Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2022-12-22, n. 202211180

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2022-12-22, n. 202211180
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202211180
Data del deposito : 22 dicembre 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 22/12/2022

N. 11180/2022REG.PROV.COLL.

N. 02706/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2706 del 2022, proposto da G Italia S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati F C, F M F, D V e M G M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato D V in Roma, Lungotevere Marzio n. 3,

contro

l’AIFA - Agenzia Italiana del Farmaco, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12,

nei confronti

- del Ministero della Salute, del Ministero dell’Economia e delle Finanze e della Regione Siciliana, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore , rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
- della Regione Emilia Romagna, in persona del Presidente pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati Maria Rosaria Russo Valentini e Roberto Bonatti, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
- della Regione Abruzzo, della Regione Basilicata, della Regione Calabria, della Regione Campania, della Regione Autonoma Friuli-Venezia Giulia, della Regione Lazio, della Regione Liguria, della Regione Lombardia, della Regione Marche, della Regione Molise, della Regione Piemonte, della Regione Puglia, della Regione Autonoma della Sardegna, della Regione Toscana, della Regione Umbria, della Regione Autonoma Valle d’Aosta, della Regione Veneto, della Provincia Autonoma di Trento, della Provincia Autonoma di Bolzano e di EG S.p.a., non costituite in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza) n. 12750/2021, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero della Salute, del Ministero dell’Economia e delle Finanze, dell’AIFA - Agenzia Italiana del Farmaco, della Regione Siciliana e della Regione Emilia Romagna;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 29 settembre 2022, il Pres. R G e viste le conclusioni delle parti come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Giunge all’attenzione di questo Consiglio di Stato il contenzioso relativo al c.d. pay back farmaceutico, dove il termine pay back sta ad indicare il ripiano dello sfondamento del tetto di spesa prefissato per legge per gli acquisti diretti dei farmaci da parte degli enti del Servizio Sanitario Nazionale (di qui in avanti, per brevità, il S.S.N.).

1.1. La normativa applicabile alla materia controversa, oggetto di lunghi contenziosi anche in passato, è cambiata proprio a partire dal pay back relativo all’anno 2019 con l’introduzione delle disposizioni di cui all’art. 1, commi 574 e seguenti, della legge 30 dicembre 2018, n. 145, che hanno notevolmente semplificato il sistema, in base ad un meccanismo fondato sulle quote di mercato (c.d. market shares ) possedute dalle singole aziende farmaceutiche.

1.2. L’odierna appellante, G Italia S.p.a. (di qui in avanti, per brevità, solo G), impugnando avanti al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma (di qui in avanti il Tribunale), gli atti con i quali è stato determinato a suo carico il c.d. pay back e, in particolare, la determinazione n. 1313/2020 dell’Agenzia Italiana del Farmaco – AIFA (di qui in avanti, per brevità, solo AIFA), nel presente giudizio ha lamentato, anzitutto, un problema di metodo e, cioè, che l’AIFA non comunica a tutte le aziende farmaceutiche tutti i dati sulla base dei quali essa ha effettuato i conteggi che hanno condotto all’attribuzione delle quote di ripiano alle singole aziende farmaceutiche.

1.3. Questo problema di metodo genererebbe un problema di obiettiva inaffidabilità dei dati e dei conteggi in questione tant’è, sostiene l’appellante, che l’unico ricorso accolto dal Tribunale, in occasione del pay back relativo all’anno 2019, si è fondato proprio su un motivo di questo genere (v., in particolare, la sentenza della sez. III- quater , 13 gennaio 2022, n. 345, pure impugnata dal Ministero della Salute e da AIFA con appello chiamato per la decisione alla medesima udienza pubblica del 29 settembre 2022, contestualmente alla trattazione del presente appello).

1.4. Il secondo aspetto critico rilevato e sollevato da G attiene al settore nel quale la stessa opera specificamente, e cioè quello dei medicinali emoderivati (o plasmaderivati), i quali a suo dire risulterebbero « irragionevolmente e quindi incostituzionalmente penalizzati » dalla normativa vigente.

1.5. In particolare, premesso che i prodotti farmaceutici in questione si possono distinguere nelle due differenti tipologie del plasmaderivati “ da conto lavorazione ”, che sono ottenuti da plasma italiano raccolto dalle Regioni grazie alle donazioni spontanee dei cittadini e conseguentemente non rientrano nei calcoli di spesa e non sono assoggettati a pay back , e prodotti “ commerciali ”, che sono realizzati con plasma acquistato all’estero e vengono venduti al SSN come prodotti finiti, rientrando conseguentemente nei calcoli di spesa ai fini del ripiano del pay back , l’illegittimità di tale ultimo assoggettamento discenderebbe direttamente dall’incostituzionalità dell’articolo 1, commi 575 e seguenti, della precitata legge n. 145/2018, nella parte in cui non ha escluso anche la detta seconda tipologia di medicinali dal meccanismo di pay back , determinando disparità di trattamento rispetto ad altre tipologie di medicinali (gas medicinali, vaccini, farmaci orfani e innovativi) i quali proprio in ragione delle proprie “ specificità ” hanno beneficiato di un trattamento di favore ad hoc .

2. Prima di esaminare le censure proposte in questa sede dall’odierna appellante è necessario, tuttavia, rammentare brevemente, in ossequio all’obbligo di sintesi prescritto dal codice di rito (art. 3, comma 2, c.p.a.), come funzioni la disciplina vigente in materia di pay back farmaceutico riferito agli acquisti diretti dei farmaci da parte degli enti del S.S.N. introdotta dal citato art. 1, commi 574 e ss., della l. n. 145 del 2018.

2.1. Si deve rammentare in questa prospettiva, innanzitutto, che il comma 580 dell’art. 1 della l. n. 145 del 2018 citato prevede che « le aziende farmaceutiche titolari di AIC ripianano il 50 per cento dell’eventuale superamento di ogni tetto della spesa per acquisti diretti […]» e che « il restante 50 per cento del superamento dei predetti tetti a livello nazionale è a carico delle sole Regioni e Province Autonome nelle quali è superato il relativo tetto di spesa, in proporzione ai rispettivi superamenti ».

