Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2012-07-30, n. 201204292

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2012-07-30, n. 201204292
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201204292
Data del deposito : 30 luglio 2012
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 05518/2010 REG.RIC.

N. 04292/2012REG.PROV.COLL.

N. 05518/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5518 del 2010, proposto da:
R M, rappresentato e difeso dall'avv. M D, con domicilio eletto presso M D in Roma, via Conca D'Oro, 184/190;

contro

Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentato e difeso dalla Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, alla Via dei Portoghesi n. 12, è domiciliato per legge;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. delle MARCHE – Sede di ANCONA- SEZIONE I n. 00097/2010, resa tra le parti, concernente SANZIONE DELLA PERDITA DEL GRADO PER RIMOZIONE


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Economia e delle Finanze;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 giugno 2012 il Consigliere Fabio Taormina e uditi per le parti l’ Avvocato Diego Perucca in sostituzione di M D e l’Avvocato dello Stato Daniela Giacobbe;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado era stato chiesto dall’odierno appellante signor R M l’annullamento del decreto del Comandante in Seconda della Guardia di Finanza datato 4 marzo 2008, con cui gli era stata applicata la sanzione della perdita del grado per rimozione.

Questi aveva esposto di essere stato collocato in congedo per infermità a far tempo dal 19 aprile 2007 (come da verbale della C.M.O. di Chieti in data 19/4/2007, di cui l’Amministrazione aveva preso atto con decreto n. 17989 in data 5/9/2007 del Comandante della Regione Marche della Guardia di Finanza) ed aveva quindi impugnato la detta determinazione del Comandante in Seconda del Corpo, con cui era stata rideterminata la causa della cessazione dal servizio (da infermità a rimozione con perdita del grado).

La rideterminazione discendeva dalla circostanza che l’appellante - imputato per il reato di cui all’art. 317 c.p.- aveva subito una condanna ad anni due di reclusione ex art. 444 cpp (condanna divenuta definitiva a seguito di rigetto del ricorso per Cassazione).

L’originario ricorrente aveva proposto tre articolate macrocensure di violazione di legge ed eccesso di potere, ipotizzando, da un canto, la illegittima compressione del diritto quesito al trattamento di quiescenza e, per altro verso la violazione degli artt. 37 e 60 della legge n. 599/1954 (in quanto la sentenza penale pronunciata a suo carico non recava la sanzione accessoria della perdita del grado ed il procedimento penale era stato avviato dopo che egli era già cessato dal servizio, mentre l’art. 60 della citata legge prevedeva che la perdita del grado decorresse dalla data del decreto ministeriale che la disponeva).

Sotto altro profilo, aveva ipotizzato la violazione art. 29 c.p.m.p. (sostenendo che alla perdita del grado di Maresciallo Aiutante della Guardia di Finanza non poteva seguite la retrocessione a soldato semplice, ma semmai al grado più basso della gerarchia del Corpo).

Il Tribunale amministrativo regionale, ricostruita analiticamente la disciplina sottesa alla vicenda processuale ha partitamente esaminato le dedotte doglianze ed ha definito la causa nel merito respingendo il ricorso.

Quanto alla prime due censure, il primo giudice ha ritenuto che fossero stati correttamente applicati gli artt. 37 e 61 della legge 31 luglio 1954 n. 599 che costituivano eccezione alla regola generale di cui all’art. 60 della citata legge.

Sotto altro profilo, posto che ex art. 60 della legge citata il sottufficiale della Guardia di Finanza poteva incorrere nella perdita del grado sia in conseguenza di una condanna penale o dell’applicazione di misure di sicurezza (ex art. 60, n. 7), sia a seguito di procedimento disciplinare, (art. 60, n. 6) non era rilevante il fatto che la sentenza pronunciata a suo carico dal giudice penale non contemplasse anche la sanzione accessoria della perdita del grado.

Né poteva sostenersi che l’Amministrazione avesse illegittimamente inciso su un diritto quesito, in quanto costituiva un principio generale dell’ordinamento quello secondo cui il trattamento di quiescenza che viene erogato al pubblico dipendente al momento della cessazione dal servizio è provvisorio, sia per quanto riguarda l’an, sia per ciò che attiene al quantum.

