Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2023-03-31, n. 202303326

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2023-03-31, n. 202303326
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202303326
Data del deposito : 31 marzo 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 31/03/2023

N. 03326/2023REG.PROV.COLL.

N. 06763/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6763 del 2020, proposto dal
signor -OMISSIS- rappresentato e difeso dall'avvocato P L, con domicilio digitale come da

PEC

Registri di Giustizia;

contro

Ministero della Difesa - Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la -OMISSIS-, Sezione Sesta, n. -OMISSIS- resa tra le parti, irrogazione della sanzione disciplinare di perdita del grado per rimozione;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa - Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri;

Visti tutti gli atti della causa;

Vista l’istanza di passaggio in decisione senza discussione orale presentata dal difensore dell’appellante;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 31 gennaio 2023 il Cons. Cecilia Altavista, nessuno comparso per le parti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1.Il signor -OMISSIS- appuntato dei Carabinieri in servizio presso il Nucleo Investigativo del Gruppo Carabinieri di -OMISSIS- in particolare in una “Squadra esterna”, con compiti di contrasto alla criminalità sul territorio, anche tramite contatti con informatori e fonti confidenziali, guidata dal brigadiere -OMISSIS- risultato vicino ad un organizzazione criminale di stampo camorristico, veniva sottoposto a procedimento penale dalla Procura della Repubblica - Direzione Distrettuale Antimafia - presso il Tribunale di -OMISSIS-per il reato di “ rivelazione di segreti d’ufficio, aggravato dall’aver agevolato un’associazione di tipo mafioso ”: ciò sul presupposto della conoscenza dell’inserimento del -OMISSIS-nei traffici illeciti, per avere rivelato al proprio caposquadra -OMISSIS- l’esistenza di indagini a suo carico, e per non avere denunciato i rapporti di questo con il boss-OMISSIS-

Per tali fatti veniva altresì avviato il procedimento disciplinare - con l’ordine di inchiesta formale disposto dal Comandante della Legione Carabinieri -OMISSIS- il 17 settembre 2018 - per avere rivelato al caposquadra (brigadiere -OMISSIS-) di indagini a suo carico e per avere intrattenuto rapporti con un capo clan camorristico (-OMISSIS-).

Nel corso del procedimento disciplinare veniva disposta la sospensione (facoltativa) dal servizio, ai sensi dell’art. 917 del d.lgs. 15 marzo 2010, n. 66, con provvedimento del 6 novembre 2018;
precedentemente era stato disposto il 24 aprile 2018 un trasferimento provvisorio presso la terza squadra del primo plotone della Compagnia speciale -OMISSIS-e il 13 giugno 2018 era stato avviato il procedimento di trasferimento per incompatibilità ambientale

Nel corso del procedimento disciplinare l’appuntato -OMISSIS- presentava memorie difensive, contestando le incolpazioni disciplinari, deducendo di non sapere che il caposquadra -OMISSIS-fosse in rapporti con il boss-OMISSIS- al di fuori dei contatti che presumeva tenesse in quanto informatore;
negava la condotta di rivelazione di segreti d’ufficio, evidenziando che era stata desunta nel procedimento penale da una intercettazione telefonica, in cui non era fatto il suo nome, ma solo quello di altri colleghi della squadra esterna;
con riguardo all’incontro con il boss-OMISSIS-deduceva che si era trattato di un pranzo organizzato dal -OMISSIS-a casa sua senza avvertire i colleghi della presenza del-OMISSIS-

La Commissione di disciplina nella seduta del 9 gennaio 2019 riteneva l’appuntato non meritevole di conservare il grado, e con provvedimento del Ministero della Difesa, Direzione generale per il personale militare, dell’8 aprile 2019 veniva irrogata all’appuntato -OMISSIS- la sanzione disciplinare della perdita del grado per rimozione per la condotta “ biasimevole sotto l’aspetto disciplinare, in quanto contraria ai principi di moralità e rettitudine che devono improntare l’agire di un militare, ai doveri attinenti al giuramento prestato e a quelli di correttezza e di esemplarità propri dello status di militare e di appartenente all’Arma dei carabinieri nonché lesivo del prestigio della istituzione” .