2.2. Nel sistema attuale, il ripiano del 50% del superamento del tetto di spesa prefissato a livello nazionale posto a carico delle aziende farmaceutiche non risulta più fondato – come avveniva fino al pay back relativo all’anno 2018 – sulla preventiva assegnazione di un budget aziendale e applicato alle sole che hanno superato il proprio company budget , bensì su un differente sistema fondato sulle c.d. quote di mercato o market shares .

2.3. In particolare, per quanto rileva ai fini del presente giudizio, il citato art. 1, commi 574 e ss., della l. n. 145 del 2018 ha previsto che, a decorrere dal 1° gennaio 2019, ai fini della verifica del rispetto del tetto predefinito per la spesa farmaceutica per acquisti diretti si proceda nel modo seguente:

1) l’AIFA determina, innanzitutto, l’ammontare complessivo della spesa farmaceutica per acquisti diretti nell’anno di riferimento mediante la rilevazione del fatturato generato in tale anno dalle aziende farmaceutiche titolari di AIC con riferimento ai medicinali di fascia A e H ceduti direttamente alle strutture S.S.N., con esclusione dei vaccini, dei farmaci innovativi e dei farmaci oncologici innovativi ricompresi nei fondi speciali previsti dai commi 400 e 401 dell’art. 1 della legge 11 dicembre 2016, n. 232;

2) l’AIFA rileva, poi, il fatturato generato da ciascuna azienda farmaceutica nell’anno solare di riferimento con riferimento ai sopra detti medicinali, ad esclusione dei vaccini, dei farmaci innovativi e dei farmaci oncologici innovativi di cui ai suddetti fondi speciali, nonché dei farmaci inseriti nel registro dei medicinali orfani per uso umano dell’Unione europea, e determina su queste basi la quota di mercato di ciascuna azienda farmaceutica titolare di AIC;

3) il fatturato complessivo annuale di ciascuna azienda farmaceutica titolare di AIC è calcolato deducendo:

a ) il fatturato fino a 3 milioni di euro, esclusivamente per il computo del fatturato rilevante per gli acquisti diretti diversi dai gas medicinali;

b ) le somme versate nello stesso anno solare di riferimento dalle aziende farmaceutiche a titolo di c.d. pay back 5% per i consumi riferiti agli acquisti diretti;

c ) le somme restituite nello stesso anno solare di riferimento dalle aziende farmaceutiche alle Regioni e alle Province autonome di Trento e di Bolzano ai sensi dell’art. 48, comma 33, del d.l. 30 settembre 2003, n. 269 (i c.d. pay back di prodotto);

4) le aziende farmaceutiche titolari di AIC ripianano il 50 per cento dell’eventuale superamento del tetto della spesa farmaceutica per acquisti diretti in proporzione alla rispettiva quota di mercato di ciascuna azienda farmaceutica;

5) l’eccedenza della spesa rispetto alla dotazione di uno o di entrambi i fondi di cui all’art. 1, commi 400 e 401, della legge 11 dicembre 2016, n. 232 (fondo farmaci innovativi e fondo innovativi oncologici), è ripianata da ciascuna azienda titolare, rispettivamente, di farmaci innovativi e di farmaci oncologici innovativi, in proporzione alla rispettiva quota di mercato.

2.4. Tale è la normativa che è stata applicata dall’AIFA con gli atti gravati nel presente giudizio da G.

2.5. Essa, come si è accennato, ha impugnato tali atti avanti al Tribunale, deducendone l’illegittimità, con censure che hanno dedotto, sotto distinti profili, le ragioni che si sono in sintesi ricordate, e chiedendone l’annullamento.

2.6. Nel primo grado del giudizio si sono costituiti il Ministero della Salute, il Ministero dell’Economia e delle Finanze, l’AIFA, la Regione Siciliana e la Regione Emilia Romagna per chiedere il rigetto del ricorso.

2.7. All’esito del giudizio, con la sentenza n. 12750 del 9 dicembre 2021, il Tribunale, come pure si è accennato, ha respinto tutte le censure proposte dall’appellante contro gli atti, impugnati in prime cure, con cui l’AIFA ha determinato il pay back per l’anno 2019.

3. Si tratterebbe tuttavia, a dire dell’appellante, di provvedimenti illegittimi per ragioni che non sono state condivise dal giudice di prime cure, il quale sarebbe tuttavia incorso in un chiaro errore di giudizio adottando una sentenza meritevole, di conseguenza, di sostanziale riforma.

3.1. L’appellante ha proposto, più in particolare, due motivi di censura, che riproducono in chiave critica i motivi di doglianza di primo grado e che qui di seguito saranno specificamente esaminati.

3.2. Si sono costituiti il Ministero della Salute, il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’AIFA per chiedere il rigetto dell’appello.

3.3. Si sono altresì costituiti la Regione Siciliana e la Regione Emilia Romagna per chiedere anche esse il rigetto dell’appello.

3.4. Le parti hanno depositato, nel corso del giudizio, numerose memorie con cui hanno esposto, ribadito e dettagliato meglio le rispettive posizioni e deduzioni.

3.6. Infine nella pubblica udienza del 29 settembre 2022 il Collegio, sentita l’ampia discussione dei difensori e sulle conclusioni come da questi rassegnate a verbale, ha trattenuto la causa in decisione.

