Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2015-02-05, n. 201500553

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2015-02-05, n. 201500553
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201500553
Data del deposito : 5 febbraio 2015
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 07277/2014 REG.RIC.

N. 00553/2015REG.PROV.COLL.

N. 07277/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7277 del 2014, proposto da:
-OMISSIS- in proprio e quale legale rappresentante della società -OMISSIS- Srl, rappresentato e difeso dagli avv. A C e L R, con domicilio eletto presso A C in Roma, Via Principessa Clotilde n.2;

contro

Ministero dell'Interno, U.T.G. - Prefettura di Caserta in persona dei legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, n.12;
Comune di Cimitile;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. CAMPANIA - NAPOLI SEZIONE I n. 03236/2014,


Visto il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno e di U.T.G. - Prefettura di Caserta;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l'art. 52 D. Lgs. 30.06.2003 n. 196, commi 1, 2 e 5;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 gennaio 2015 il Cons. R C e uditi per le parti gli avvocati Clarizia, Roma e dello Stato Aiello C.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. - Il sig. -OMISSIS-, in proprio e nella qualità di amministratore unico della -OMISSIS- S.r.l., aveva impugnato la nota del Comune di Cimitile, datata 4 aprile 2013, recante la sospensione dei lavori di recupero e restauro dei locali della sala mostre e convegni del complesso basilicale paleocristiano sito nel territorio comunale e l’informativa antimafia emessa il 19 marzo 2013 dalla Prefettura di Caserta, posta a base della suddetta determina dell’ente locale.

La sopradetta misura interdittiva seguiva ad una richiesta di revisione di una precedente interdittiva del 13.9.2010, impugnata davanti al Tar Campania, Napoli, che aveva respinto il relativo gravame con sentenza confermata da questo Consiglio di Stato con sentenza n.4709/2012.

L’ esponente aveva sottoposto all’attenzione della Prefettura il sopraggiungere, rispetto al quadro tenuto presente nel 2010 al momento della emanazione del primo provvedimento interdittivo, di nuovi elementi, secondo la sua prospettazione, idonei a dimostrare l’erroneità delle conclusioni precedentemente raggiunte e comunque tali da poter determinare un aggiornamento o un riesame della interdittiva.

A sostegno della domanda di annullamento il ricorrente deduceva i vizi di violazione di legge ed eccesso di potere sotto diversi profili.

Il Ministero dell’Interno si costituiva in giudizio depositando documenti e concludendo con richiesta di reiezione del ricorso per l’infondatezza delle censure.

Gli atti posti a base del provvedimento prefettizio, depositati in giudizio a seguito dell’ordinanza del Tar, venivano gravati con motivi aggiunti, depositati il 19 giugno 2013.

A seguito del deposito da parte dell’Avvocatura Distrettuale dello Stato di una relazione prefettizia datata 1 luglio 2013, il ricorrente proponeva ulteriori motivi aggiunti, depositati il 25 settembre 2013.

Le parti depositavano memorie difensive a sostegno delle rispettive richieste.

Il Tar, dopo avere proceduto ad un sintetico richiamo dei tratti caratterizzanti l'istituto dell'informativa prefettizia, di cui agli artt. 4 del d.lgs. n. 490/1994 e 10 del d.P.R. n. 252/1998, come delineati dalla giurisprudenza del giudice amministrativo, riteneva il ricorso infondato.

Ciò, in quanto la prima informativa in precedenza emessa, del 13 settembre 2010, aveva superato il vaglio giurisdizionale di legittimità, atteso che il Tar aveva respinto il gravame proposto dall’interessato con sentenza n. 5269 pubblicata l’11 novembre 2011, ed il Consiglio di Stato, Sezione Terza, aveva rigettato l’appello con decisione n. 4709 del 5 settembre 2012.

Il ricorrente lamentava che il Prefetto di Caserta, in occasione del riesame della sua posizione, avrebbe omesso di valutare due fatti nuovi di assoluto rilievo ai fini del superamento della precedente misura, così compendiabili:

- con riguardo al sig. Ma. Ra., non avrebbe tenuto conto che lo stesso non era imputato nel processo denominato “Normandia 1”, nel quale figurava invece nell’elenco delle persone offese;

- quanto al suocero Co. Pa. l’autorità prefettizia non avrebbe considerato che l’interdittiva emessa nei confronti della Corem s.r.l. (in data 4 gennaio 2010) era stata annullata dal Tar Campania con sentenza del 3 maggio 2012, n. 2012 ormai irrevocabile.

