Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2017-08-07, n. 201703937

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2017-08-07, n. 201703937
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201703937
Data del deposito : 7 agosto 2017
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 07/08/2017

N. 03937/2017REG.PROV.COLL.

N. 00029/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 29 del 2017, proposto dalla Wind Telecomunicazioni s.p.a., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avvocato G S, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, Via della Consulta, n. 50;

contro

Comune di Castellammare di Stabia, non costituito in giudizio;

nei confronti di

Regione Campania, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avvocato R S, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Poli, n. 29;
Ministero per i beni e le attività culturali, non costituito in giudizio;

per l'ottemperanza

della sentenza del T.A.R. CAMPANIA - NAPOLI: SEZIONE VII, n. 823/2013 in tema di risarcimento del danno da ritardo nel rilascio di nulla osta paesaggistico per installazione di impianto tecnologico di radiotelecomunicazione per telefonia cellulare.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della Regione Campania;

Viste le memorie difensive;

Visto l 'art. 114 cod. proc. amm.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 13 luglio 2017 il Cons. Italo Volpe e udito l’avvocato G S;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Col ricorso in epigrafe la Wind Telecomunicazioni s.p.a. (di seguito “Wind”) ha impugnato la sentenza del Tar Campania, Napoli, n. 4957/2016, pubblicata il 26.10.2016, che ha dichiarato sia il difetto di legittimazione passiva del Ministero dei beni e delle attività culturali (di seguito “Ministero”) e della Regione Campania (di seguito “Regione”) sia l’inammissibilità del suo originario ricorso proposto per l’ottemperanza al giudicato formatosi sulla sentenza del medesimo Tribunale n. 823/2013, pubblicata l’8.2.2013, passata in giudicato per non proposto appello.

1.2. Il dispositivo della sentenza da ottemperare (n. 823/2013) ha, in particolare, stabilito la condanna del Comune di Castellammare di Stabia (di seguito “Comune”), in favore della Wind, “ al pagamento della somma di euro 13.000,00 (tredicimila/00) ” nonché “ alla rifusione delle spese processuali che liquida in euro 2.000,00 (duemila/00) oltre ad oneri accessori, se dovuti, come per legge, ed altresì alla refusione di quanto anticipato a titolo di contributo unificato ”.

Il Comune non vi ha ottemperato.

1.3. La sentenza impugnata (n. 4957/2016), nel pronunciare sul conseguente giudizio di ottemperanza proposto dalla Wind, ha motivato le sue conclusioni rilevando:

- per un verso, che il Ministero e la Regione non erano enti nei cui riguardi si fosse formato il giudicato di condanna;

- per altro verso, che, essendo il Comune entrato in procedura di dissesto finanziario ed essendo, nella specie, il 31.12.2012 la data dirimente rispetto alla quale individuare l’attivazione delle competenze dell’organo straordinario di liquidazione insediatosi per effetto di tale default , in ragione degli 4-2e2f030ef4b0::LR0D24986322B77A791ECB::2000-09-28">artt. 248, co. 2 e 4, 252, co. 4, e 254, co. 3, TUEL, nonché dell’art. 5, co. 2, del d.l. n. 80/2004, convertito dalla l.n. 140/2004, la pretesa patrimoniale della Wind (conseguente al predetto giudicato) non poteva oggetto di procedura esecutiva (anche in forma di giudizio di ottemperanza) giacchè geneticamente riferibile ad un momento anteriore a detta data, collocabile nell’anno 2010 corrispondente a quello di introduzione del giudizio (n.r.g. 6987/2010) chiusosi con la predetta sentenza n. 823/2013.

2. L’appello è affidato alle seguenti censure:

- error in iudicando - violazione di legge - violazione degli artt. 248, co. 2 e 4, 252, co, 4, 254 co. 3, TUEL – violazione e falsa applicazione dell’art. 5, co. 2, del d.l. n. 80/2004, convertito nella l.n. 140/2004;

- error in iudicando - violazione di legge - violazione degli artt. 248, co. 2 e 4, 252, co. 4, 254, co. 3, TUEL - violazione e falsa applicazione dell’art. 5, co. 2, del d.l. n. 80/2004, convertito nella l.n. 140/2004 - violazione e falsa applicazione dell’art. 112 e ss. del d.lgs. n. 104/2010 - violazione ed elusione del giudicato.