4. L’appello è infondato.

5. Con il primo motivo di censura, anzitutto, G deduce l’erroneità della sentenza appellata nella parte in cui ha respinto il primo motivo di censura (qui espressamente riproposto solo con riguardo al suo “ secondo profilo ”, che parte appellante reputa assorbente per le ragioni meglio di seguito esposte), con il quale si è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1, commi 574 e ss. della l. n. 145 del 2018, la violazione del principio di trasparenza dell’azione amministrativa, l’eccesso di potere per difetto dei necessari presupposti di fatto e di diritto per l’attribuzione degli oneri di ripiano nella misura quantificata dall’AIFA, l’eccesso di potere per difetto di istruttoria ed erroneo accertamento dei fatti, nonché la mancanza di affidabilità ed erroneità dei dati presi in considerazione nel procedimento di calcolo operato dall’AIFA per pervenire alla quantificazione dei ripiani.

5.1. Il primo dei problemi che rimangono ancora aperti nella materia del c.d. pay back farmaceutico, e che meritano di essere discussi e risolti in sede giurisdizionale è infatti un problema di metodo.

5.2. L’AIFA insiste nel non comunicare alle aziende farmaceutiche tutti i dati sulla base dei quali si fondano i conteggi che essa ha operato e che hanno condotto all’attribuzione delle quote di ripiano alle singole aziende farmaceutiche.

5.3. Si tratterebbe di un problema di metodo che, come l’appellante ha dedotto nel primo motivo del ricorso proposto in primo grado, genererebbe, a suo dire, un problema di obiettiva inaffidabilità di quei conteggi e, di qui, della quantificazione delle quote di ripiano.

5.4. Ebbene, costituirebbe oggi dimostrazione della fondatezza della censura – che è stata invece respinta nella sentenza impugnata – l’accertamento che lo stesso Tribunale ha svolto nell’unica sentenza che ha accolto un ricorso relativo al pay back per l’anno 2019 (v. la sentenza del medesimo Tribunale, sez. III- quater , 13 gennaio 2022, n. 345, come detto, impugnata avanti a questa stessa Sezione).

5.5. La censura che è stata accolta, infatti, è riconducibile proprio alla da G lamentata mancanza di comunicazione completa dei dati e dei conteggi operati da AIFA.

5.6. L’Agenzia infatti, come ha accertato il Tribunale, è incorsa in uno specifico errore metodologico ma solo l’azienda ricorrente (ASPEN) ha potuto accorgersene, perché l’errore metodologico riguardava direttamente alcuni prodotti di cui essa è titolare (e dei quali, quindi, ha potuto vedere i “numeri”).

5.7. Si trattava, tuttavia, di dati che interessano non solo l’odierna appellante, ma tutte le aziende farmaceutiche coinvolte dalle richieste di ripiano che AIFA avrebbe dovuto, pertanto, comunicare apertamente.

5.8. Precisamente, erano i dati che riguardavano i c.d. pay back di prodotto negoziati con AIFA in relazione a talune specialità medicinali di classe A della cui AIC la ricorrente è titolare, e dunque somme che AIFA doveva sottrarre dal calcolo effettuato per quantificare l’ammontare totale della spesa per gli acquisti diretti sulla cui base deve poi essere assegnato il ripiano secondo la c.d. market share a ciascuna azienda farmaceutica.

5.9. Esse costituirebbero un dato, dunque, che riguarda tutte le aziende farmaceutiche chiamate al ripiano, non la sola ricorrente di quel giudizio.

6. Secondo l’appellante, l’esigenza che tutte le aziende possano verificare tutti i conteggi operati da AIFA deriva, in effetti, dalla maniera con la quale il sistema di governo della spesa farmaceutica è congegnato dalla legge, che fa sì che l’errore compiuto nei calcoli riguardanti i farmaci di un’azienda farmaceutica si ripercuote sulla correttezza dei calcoli che riguardano anche tutte le altre, andando tale errore a viziare i numeri totali sulla cui base sono quantificati i ripiani posti a carico di ognuna di esse.

6.1. Deduce G che se, in altri termini, l’AIFA sbaglia a quantificare la spesa 2019 generata da un determinato farmaco e attribuisce allo stesso, ad esempio, una spesa pari a 10 o a 100 milioni di euro che esso non ha affatto realizzato, quell’errore non incide solo sui conteggi relativi all’azienda titolare del farmaco stesso, bensì sui calcoli che riguardano tutte le aziende, in quanto va ad inficiare la correttezza tanto del dato totale di spesa per acquisti diretti 2019, sulla cui base viene quantificato lo sfondamento del relativo tetto, quanto delle singole market shares sulla cui base vengono ripartiti i conseguenti ripiani.

6.2. Sarebbe di conseguenza necessario che i conteggi siano, nel sistema normativo vigente, tutti assolutamente corretti e tutti verificabili da tutte le aziende, poiché l’errore presente nei dati di spesa anche di un solo farmaco di una sola azienda si ripercuote su tutte quelle chiamate a sostenere gli oneri di ripiano di cui si discute.

6.3. È già successo, deduce l’appellante, negli anni passati, come testimonia per esempio – tra le altre, ma è il caso più importante – la vicenda relativa al farmaco REVLIMID, in relazione alla richiesta di pay back 2018, per il quale l’AIFA aveva calcolato una spesa pari a 423.318.618 euro e su queste basi aveva quantificato i ripiani da attribuire alle aziende, quando in realtà la spesa pubblica effettiva relativa a tale farmaco era più meno pari alla metà, e dunque a 214.818.491,78 euro.

6.4. Un piccolo errore che valeva, da solo, circa 210 milioni di euro: che a seguito del ricorso proposto dall’azienda titolare della relativa AIC è stato ammesso dall’AIFA la quale, con provvedimento di riesame adottato nel mese di giugno 2020, ha rivisto i calcoli e ha modificato conseguentemente gli importi di ripiano addossati alle aziende.

7. Ora, sostiene l’appellante, il Tribunale adito in primo grado pareva aver compreso questo punto, nella parte in cui, nella sentenza impugnata, ha affermato che la normativa vigente ha generato « un sistema di forte interdipendenza tra spesa effettuate a fatturati prodotti dalle varie aziende del settore farmaceutico […]» e « pertanto, la modifica anche di un solo dato di una sola azienda andrebbe a modificare il dato complessivo della spesa e dunque anche le singole quote di ripiano ».