Il Tar nella sentenza appellata, dopo avere rilevato che la prima interdittiva poggiava su un ampio quadro indiziario connotato da una pluralità di elementi, osservava che entrambe le circostanze indicate erano state reputate ininfluenti dalla sentenza n. 4709/2012 del giudice di appello, a sua volta puntualmente richiamata nel nuovo decreto prefettizio.

Circa il primo punto relativo a Ma. Ra., nella menzionata pronuncia di secondo grado poteva infatti leggersi testualmente quanto segue:

“In disparte le frequentazioni sospette del titolare dell’impresa e dell’ex socio e responsabile tecnico, risulta dalle indagini della Prefettura che Ma. Sa. abbia intrattenuto rapporti con il titolare della ditta individuale Ma. Ra. il quale, quale che sia, ad oggi, la sua posizione processuale nella vicenda Normandia 1, e anche nella ipotesi, come sostenuto nell’atto di appello, che possa in quelle indagini qualificarsi come persona offesa dal reato, risultava agli atti delle Forze dell’Ordine, essere elemento di filtro tra il già menzionato Schiavone Nicola, classe 1978, tratto in arresto il 12.7.2010, la società Corem del suocero del Ma. Sa. e la appellante -OMISSIS-. Ciò risultava documentato da alcune intercettazioni telefoniche e ambientali intrattenute dallo stesso Ma. Ra. con adepti del clan camorristico. Non appare convincente al riguardo l’affermazione dell’appellante, che non essendo stato menzionato esplicitamente Ma. Sa. nel corpo di tali intercettazioni, ma solo la società -OMISSIS- ed esistendo in Campania altre società con denominazione simile, il riferimento non sarebbe attendibile. Basti al riguardo rilevare che la società -OMISSIS-, nel corpo delle intercettazioni, viene messa in relazione alla soc. Corem del suocero di Ma. Sa. , il che avvalora, ragionevolmente, la ipotesi investigativa dei Carabinieri e della Prefettura condivisa dal primo giudice, che i rapporti tra la -OMISSIS- e la ditta Ma. Ra. siano ben più stretti di quelli di una occasionale e risalente compartecipazione ad un appalto e si siano tradotti piuttosto in un collegamento soggiacente agli interessi delle consorterie criminali.”

L’attualità di tale elemento fattuale era stata espressamente apprezzata dall’autorità prefettizia, atteso che nel provvedimento impugnato si soggiunge, inoltre, che “ in data 22.1.2013, la Prefettura di Caserta ha emesso un provvedimento interdittivo antimafia sul conto della società Co.Ge.Ma Costruzioni srl di Villa Literno, il cui amministratore unico si identifica in Ma. Ra. […]”. “Va aggiunto che quest’ultima informativa ha superato il vaglio di legittimità del Tar con la sentenza n. 1504 del 12 marzo 2014.”

Anche il secondo punto segnalato (la posizione del suocero Co. Pa.) risultava già preso in considerazione nella pregressa vicenda contenziosa, atteso che era stata indicata a sostegno dell’atto di appello e reputata ininfluente dal Consiglio di Stato nella citata sentenza n. 4709/2012, nel punto in cui si affermava testualmente quanto segue: “ Quanto in particolare ai rapporti con il suocero Co. Pa. non risulta risolutivo il fatto che la informativa antimafia che lo aveva raggiunto sia stata annullata, permanendo il fatto oggettivo che lo stesso era stato indagato nell’ambito del procedimento penale per turbata libertà degli incanti proprio al fine di favorire l’organizzazione nota come il clan dei casalesi.”.

Ciò posto, il primo giudice, tenuto conto del breve periodo intercorso tra i due provvedimenti prefettizi riguardanti il ricorrente e che nel frattempo la compagine societaria non era mutata né erano stati evidenziati nuovi fatti significativi a favore dello stesso, riteneva che la valutazione operata dall’autorità amministrativa circa la persistenza nell’attualità del pericolo di infiltrazione mafiosa non poteva ritenersi affetta dai denunciati vizi logici.