2. Avverso tale provvedimento e tutti gli atti preordinati e connessi l’interessato ha proposto ricorso al Tribunale amministrativo regionale della -OMISSIS-, esponendo che all’esito dell’udienza preliminare dell’11 aprile 2019 presso il GIP del Tribunale di -OMISSIS- era stato disposto il suo rinvio a giudizio e lamentando violazione e falsa applicazione dell’art. 1393 del decreto legislativo n. 66 del 2010 nonché di manifesta irragionevolezza, eccesso di potere, violazione art. 27 Cost.;
violazione dell’art. 3 della legge 241 del 1990, eccesso di potere per irragionevolezza, assoluta abnormità, sproporzione, carenza d’istruttoria, carenza di motivazione;
contraddittorietà, difetto di istruttoria e di motivazione, travisamento dei fatti.

Con il primo motivo ha lamentato che l’Amministrazione non avesse sospeso il procedimento disciplinare in attesa della definizione del procedimento penale, in relazione alla complessità delle indagini penali secondo quanto prescritto dall’art. 1393 del d.lgs. n. 66/2010, trattandosi di accertamenti nell’ambito di indagini per reati di stampo mafioso e non essendo, al momento di adozione del provvedimento disciplinare, l’Amministrazione in possesso di elementi conoscitivi sufficienti per valutare la posizione disciplinarmente rilevante;
inoltre, si tratterebbe di fatti di reato commessi dal militare nello svolgimento delle proprie funzioni per cui la sospensione del procedimento disciplinare era obbligatoria.

Con le ulteriori censure è stata dedotta la sproporzione della sanzione inflitta rispetto ai fatti commessi, non essendo stati considerati i precedenti di carriera tutti ampiamente positivi e i vari encomi ricevuti;
la contraddittorietà degli atti della Amministrazione, che aveva anche disposto il trasferimento di sede e la sospensione del servizio, la carenza di istruttoria e di motivazione, non avendo il provvedimento impugnato autonomi presupposti diversi da quelli della indagine penale.

3. Si è costituita in giudizio l’Amministrazione intimata contestando la fondatezza del ricorso.

4. Con la sentenza segnata in epigrafe il ricorso è stato respinto sull’assunto dell’autonomia dei due procedimenti, penale e disciplinare, escludendo che gli accertamenti necessari, nel caso di specie, fossero di particolare complessità, risultando già chiara la situazione da numerosi atti di indagine;
è stata poi richiamata la discrezionalità amministrativa nella irrogazione delle sanzioni disciplinari ed è stata esclusa, quindi, la sussistenza di vizi di violazione della proporzionalità e di difetto di motivazione.

5. Con l’atto di appello in trattazione è stata lamentata l’erroneità e l’ingiustizia della sentenza, riproponendosi le censure del ricorso di primo grado, che sarebbero state malamente apprezzate e respinte con motivazione superficiale.