7.1. Senonché esso non avrebbe poi inspiegabilmente accolto la censura, ritenendo che la verifica della « correttezza dei dati inseriti è appannaggio, in prima battuta, della sola azienda cui sono ascrivibili quegli stessi dati »;
e che « pretendere sin da subito che i dati di tutte le aziende siano indifferentemente conoscibili da tutte le aziende del settore (dunque una sorta di “discovery anticipata”) equivale ancora una volta a pretendere una sorta di cogestione della spesa farmaceutica tra AIFA e aziende di settore, il che – oltre a non essere contemplato dalla vigente normativa – sarebbe contrario al principio di buona amministrazione, attesa la notevole mole di dati e di passaggi procedimentali che sarebbero altrimenti imposti, con inevitabile e intollerabile allungamento dei tempi dell’azione amministrativa ».

7.2. La correttezza dei dati inseriti non deve essere affatto « appannaggio della sola azienda cui sono ascrivibili quegli stessi dati », perché – come l’appellante insiste nel dedurre – deve poter essere controllata da tutte le aziende, essendo tutte interessate a conoscerli in quanto è sulla base di essi che sono stati quantificati i ripiani che sono stati poi attribuiti individualmente a ciascuna azienda farmaceutica.

7.3. Lo stesso Tribunale lo aveva riconosciuto in passato, in occasione delle sentenze che avevano annullato il pay back per l’anno 2013, affermando correttamente che, in caso contrario, si finirebbe « con l’assegnare in definitiva una sorta di fede privilegiata […] sia al dato complessivo nazionale elaborato dall’AIFA sia a quello prodotto dalle singole Regioni, in palese contrasto con il principio di trasparenza dell’azione amministrativa e con il principio che spetta all’amministrazione provare la fondatezza e la veridicità dei fatti sulla cui base ha adottato uno specifico provvedimento » (v., in particolare, la sentenza n. 4538 del 2015 dello stesso Tribunale).

7.4. Né l’operare in tal modo avrebbe ad AIFA richiesto alcun allungamento dei tempi dell’azione amministrativa, dato che i dati in questione avrebbero potuto essere semplicemente pubblicati assieme a quelli che AIFA ha deciso che, invece, potevano essere diffusi, poiché si tratta di dati informatici che sono in possesso di AIFA e renderli visibili a tutte le aziende non comporta affatto tempi lunghi.

7.5. Nemmeno si tratterebbe, inoltre, di pretendere una « sorta di cogestione della spesa farmaceutica », ma l’appellante chiede solo di conoscere tutti i dati sulla base dei quali sono stati calcolati gli importi di ripiano richiesti a ciascuna azienda farmaceutica per verificare, come nel caso REVLIMID, che non ci siano stati errori nelle quantificazioni operate da AIFA: il che non è possibile senza conoscere tutti i dati in questione.

7.6. La sentenza impugnata sarebbe meritevole, allora, già su questo primo punto di integrale riforma.

8. Essa, d’altronde, neppure sarebbe corretta nel passaggio della motivazione nel quale si richiama ad « elementari esigenze di riservatezza commerciale di tutte le altre aziende dello specifico settore ».

8.1. Neanche questo argomento, infatti, che pure è stato utilizzato dall’Avvocatura dello Stato in giudizio per tentare di giustificare l’operato dell’AIFA, risulta convincente perché è smentito, sul piano documentale, dal fatto che l’AIFA stessa rende pubblici da sempre, negli atti che accompagnano le richieste di pay back alle aziende farmaceutiche, una notevole serie di dati di spesa riguardanti molti farmaci che sono coinvolti dalla manovra.

8.2. Per esempio, comunica i dati di spesa relativa ai farmaci innovativi, innovativi oncologici e orfani nell’ambito di specifici documenti allegati alle determinazioni di ripiano, compresi proprio, in quel caso, gli importi di pay back di prodotto che sono stati corrisposti dalle aziende (si cfr. gli allegati B1 e B2 alla determinazione n. 1313/2020).

8.3. Pubblica questi dati, l’AIFA, perché queste tipologie di farmaci sono oggetto di norme particolari: le prime due tipologie, innovativi e innovativi oncologici, perché sono soggetti ad un Fondo ad hoc pari a 500 milioni ciascuno e si tratta di vedere se questo risulta capiente (ciò nella normativa attuale, ma è un dato da sempre pubblicato da AIFA perché, nella normativa previgente e prima dell’istituzione dei Fondi ad hoc , il ripiano per i farmaci innovativi ricadeva a carico di tutte le aziende aventi prodotti non innovativi ancora coperti da brevetto);
la terza, quella relativa ai medicinali orfani, perché la relativa spesa (come nella normativa precedente) va ancora a carico di tutte le aziende farmaceutiche che partecipano al ripiano e va dunque sottratta dalla market share propria dell’azienda titolare della relativa AIC.

8.4. Tutte le aziende, pertanto, hanno indistintamente la possibilità di vedere gli importi di spesa di tutti questi prodotti, verificandone eventuali anomalie al punto tale che, storicamente, il maggior numero di errori (e tra questi l’errore sul REVLIMID del pay back del 2018) è stato rinvenuto e denunciato dalle aziende stesse in relazione a questi prodotti, proprio perché quei numeri sono visibili a tutti e non alla sola titolare del farmaco.

8.5. Si tratta, inoltre, dei farmaci più importanti, sui quali soprattutto si dovrebbe porre un tema di riservatezza, dal momento che quasi tutti questi prodotti sono interessati dall’esistenza di sconti confidenziali che vengono negoziati tra l’azienda titolare e l’AIFA e mai nessuna azienda si è lamentata di questo tipo di pubblicazione.

8.6. Ma se allora, per questi farmaci, AIFA non ritiene che sussista un problema di riservatezza, tanto che rende noti questi dati, non si comprenderebbe la ragione per cui gli stessi dati non potrebbero essere resi noti con riferimento a tutti i farmaci.