Del pari, ad avviso del primo giudice, meritava reiezione l’ultimo motivo di ricorso, con il quale il Mazza aveva censurato la propria “retrocessione” a soldato semplice in forza al Centro Documentale (ex Distretto Militare) di Ancona: ciò perché la retrocessione al grado più basso della gerarchia costituiva una conseguenza giuridica della perdita del grado, per cui non rilevava il fatto che l’originario ricorrente fosse stato riconosciuto non idoneo in assoluto al servizio militare.

Avverso la sentenza in epigrafe l’ originario ricorrente rimasto soccombente in primo grado ha proposto un articolato appello chiedendone la riforma.

Ha in proposito evidenziato che egli era stato collocato in congedo per infermità a far tempo dal 19 aprile 2007 e che, a seguito della avversata determinazione del Comandante in Seconda del Corpo, del 4 marzo 2008, con la quale gli era stata retroattivamente applicata la sanzione della perdita del grado per rimozione, l’Inpdap gli aveva chiesto la restituzione di quanto già erogato.

La rideterminazione discendeva dalla circostanza che l’appellante era stato imputato per il reato di cui all’art. 317 c.p., aveva subito una condanna di anni due di reclusione ex art. 444 cpp resa dal tribunale d Ancona in data 25 luglio 2006, divenuta definitiva a seguito di rigetto del ricorso per Cassazione(in data 9 luglio 2007).

L’inchiesta disciplinare era stata avviata nel settembre 2007 e si era conclusa nel novembre 2007, ed all’esito della stessa egli era stato ritenuto non meritevole della conservazione del grado.

L’azione amministrativa (e la sentenza che ne aveva affermato la esattezza) era gravemente viziata.

La sentenza penale di condanna a suo carico, infatti, non aveva disposto la rimozione né la perdita del grado;
il procedimento disciplinare era stato avviato dopo la sentenza di condanna, ma altresì successivamente al collocamento in congedo.

Ne discendeva che era stato fatto malgoverno degli artt. artt. 37, 60 e 26 della L. n. 599/1954.

Non poteva applicarsi, infatti, né l’art. 37 comma 2 della legge n. 599/1954 (perché la sentenza penale non aveva statuito sul punto della rimozione) né simili conseguenze avrebbero potuto discendere dal procedimento disciplinare avviato, in quanto promosso successivamente ed impingente con un diritto quesito dell’appellante (e comunque, a tutto concedere, ex art. 60 della L. n. 599/1954 la perdita del grado avrebbe dovuto avere la stessa decorrenza del decreto che l’aveva disposta e non avrebbe potuto spiegare effetti retroattivi).

Per altro verso, illegittimamente era stata disattesa dal primo giudice la interpretazione dell’art. 29 del cpmp resa in passato dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 3661/2006: illegittimamente l’appellante era stato posto a disposizione del Centro Documentale come soldato semplice, piuttosto che fatto ridiscendere al grado più basso della scala gerarchica della Guardia di Finanza.

L’appellante ha puntualizzato e ribadito le dette censure depositando articolate note d’udienza, riepilogative dell’intero contenzioso.

L’appellata amministrazione ha depositato una articolata memoria chiedendo la reiezione dell’appello perché infondato.

Alla odierna pubblica udienza del 5 giugno 2012 la causa è stata posta in decisione dal Collegio.

DIRITTO


1.L’appello è infondato e va respinto.

2.Quanto alla prima censura prospettata, nessuna delle articolazioni in cui la stessa si struttura persuade il Collegio.

2.1. In particolare, preme al Collegio anticipare che la tesi appellatoria secondo cui, a cagione della circostanza che la condanna penale pronunciata a carico dell’appellante non conteneva la sanzione della perdita del grado (e del corollario per cui questa sanzione, conseguentemente, non sarebbe stata irrogabile in sede di procedimento disciplinare) l’azione amministrativa sarebbe stata gravemente viziata, appare del tutto destituita di fondamento.

La detta tesi, infatti, come meglio si vedrà immediatamente di seguito, non soltanto collide con la lettera della legge ( nella parte in cui consente che la predetta sanzione possa essere applicata a conclusione di un giudizio disciplinare regolandone la decorrenza) ma, soprattutto, perviene ad una interpretazione certamente non desumibile dalla lettera della legge e del tutto illogica.