In particolare, con un primo motivo, “ error in iudicando, violazione e falsa applicazione dell’art. 1393 del d.lgs. 66/2010, manifesta irragionevolezza, eccesso di potere, violazione dell’art. 27 Cost.” , è stata riproposta la questione della mancata sospensione del procedimento disciplinare per la pendenza del procedimento penale, insistendosi per la sussistenza dei presupposti per la sospensione indicati nell’art. 1393 c.o.m., costituiti dalla particolare complessità dell'accertamento del fatto e dalla mancanza di elementi conoscitivi sufficienti ai fini della valutazione disciplinare;
nonché dall’essere stati commessi i fatti contestati nell’esercizio delle funzioni e nell’adempimento del servizio. Con riferimento a tale ultima previsione non sono state proposte specifiche contestazioni delle argomentazioni della sentenza impugnata, mentre con riguardo alla prima ipotesi di sospensione si è dedotto che nel corso della complessa indagine penale era emerso che il caposquadra -OMISSIS-fosse effettivamente introdotto negli ambienti della criminalità di tipo mafioso, mentre a carico del -OMISSIS- si ipotizzava solo la rivelazione delle indagini in corso, che sarebbe risultata non direttamente, ma solo indirettamente, dalle intercettazioni delle mogli del caposquadra e del boss -OMISSIS-, che avevano indicato per nome di battesimo altri due componenti della squadra, ma non l’appuntato -OMISSIS-;
che i rapporti con il boss erano limitati ad un pranzo a casa del caposquadra dove era stato invitato anche il -OMISSIS- ad insaputa degli altri componenti della squadra;
così che in definitiva sarebbero stati necessari ulteriori accertamenti, come dimostrato anche dal dibattimento penale nel quale gli ufficiali di riferimento della squadra esterna - sentiti quali testimoni (Maggiore -OMISSIS- e Maggiore -OMISSIS-) - avevano evidenziato il rilevante apporto dei componenti della squadra esterna alle operazioni di contrasto alla criminalità organizzata e la mancata conoscenza delle indagini a carico del -OMISSIS- per cui non avrebbero potuto rivelare a quest’ultimo l’esistenza di indagini a suo carico.

Con il secondo motivo è stato dedotto l’errore in iudicando per la violazione dell’art. 3 della legge 241 del 1990, l’eccesso di potere per irragionevolezza, abnormità, difetto di istruttoria, violazione e falsa applicazione dell’art. 1357 c.o.m., violazione del principio di proporzionalità, carenza d’istruttoria, carenza di motivazione;
contraddittorietà, difetto di motivazione, travisamento dei fatti, avendo l’Amministrazione adottato diversi provvedimenti nei confronti dell’appellante in contrasto tra loro, quali il trasferimento, la sospensione dal servizio e la sanzione più grave della perdita del grado, adottata senza alcuna considerazione degli eccellenti precedenti di servizio e dell’intera carriera dell’appuntato.

6. Ha resistito al gravame l’Amministrazione con atto di mero stile.

7. Nella memoria per l’udienza pubblica l’appellante ha dedotto, depositando la relativa sentenza, di essere stato assolto con sentenza del Tribunale di -OMISSIS- del 21 settembre 2021 perché il fatto non sussiste, ai sensi del secondo comma dell’art. 530 c.p.p., il che dimostrerebbe che il procedimento disciplinare non doveva esser iniziato prima del procedimento penale, non essendo chiaro il quadro probatorio di riferimento. In particolare la sentenza ha espressamente affermato: “ non si ritiene dimostrato che il -OMISSIS-fosse effettivamente stato messo a conoscenza dell’esistenza di indagini a suo carico sin dal dicembre 2017 ”;
Non è stato dimostrato che gli imputati fossero a conoscenza dell’esistenza di indagini a carico di -OMISSIS-né del contenuto dei verbali di collaborazione di -OMISSIS- e di -OMISSIS- … Tutti i testi qualificati escussi, appartenenti alla Stazione di Castello di Cisterna, hanno riferito che nessuno era stato informato dell’esistenza di indagini a carico di -OMISSIS- escludendo che ne fossero a conoscenza gli odierni imputati ”. Per tali ragioni, secondo l’appellante, la sanzione della perdita del grado inflitta si manifesterebbe ancora più sproporzionata ora che l’insussistenza dei comportamenti contestati è stata affermata dal Tribunale penale all’esito dell’istruttoria dibattimentale, a seguito della valutazione del materiale probatorio, emergendo così incontestabilmente che l’Amministrazione al momento del provvedimento impugnato avrebbe dovuto avvedersi della sua estraneità ai fatti penalmente rilevanti e alle accuse rivolte.

8. All’udienza pubblica del 31 gennaio 2023 l’appello è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

9. L’appello è infondato.

9.1. Con il primo motivo di gravame l’appellante sostiene la illegittimità del provvedimento disciplinare impugnato in quanto l’Amministrazione avrebbe dovuto sospendere il procedimento, ricorrendo i presupposti indicati dall’art. 1393, comma 1, del codice dell’ordinamento militare, e cioè la complessità degli accertamenti di fatto e la mancanza di sufficienti elementi conoscitivi e comunque per essere stati compiuti quei fatti durante il servizio e nell’esercizio delle funzioni.

