Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2014-04-24, n. 201402065

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2014-04-24, n. 201402065
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201402065
Data del deposito : 24 aprile 2014
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 09299/2013 REG.RIC.

N. 02065/2014REG.PROV.COLL.

N. 09299/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso iscritto in appello al numero di registro generale 9299 del 2013, proposto da:
COMUNE DI CASTELLAMMARE DI SIA, in persona del sindaco in carica, rappresentato e difeso dall'avv. D C, con domicilio eletto presso la Segreteria del Consiglio di Stato in Roma, p.za Capo di Ferro, n. 13;

contro

M A, rappresentato e difeso dall'avv. C E, con domicilio eletto presso la Segreteria del Consiglio di Stato in Roma, p.za Capo di Ferro, n. 13;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. CAMPANIA – NAPOLI, Sez. V, n. 4392 del 24 settembre 2013, resa tra le parti, concernente esecuzione sentenza T.a.r. - liquidazione somme;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del sig. Antonio Mauriello;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 25 febbraio 2014 il Cons. Carlo Saltelli e uditi per le parti gli avvocati Donatangelo Cangelmo e C E;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.


FATTO

1. Il Consiglio di Stato, sezione Quinta, con la decisione n. 8010 del 9 dicembre 2003 rigettava l’appello proposto dal Comune di Castellammare di Stabia (d’ora in avanti, l’amministrazione) avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sez. V, n. 463 del 6 febbraio 1998, che aveva riconosciuto ai ricorrenti, dipendenti assunti ai sensi della legge 1° giugno 1977, n. 285, tra cui il sig. Antonio Mauriello, il diritto al pagamento di n. 582 ore lavorative prestate tra il 14 aprile 1980 ed il 13 aprile 1981, non retribuite in quanto erroneamente considerate come attività di formazione.

2. L’interessato, deducendo l’erroneità dei conteggi effettuati e la conseguente insufficienza della somma liquidata dall’amministrazione nell’ottobre del 2004, adiva il Tribunale di Torre Annunziata, in funzione di giudice del lavoro, per ottenere il pagamento delle somme già riconosciute in sede di giurisdizione amministrativa con condanna generica, oltre al risarcimento dei danni.

L’adito tribunale con la sentenza n. 5260 del 3 novembre 2010 declinava la propria giurisdizione in favore del giudice amministrativo.

3. Riassunto il giudizio innanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Campania, quest’ultimo, nella resistenza dell’intimata amministrazione, con la sentenza n. 4392 del 24 settembre 2013, sez. V, qualificata la domanda come esecuzione del giudicato formatosi sulla propria precedente sentenza n. 453 del 6 febbraio 1998, confermata in appello, e disposta conseguentemente la conversione del rito, ha dichiarato che l’amministrazione non aveva ancora eseguito il predetto giudicato e, perdurando l’ingiustificato inadempimento, ha nominato quale commissario ad acta il Prefetto di Napoli, o un funzionario da lui delegato, a cui ha assegnato il termine di novanta giorni per provvedere alla piena ottemperanza;
ha invece respinto la domanda teso ad ottenere un distinto risarcimento del danno, mancando i presupposti della responsabilità dell’amministrazione.

4. Con atto di appello notificato il 25 novembre 2013 il Comune di Castellamare di Stabia ha chiesto la riforma della predetta sentenza, deducendone l’erroneità e l’ingiustizia alla stregua di cinque motivi di gravami, rubricati rispettivamente “Omessa pronuncia in ordine alla istanza di riunione dei giudizi, formulata dal Comune”;
“Carenza di integrazione dei presupposti per la qualificazione della domanda quale tesa ad avviare giudizio di ottemperanza e per la conversione del rito”;
“Inammissibilità del giudizio di ottemperanza per intervenuta scadenza dei termini”;
“Erroneità delle conclusioni in ordine al merito della questione – Il censurato computo degli importi erogati” e “In ordine alla contestazione dei profili invocati dalla parte avversa”.

L’interessato ha resistito al gravame, deducendone l’inammissibilità e l’infondatezza.

5. Nell’imminenza dell’udienza di trattazione l’amministrazione ha depositato memoria e documenti, insistendo nelle conclusioni già rese.