2.1. In sostanza, ad avviso di parte la sentenza in scrutinio è erronea perché:

- per giurisprudenza formatasi sull’applicazione dell’art. 252, co. 4, TUEL, i crediti derivanti da sentenze passate in giudicato in epoca successiva alla dichiarazione dello stato di dissesto non entrano nella massa passiva della procedura di liquidazione straordinaria (seguendo così le procedure di liquidazione dei debiti dell’ente dissestato), anche se il fatto genetico dell’obbligazione è anteriore alla dichiarazione (CdS, V, nn. 5788/2001 e 2455/2003);

- se è vero che la norma citata punta a segregare nella gestione straordinaria di liquidazione tutte le conseguenze patrimoniali derivanti da operazioni di gestione che hanno determinato il dissesto, effettuate anteriormente alla predetta data dirimente (nella specie il 31.12.2012), è pur vero che una tale finalità non può non tenere conto del fatto che i debiti in tal modo isolati devono pur sempre essersi già maturati, ossia essere identificabili per certezza, liquidità ed esigibilità;

- ciò trova riscontro nell’art. 244, co. 1, TUEL, secondo il quale “ Si ha stato di dissesto finanziario se l'ente non può garantire l'assolvimento delle funzioni e dei servizi indispensabili ovvero esistono nei confronti dell'ente locale crediti liquidi ed esigibili di terzi cui non si possa fare validamente fronte con le modalità di cui all'articolo 193, nonché con le modalità di cui all'articolo 194 per le fattispecie ivi previste. ”;

- nella fattispecie i crediti vantati dalla Wind (di fonte risarcitoria) sicuramente non erano, anteriormente al 31.12.2012, certi, liquidi ed esigibili, essendo essi divenuti tali solo per effetto della sentenza da ottemperare, passata in giudicato dopo tale data;

- quand’anche si fosse voluto prendere in considerazione il solo evento genetico di tali crediti (non riconducibile, come affermato erroneamente dai primi Giudici, all’introduzione del giudizio chiusosi con la sentenza n. 823/2013), si sarebbe allora dovuto osservare che lo stesso andava ricondotto ad un “comportamento” (causativo di danno) del Comune (silenzio inadempimento colposo) e non certo a “ fatti ed atti di gestione ” (art. 252, co. 4, TUEL), chiaro tra l’altro essendo che un “comportamento” (il silenzio inadempimento, nella specie) non era riconducibile alla categoria né dell’“atto” o del “fatto” né tanto meno dell’“ atto o fatto di gestione”;

- questo quadro ermeneutico non poteva considerarsi scalfito dalla norma di cui all’art. 5, co. 2, del d.l. n. 80/2004, convertito dalla l.n. 140/2004;

- ne risultava conclusivamente, nella fattispecie, l’avvenuta violazione dell’art. 112 del d.lgs. n. 104/2010 che, al suo comma 1, prescrive “ l’obbligo della pubblica amministrazione di conformarsi, per quanto riguarda il caso deciso, al giudicato ”.

3. Si è costituita la Regione riepilogando le ragioni della sua carenza di legittimazione passiva, correttamente rilevata dalla sentenza impugnata.

4. La causa quindi, chiamata alla camera di consiglio del 13.7.2013, è stata ivi trattenuta in decisione.

5. L’appello è fondato e merita accoglimento nei termini di seguito indicati.

5.1. Preliminarmente va confermata la pronuncia di primo grado lì dove essa, in particolare, esclude la legittimazione passiva della Regione in considerazione del fatto che la responsabilità da illecito che ha generato il risarcimento del danno di cui si discute non è ad essa ascrivibile (come del resto nemmeno sostanzialmente posto in discussione dalla Wind), dovendosi piuttosto imputare tale responsabilità al Comune.

5.2. Sempre in via preliminare va invece disattesa la tesi della Wind secondo la quale, nella materia in discorso e alla luce delle relative norme di rilievo, un ‘silenzio inadempimento’ esprimerebbe un semplice ‘comportamento’, come tale non riconducibile al novero dei soli eventi (costituiti da ‘atti o fatti di gestione’) suscettibili di generare debiti patrimoniali rientranti nella categoria di quelli presi in considerazione dal quadro regolatorio evincibile dalle norme sopra dette.

La tesi non è condivisibile perché:

- il comportamento espressivo di un silenzio (giuridicamente rilevante) è pur sempre, di per se stesso, un ‘fatto’;

- anche il silenzio (giuridicamente qualificabile) esprime una condotta suscettibile di esprimere un momento di ‘gestione’ (un ritardo nella gestione, per meglio dire) di un ente pubblico, per quanto – come la fattispecie in oggetto dimostra – non pregevole e, anzi, causativo di danno a terzi.