Deve considerarsi infatti, che la sanzione penale venne applicata all’appellante a conclusione di un procedimento di cui agli arrt. 444 e segg del codice di rito penale, e che l’art.445 comma 1 del predetto codice di procedura penale stabilisce che “La sentenza prevista dall'articolo 444, comma 2, quando la pena irrogata non superi i due anni di pena detentiva soli o congiunti a pena pecuniaria, non comporta la condanna al pagamento delle spese del procedimento né l'applicazione di pene accessorie e di misure di sicurezza, fatta eccezione della confisca nei casi previsti dall'articolo 240 del codice penale”.

Posto che l’appellante chiese ed ottenne di essere processato con il rito del “patteggiamento”, è evidente che la sentenza applicativa della pena resa dal Giudice penale e regiudicata non avrebbe potuto applicare alcuna sanzione accessoria: fare da ciò discendere una preclusione rispetto alla applicazione di puntuali disposizioni di legge, od alla successiva instaurazione di un procedimento disciplinare, appare senz’altro errato.

La tesi prospettata dall’appellante, soprattutto – ed a prescindere dalla circostanza che, come meglio si vedrà, la stessa appare smentita dalle positive disposizioni di cui alla legge n. 599/1954- appare illogica in quanto farebbe discendere dalla scelta processuale effettuata dall’imputato in sede penale (che, allo stato della legislazione processualpenalistica si configura, sostanzialmente, come un vero e proprio diritto potestativo) circostanze preclusive in sede disciplinare non desumibili per via interpretativa e contrarie alla logica.

2.2. Ciò premesso, stabilisce l’art. 26 della legge 31 luglio 1954 n. 599, che “Il sottufficiale cessa dal servizio permanente per una delle seguenti cause:

a) età;

b) infermità;

c) non idoneità alle attribuzioni del grado o scarso rendimento;

d) domanda;

e) Omissis (1);

f) nomina all'impiego civile;

g) perdita del grado.

Il provvedimento di cessazione dal servizio permanente è adottato con decreto ministeriale”.

Dalla testuale lettura della suindicata disposizione emerge senz’altro, quindi, che la cessazione dal servizio discende (anche) dalla pronuncia con la quale viene stabilita la perdita del grado.

Il successivo art. 37 della citata legge, invece, prevede che: “il sottufficiale, nei cui riguardi si verifichi una delle cause di cessazione dal servizio permanente previste dal presente capo, cessa dal servizio anche se si trovi sottoposto a procedimento penale o disciplinare. Qualora il procedimento si concluda con una sentenza o con un giudizio di Commissione di disciplina che importi la perdita del grado, la cessazione del sottufficiale dal servizio permanente si considera avvenuta, ad ogni effetto, per tale causa e con la medesima decorrenza con la quale era stata disposta.”.

La detta disposizione connette (e legittima) il mutamento della “causale” della cessazione dal servizio disposta per causa diversa dalla perdita del grado, alla circostanza che la perdita del grado suddetta sia stata disposta con “una sentenza o con un giudizio di Commissione di disciplina”, ma non dispone affatto che il relativo procedimento disciplinare dovesse essere già avviato antecedentemente alla cessazione del servizio, in quanto i due commi del citato art. 37 disciplinano fattispecie diverse, in parte intersecantisi, ma non totalmente coincidenti: il primo comma testimonia della impossibilità di trattenere in servizio un sottufficiale, nei cui confronti si sia verificata “una delle cause di cessazione dal servizio permanente” anche laddove lo stesso fosse già stato sottoposto a procedimento disciplinare al momento del congedo.

Il comma secondo, disciplina gli effetti della sentenza o del giudizio di Commissione di disciplina che importi la perdita del grado, sul sottufficiale cessato per altra causa.

Ma – e qui riposa un altro non irrilevante errore prospettico contenuto nell’appello- ciò non implica affatto che, perché la sentenza o il giudizio di Commissione di disciplina potessero produrre il citato effetto occorreva necessariamente che essi fossero già stati rispettivamente instaurati al momento in cui il sottufficiale cessava dal servizio per altra causa.