Ai sensi dell’art. 1393 c.o.m. “ il procedimento disciplinare, che abbia ad oggetto, in tutto o in parte, fatti in relazione ai quali procede l'autorità giudiziaria, è avviato, proseguito e concluso anche in pendenza del procedimento penale. Per le infrazioni disciplinari di maggiore gravità, punibili con la consegna di rigore di cui all'articolo 1362 o con le sanzioni disciplinari di stato di cui all'articolo 1357, l'autorità competente, solo nei casi di particolare complessità dell'accertamento del fatto addebitato al militare ovvero qualora, all'esito di accertamenti preliminari, non disponga di elementi conoscitivi sufficienti ai fini della valutazione disciplinare, promuove il procedimento disciplinare al termine di quello penale. Il procedimento disciplinare non è comunque promosso e se già iniziato è sospeso fino alla data in cui l'Amministrazione ha avuto conoscenza integrale della sentenza o del decreto penale irrevocabili, che concludono il procedimento penale, ovvero del provvedimento di archiviazione, nel caso in cui riguardi atti e comportamenti del militare nello svolgimento delle proprie funzioni, in adempimento di obblighi e doveri di servizio. Rimane salva la possibilità di adottare la sospensione precauzionale dall'impiego di cui all'articolo 916, in caso di sospensione o mancato avvio del procedimento disciplinare” .

La disposizione del comma 1 dell’art. 1393 del codice dell’ordinamento militare, come correttamente rilevato anche dal giudice di primo grado, ha introdotto il principio di (tendenziale) autonomia tra procedimento penale e disciplinare, che, in linea generale, deve essere avviato e concluso prescindendo dal giudizio penale.

Tale autonomia subisce una attenuazione nei casi di infrazioni disciplinari di maggiore gravità, punibili con la consegna di rigore o con le sanzioni di stato, nei quali, per la particolare complessità dell'accertamento del fatto addebitato al militare ovvero per la mancanza, all'esito di accertamenti preliminari, da parte dell’Amministrazione di elementi conoscitivi sufficienti ai fini della valutazione disciplinare, il procedimento disciplinare può essere promosso al termine di quello penale o, se avviato, può essere sospeso.

L’Adunanza Plenaria, per i militari imputati di fatti penalmente rilevanti, ha richiamato il principio di “ autonomia temperata ” del procedimento disciplinare rispetto a quello penale, dato che, nel caso di addebito di fatti penalmente rilevanti che comportino sanzioni gravi (ed in particolare, quelle di stato) e sempre che vi siano necessità istruttorie, il procedimento disciplinare può essere sospeso in attesa di quello penale, affermando che “ L'avvio del procedimento disciplinare, anche in pendenza di procedimento penale, costituisce, dunque, la regola nell'impiego pubblico, mentre la sospensione rappresenta l'eccezione, dipendente dalla sussistenza di due distinti presupposti: la natura particolarmente grave della sanzione astrattamente irrogabile all'esito del procedimento;
la particolare complessità dell'istruttoria, ovvero la indisponibilità di elementi conoscitivi sufficienti;
quegli elementi cioè, come è dato dedurre, che solo le indagini penali ed il successivo dibattimento possono fornire, attesa l'ampiezza e la capacità di acquisizione proprie dei mezzi all'uopo predisposti dall'ordinamento
” (Adunanza Plen. n. 14 del 13 settembre 2022).

Invece il procedimento disciplinare non può essere promosso e, se già iniziato, è sospeso fino alla data in cui l'Amministrazione ha avuto conoscenza integrale della sentenza o del decreto penale irrevocabili, che concludono il procedimento penale, ovvero del provvedimento di archiviazione, nel caso in cui riguardi atti e comportamenti del militare nello svolgimento delle proprie funzioni, in adempimento di obblighi e doveri di servizio.

