Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2018-07-09, n. 201804160
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Pubblicato il 09/07/2018
N. 04160/2018REG.PROV.COLL.
N. 10454/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 10454 del 2015, proposto da
Ministero della Difesa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
contro
V I, rappresentato e difeso dall'avvocato V D R, con domicilio eletto presso lo studio Alfredo Placidi in Roma, via Cosseria n. 2;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Seconda) n. 01293/2015, resa tra le parti, concernente diniego riconoscimento dipendenza infermità da causa di servizio e equo indennizzo
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di V I;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 luglio 2018 il Cons. Antonino Anastasi e uditi per le parti gli avvocati Marcello Fortunato su delega di V D R e l'Avvocato dello Stato Angelo Vitale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
L’odierno appellato, in servizio quale maresciallo dell’Aeronautica Militare, ha richiesto il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio ( nonché l’equo indennizzo) per l’ infermità “Spondilolistesi L5 con discopatia L5 –S1” da cui è risultato affetto.
Con parere reso in data 20.3.2001 la competente CMO ha riconosciuto la dipendenza da causa di servizio dell’infermità in questione.
L’Amministrazione ha quindi sottoposto la pratica al Comitato di Verifica Cause di Servizio -
CVCS il quale con parere in data 12.2.2009 ha affermato che si trattava in realtà di due distinte infermità, entrambe non riconducibili a causa di servizio ma a fattori genetici.
Per conseguenza l’Amministrazione ha riconosciuto la dipendenza dell’infermità ma con provvedimento dirigenziale n. 2806 del 2010 ha negato l’erogazione dell’equo indennizzo.
Il militare ha impugnato tale diniego avanti al TAR Lazio il quale con la sentenza in epigrafe indicata ha accolto il gravame.
La sentenza è stata impugnata con l’atto di appello oggi all’esame dall’Amministrazione della Difesa la quale ne ha chiesto l’integrale riforma, con rigetto del ricorso introduttivo.
Si è costituito in resistenza il maresciallo I, che ha chiesto il rigetto dell’avverso gravame e la conferma della sentenza impugnata.
Il predetto ha depositato memoria insistendo nelle già rappresentate conclusioni.
All’udienza del 5 luglio 2018 l’appello è stato trattenuto in decisione.
L’appello dell’Amministrazione è fondato e va pertanto accolto.
Con il primo motivo di impugnazione l’appellante evidenzia che l’Amministrazione non può discostarsi, per quanto riguarda la concessione dell’equo indennizzo, dal parere del CVCS.
Ne consegue, osserva l’appellante, che nel caso di specie – visto il tenore del parere espresso dal Comitato – il rigetto dell’istanza proposta dal m.llo I era atto vincolato.
Il mezzo è fondato.
Osserva, infatti, il Collegio che, in base ad un consolidato orientamento giurisprudenziale, da cui il Collegio medesimo non ravvisa ragioni per discostarsi, "l'ordinamento, con riguardo al procedimento di concessione dell'equo indennizzo, non mette a disposizione dell'Amministrazione una serie di pareri pariordinati resi da organi consultivi diversi e dotati di identica competenza, ma affida al C.P.P.O ( ora Comitato di Verifica) il compito di esprimere un giudizio conclusivo, anche sulla base di quello reso dalla C.M.O. (Commissione medico ospedaliera). Pertanto, il parere del C.P.P.O., in quanto momento di sintesi e di superiore valutazione dei giudizi espressi da altri organi, si impone all'Amministrazione. Tale orientamento si è affermato a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 5 bis, d.l. n. 387 del 1987, convertito con modificazioni dalla legge n. 472 del 1987, consentendosi per tale via all'Amministrazione di conformarsi al giudizio del C.P.P.O. e di giungere a determinazioni contrastanti con altre precedentemente espresse, le quali non hanno carattere di irretrattabilità né di definitività nell'ambito della sequenza procedimentale volta alla concessione dell'equo indennizzo." (ex multis Cons. di Stato, IV Sez. n. 5194 del 2017).