Si evidenzia in proposito che l’art. 60 della citata legge prevede che il grado si perde per una delle seguenti cause:

1) perdita della cittadinanza;

2) assunzione di servizio, non autorizzata, in Forze armate di Stati esteri;

3) assunzione di servizio con qualsiasi grado in una Forza armata diversa da quella cui il sottufficiale appartiene o nella Guardia di finanza o nel Corpo delle guardie di pubblica sicurezza o nel Corpo degli agenti di custodia delle carceri, ovvero, con grado inferiore a quello di sottufficiale, nella Forza armata di appartenenza;

4) interdizione civile o inabilitazione civile;

5) irreperibilità accertata;

6) rimozione, per violazione del giuramento o per altri motivi disciplinari, previo giudizio di una Commissione di disciplina;

7) condanna:

a) nei casi in cui, ai sensi della legge penale militare, importi la pena accessoria della rimozione;

b) per delitto non colposo, tranne che si tratti dei delitti di cui agli artt. 396 e 399 del Codice penale comune, quando la condanna importi l'interdizione temporanea dai pubblici uffici, oppure una delle altre pene accessorie previste ai nn. 2 e 5 del primo comma dell'art. 19 di detto Codice penale.

Il grado si perde altresì per decisione del Ministro, sentito il parere del Tribunale supremo militare, quando il sottufficiale prosciolto dal giudice penale sia stato sottoposto ad una delle misure di sicurezza personali prevedute dall'articolo 215 del Codice penale comune, ovvero quando il sottufficiale, condannato, sia stato ricoverato a cagione di infermità psichica, in una casa di cura o di custodia. Nel caso che il sottufficiale, prosciolto, sia stato ricoverato in un manicomio giudiziario ai sensi dell'art. 222 del Codice penale comune, e nel caso che il sottufficiale, condannato, sia stato ricoverato per infermità psichica in una casa di cura o di custodia ai sensi dell'art. 219 di detto codice, la decisione del Ministro è presa quando il sottufficiale ne viene dimesso.” e, secondariamente, che il successivo art. 61, da leggersi in combinato disposto con l’art. 37 comma 2 il cui testo è stato prima richiamato, prevede che “ La perdita del grado è disposta con decreto ministeriale.

La perdita del grado decorre dalla data del decreto nei casi di cui ai commi primo, nn. 1, 5 e 6, e secondo dell'art. 60, dalla data di assunzione del servizio nei casi di cui al predetto primo comma, nn. 2 e 3, e dal giorno del passaggio in giudicato della sentenza nei casi di cui allo stesso primo comma, nn. 4 e 7, dell'art. 60.

Qualora ricorra l'applicazione del secondo comma dell'art. 37, la perdita del grado per le cause indicate al primo comma, nn. 6 e 7, dell'art. 60 decorre dalla data in cui il sottufficiale ha cessato dal servizio permanente”.

Proprio l’ultimo comma della disposizione in ultimo citata, “legandosi” al comma 2 dell’art. 37, non a caso ivi espressamente richiamato, consente di affermare che la disposta perdita del grado, in quanto causa di rimozione superveniens, retroagisce alla data in cui (per diversa causa) il sottufficiale ebbe a cessare dal servizio permanente.

2.3. Cadono così le censure fondate sulla asserita intangibilità di alcun diritto quesito, posto che è la stessa legge a non individuare come tale quello relativo alla motivazione con la quale venne in precedenza disposta la cessazione dal servizio permanente ed il collocamento in congedo (al contrario prevedendo un mutamento retroattivo della “causale” della cessazione dal servizio permanente) e cade, soprattutto la tesi per cui sarebbe sufficiente per il sottufficiale indagato od imputato in sede penale di adire il rito ex art. 444 cpp per privare irreversibilmente l’Amministrazione di attivare il procedimento finalizzato alla declaratoria della perdita del grado.

Ciò perché, non potendosi iniziare alcun procedimento disciplinare in pendenza di procedimento penale, si verificherebbe l’evenienza per cui la sentenza resa ex art. 444 cpp non “può “ disporre pene accessorie, ed il sottufficiale nel frattempo cessato dal servizio non potrebbe, ad avviso dell’appellante, subire la sanzione della rimozione per perdita del grado incidente sulla causale del collocamento in congedo medio tempore disposto.

La complessa censura, conclusivamente, è del tutto destituita di fondamento, e, ovviamente, neppure giova all’appellante rimarcare che la propria infermità fosse stata positivamente delibata al momento della “prima” collocazione in congedo: nessuno invero dubita di tale circostanza.

E’ la stessa legge, tuttavia, che considera detta “causale” del congedo rimuovibile ex post, nella particolare evenienza in cui, a seguito di giudizio di disciplina, il sottufficiale venga privato del grado.

