Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2020-04-15, n. 202002427

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2020-04-15, n. 202002427
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202002427
Data del deposito : 15 aprile 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 15/04/2020

N. 02427/2020REG.PROV.COLL.

N. 05274/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA IIANA

IN NOME DEL POPOLO IIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5274 del 2019, proposto da
Dandini Arcangelo (impresa individuale Supplizio ), rappresentato e difeso dagli avvocati F C ed A I, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia;

contro

Roma Capitale, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall'avvocato R R, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso il suo studio in Roma, via del Tempio di Giove, 21;
Ministero dello Sviluppo Economico, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Confartigianato Imprese Roma, non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda) n. 07941/2019, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Roma Capitale e del Ministero dello Sviluppo Economico;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 gennaio 2020 il Cons. S F e uditi per le parti gli avvocati Carlini, Rocchi, e l’avvocato dello Stato Fedeli;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1.- L’impresa individuale Supplizio di Dandini Arcangelo ha interposto appello nei confronti della sentenza 18 giugno 2019, n. 7941 del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sez. II ter , che ha respinto il suo ricorso avverso la determinazione dirigenziale di Roma Capitale in data 4 dicembre 2017, recante l’ordine di cessazione dell’attività di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande abusivamente intrapresa in Roma, via dei Banchi Vecchi, civico 143.

Il ricorrente ha lamentato di essere titolare di un esercizio di gastronomia calda e vicinato e di avere subito un accertamento da parte della Polizia locale, all’esito del quale è intervenuto il provvedimento impugnato, che ha sanzionato lo svolgimento di un’attività di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande (in assenza della prescritta autorizzazione), desumendola dalla presenza, nel locale, di tavoli con sedute abbinabili e di clienti intenti a bere vino da calici.

Con il ricorso in primo grado la ditta Supplizio ha dedotto l’illegittimità del provvedimento per violazione dell’art. 3, comma 1, lett. f- bis , del d.-l. 4 luglio 2006, n. 223, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, L. 4 agosto 2006, n. 248, che non impone agli esercizi di gastronomia divieti di uso di tavoli e sedute abbinabili, e dei principi di liberalizzazione, perché inficiato da eccesso di potere sotto molteplici profili, nonché per violazione del contraddittorio procedimentale.

2. - La sentenza appellata ha respinto il ricorso nell’assunto che dall’accertamento scaturito dal sopralluogo siano emersi elementi valutativi (non solo l’abbinamento dei tavoli e delle sedie, ma anche la presenza di clienti intenti a bere da calici vino e consumare cibi) che non consentono di « escludere la sussistenza di un servizio assistito e quindi di una somministrazione abusiva ». Ha altresì aggiunto che ai fini della qualificazione dell’attività come somministrazione o consumo sul posto si debba procedere ad una valutazione caso per caso delle singole fattispecie, e che non si possa discriminare con riferimento al solo servizio non assistito al tavolo.

3.- Con l’appello la ditta Supplizio ha dedotto l’erroneità della sentenza reiterando, alla stregua di motivi di critica della stessa, le censure di primo grado, incentrate sulla violazione dell’art. 3, comma 1, lett. f- bis , del d.-l. n. 223 del 2006, sull’eccesso di potere sotto plurimi profili sintomatici, nonché sulla violazione del principio dell’affidamento, nell’assunto che sia stato introdotto, dalla norma predetta, il principio per cui negli esercizi di vicinato, legittimati alla vendita di prodotti appartenenti al settore merceologico alimentare, è ammesso il consumo sul posto di prodotti di gastronomia, utilizzando i locali e gli arredi dell’azienda, ma con esclusione del (solo) servizio assistito di somministrazione (cioè il servizio al tavolo da parte del personale dell’azienda). Per l’appellante, nel locale interessato non c’è minima traccia di apparecchiatura sui punti di appoggio con stoviglie e sottopiatti né prova che l’avventore fruisca di un seppur minimo servizio di somministrazione.

4. - Si sono costituiti in resistenza il Ministero dello sviluppo economico e Roma Capitale, controdeducendo ai motivi di appello, di cui hanno chiesto la reiezione, nell’assunto che il dato distintivo dell’attività di somministrazione (in luogo della consumazione sul posto ) non può essere solamente il solo servizio dei camerieri al tavolo , ma va apprezzato il contesto organizzativo complessivo in cui viene esercitata l’attività;
il che si evince anche dal sopravvenuto Regolamento per l’esercizio delle attività commerciali ed artigianali di Roma Capitale, entrato in vigore il 18 maggio 2018, che, all’art. 5, consente l’utilizzo di arredi minimali (che non possono coincidere con le attrezzature tradizionalmente utilizzate negli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande).

