‘terzo’ diniego, e cioè il fatto che l’immobile del ricorrente sia posto a distanza dal confine inferiore a quella minima prevista dalla disciplina regolamentare edilizia, non poteva, di per sé, impedire il condono, restando naturalmente salvo l’interesse di entrambi i proprietari frontisti di far valere il diritto al rispetto delle distanze davanti al giudice ordinario, a tutela del diritto di proprietà, poiché, pur in presenza di un provvedimento di condono (nella specie, usufruito da entrambi i proprietari frontisti), il proprietario del fondo contiguo, leso dalla violazione delle norme urbanistiche o delle distanze legali, in presenza dei relativi presupposti ha comunque il diritto di chiedere ed ottenere l'abbattimento o la riduzione a distanza legale della costruzione in ipotesi illegittima (v., in tal senso, anche la giurisprudenza della Corte di legittimità: ex plurimis , Cass. civ., sez. II, 6 febbraio 2009, n. 30131;Cass. civ., sez. II, 26 settembre 2005, n. 18728).
Per le esposte ragioni, in accoglimento del secondo motivo d’appello, di cui sopra sub 2.b), l’appello è da accogliere, sicché, in riforma dell’appellata sentenza, s’impone l’accoglimento del ricorso di primo grado, volto all’annullamento del provvedimento di diniego del 29 luglio 2010.
Sono salvi gli ulteriori motivati provvedimenti dell’amministrazione comunale, che tengano conto di tutte le statuizioni rese sulla vicenda in sede di giustizia amministrativa.
6.3. Tenuto conto di ogni circostanza connotante la presente controversia, si ravvisano i presupposti di legge per dichiarare le spese del doppio grado di giudizio interamente compensate tra le parti.
Preso atto dell’istanza di liquidazione delle spese presentata dall’organismo verificatore in sede di deposito della relazione, e tenuto conto della natura delle prestazioni e del vigente sistema tariffario, si ritiene congruo liquidare, in favore dell’organismo verificatore, l’importo onnicomprensivo di euro 3.000,00, da porre a carico di entrambe le parti processuali, in ragione di metà per ciascuna, e con vincolo di solidarietà.