Sono due quindi le eccezioni previste dall’art. 1393, primo comma, al principio di autonomia del procedimento penale e di quello disciplinare, configurate dalla norma in maniera diversa.

Infatti, nel caso di condotte disciplinarmente rilevanti di particolare gravità, l'Amministrazione deve stabilire se il loro accertamento sia complesso o siano indispensabili ulteriori elementi istruttori e in tal caso astenersi dal promuoverlo o sospendere il procedimento disciplinare in attesa di quello penale, con una valutazione discrezionale, sindacabile, quindi, dal giudice amministrativo solo nei consueti limiti del sindacato sull’attività discrezionale, per travisamento dei fatti, manifesta illogicità o palese irragionevolezza. Allorché dunque vengano in considerazione condotte disciplinarmente rilevanti di particolare gravità e ne sia complesso l'accertamento in fatto, l'Amministrazione può scegliere di attendere l'esito del procedimento penale, sulla base di una valutazione discrezionale sindacabile in sede giurisdizionale solo per manifesta illogicità o palese irragionevolezza (Cons. Stato Sez. IV, 11 ottobre 2019, n. 6925).

Nell’ipotesi invece di atti e comportamenti del militare nello svolgimento delle proprie funzioni, in adempimento di obblighi e doveri di servizio, la sospensione del procedimento disciplinare è vincolata.

Con riguardo alla ipotesi di sospensione vincolata la giurisprudenza ha precisato che si tratta dei casi in cui l'addebito disciplinare riguarda atti del servizio concretanti diretta esecuzione dei compiti d'ufficio. Non è, in altri termini, sufficiente che l'atto o il comportamento tenuto dal militare sia stato commesso “ nello svolgimento delle funzioni ” (il che renderebbe paradossalmente ex se necessaria la sospensione del procedimento disciplinare in tutti i casi in cui il fatto integri un reato cd. proprio), ma tale atto o comportamento deve essere commesso nell'ambito non solo dello svolgimento delle funzioni, ma anche in adempimento di obblighi e doveri di servizio. Il che porta ad escludere dalle ipotesi in cui l'art. 1393 indica la necessità della sospensione del procedimento penale tutti quei fatti che integrano in sede penale reati, la commissione dei quali implica una cesura del rapporto di immedesimazione organica o comunque la riferibilità dei medesimi allo svolgimento della funzione o del servizio pubblico, i quali non possono riferirsi ad un adempimento di obblighi e doveri di servizio (Cons. Stato, sez. IV, 26 febbraio 2021, n. 1672;
Sez. II, 14 luglio 2022, n. 6024).

Prima di verificare la fondatezza del primo motivo di appello, con riguardo ai presupposti per la sospensione “discrezionale”, deve essere altresì richiamato il comma 2 dell’art. 1393, secondo cui “ Se il procedimento disciplinare, non sospeso, si conclude con l'irrogazione di una sanzione e, successivamente, il procedimento penale è definito con una sentenza irrevocabile di assoluzione che riconosce che il fatto addebitato al dipendente non sussiste o non costituisce illecito penale o che il militare non lo ha commesso, l'autorità competente, ad istanza di parte, da proporsi entro il termine di decadenza di sei mesi dall'irrevocabilità della pronuncia penale, riapre il procedimento disciplinare per modificarne o confermarne l'atto conclusivo in relazione all'esito del giudizio penale ”.

Nel caso di specie, dunque, l’intervenuta sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste comporta la riapertura del procedimento disciplinare, ad istanza di parte, nei termini temporali indicati dalla norma, essendo state escluse le stesse condotte di reato contestate.

La difesa appellante non ha peraltro dedotto alcunché in ordine all’eventuale presentazione della istanza di riapertura del procedimento o al suo esito.

Invece il presente giudizio deve essere deciso in base al quadro fattuale che l’Amministrazione aveva di fronte al momento dell’avvio e della conclusione del procedimento disciplinare.