8.7. Se per questi farmaci le aziende interessate non ritengono che, così come vengono da anni pubblicati, sia correttamente contemperata la loro esigenza di riservatezza con quella di trasparenza e verificabilità dei dati di spesa da parte di tutti, lo stesso non potrebbe che avvenire per tutti i farmaci coinvolti dalla manovra.

8.8. Un identico approccio potrebbe e dovrebbe essere seguito dall’AIFA anche per i farmaci “normali”, quelli cioè che non rientrano nelle categorie dei farmaci innovativi, innovativi oncologici e orfani.

9. Questa esigenza di conoscibilità dei dati non deriverebbe solo da ragioni di principio, bensì dal fatto che i conteggi effettuati da AIFA si sono rivelati già in passato inattendibili e che tali si era denunciato che fossero anche quelli relativi all’anno 2019 oggetto del presente giudizio, quantomeno per la circostanza che le aziende farmaceutiche, nelle osservazioni presentate nel corso del procedimento, avevano chiesto di conoscere nel dettaglio quale metodo fosse stato seguito dall’AIFA per effettuare i conteggi che hanno portato al totale di spesa per acquisti diretti, censurando come insufficiente la mera comunicazione delle cifre totali da parte di AIFA senza rendere noto come ad esse si fosse arrivati, ma l’AIFA non ha mai reso noto nulla di tutto ciò.

9.1. G deduce che l’AIFA avrebbe insistito nel non voler comunicare quali importi e quali calcoli avevano portato al suddetto totale e ha deciso di « accogliere esclusivamente le osservazioni relative ad errori materiali » da essa compiuti e segnalati dalle aziende (tanto si trae a pag. 4 della determinazione n. 1313/2020).

9.2. Ebbene, sostiene G, la dimostrazione della fondatezza della censura proposta in primo grado dall’odierna appellante ed erroneamente respinta dal giudice di prime cure proviene oggi dallo stesso Tribunale essendo questa contenuta, segnatamente, nella sentenza resa dalla Sezione III- quater in data 13 gennaio 2022 n. 345, della quale si è già fatto cenno, e ciò tanto sul profilo della necessità di conoscere tutti i dati sulla base dei quali sono stati effettuati i conteggi dall’AIFA quanto su quello dell’obiettiva inaffidabilità dei medesimi che erano stati portati all’attenzione del Collegio.

9.3. Sulla base di quanto accertato in tale decisione giurisdizionale, infatti, G deduce che vi sarebbe stato almeno un errore nei conteggi operati dell’AIFA, e si tratterebbe di un errore che ha un impatto sia sulla quantificazione complessiva della spesa farmaceutica per acquisti diretti per l’anno 2019, rilevante ai fini del calcolo dello sfondamento del relativo tetto, sia sulle cc.dd. market shares delle aziende.

9.4. Se AIFA avesse reso conoscibili i dati sulla base dei quali aveva effettuati i conteggi che l’hanno condotta a quantificare in 10.327.651.005 euro la spesa per gli acquisti diretti SSN per l’anno 2019, l’errore metodologico nel quale essa incorreva – e dunque l’erroneità della suddetta quantificazione complessiva – sarebbe stato immediatamente chiaro e riconoscibile da parte di tutte le aziende farmaceutiche coinvolte dalle richieste di pay back .

9.5. Di qui, deduce G, la rilevanza della questione sotto il primo dei due profili di censura sopra menzionati.

9.6. La sentenza resa sul ricorso proposto in quel giudizio, quindi, fornisce la prova dell’esistenza non solo di un errore specifico, quello riguardante i prodotti di Aspen citati in sentenza che comunque, per le ragioni già dette, impatta sui ripiani di tutte le aziende, ma anche di un errore generale e metodologico compiuto dall’AIFA, derivante da una scelta metodologica illegittima, e determina l’illegittimità di tutti gli atti sulla base dei quali è stata operata la quantificazione complessiva della spesa per gli acquisti diretti relativa all’anno 2019 e delle market shares delle aziende e sono stati richiesti alle stesse determinati oneri di ripiano.

9.7. Vi sarebbe così la prova, cioè, della fondatezza in punto di fatto dell’ulteriore vizio di legittimità fatto valere con il secondo motivo di ricorso proposto in prime cure, volto a denunciare il fatto che, sulla base di quanto affermato dalla stessa AIFA nei provvedimenti impugnati, i dati sulla cui base erano stati quantificati la spesa farmaceutica per gli acquisti diretti per l’anno 2019, le market shares e gli importi di ripiano a carico delle aziende erano certamente errati, visto che le aziende volevano farli correggere e l’AIFA non l’aveva fatto.

9.8. La sentenza appellata, pertanto, risulterebbe meritevole di riforma innanzitutto su questo primo aspetto, avendo il Tribunale erroneamente rigettato il motivo di ricorso con il quale è stata censurata tanto la decisione di AIFA di non rendere conoscibili i dati sulla base dei quali essa ha operato i conteggi che l’hanno condotta a quantificare in 10.327.651.005 euro la spesa per gli acquisti diretti quanto l’obiettiva inaffidabilità ed erroneità dei medesimi, con conseguente erroneità anche della quantificazione dei pay back richiesti alle aziende nei provvedimenti di ripiano.

10. Il motivo deve essere respinto.

10.1. La pretesa di instaurare un contraddittorio procedimentale generalizzato tra l’AIFA e tutte le aziende su tutti i dati, forniti da tutte le imprese farmaceutiche, è infondata non solo in quanto – come pure il Tribunale ha correttamente ritenuto – in tal modo si aspira a realizzare una vera e propria “ cogestione ” della spesa farmaceutica tra l’AIFA e le aziende di settore, non prevista dall’ordinamento settoriale e dalle leggi speciali applicabili – come del resto dalle norme generali in materia di partecipazione procedimentale dettate dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, che restano quelle cui fare riferimento anche nella specie in assenza di diverse indicazioni normative – e contraria al principio di efficienza dell’azione amministrativa, appesantendone notevolmente e inutilmente l’ iter istruttorio, ma anche e soprattutto in quanto non necessaria, per la corretta determinazione del pay back , e confliggente con le meritevoli esigenze di riservatezza delle altre aziende, per evidenti ragioni di tutela del segreto commerciale/industriale.