Al riguardo, il Tar richiamava la giurisprudenza (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 30.12.2011, n. 7002;
Sez. V, 28.2.2006, n.851 e 12.6.2007, n.3126 ed altre ) secondo la quale la situazione di rischio di infiltrazioni non si può considerare automaticamente fugata per il mero e formale trascorrere del tempo da una precedente verifica fatta, occorrendo invece la sopravvenienza e l’accertamento di fatti positivi che diano conto persuasivamente di un oggettivo e reale discostamento dalla situazione in precedenza rilevata.

2. - Nell’atto di appello si insiste nelle argomentazioni sostenute in primo grado e respinte dal Tar in particolare deducendo:

-il provvedimento impugnato è frutto di una istruttoria lacunosa in quanto la Prefettura non ha considerato che con sentenza passata in giudicato l’informativa a carico di Co. Pa., genero dell’appellante Ma. Sa. era stata annullata dallo stesso Tar con sentenza n.2012 del 2012;

-Ma. Sa. e Ma. Ra. pur avendo lo stesso cognome non sono parenti e non hanno attività in comune essendosi limitati a partecipare in ati ad una gara di appalto in tempo risalente, nel 2006, presso il comune di Salerno;

- all’epoca l’impresa di Ma. Ra. era munita di certificazione antimafia mentre solo successivamente emergevano a suo carico problematiche che al momento della partecipazione all’ati non avrebbero potuto essere conosciute dal Ma. Sa.;

-la Prefettura ha fatto riferimento ad atti di un procedimento penale in cui Ma. Ra. era invece persona “offesa” e giammai filtro tra la criminalità organizzata e imprese tra le quali la -OMISSIS-;

-infatti gli adepti di una organizzazione criminale cercavano di avvicinare Ma. Ra. (e non Ma. Sa.) per scoraggiarne la partecipazione ad una gara indetta dal comune di Piana di Monte Verna intimidendo gli imprenditori che avevano richiesto la presa visione degli atti di gara presso l’ente;

-Ma. Sa. non aveva presentato alcuna richiesta presso il comune in questione né era stato coinvolto nel procedimento penale non potendo rappresentare un obiettivo nemmeno potenziale per i malavitosi, non essendo la -OMISSIS- interessata alla partecipazione alla gara di appalto, né poteva avere avuto alcun ruolo come impresa da intimidire;

-Ma. Ra. non poteva considerarsi elemento di “filtro” tra il clan e l’impresa appellante e la -OMISSIS- non poteva avere avuto alcun ruolo neanche come impresa da intimidire.

L’amministrazione intimata non ha depositato memorie.

In vista dell’udienza di trattazione la appellante ha depositato una ulteriore memoria difensiva.

Alla pubblica udienza del 15 gennaio 2015 la causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.

3 Osserva preliminarmente la Sezione che, secondo la ormai consolidata giurisprudenza del giudice amministrativo, l’attualità del quadro indiziario, da cui trarre la sussistenza dei tentativi di infiltrazione mafiosa, permane fino all’intervento di fatti nuovi, ulteriori rispetto ad una precedente valutazione di presenza di tentativi siffatti, che evidenzino il venir meno della situazione di pericolo.

Pertanto il rischio di inquinamento mafioso si può considerare superato, non tanto per il trascorrere di un lasso di tempo dall’ultima verifica effettuata senza che sia emersa alcuna evenienza negativa, quanto per il sopraggiungere di fatti positivi, idonei a dar conto di un nuovo e consolidato operare dei soggetti a cui è stato ricollegato il pericolo, che persuasivamente e fattivamente dimostri l’inattendibilità o la non attualità della situazione rilevata in precedenza (Cons. Stato, Sez. V, 12 giugno 2007 n. 3126 e 28 febbraio 2006 n. 851).