L’intervenuta assoluzione non può pertanto essere considerata immediatamente rilevante al fine di valutare l’inadeguatezza degli accertamenti posti a base del provvedimento disciplinare o la particolare complessità delle indagini, essendo stata emessa a seguito di un ampio e complesso giudizio dibattimentale, nel quale sono emerse specifiche circostanze relative ai rapporti dei militari della squadra esterna con il loro caposquadra, ritenute particolarmente rilevanti dal giudice penale ai fini del giudizio di non colpevolezza;
in particolare la richiesta di trasferimento presentata al Comandante del Nucleo investigativo dopo l’incontro con il boss -OMISSIS- a casa del capo squadra -OMISSIS- anche se senza l’indicazione dei motivi di tale richiesta;
la valutazione delle intercettazioni ambientali relative alle dichiarazioni della moglie del -OMISSIS-alla moglie del -OMISSIS-, ai quali era estraneo l’appuntato -OMISSIS-. Tali circostanze potranno essere valutate nell’ambito della eventuale riapertura del procedimento disciplinare ai sensi del secondo comma dell’art. 1393 c.o.m..

Nei limiti del sindacato di legittimità proprio del giudizio amministrativo si deve invece considerare che al momento di avvio del procedimento disciplinare e nel corso dello stesso - come risulta dalla relazione del funzionario istruttore - erano emersi vari elementi di fatto che connotavano un quadro sufficientemente chiaro del comportamento di rivelazione di segreti d’ufficio al proprio caposquadra -OMISSIS-;
nonché dell’avvenuto contatto con il boss -OMISSIS- a casa del -OMISSIS- ammesso dallo stesso incolpato e non oggetto di comunicazione ai superiori gerarchici.

Sotto tale profilo si deve evidenziare che il capo di imputazione penale, relativo al reato di rivelazione di segreti d’ufficio, faceva riferimento anche alla conoscenza da parte dei componenti della squadra esterna dei traffici illeciti del caposquadra -OMISSIS-;
pertanto veniva contestata l’aggravante della agevolazione all’associazione di tipo mafioso. Tali circostanze, se avessero avuto rilievo nel procedimento disciplinare, avrebbero sì richiesto un approfondimento istruttorio proprio del procedimento penale, ma non risultano prese in considerazione nell’ambito disciplinare, le cui contestazioni hanno riguardato specifiche condotte di violazione dei doveri d’ufficio: l’omessa comunicazione ai superiori gerarchici dell’avvenuto contatto con il boss -OMISSIS- a casa del -OMISSIS-;
l’avvenuta rivelazione al -OMISSIS-delle indagini a suo carico.

Si trattava quindi di specifiche condotte, che risultavano in parte anche ammesse dall’incolpato nella loro materialità, per cui non era configurabile, in base allo stato degli atti, né la complessità degli accertamenti, né l’esigenza di ulteriori elementi istruttori.

Con particolare riferimento al contatto con il boss, tale circostanza non necessitava di approfondimenti istruttori, essendo stata ammessa anche nelle memorie difensive procedimentali;
inoltre nel procedimento disciplinare è stata ritenuta rilevante per l’omessa comunicazione ai superiori gerarchici, senza alcuna valutazione in ordine ad una eventuale agevolazione del clan camorristico.

Rispetto a tale circostanza in sede dibattimentale è emerso che il -OMISSIS-, come anche gli altri componenti della squadra, hanno successivamente a tale episodio richiesto al Comandante del Nucleo investigativo di essere allontanati dalla squadra esterna, elemento ritenuto rilevante dal giudice penale, ai fini della esclusione della colpevolezza della condotta contestata.

Con riguardo alla incolpazione per la rivelazione di segreti d’ufficio nel giudizio penale è emersa la circostanza della mancata conoscenza delle indagini a carico del -OMISSIS-da parte dei componenti della squadra, sulla base delle testimonianze anche del Comandante della Sezione antidroga del Reparto operativo di -OMISSIS-che aveva condotto le indagini su -OMISSIS- e -OMISSIS-.