L'Amministrazione, dunque, ha operato correttamente adeguandosi al parere negativo espresso dal Comitato, che costituiva un "momento di sintesi e superiore valutazione dei giudizi espressi da altri organi".
Né può sostenersi che la normativa di riferimento sia connotata da irrazionalità, nella misura in cui prevede che il Comitato può negare quella dipendenza da causa di servizio di una infermità già riconosciuta a titolo definitivo dalla CMO.
Infatti, come chiarito dalla Corte costituzionale in relazione alla normativa previgente, è infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 5 bis, d.l. 21 settembre 1987 n. 387, convertito nella l. 20 novembre 1987 n. 472, sollevata con riferimento agli art. 3 e 97, cost. Infatti la valutazione medico - legale sulla dipendenza da causa di servizio di un'infermità invalidante, in vista della decisione sulla liquidabilità dell'equo indennizzo e della pensione privilegiata, è più complessa di quella necessaria per decidere sulla domanda di riconoscimento di dipendenza dell'infermità da causa di servizio. In relazione a tale maggiore complessità, si giustifica la competenza del comitato per le pensioni privilegiate. ( cfr. Corte cost. n. 209 del 1996)
A quanto precede va, peraltro, aggiunto che l'esistenza di precedenti pareri tecnici di segno opposto non poteva in ogni caso comportare l'insorgere, in capo all'Amministrazione, di uno specifico obbligo motivazionale sul punto.
Infatti, come già rilevato dalla giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, "in sede di liquidazione dell'equo indennizzo l'Amministrazione è tenuta a recepire e far proprio il parere del C.P.P.O., unico organo consultivo al quale, nel procedimento preordinato alla verifica dei presupposti per la liquidazione dell'equo indennizzo, spetta il compito di esprimere il giudizio finale sul nesso eziologico (professionale o non) dell'infermità sofferta dal pubblico dipendente. Conseguenza della particolare efficacia del parere - obbligatorio - espresso da tale organo è la sua idoneità, ove non vi siano elementi comprovanti la sua inattendibilità, a fungere da unica motivazione per il provvedimento finale, mentre solo nel caso in cui l'Amministrazione ritenga di non potervi aderire sorge un obbligo specifico di motivazione in capo alla stessa" (Cons. di Stato, Sez. III 1212/2018) .
Sotto altro profilo deve, peraltro, rilevarsi che il parere espresso dal Comitato resiste in realtà alle critiche mosse in primo grado dal ricorrente.
Tale parere, infatti, consiste in un atto connotato da discrezionalità tecnica, "fondato su nozioni scientifiche e su dati di esperienza tecnico discrezionale", con la conseguenza che il medesimo "è insindacabile, salve le ipotesi di irragionevolezza manifesta, palese travisamento dei fatti, omessa considerazione di circostanze di fatto tali da poter incidere sulla valutazione medica finale, nonché di non correttezza dei criteri tecnici e del procedimento seguito" (Cons. di Stato, Sez. IV, 15 maggio 2008, n. 2243).
Orbene, nel caso di specie, il parere reso dal Comitato non risulta affetto da nessuno dei succitati vizi, essendo al contrario sorretto da una indicazione, sebbene sintetica, delle ragioni per le quali la infermità sofferta dall'appellante non poteva ritenersi strettamente riconducibile all'attività lavorativa dal medesimo svolta ma piuttosto a fattori genetici o costituzionali.
D’altra parte l’Amministrazione, secondo quanto il Collegio può desumere dagli atti, aveva in realtà e a ben vedere sufficientemente evidenziato le caratteristiche e la tipologia di base del servizio reso dall’appellato, di talché non può sostenersi che il giudizio del Comitato fosse viziato per difetto di istruttoria.
Sulla scorta delle considerazioni che precedono l’appello va quindi accolto, con riforma della sentenza gravata e rigetto del ricorso originario.
Le spese giudizio possono esser compensate, vista la natura degli interessi coinvolti.