10.2. In linea generale, non può ragionevolmente dubitarsi dell’idoneità dei dati e delle informazioni di dettaglio dei quali si lamenta la mancata condivisione, come ad esempio i dati del monitoraggio delle confezioni di prodotti immessi in commercio caricati nel sistema NSIS da ciascuna azienda, i documenti, le tabelle, i flussi dettagliati e i dati di monitoraggio relativi a certe categorie di farmaci, a rivelare informazioni commerciali riservate in un contesto di aziende fra loro concorrenti.

10.3. La stessa natura dei suddetti dati è, infatti, tale da renderne autoevidente l’afferenza agli interessi commerciali delle controinteressate perché quote, prezzi, quantità e condizioni delle attività commerciali sono per definizione, per non dire finanche intuitivamente, fattori che direttamente incidono sul mercato e sulla concorrenza.

10.4. Più nel dettaglio, poi, il livello di specificità della pubblicazione dei dati aziendali preteso dall’appellante è anche tale da disvelare il contenuto di singoli accordi negoziali conclusi dall’Agenzia con le varie aziende farmaceutiche, nei quali sono presenti clausole di riservatezza che non consentono di comunicare a terzi le informazioni contenute in tali accordi.

10.5. La giurisprudenza di questo Consiglio – v., ex plurimis , Cons. St., sez. III, 17 marzo 2017, n. 1213 e, più di recente e in senso conforme, Cons. St., sez. III, 31 dicembre 2020, n. 8543 – ritiene legittimo il diniego di accesso all’accordo sulla rimborsabilità e il prezzo relativo ad un farmaco stipulato tra l’industria produttrice e l’AIFA quando è prevista una clausola di riservatezza.

10.6. La pattuizione di sconti “confidenziali” e, cioè, coperti da apposite clausole di riservatezza rappresenta non solo un dato riservato in quanto afferente interessi commerciali delle aziende coinvolte, ma anche un cruciale strumento di interesse pubblico, in grado di realizzare un risparmio di spesa per il pagatore pubblico.

10.7. Anche questo Consiglio di Stato, con la sentenza n. 1213 del 17 marzo 2017, ha ritenuto che la riservatezza degli esiti della negoziazione del prezzo del medicinale è utile sia al pubblico pagatore, per “ l’ottenimento di risparmi ” (consentendo al negoziatore pubblico di « tenere celati i risultati economici raggiunti nella negoziazione – che ovviamente rimangono sempre utilizzabili quale parametro interno – e di “spuntare” tutti gli sconti che il produttore sia oggettivamente e soggettivamente in grado di concedere in base ai suoi costi ed alle sue aspettative di profitto »), sia alle aziende, al fine di soddisfare proprio l’esigenza « di riservatezza […] in ordine all’interesse commerciale » delle stesse.

11. L’appellante sovrappone i diversi piani degli obblighi partecipativi incombenti alla pubblica amministrazione nel momento della formazione dei provvedimenti di ripiano, laddove non può predicarsi l’esistenza di un obbligo di informazione e/o comunicazione generalizzata del tipo di quello proposto da G, e dell’eventuale ostensione dei dati e calcoli che l’AIFA abbia impiegato per giungere alla determinazione del dato complessivo della spesa farmaceutica per acquisti ospedalieri o diretti nonché delle quote di mercato di ciascuna impresa, che può avvenire ex post e non è presupposto di legittimità delle delibere impugnate, ma soltanto strumentale, come sempre in tema di accesso documentale (v., sul punto, quanto ha precisato l’Adunanza plenaria nella sentenza n. 10 del 10 aprile 2020), a far emergere eventuali errori o illegittimità e farli valere nelle sedi opportune.

11.1. Non a caso la citata sentenza n. 1213 del 2017 di questa Sezione, in cui è stato affrontato il tema degli accordi di sconto assistiti da clausole di riservatezza, è stata resa in un giudizio in materia di accesso.

11.2. D’altro canto, si deve qui aggiungere, la censura pecca di astrattezza e di apriorismo quando assume che vi sarebbero errori e imprecisioni nei calcoli dell’AIFA, prendendo a spunto il solo caso del ricorso proposto da Aspen, ma poi – anche volendo prescindere dal rilievo che il meccanismo propugnato dall’appellante non ha fondamento normativo ed è praeter legem – tralascia di offrire qualsivoglia considerazione, sia quanto all’ an che al quomodo , in ordine al fatto che la conoscenza generalizzata dei dati in sede procedimentale fungerebbe da miglior correttivo rispetto ad eventuali errori o imprecisioni.

11.3. Proprio il caso di Aspen, al contrario, dimostra che è solo la ditta interessata – e non altri – a disporre di conoscenze e dati, provenienti in prima battuta da essa stessa, che le consentono di capire, tutelandosi in sede amministrativa e poi giurisdizionale, se e come l’AIFA abbia correttamente determinato il pay back , mentre da questo caso non emerge affatto né logicamente consegue che un controllo incrociato o generalizzato da parte di tutti gli operatori su tutti i dati porterebbe ad un miglior risultato.

11.4. L’argomento dell’appellante, come suole dirsi, prova dunque troppo perché la condivisione dei dati attuata dall’AIFA (individuali propri ed aggregati) è quella che meglio realizza il bilanciamento degli interessi coinvolti, tenuto conto di quanto esposto sopra in merito alle esigenze di riservatezza altrui e, al tempo stesso, ciascuna azienda è messa in grado di controllare l’esattezza dei propri dati, così garantendo una forma di controllo “diffuso”.