Però al momento dell’avvio e della conclusione del procedimento disciplinare era risultata la presenza del -OMISSIS- presso l’abitazione del -OMISSIS-(in convalescenza) qualche giorno precedente l’intercettazione ambientale delle mogli di -OMISSIS-e -OMISSIS-, in cui la moglie del -OMISSIS-faceva riferimento ad indagini a carico del marito rivelate dai colleghi, anche se non era indicato il nome dell’appuntato -OMISSIS-.

Il procedimento disciplinare è stato basato sul materiale probatorio posto dalla Procura della Repubblica allora a disposizione dell’Amministrazione di appartenenza (intercettazioni ambientali, verbali di interrogatori, elementi indicati nelle ordinanze cautelari a carico di -OMISSIS- e -OMISSIS-), ai fini del procedimento disciplinare.

Tale materiale è stato autonomamente valutato sotto l’aspetto disciplinare, come risulta dalla relazione del funzionario istruttore e dalla individuazione di specifiche condotte disciplinarmente rilevanti, estrapolate dal complesso quadro di indagine, prescindendo dalle ricostruzioni poste a base della indagine penale e poi confluite nei capi di imputazione formulati con il rinvio a giudizio, che presupponevano invece il coinvolgimento dei componenti della squadra esterna nell’attività di agevolazione del clan camorristico.

Sulla base degli atti esistenti e delle condotte a cui è stata data rilevanza disciplinare, non si può ritenere che nel periodo di avvio e di successiva conclusione del procedimento disciplinare sussistesse una palese esigenza di approfondimenti istruttori o una complessità degli accertamenti, tale da superare i limiti del sindacato di questo giudice, in quanto le condotte contestate non riguardavano tutto l’ambito dell’indagini, che avevano coinvolto i componenti della Squadra esterna e il loro caposquadra, ma specifiche condotte ritenute disciplinarmente rilevanti in relazione alla violazione di precisi obblighi di servizio.

Inoltre, che si tratti di una valutazione “allo stato degli atti” risulta evidente dalla già citata norma del secondo comma dell’art. 1393, che prevede la riapertura del procedimento disciplinare a seguito dell’assoluzione in sede penale. Tale disposizione conferma infatti che il giudizio reso dalla Amministrazione nel corso del procedimento disciplinare non sospeso possa non trovare conferma negli esiti del giudizio penale, consentendo quindi all’Amministrazione stessa, ad istanza di parte, di rivalutare le condotte contestate alla luce della sentenza penale di assoluzione, che spiega ovviamente gli effetti di cui all’art. 653 c.p.p. per i medesimi fatti contestati nel procedimento disciplinare (cfr. Cons. Stato Sez. IV, 22 maggio 2012, n. 2971).

Il motivo di gravame è pertanto da respingere.

9.2, Con il secondo motivo di appello sono state riproposte le ulteriori censure del ricorso di primo grado, contestandosi in particolare le argomentazioni del giudice di primo grado in ordine ai limiti del sindacato giurisdizionale anche sulla proporzionalità della sanzione inflitta.

Secondo la tesi dell’appellante infatti l’Amministrazione avrebbe operato superando i limiti della discrezionalità.

La tesi non merita favorevole considerazione.

In primo luogo, con riguardo alla dedotta contradditorietà con altri provvedimenti adottati dall’Amministrazione, è stato già affermato che la sospensione facoltativa e le sanzioni disciplinari hanno diversa natura e finalità (Cons. Stato, Sez. IV, 18 settembre 2018, n. 5451), mentre con riguardo al trasferimento disposto in data 24 aprile 2018 e all’avvio del procedimento di trasferimento per incompatibilità ambientale, non può che rilevarsi che il primo è un provvedimento provvisorio, adottato nell’immediatezza della diffusione della notizia delle indagini penali, che quindi non aveva alcuna connotazione disciplinare;
il trasferimento per incompatibilità ambientale, per consolidata giurisprudenza, non ha carattere sanzionatorio e natura disciplinare, ma è strettamente connesso alle esigenze organizzative dell'Amministrazione ed è preordinato a ovviare a situazioni d’incompatibilità ambientale, prescindendo da ogni giudizio di rimproverabilità della condotta dell'interessato (Cons. Stato Sez. IV, 14 maggio 2021, n.3819;
Sez. 29 marzo 2021, n. 2629;
Sez. IV, 18 ottobre 2019, n. 7079;
Sez. IV, 3 aprile 2019, n. 2213;
sez. IV, 17 gennaio 2018, n. 239;
Sez. II, 1 agosto 2019, n. 5459;
Sez. IV, 27 luglio 2021, n. 5560).