Il predetto criterio subisce un temperamento nel caso in cui gli elementi di fatto, raccolti dalle forze di polizia, siano talmente risalenti nel tempo da non poter essere considerati intrinsecamente idonei a supportare il giudizio di pericolo, attesa la naturale evoluzione dei fenomeni associativi criminali in termini di avvicendamento tra i vari gruppi malavitosi.

Nel caso di specie, persiste l’attualità della situazione indiziante individuata a carico dell’amministratore unico della società ricorrente, non solo perché, come si vedrà, non sono emersi eventi significativi di segno contrario valutabili da parte dell’autorità prefettizia tali da giustificare un ribaltamento delle valutazioni in precedenza effettuate, ma anche perché la vicenda si colloca in un periodo temporale non remoto rispetto all’emissione della gravata informativa e in relazione ad un contesto criminale che ha mantenuto pressoché inalterata la sua forza intimidatrice.

4. - Nell’atto di appello si deduce che vi sarebbero importanti circostanze sopravvenute al quadro di riferimento del 2010 che contraddicono le precedenti conclusioni della Prefettura:

-nel 2012 il Tar Campania ha annullato la informativa resa a carico della Corem di Co. Pa. con sentenza passata in giudicato;

-Ma. Ra. è stata indagato dalla Prefettura come persona “offesa” e non contigua agli ambienti della criminalità organizzata.

In ogni caso la Prefettura, invece di indagare sui nuovi elementi sopravvenuti per verificare la persistente attendibilità delle precedenti conclusioni non ha compiuto alcuna autonoma attività di valutazione dei medesimi.

Quanto al primo punto, rileva l’appellante che le risultanze delle interrogazioni alle forze dell’ordine richieste dalla Prefettura evidenziano che nessun ulteriori elemento era stato acquisito agli atti e la situazione poteva ritenersi cristallizzata a quella esistente al 2010 in cui la ditta Co. Pa. era sì stata raggiunta da una informativa antimafia, ma tale informativa era stata annullata dal Tar Campania con la sentenza n.2012 del 2012 passata in giudicato.

Quindi, la Prefettura avrebbe dovuto prendere atto della nuova realtà a seguito della sopradetta pronunzia del Tar e non trincerarsi dietro una motivazione stereotipata e di mero stile.

5. - Le considerazioni sviluppate nell’atto di appello tuttavia non appaiono persuasive.

Nella vicenda da cui è scaturita la interdittiva antimafia annullata dalla sentenza n.2102 del 2012 riferita al suocero di Ma. Sa., veniva escluso il giudizio di sussistenza di pericolo di condizionamento da parte della criminalità organizzata sulla base della nota della Questura di Caserta dell’11 settembre 2009 e del Comando Carabinieri di Caserta del 21 dicembre 2009, dai quali si evidenziava la sussistenza di un rapporto di parentela (fratellanza) fra l’amministratore e la moglie dell’amministratore della società Edil ber già colpita da provvedimento interdittivo nel 2004. Inoltre la figlia dell’amministratore della società ricorrente era coniugata con un soggetto controllato dalla polizia locale in compagnia di una persona con precedenti per associazione mafiosa.

La sentenza n.2012/2012 ha ritenuto che gli elementi emersi a carico dell’amministratore della società, suocero dell’appellante, non fossero idonei a sorreggere l'informativa e che l’interdittiva dovesse essere annullata.

Tuttavia, il Tar Campania, nella sentenza di cui sopra, evidenziava anche che il divieto di integrazione postuma della motivazione impediva di utilizzare altri atti e documenti formatisi successivamente all’emissione della informativa ed in particolare non poteva essere utilizzata la nota dei Carabinieri di Caserta del 14 luglio 2010 che avrebbe potuto essere rilevante ai fini del riesercizio del potere da parte dell’autorità prefettizia.

In sintesi, il giudizio sulla informativa sulla Corem scontava il fatto che successivi atti e approfondimenti compiuti dalle forze dell’ordine non potevano essere utilizzati nel giudizio medesimo tant’è che la sentenza insisteva particolarmente sul potere della amministrazione di pronunziarsi nuovamente, all’uopo chiarendo che l’ annullamento della informativa non aveva affatto riconosciuto che tutti gli elementi negativi posti a carico della società risultavano smentiti, ma che non sussistevano elementi univoci ed obiettivi tali da giustificare l’esistenza di un potere di condizionamento da parte della malavita.