All’udienza in camera di consiglio del 25 febbraio 2014:

a) le parti hanno illustrato le proprie rispettive tesi difensive, insistendo per l’accoglimento delle relative conclusioni;

b) il difensore della parte appellata ha eccepito l’inammissibilità dell’appello per difetto di procura;

c) il difensore del comune ha chiesto un rinvio per dare tempo ai commissari ad acta nominati dal Tribunale amministrativo regionale per alcune delle cause in trattazione di depositare tutti i provvedimenti in corso di adozione (alcuni dei quali, pienamente favorevoli alle tesi dell’amministrazione, già emanati);

d) il collegio ha sottoposto alle parti, ai sensi dell’art. 73 c.p.a., la questione concernente la tardività intempestività del deposito dell’atto di appello per violazione del termine dimidiato sancito dall’art. 87 c.p.a..

DIRITTO

6. L’appello è irricevibile, il che esime la Sezione dall’esaminare l’eccezione di inammissibilità dell’appello per difetto di procura sollevata nel corso della trattazione orale dalla difesa della parte appellata, nonché l’istanza di rinvio formulata dal comune di Castellammare di Stabia.

6.1. Occorre preliminarmente rammentare che, secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale dal quale non vi è ragione per discostarsi, spetta al giudice la qualificazione giuridica dell’azione, potendo egli anche attribuire al rapporto giuridico dedotto in giudizio un nomen juris diverso da quello indicato dalle parti, purchè non venga sostituita la domanda giudiziale, modificandone i fatti o fondandosi su una realtà fattuale diversa da quella allegata in giudizio (Cass. civ., sez. III, 3 agosto 2012, n. 13945;
sez. I, 14 novembre 2011, n. 23794;
sez. II. 10 febbraio 2010, n. 3012);
ciò trova applicazione anche nel processo amministrativo, con la precisazione che in tale sede il potere del giudice deve esercitato nell’ambito e nei limiti dei motivi di censura sollevati dal ricorrente (principale ed eventualmente di quello incidentale).

E’ stato anche precisato che il potere di qualificazione della domanda giudiziale è consentito solo al giudice di primo grado (Cass. civ., sez. III, 14 maggio 2013, n. 11542), così che l’impugnazione di un provvedimento giurisdizionale deve essere proposta nelle forme previste dalla legge per la domanda così come è stata qualificata dal giudice, a prescindere dalla correttezza o meno di tale qualificazione, e non come le parti ritengano che debba essere qualificata (fermo restando poi il potere delle parti di censurare l’errore di giudizio relativo alla qualificazione della domanda con apposito motivo di gravame).

6.2. Ciò posto, nel caso di specie avendo la sentenza impugnata (per altro in modo corretto) qualificato la domanda giudiziale come ottemperanza al giudicato formatosi sulla precedente sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sez. V, n. 463 del 6 febbraio 1998, anche il giudizio di appello deve seguire quel rito.

L’art. 87 c.p.a. stabilisce, al comma 2, lett. d), che i giudizi di ottemperanza siano trattati in camera di consiglio, aggiungendo al successivo comma 3 che tutti i termini processuali (per i giudizi in camera di consiglio) siano dimezzati rispetto a quelli del processo ordinario, tranne, nei giudizi di primo grado, quelli per la notificazione del ricorso introduttivo, del ricorso incidentale e dei motivi incidentali.

A ciò consegue che il termine di trenta giorni per il deposito dell’appello, previsto dall’art. 94, c.p.a. è da intendersi dimezzato a 15 giorni.

L’appello in esame, notificato dall’amministrazione il 25 novembre 2013, è stato depositato il 19 dicembre 2013, oltre il predetto termine dimezzato di quindici giorni, circostanza che ne determina l’irricevibilità.

6.3. Per completezza è appena il caso di rilevare che ogni questione concernente la correttezza o meno dell’operato del commissario ad acta potrà essere fatta valere innanzi al giudice di primo grado, di cui quel commissario costituisce ausiliario.

6.4. Le spese del presente grado di giudizio possono essere compensate.

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