In ordine alla proporzionalità della sanzione, deve ribadirsi il consolidato indirizzo giurisprudenziale secondo cui le valutazioni dell'Amministrazione in materia di sanzioni disciplinari sono connotate da ampia discrezionalità, anche in ordine alla valutazione dei fatti ascritti al dipendente, al convincimento sulla gravità delle infrazioni e alla conseguente sanzione da infliggere, ciò in considerazione degli interessi pubblici che devono essere attraverso tale procedimento tutelati. Quindi il provvedimento disciplinare sfugge ad un pieno sindacato di legittimità del giudice, il quale non può sostituire le proprie valutazioni a quelle operate dall'Amministrazione, salvo che queste ultime siano inficiate da travisamento dei fatti, evidente sproporzionalità o qualora il convincimento non risulti formato sulla base di un processo logico e coerente ovvero sia viziato da palese irrazionalità (Cons. Stato, Sez. II, 15 maggio 2020, n. 3112;
Sez. II, 8 ottobre 2020, n. 5969;
Sez. II, 21 marzo 2022, n. 2004;
Sez. IV, 4 ottobre 2018, n. 5700, Sez. IV, 10 febbraio 2020, n. 1013;
Sez. IV, 29 marzo 2021, n. 2629). Si tratta di valutazioni connotate da ampia discrezionalità, anche in ordine alla scelta della più grave sanzione della rimozione, in quanto spetta all'Amministrazione, in sede di formazione del provvedimento sanzionatorio, stabilire il rapporto tra l'infrazione e il fatto, il quale assume rilevanza disciplinare in base ad un apprezzamento di larga discrezionalità, disponendo, essa, di un ampio potere discrezionale nell'apprezzare autonomamente le varie ipotesi disciplinari, con una valutazione insindacabile nel merito da parte del giudice amministrativo (Cons. Stato, Sez. IV, 27 luglio 2020, n. 4761, sez. IV, 28 ottobre 2019, n. 7335;
Sez. IV, 22 marzo 2017, n. 1302;
id. sez. III, 31 maggio 2019, n. 3652).

Nell’ambito di tali limiti al sindacato giurisdizionale sui procedimenti disciplinari, nel caso di specie, in relazione alle specifiche circostanze di fatto e alle condotte contestate nel procedimento disciplinare, non si può non ritenere integrato, in base agli elementi allora valutati dall’Amministrazione, il comportamento di violazione dei principi di correttezza e lealtà assunti con il giuramento, nonché dei doveri legati al proprio status ed al grado rivestito, tali da recidere integralmente il necessario affidamento che l'Amministrazione militare deve in ogni momento poter nutrire circa la persona, la moralità e la professionalità dei propri membri (cfr. in tal senso Cons. Stato Sez. IV, 16 marzo 2020, n. 1864;
id. 23 marzo 2020, n. 2017).

Sotto tale profilo la valutazione risulta compiutamente svolta dall'Amministrazione che ha giudicato le condotte dell'incolpato contrarie ai principi che devono improntare l'agire di un militare, ai doveri attinenti al giuramento prestato e a quelli di correttezza ed esemplarità propri di un appartenente all'Arma dei Carabinieri, con valutazioni che sfuggono al sindacato di questo giudice.

Le condotte, allora contestate, sono state legittimamente ritenute incompatibili con lo status di militare dell’Arma, salve le diverse valutazioni dell’Amministrazione in sede di eventuale riapertura del procedimento sulla base delle risultanze del dibattimento penale e delle circostanze emerse in tale sede.

In conclusione l’appello è infondato e deve essere respinto.

In considerazione della particolare natura della controversia le spese del presente grado di giudizio possono essere compensate

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