5.3. Puntualizzato ciò, per il resto gli argomenti della Wind sono invece condivisibili.

5.4. Punto nodale della questione in esame è se un credito risarcitorio (costituito dalla somma di denaro che ristora il danno derivante da un comportamento consistito in un silenzio procedimentale ingiustificato), il cui accertamento giudiziale è iniziato (attraverso l’iscrizione a ruolo del relativo processo) prima del crinale temporale sopra ricordato e rilevante nel caso in discorso (31.12.2012) ma è terminato dopo di esso (con la sentenza di primo grado che ha definito il giudizio di accertamento e che è passata in giudicato in mancanza del relativo appello), debba essere ascritto alla massa passiva dell’ente locale dissestato ovvero debba esserne tenuto fuori e venire pagato dall’ente senza subire la falcidia concorsuale degli altri creditori iscritti alla massa passiva.

5.5. Per risolvere la questione vale introduttivamente ricordare il dettato dei seguenti articoli del TUEL, qui volutamente evocati secondo l’ordine sistematico loro proprio:

a) art. 244, rubricato “Dissesto finanziario”, secondo il quale:

“1. Si ha stato di dissesto finanziario se l'ente non può garantire l'assolvimento delle funzioni e dei servizi indispensabili ovvero esistono nei confronti dell'ente locale crediti liquidi ed esigibili di terzi cui non si possa fare validamente fronte con le modalità di cui all'articolo 193, nonché con le modalità di cui all'articolo 194 per le fattispecie ivi previste. ”;

b) art. 248, rubricato “ Conseguenze della dichiarazione di dissesto ”, secondo il quale:

b.1) al comma 2, primo periodo, “ Dalla data della dichiarazione di dissesto e sino all'approvazione del rendiconto di cui all'articolo 256 non possono essere intraprese o proseguite azioni esecutive nei confronti dell'ente per i debiti che rientrano nella competenza dell'organo straordinario di liquidazione. ”;

b.2) al comma 4, “ Dalla data della deliberazione di dissesto e sino all'approvazione del rendiconto di cui all'articolo 256 i debiti insoluti a tale data e le somme dovute per anticipazioni di cassa già erogate non producono più interessi né sono soggetti a rivalutazione monetaria. Uguale disciplina si applica ai crediti nei confronti dell'ente che rientrano nella competenza dell'organo straordinario di liquidazione a decorrere dal momento della loro liquidità ed esigibilità. ”;

c) art. 252, rubricato “ Composizione, nomina e attribuzioni ” (dell’organo straordinario di liquidazione di un ente dissestato), secondo il quale, al comma 4:

L’organo straordinario di liquidazione ha competenza relativamente a fatti ed atti di gestione verificatisi entro il 31 dicembre dell'anno precedente a quello dell'ipotesi di bilancio riequilibrato e provvede alla:

a) rilevazione della massa passiva;

b) acquisizione e gestione dei mezzi finanziari disponibili ai fini del risanamento anche mediante alienazione dei beni patrimoniali;

c) liquidazione e pagamento della massa passiva. ”;

d) art. 254, rubricato “ Rilevazione della massa passiva ” secondo il quale, al comma 3:

Nel piano di rilevazione della massa passiva sono inclusi:

a) i debiti di bilancio e fuori bilancio di cui all'articolo 194 verificatisi entro il 31 dicembre dell'anno precedente quello dell'ipotesi di bilancio riequilibrato;

b) i debiti derivanti dalle procedure esecutive estinte ai sensi dell'articolo 248, comma 2;

c) i debiti derivanti da transazioni compiute dall'organo straordinario di liquidazione ai sensi del comma 7. ”.

5.6. Se è vero che la legge (v. art. 252) ricorre al criterio di collegamento del ‘fatto o atto di gestione’ per la individuazione dei debiti (e specularmente dei crediti) che pertengono alla gestione dell’organo straordinario di liquidazione dell’ente in dissesto, onde, secondo tale criterio, la pretesa qui in discussione, come detto dalla sentenza impugnata, dovrebbe essere ricondotta alla massa passiva e subire di conseguenza le diminuzioni del caso (dovendosi conseguentemente escludere altresì che di tale pretesa possa chiedersi l’ottemperanza in sede giudiziale), è tuttavia altrettanto vero e riscontrabile che sempre la legge:

- per definire l’ambito oggettivo di sua settoriale applicazione (v. art. 244) e, quindi, dello stato di dissesto finanziario, ricorre al ben più classico criterio della sussistenza (in alternativa alla impossibilità di assolvimento di funzioni e servizi indispensabili da parte dell’ente locale) di ‘crediti liquidi ed esigibili di terzi’ cui non si possa fare validamente fronte con le modalità di cui all’art. 193;