5. - All’udienza pubblica del 16 gennaio 2020 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1.- Il primo motivo di appello deduce la violazione dell’art. 3 ( Regole di tutela della concorrenza nel settore della distribuzione commerciale ), comma 1, lett. f- bis , del d.-l. 4 luglio 2006, n. 223 ( Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale ), convertito dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, alla cui stregua le attività di somministrazione di alimenti e bevande sono svolte senza « il divieto o l’ottenimento di autorizzazioni preventive per il consumo immediato dei prodotti di gastronomia presso l’esercizio di vicinato, utilizzando i locali e gli arredi dell’azienda con l’esclusione del servizio assistito di somministrazione e con l’osservanza delle prescrizioni igienico-sanitarie ».

Da tale norma, per l’appellante, non si desume alcun divieto ad avere presso il locale tavoli e sedute abbinabili. A suo avviso, dunque, laddove si consumi sul posto senza che il personale serva al tavolo i clienti, si rientra nell’alveo dell’ esercizio di vicinato e, a fronte di una norma di legge chiara, non vi è spazio per difformi o più restrittive interpretazioni ad opera di circolari amministrative (non condivise neppure dall’A.G.C.M.).

Il motivo è fondato nei termini e nei limiti che seguono.

Osserva il Collegio che l’art. 3, comma 1, lett. f- bis , del d.l. n. 223 del 2006 – che contiene varie norme intese a liberalizzare diverse attività - pone « limiti e prescrizioni » per le « attività commerciali, come individuate dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114 [Riforma della disciplina relativa al settore del commercio] , e di somministrazione di alimenti e bevande » che muovono dall’ intentio legis liberalizzante espressa in esordio al comma stesso : « Ai sensi delle disposizioni dell’ordinamento comunitario in materia di tutela della concorrenza e libera circolazione delle merci e dei servizi ed al fine di garantire la libertà di concorrenza secondo condizioni di pari opportunità ed il corretto ed uniforme funzionamento del mercato, nonché di assicurare ai consumatori finali un livello minimo ed uniforme di condizioni di accessibilità all’acquisto di prodotti e servizi sul territorio nazionale, ai sensi dell’art. 117, comma secondo, lettere e) ed m), della Costituzione ».

Questi « limiti e prescrizioni », si ripete, sono appunto, ai sensi dello stesso art. 3, comma 1, lett. f- bis ), « il divieto o l’ottenimento di autorizzazioni preventive per il consumo immediato dei prodotti di gastronomia presso l’esercizio di vicinato, utilizzando i locali e gli arredi dell’azienda con l’esclusione del servizio assistito di somministrazione e con l’osservanza delle prescrizioni igienico-sanitarie ».

Detto altrimenti, dunque, « il consumo immediato dei prodotti di gastronomia presso l’esercizio di vicinato » può liberamente avvenire « utilizzando i locali e gli arredi dell’azienda » purchè « con l’osservanza delle prescrizioni igienico-sanitarie » e comunque « con l’esclusione del servizio assistito di somministrazione ».

Ai sensi di questa disposizione, dunque, il discrimine tra una tale attività liberalizzata e quella non liberalizzata si incentra testualmente sulla configurabilità del “ servizio assistito di somministrazione ”.

Sull’argomento è poi intervenuta la circolare del Mi.S.E. n. 372321 del 28 novembre 2016, che ha enucleato un criterio di distinzione tra esercizi di somministrazione propriamente detti ed attività di produzione di alimenti con possibilità di consumo immediato con utilizzo dei locali e degli arredi dell’azienda . Le modalità di consumo vi vengono considerate in termini di tipologia di attrezzature : piani di appoggio e panche (e tavolini e sedie) sono consentiti anche per gli esercizi di produzione che non sono autorizzati alla somministrazione , se ed in quanto inidonei, quantitativamente e qualitativamente, ad indentificare l’attività come somministrazione ;
il che è se non ricorre il caso, ad esempio, di un servizio di caffetteria o comunque di un servizio ai tavoli, o apparecchiature;
e - se gli ambienti non sono assimilabili ai ristoranti per presenza di tali arredi - senza avere carattere preponderante rispetto al complesso dell’esercizio.

In riferimento alla combinazione di questi elementi e sulla base della verifica in concreto dei corrispondenti dati, occorre verificare caso per caso se ricorra un superamento delle attività liberalizzate ai sensi del d.-l. n. 223 del 2006.