Rilevava infatti il Tar che “ Alla stregua di quanto sopra, dunque, la possibilità di un giudizio di pericolosità non è stata radicalmente esclusa, richiedendosi una maggiore coerenza logica nella valutazione degli elementi già emersi alla luce di eventuali ulteriori circostanze da approfondire in sede istruttoria” rimanendo integra l’attività investigativa compiuta che, a parere del Tar, poteva “ costituire .. un punto di partenza di uno sviluppo investigativo, poi corroborato dalle note successive, inutilizzabili nel presente giudizio” .

Tornando quindi alla vicenda in esame ritiene la Sezione che non possa darsi un valore assoluto all’avvenuto annullamento giurisdizionale della informativa a carico della Corem di cui alla sentenza del Tar n.2012 del 2012 sulla quale tanto insiste la difesa dell’appellante permanendo quindi la esistenza di zone d’ombra nella attività della società.

6. - Quanto all’altra questione, ampiamente trattata nell’atto di appello, relativa ai contatti avuti dall’appellante con Ma. Ra., la sentenza di questo Consiglio di Stato, i cui passi sono stati richiamati dal primo giudice e riportati al punto n.1 della presente sentenza, ipotizza che lo stesso poteva considerarsi un elemento di collegamento dell’appellante con esponenti della malavita organizzata essendo irrilevante che nella vicenda giudiziaria in argomento potesse considerarsi persona “offesa”.

Al riguardo è utile sottolineare che la Prefettura di Caserta in data 22.1.2013 aveva emesso un provvedimento interdittivo antimafia sul conto della società Co.Ge.Ma. Costruzioni s.r.l. di Villa Literno, il cui amministratore era appunto Ma. Ra..

La sentenza del Tar Campania, Napoli, n.1504 del 12 marzo 2014, con un particolare approfondimento istruttorio consentito dalla documentazione depositata in quel gravame, non ha escluso affatto il coinvolgimento dello stesso Ma. Ra. in qualità di elemento di collegamento con la malavita organizzata , “…come d’altronde risulta da una più attenta analisi di tutte le intercettazioni telefoniche ed ambientali confluite nell’ordinanza di custodia cautelare in carcere”.

Aggiungendo ancora che “ .. dalla complessiva disamina dello stralcio di ordinanza riportato nel verbale del G.I.A. non emerge affatto la sottoposizione di Ma. Ra. a minacce estorsive da parte del malavitoso, ma piuttosto la rassegnata soggezione dello stesso agli interessi della criminalità. (così la sentenza del Tar n.1504 del 12 marzo 2014).

Se si tiene conto dei tratti caratterizzanti l’istituto dell’informativa prefettizia di cui agli artt. 4 del d.lgs. n. 490/1994 e 10 del d.P.R. n. 252/1998 sinteticamente riportati nel punto 1 della sentenza appellata, che ha rilevato che trattasi di una tipica misura cautelare di polizia, preventiva e interdittiva, e che prescinde dall’accertamento in sede penale di uno o più reati connessi all’associazione di tipo mafioso;
che non occorre né la prova di fatti di reato, né la prova dell’effettiva infiltrazione mafiosa nell’impresa, né la prova del reale condizionamento delle scelte dell’impresa da parte di associazioni o soggetti mafiosi essendo sufficiente il “tentativo di infiltrazione” avente lo scopo di condizionare le scelte dell’impresa, anche se tale scopo non si è in concreto realizzato, non può che respingersi l’odierno appello a fronte della inesistenza di manifesti vizi nella valutazione del Prefetto sia in relazione alla permanenza degli elementi a suo tempo raccolti, sia in relazione alla assenza di nuovi fatti risolutivi, di ordine positivo che dessero conto in maniera significativa di un oggettivo e reale discostamento dalle valutazioni effettuate, peraltro in un lasso temporale non risalente.

In conclusione l’appello non merita accoglimento e la sentenza appellata deve essere integralmente confermata mentre le spese, per la peculiarità della vicenda e per la assenza di attività difensionale da parte della difesa erariale, possono essere compensate.

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