- nell’annoverare (v. art. 248) tra le conseguenze dello stato di dissesto l’esaurimento, nei riguardi del creditore, della produzione di interessi e di rivalutazione monetaria, parla di ‘debiti insoluti’, ed è allora evidente che questi ultimi, per essere appunto ‘insoluti’, devono essere già divenuti quanto meno esigibili anteriormente alla predetta data limite (31.12.2012 nel caso attuale);

- nell’indicare (v. art. 254) cosa venga incluso nella massa passiva elenca una serie di debiti tra i quali non è possibile far rientrare quello oggetto del presente giudizio, il quale peraltro neppure ricade tra le tipologie di debiti fuori bilancio di cui all’art. 194.

5.7. Secondo il metodo della individuazione per esclusione, dunque, sulla base della legge il credito risarcitorio in discussione non rientra tra quelli destinati ad accrescere la massa passiva dell’ente dissestato e ad essere gestito dall’organo straordinario di liquidazione.

5.8. Peraltro anche in giurisprudenza da tempo si è affermata la tesi ora sostenuta dalla Wind (v. sentenze del Consiglio di Stato, V, nn. 5788/2001 e 2455/2003).

Si potrebbe supporre che questa giurisprudenza, data la sua età, meriti d’essere riconsiderata per effetto della successiva entrata in vigore dell’art. 5, co. 2, del d.l. n. 80/2004, convertito, con modificazioni, dalla l.n. 140/2004, che ha stabilito che “ Ai fini dell'applicazione degli articoli 252, comma 4, e 254, comma 3, del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, si intendono compresi nelle fattispecie ivi previste tutti i debiti correlati ad atti e fatti di gestione verificatisi entro il 31 dicembre dell'anno precedente a quello dell'ipotesi di bilancio riequilibrato, pur se accertati, anche con provvedimento giurisdizionale, successivamente a tale data ma, comunque, non oltre quella di approvazione del rendiconto della gestione di cui all'articolo 256, comma 11, del medesimo testo unico. ”.

Reputa tuttavia il Collegio che, invece, il principio stabilito con detta giurisprudenza (secondo il quale, in sostanza, il debito che, pur avendo causa in ‘atto o fatto di gestione’ anteriore alla predetta data di discriminazione abbia tuttavia, in quanto all’epoca ancora incerto, illiquido ed inesigibile, bisogno di un successivo giudicato per tramutarsi in certo, liquido ed esigibile, si sottrae alla gestione della massa passiva e si trasferisce invece a quella fisiologica ed ordinaria dell’ente locale) resista a tale norma sopravvenuta perché questa:

- data la sua palese natura, deve essere considerata di stretta interpretazione e non può ampliarsi applicativamente secondo parametri analogici;

- dato il suo tenore letterale, pur sempre mostra di volersi riferire a casi di accertamenti giudiziali riferibili al fatto che la certezza, liquidità ed esigibilità del credito sussista già anteriormente alla predetta data di discriminazione (e sia riconosciuta come tale con sentenza) e non piuttosto, come quello di specie, a casi nei quali tali connotati del credito sorgano dopo la medesima data, per un giudicato ad essa successivo.

6. In conclusione, la sentenza impugnata deve essere parzialmente riformata e, per l’effetto, in corrispondente accoglimento dell’originario ricorso, il Comune deve essere dichiarato tenuto al pagamento alla Wind, entro sessanta giorni dalla comunicazione al Comune della presente sentenza, ovvero dalla data eventualmente anteriore in caso di notificazione a cura della parte interessata, di quanto stabilito dalla sentenza n. 823/2013 introduttivamente citata, oltre gli interessi al saggio legale dalla data del suo passaggio in giudicato a quella di effettivo soddisfo.

Per l’eventualità di un inadempimento da parte del Comune, è nominato sin d’ora, quale commissario ad acta , il Prefetto di Napoli ovvero il funzionario del suo ufficio a ciò dallo stesso appositamente delegato.

7. Si respinge di contro la richiesta della Wind di condanna del Comune al pagamento di una somma ai sensi dell’art. 114, co. 4, c.p.a. in considerazione del fatto che, date le circostanze del caso, alla relativa pretesa risulta d’ostacolo il presupposto della non manifesta iniquità ivi previsto.

8. Tenuto conto del complesso delle questioni trattate e della loro relativa novità, nel caso di specie, ricorrono giustificati motivi per compensare integralmente fra le parti le spese del doppio grado di giudizio.

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