Osserva il Collegio, pur dando atto di alcune discontinuità giurisprudenziali registratosi nella Sezione nella trattazione di tale genere di contenzioso, che nella fattispecie qui in esame la questione dirimente consiste nel significato di sistema da riconoscersi nell’espressione “ servizio assistito di somministrazione ”, di cui alla detta disposizione.

Questo significato, ad un maggiore approfondimento, non può verosimilmente essere circoscritto alla presenza del c.d. servizio da sala , vale a dire alla presenza fisica di camerieri che ricevano le ordinazioni o prestino comunque il servizio al tavolo degli avventori. L’opposto tipo di servizio è, a bene considerare, in progressiva diffusione anche in alcuni ristoranti, dove, per ragioni di contenimento dei costi o di rapidità del servizio, è in uso la pratica del buffet e del self-service , in piedi o con tavoli, senza con ciò dubitarsi che si tratti di attività di ristorazione.

Il “ servizio assistito di somministrazione ” di cui in questa sede si controverte può dunque includere anche pratiche senza camerieri.

Il discrimine effettivo consiste dunque nella predisposizione di risorse, non solo umane ma anche materiali, che siano di servizio al cliente assistendolo per consumare confortevolmente sul posto ( id est , non in piedi) quanto acquistato in loco . Il che può dunque avvenire anche mediante tavolini e attrezzature di particola evidenza.

Appare dunque coerente con la ratio legis fare riferimento al criterio funzionale cui guarda l’amministrazione e che è proprio di queste attrezzature materiali (tavolini, banche, panche, etc .), la cui presenza è di servizio all’avventore che intenda sùbito consumare sul luogo quanto ha acquistato. Naturalmente, secondo un ulteriore criterio di ragionevolezza, perché questa funzionalità alla somministrazione (anziché al mero consumo sul posto) vi sia, occorre che le attrezzature predisposte dall’esercente, pur senza un servizio al tavolo, siano di caratteri, dimensioni, quantità ed arredi tali da indurre indistintamente gli avventori al consumo sul posto dei prodotti appena acquistati;
il che, incidendo sulle caratteristiche commerciali effettive dell’intero esercizio, visto dalla potenziale clientela non più come un luogo di mero approvvigionamento, ma anche come un possibile ed ordinario luogo di ristoro, viene a rilevare sul piano urbanistico della regolamentazione generale del commercio dell’area e sul discrimine reale tra attività liberalizzate e attività non liberalizzate.

Ciò posto, e considerato che evidentemente si tratta di una valutazione da effettuare di volta in volta, nel caso di specie va rilevato che le attrezzature predisposte a latere dell’attività di vendita hanno caratteristiche tali che non raggiungono un livello da connotare il locale come (anche) da somministrazione, ma si contengono in una dimensione accessoria, eventuale e secondaria rispetto alla vendita da asporto, la quale deve comunque mantenere il carattere prevalente e funzionale (cfr. Cons. Stato, V, 31 dicembre 2019, n. 8923).

Nel caso di specie, come dedotto dall’appellante, anche alla stregua delle risultanze della perizia giurata versata agli atti del primo grado di giudizio, e non contestate ex adverso , la superficie totale dell’esercizio è pari a mq. 48,5, di cui mq. 20,9 destinati all’attività di vendita e la restante superficie a laboratorio ed accessori;
nell’ambito dei mq. 20,9 accessibili al pubblico sono individuate due aree, A e B (evidenziate nell’elaborato grafico allegato) ove è consentito il consumo sul posto in appoggio su mensole a parete e la superficie complessiva delle aree A + B ammonta a mq. 7,7, inferiore al 25 per cento della superficie totale del locale, presa a parametro dal sopravvenuto regolamento di Roma Capitale n. 47 del 2018. Emerge inoltre dalla perizia giurata la presenza in tale area di una panca bassa e mensole a parete, arredamento diverso dunque dai tavolini e dalle sedie, tipiche degli esercizi di somministrazione;
si può dunque parlare di arredi minimali, con condizioni minori di fruibilità sotto il profilo della comodità e dell’utilizzo, che inducono il Collegio ad escludere in concreto l’attività di somministrazione che si assumeva abusivamente intrapresa.

2. - La portata assorbente dell’accoglimento del motivo scrutinato esime, sul piano logico e giuridico, dalla disamina degli ulteriori motivi.

3. - Alla stregua di quanto esposto, l’appello va accolto, e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, va accolto il ricorso di primo grado, con conseguente annullamento del provvedimento impugnato.

La complessità ermeneutica della questione giuridica trattata integra le ragioni che per legge consentono la compensazione tra le parti delle spese del doppio grado di giudizio.

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