11.5. Più specificamente, non può trovare accesso in questa sede l’affermazione, incidentalmente svolta nel primo motivo di appello, secondo cui l’odierna appellante si troverebbe in una situazione identica a quella esaminata con la citata sentenza del TAR Lazio n. 345/2022, essendo anch’essa titolare di AIC per farmaci di classe A (come Aspen) e quindi direttamente colpita dall’errore rilevato dal Tribunale in tale sede.

Sotto questo aspetto, il motivo in esame è inammissibile per violazione del divieto di nova di cui all’articolo 104, comma 1, c.p.a.: infatti, da una piana lettura del ricorso di primo grado emerge con chiarezza che G in tale sede, al di là della ridetta sentenza n. 345/2022 (all’epoca non ancora esistente), non aveva specificamente lamentato la possibilità di un errore concernente il calcolo del pay back di prodotto per farmaci di classe A, limitandosi invece – al pari di tutte le altre imprese proponenti analoghi ricorsi avverso gli atti di AIFA relativi al pay back 2019 – ad articolare la generica censura di asserita violazione delle garanzie partecipative delle imprese interessata che si sono fin qui esaminate.

11.6. Pertanto, G non è riuscita a dimostrare in nessun modo che il modulo procedimentale da essa auspicato, con l’accoglimento del motivo in esame, garantirebbe un miglior risultato in termini di efficienza del risultato, quand’anche tale modulo in ipotesi, contravvenendo al principio di stretta legalità vigente in materia amministrativa, si volesse sostituire a quello, corretto e razionale, unicamente congegnato dal legislatore e correttamente dunque la sentenza impugnata ha rilevato nel § 3.6.3., in ordine agli obblighi partecipativi incombenti su AIFA, che « i ricorrenti non chiedono tanto di partecipare quanto piuttosto di coamministrare o comunque di cogestire, che è ben altro rispetto al pur sostanzioso apporto procedimentale », secondo un ipotizzato schema che il primo giudice definisce, efficacemente, come un “ affiancamento gestionale ” di AIFA, del tutto estraneo alle finalità che l’apporto partecipativo riveste nella stessa filosofia di fondo sottesa alla l. n. 241 del 1990.

11.7. Il tema del bilanciamento tra esigenze di informazione degli operatori interessati ed esigenze di tutela del segreto commerciale, sul quale l’appellante insiste con i plurimi argomenti che si sono sopra ricordati – in ordine ai dati dei farmaci orfani e quelli innovativi (v., supra , § 9.3.) – per dimostrare che non vi sarebbe un contrario o prevalente interesse alla riservatezza, può porsi in sede di accesso documentale, ai sensi degli artt. 22 e ss. della l. n. 241 del 1990, ma è del tutto inconferente laddove si lamenti l’illegittimità dei provvedimenti de quibus con il conseguente onere di chi ricorre di fornire quantomeno un principio di prova della loro illegittimità.

11.8. Orbene, nel caso di specie l’odierna appellante non solo non ha mai esercitato il diritto di accesso ai documenti, neanche in sede processuale con lo strumento di cui all’articolo 116, comma 2, c.p.a., ma articola le proprie doglianze in via ipotetica ed “esplorativa”, senza indicare, come si è detto, i vizi o errori che sarebbero presenti nelle delibere impugnate, sicché va immune da censura la conclusione del primo giudice secondo cui la pretesa di dilatare oltre misura la partecipazione procedimentale, rispetto a quella imposta alla p.a. dalla legge, sarebbe un ulteriore sintomo del più generale desiderio delle imprese farmaceutiche di ottenere in questo settore una vera e propria “ co-amministrazione ”.

11.9. Ove si consideri la particolare posizione che queste ultime occupano nel settore, in quanto « sono i soggetti della filiera che concorrono direttamente a determinare il prezzo (“contrattato”) dei farmaci rimborsabili […], conoscendone e indicandone i fattori rilevanti (rapporto costo-efficacia, domanda, prezzi di altri medicinali) », e in quanto sono « essi anche a poter incidere significativamente sulla variabile della domanda, essendo in grado di incrementarne il volume attraverso la promozione e la diffusione » (così, a chiare lettere, Corte cost., 7 luglio 2006, n. 279), non va nemmeno da ultimo, e non per ultimo, sottaciuto il rischio che una simile “ co-amministrazione ”, con la conoscenza preventiva, generalizzata e ingiustificata di tutti dati da parte di tutti i produttori dei farmaci, potrebbe condurre alla formazione di potenti cartelli, tra le imprese farmaceutiche, o comunque favorire indirettamente la formazione di intese anticoncorrenziali illecite per influenzare pesantemente l’offerta dei farmaci e condizionare non solo la negoziazione dei prezzi per i farmaci rimborsabili dal S.S.N., ma le stesse procedure di acquisto dei farmaci destinati alla distribuzione diretta, con grave nocumento al diritto della salute (art. 32 Cost.), quale interesse della collettività declinato anche – se non soprattutto – in un settore delicato, come quello dei farmaci, alla distribuzione, il più possibile efficiente e capillare, di medicinali sovente particolarmente costosi, ma necessari a salvaguardare la vita e la salute di tutti o, comunque, del maggior numero dei cittadini, a cominciare da quelli meno abbienti, soprattutto nella fase dell’assistenza ospedaliera o post-ospedaliera pubblica.

11.10. Ne segue che, per tutte le ragioni esposte, il motivo in esame deve essere respinto.

12. Con il secondo mezzo, parte appellante ripropone la doglianza incentrata sull’asserita illegittimità costituzionale della normativa di riferimento, che si chiede di sottoporre alla Corte costituzionale, nella parte in cui non esclude dall’obbligo di ripiano ovvero non assoggetta a payback separato i medicinali plasmaderivati.

12.1. Il primo giudice ha respinto la censura, ritenendo manifestamente infondata la questione di legittimità in ragione del “ tratto di disomogeneità piuttosto evidente ” tra gli altri farmaci sottoposti a misure di favore in materia di pay back , assunti dalla ricorrente quale tertium comparationis , tale da “ giustificare il diverso trattamento giuridico ”, rilevando altresì che « altri farmaci salvavita non vengono parimenti sottoposti a normativa di favore in tema di payback ».