Inoltre l’appellante introduce un motivo confusorio, allorchè afferma che la perdita del grado avrebbe dovuto avere la decorrenza prevista dall’art. 60 della citata legge 31 luglio 1954 n. 599 (e cioè dalla dalla data del decreto, ai sensi del penultimo comma del predetto art. 60), trascurando la circostanza che l’ultimo comma della citata disposizione prevede espressamente che “Qualora ricorra l'applicazione del secondo comma dell'art. 37, la perdita del grado per le cause indicate al primo comma, nn. 6 e 7, dell'art. 60 decorre dalla data in cui il sottufficiale ha cessato dal servizio permanente”: anche tale segmento della censura merita la reiezione, quindi.

2.4. Le superiori affermazioni inducono altresì alla reiezione delle affermazioni contenute nell’appello ed in ultimo riproposte nelle conclusive note d’udienza secondo cui la “causale” del riconosciuto trattamento pensionistico integrano un –intangibile- diritto quesito.

Esulando dalla giurisdizione di questo Consiglio di Stato le controversie di natura pensionistica (per cui, semmai, le doglianza ipotizzate avrebbero dovuto proporsi in altra sede), e limitando l’esame alla refluenza dei detti argomenti di critica sugli atti gravati nell’ambito della presente controversia, ribadisce il Collegio che le espresse previsioni di cui alla legge suindicata consentono espressamente la retrodatazione degli effetti della disposta rimozione del grado e, sotto un profilo più generale, del principio di “intangibilità” affermato dall’appellante non v’è traccia nell’ordinamento.

Il detto principio, infatti, attiene (nei ristretti limiti in cui se ne continua a predicare la permanente applicabilità) alla tutt’affatto diversa fattispecie della sopravvenienza di norme di legge (ovvero, laddove la fonte regolatrice del rapporto sia di natura negoziale, di disposizioni ascrivibili alla contrattazione collettiva) peggiorative, che non possono essere applicate al dipendente collocato in quiescenza successivamente al momento di determinazione del trattamento a questi spettante.

L’invocato “principio”, invece, non impedisce certo che, in virtù di fatti preesistenti al momento del collocamento in quiescenza ed in relazione a puntuali disposizioni di legge possa venire esattamente determinata (rectius: rideterminata) la causa del suddetto collocamento in quiescenza(ex multis: “dal principio della intangibilità dei diritti patrimoniali dei dipendenti pubblici ex art. 202 t.u. n. 3 del 1957 - valido anche per i dipendenti non statali - deriva che le nuove disposizioni di carattere restrittivo, che costituiscono modifiche "in pejus" per il pensionato, non dispiegano efficacia retroattiva” C.Conti reg. Piemonte sez. giurisd. 20 maggio 2004 n. 247).

La censura, conclusivamente, è infondata.

3.Non migliore sorte merita, ad avviso del Collegio, la seconda doglianza proposta, incentrata sull’asserito malgoverno del disposto di cui all’art. 29 del rD 20 febbraio1941 n. 303 (c.d. “codice penale militare di pace”: “La rimozione si applica a tutti i militari rivestiti di un grado o appartenenti a una classe superiore all'ultima;
è perpetua, priva il militare condannato del grado e lo fa discendere alla condizione di semplice soldato o di militare di ultima classe. La condanna alla reclusione militare, salvo che la legge disponga altrimenti, importa la rimozione:

1) per gli ufficiali e sottufficiali, quando è inflitta per durata superiore a tre anni;

2) per gli altri militari, quando è inflitta per durata superiore a un anno”) ratione temporis applicabile alla fattispecie.

3.1. Non ignora, il Collegio, la circostanza che in passato il Consiglio di Stato con la sentenza n. 3661/2006 abbia reso una intepretazione sostanzialmente coincidente con le critiche mosse alla sentenza di primo grado dall’appellante.

3.2. Si evidenzia in proposito, però, che - ad avviso del Collegio- gli approdi cui è giunto il primo giudice (che ha peraltro funditus vagliato gli argomenti rassegnati in proposito dall’odierno appellante, e fondati proprio sulla richiamata decisione) paiono del tutto condivisibili.

Ritiene in proposito il Collegio di dovere affermare la propria condivisione della opposta interpretazione ermeneutica resa nel parere della Sezione III di questo Consiglio di Stato n. 128/2007 secondo il quale “…ai sensi dell’art. 33 lett. h) L. 10 aprile 1954 n. 113 l’ufficiale cessa dal servizio permanente per perdita del grado a qualunque titolo comminata, dunque anche in conseguenza della perdita del grado per rimozione a titolo di sanzione penale accessoria ex art. 29 Cod. pen. mil. di pace. Tanto si evince dal combinato disposto dell’art. 33 lett. h) e dell’art. 70 legge n. 113 del 1954. Invero, l’art. 33 lett. h), prevede la cessazione dal servizio permanente effettivo per perdita del grado;
l’art. 70, a sua volta, elenca le cause di perdita del grado, menzionando espressamente, al n. 5 lett. a), l’ipotesi di condanna penale comportante anche la pena accessoria della rimozione. Analoga disposizione è dettata per i sottufficiali. Dunque chiaro che vi è una incompatibilità normativa tra perdita del grado e permanenza nel servizio permanente.

Non vi è pertanto spazio per una diversa interpretazione dell’art. 29 Cod. pen. mil. di pace, che collochi il destinatario della rimozione al primo grado del volontario di truppa in servizio permanente effettivo, interpretazione non consentita dal chiaro dettato letterale di una norma varata in un’epoca che già conosceva la distinzione tra leva obbligatoria e servizio permanente effettivo.

E, invero, dal combinato disposto dell’art. 29 Cod. pen. mil. di pace e dei citati articoli 33 lett. h) e 70 n. 5 lett. a) legge n. 113 del 1954, si evince che la perdita del grado, quale che ne sia la ragione (anche a titolo di sanzione penale accessoria), comporta sempre la cessazione dal servizio permanente effettivo. Vi è dunque una ontologica incompatibilità tra perdita del grado e possibilità di permanere in servizio permanente effettivo, a riprova che l’art. 29 Cod. pen. mil. di pace non si presta ad essere interpretato nel senso di consentire il permanere del militare rimosso dal grado in servizio permanente effettivo…”.

Si aggiunga in proposito che occorre considerare che la norma di cui all'art. 29 del c.p.m.p., invocata, disciplina l'istituto della rimozione quale pena accessoria da infliggere al militare condannato alla pena della reclusione militare.

Nel caso concreto, tuttavia, il ricorrente non è stato sottoposto a processo penale dinnanzi alla magistratura militare, e non è stato condannato alla pena della reclusione militare;
egli al contrario è stato sottoposto a procedimento disciplinare per grave violazione dei doveri assunti con il giuramento: la misura della perdita del grado inflitta a quest'ultimo non ha pertanto natura di pena accessoria (che come tale avrebbe potuto peraltro essere comminata solo dall'autorità giudiziaria militare, e non già dagli organi dell'amministrazione), bensì di sanzione disciplinare.

La norma applicata nel caso concreto non sarebbe dunque il citato art. 29 del c.p.m.p., ma l'art. 60 punto 6 della legge 31 luglio 1954 n. 599, pacificamente applicabile al personale della Guardia di Finanza come dianzi affermato, e come non contestato dallo stesso appellante, in virtù del richiamo operato dall'art. 1, comma 1, della legge 17 aprile 1957 n. 260 (recante "Stato dei sottufficiali della Guardia di finanza"), in base al quale la suindicata sanzione può essere comminata in caso di "...violazione del giuramento o per altri motivi disciplinari, previo giudizio di una Commissione di disciplina".

Ciò premesso, va rilevato che, contrariamente a quanto avviene per l'analoga misura prevista dall'art. 29 del c.p.m.p., l'art. 26, comma 1, lett. g), della citata legge n. 599/54, ricollega espressamente alla sanzione disciplinare della perdita del grado per rimozione, prevista dal summenzionato art. 60, la conseguenza della cessazione dal servizio permanente per il sottufficiale che ne sia colpito.

L'Amministrazione ha dunque operato correttamente nel disporre la risoluzione del rapporto di lavoro (la messa a disposizione del Centro Documentale come soldato semplice non è indice della instaurazione di un nuovo e diverso rapporto lavorativo con la pubblica amministrazione, ma costituisce proprio conseguenza della misura espulsiva -tutti gli ex militari ancora potenzialmente idonei ad essere richiamati alle armi sono posti a disposizione del Centro Documentale, ex Distretto militare- e pertanto non è neppure incompatibile con la riscontrata inabilità dell’appellante al servizio).

4. Conclusivamente, l’appello è certamente infondato e merita la reiezione.

5.La natura della controversia e la parziale novità e complessità delle questioni esaminate giustificano la compensazione tra le parti le spese processuali sostenute.

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