12.2. Nel riproporre la censura, K chiarisce di non aver mai voluto sostenere un’assimilabilità fra i farmaci plasmaderivati e le altre specialità medicinali (gas medicinali, vaccini, farmaci orfani e innovativi) per i quali il legislatore ha previsto regimi di pay back differenziati, ma semplicemente rimarcare le “ peculiarità ” dei plasmaderivati, le quali « attendono al materiale con il quale vengono prodotti tali medicinali, il plasma umano », che « non è disponibile in base alla domanda e alle necessità terapeutiche ma è una risorsa limitata e soggetta a fluttuazioni imprevedibili ».

12.3. Alla luce di quanto sopra, e richiamando dati di una specifica analisi condotta da Farmindustria nel febbraio 2021, l’appellante evidenzia le specificità produttive dei farmaci de quibus quanto a tempistiche e costi di produzione, tali da imporre alle sole imprese produttrici di tali medicinali (così come avviene per i vaccini o per taluni farmaci relativi a patologie oncologiche) fasi produttive particolarmente complesse che non possono non incidere sul regime della spesa.

12.4. Si aggiunge poi che il legislatore, ben consapevole delle ridette peculiarità, con l’articolo 15, comma 5, del d.l. n. 95/2012 ha escluso dal sistema di pay back i farmaci plasmaderivati c.d. in conto lavoro, ossia quelli realizzati sulla base del plasma raccolto dal sistema dei donatori, la cui proprietà viene mantenuta in capo alle Regioni per il diretto conferimento a imprese produttrici altamente specializzate.

Il punto è però, sostiene G, che la raccolta spontanea del plasma non consente il raggiungimento della piena autosufficienza nazionale (si stima che essa copra il 70-75% del fabbisogno), sì da rendere necessario per le Regioni approvvigionarsi anche presso aziende estranee al circuito della lavorazione in conto lavoro, e che sono costrette ad acquistare dall’estero il plasma necessario;
l’irragionevolezza dell’attuale quadro normativo risiederebbe, per l’appunto, proprio nell’assoggettamento di questi ultimi farmaci plasmaderivati alle ordinarie regole di ripiano.

12.5. Al riguardo, parte appellante evidenzia – sempre sulla base dell’analisi di Farmindustria – che molti Paesi « hanno assunto o stanno per assumere per questa categoria di farmaci dei correttivi alle misure di governance della spesa farmaceutica, in modo da limitare o in taluni casi escludere completamente il pay back ».

Inoltre, viene richiamato il vivace dibattito politico volto a indurre il legislatore, in occasione della legge di bilancio per il 2022, a introdurre specifiche previsioni di favore per la detta tipologia di medicinali.

13. Il motivo non può essere accolto, in quanto la questione di legittimità costituzionale ad esso sottesa, prima ancora che infondata, si appalesa inammissibile.

13.1. Con essa, in sostanza, si chiede a questo Consiglio di Stato di sollecitare alla Corte costituzionale l’emissione di una pronuncia “additiva” in relazione a una materia nella quale, a fronte dell’ipotizzata incostituzionalità della disciplina vigente, la soluzione alternativa costituzionalmente conforme non solo non appare definibile “a rime obbligate”, ma impinge manifestamente in una non censurabile sfera di discrezionalità legislativa.

13.2. In particolare, oltre a quanto condivisibilmente evidenziato dal primo giudice in ordine alla “ disomogeneità ” tra la posizione dei plasmaderivati e quella delle altre specialità medicinali per le quali sono previsti trattamenti di favor in materia di pay back , può aggiungersi che le rappresentate “peculiarità” dei plasmaderivati (su cui parte appellante si dilunga, e che in questa sede non sono in discussione) non paiono tali da imporre, quale unica e indefettibile conseguenza nel loro trattamento normativo, proprio e unicamente l’adozione di analoghe misure in materia di pay back piuttosto che la previsione normativa di altri e diversi benefici (p.es. in materia fiscale, distributiva etc.).

13.3. Di quanto sopra, a ben vedere, si mostra consapevole la stessa appellante laddove, nel richiamare le scelte di Stati in relazione ai farmaci in questione, precisa che queste consisterebbero nel “ limitare o in taluni casi escludere completamente il pay back ”: risulta dunque evidente che, all’esito dell’auspicata dichiarazione di incostituzionalità della normativa ad oggi vigente, resterebbe aperto il problema di quale trattamento (di completa esclusione dagli obblighi di ripiano, di parziale esclusione dagli stessi, di assoggettamento a pay back separato etc.) riservare ai plasmaderivati, e già solo questo è sufficiente a escludere la possibilità di un intervento “additivo”, alla stregua della nota giurisprudenza della Corte costituzionale in tema di questioni interferenti con la discrezionalità del legislatore.

13.4. In definitiva, anche i problemi evidenziati in sede di discussione orale sul versante dei rischi di lievitazione dei costi, o addirittura di scarsa reperibilità dei farmaci de quibus , costituiscono un tema (certamente meritevole della massima attenzione, ma) rientrante nella sfera delle decisioni politiche da assumere, anche de jure condendo , e non una questione giuridica risolvibile attraverso una rimessione alla Corte costituzionale.

14. In conclusione, per tutte le ragioni esposte, l’appello deve essere respinto con la conseguente conferma, anche per tali ragioni, della sentenza impugnata, che ha respinto il ricorso proposto in primo grado da G.

15. Sussistono le ragioni di cui all’art. 26 c.p.a. che richiama la disciplina dell’art. 92 c.p.c., attesa la sostanziale novità e la notevole complessità delle questioni sin qui trattate, per compensare interamente tra le parti le spese del presente grado del giudizio.

15.1. Rimane definitivamente a carico di G il contributo unificato richiesto per la proposizione dell’appello.

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