Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2009-12-29, n. 200908997
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N. 08997/2009 REG.DEC.
N. 00193/2005 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
DECISIONE
Sul ricorso numero di registro generale 193 del 2005, proposto da:
I A, rappresentato e difeso dall'avv. A D A, con domicilio eletto presso Arnaldo Miglino in Roma, via della Giuliana 44;
contro
G G, rappresentato e difeso dall'avv. M F, con domicilio eletto presso Francesco Castiello in Roma, via G. Cerbara, 64;
nei confronti di
Comune di Novi Velia;
per la riforma
della sentenza del Tar Campania - Salerno Sez. I n. 1854/2004, resa tra le parti, concernente CONCORSO PER LA COPERTURA DI UN POSTO DI ISTRUTTORE DI VIGILANZA - CAT. C.
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 3 luglio 2009 il dott. Giancarlo Montedoro e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO
Con il ricorso in appello in epigrafe indicato il signor I Antonio chiedeva l’annullamento o la riforma della sentenza del Tar Campania, Salerno, Sezione I, n. 1854 del 2004 con la quale era stato accolto il ricorso proposto dalla signora G G contro il Comune di Novi Velia e nei confronti di Antonio I, per l’annullamento della determina del direttore generale del Comune di Novi Velia n. 11 del 25 novembre 2002, con cui venivano approvati gli atti concorsuali e veniva nominato il sig. I A nel posto di istruttore di vigilanza – cat. C nonché del provvedimento della commissione di concorso, reso nella seduta del 9 novembre 2002, nella parte in cui dichiarava il signor I vincitore del concorso e della determina del Direttore Generale nella parte in cui ammetteva al concorso il signor I A ed, eventualmente, dell’ art. 4 lett. F ) del bando di concorso e dell’art. 35 del regolamento di polizia municipale, nonché infine per la declaratoria del diritto della signora G G ad essere dichiarata vincitrice del concorso.
Il ricorso di primo grado della signora Guzzo impugnava i predetti provvedimenti , specificando in punto di fatto che la ricorrente aveva partecipato al concorso pubblico , per titoli ed esami, bandito dal Comune di Novi Velia, per la copertura di un posto di istruttore di vigilanza Cat. C.
La ricorrente in primo grado sottolineava di essersi classificata seconda in graduatoria, con punti 75, subito dopo il controinteressato I, dichiarato vincitore con punti 77,25.
Deduceva la ricorrente i seguenti motivi : 1) violazione degli artt. 3 e 5 della legge 7 marzo 1986 n. 65 , del D.M. 4 marzo 1987 n. 145, degli artt. 1 e 15 della legge 8 luglio 1998 n. 230 e del regolamento di polizia municipale e dell’art. 97 Cost. nonché eccesso di potere per difetto dei presupposti , di istruttoria e contraddittorietà, in quanto il controinteressato avrebbe dovuto essere escluso dal concorso quale obiettore di coscienza;in via subordinata violazione dell’art. 3 della legge 7 agosto 1990 n. 241, dell’art. 12 del d.p.r. 9 maggio 1994 n. 487 e dell’art. 3 del bando di concorso e dell’art. 97 Cost. ed eccesso di potere per disparità di trattamento per mancata predeterminazione dei criteri valutativi della prova orale.
Il Tar Campania- Salerno, con la sentenza impugnata, ha ritenuto fondato il ricorso.
La premessa della decisione è costituita dall’art. 15 comma 7 della legge n. 230 del 1998 che dispone “ a coloro che sono stati ammessi a prestare servizio civile è vietato partecipare ai concorsi per l’arruolamento nelle Forze armate, nell’Arma dei carabinieri, nel Corpo della Guardia di Finanza, nella Polizia di Stato, nel Corpo di Polizia penitenziaria e nel Corpo Forestale dello Stato, o per qualsiasi altro impiego che comporti l’uso delle armi.”
A sua volta – hanno osservato i giudici di primo grado – il regolamento di polizia municipale del comune resistente stabilisce che gli addetti al servizio di polizia municipale sono tenuti a svolgere le funzioni di polizia giudiziaria e di polizia di sicurezza, tanto che a ciascuno di essi deve essere data in dotazione un’arma, rivestendo la qualità di agente di pubblica sicurezza.
Il Comune resistente si è difeso sostenendo che, nel lavoro del vigile urbano , l’uso delle armi è solo eventuale.
Il Tar ha ritenuto l’argomento inconferente, alla luce anche della mera potenzialità di poter essere adibito, per necessità di servizio, a funzioni di agente di pubblica sicurezza.
L’appello sostiene che la sentenza di primo grado si baserebbe sul presupposto erroneo secondo cui, colui che assume la qualifica di vigile urbano deve poter necessariamente esercitare le funzioni di polizia giudiziaria e di sicurezza.
Il regolamento comunale prescrive, come già la legge n. 65 del 1986 , che le funzioni di polizia di pubblica sicurezza sono conferite agli addetti al servizio di polizia municipale con apposito provvedimento prefettizio adottato all’esito di apposito procedimento.
Quindi non tutti coloro che rivestono la qualifica di vigile urbano assumono , all’esito del procedimento eventualmente attivato dal Sindaco, la qualifica di agente di pubblica sicurezza che assume una portata soltanto eventuale.
Poi l’interpretazione dell’art.15 comma 7 della legge 8 luglio 1998 n. 230 deve essere quella per cui l’impiego non accessibile all’obiettore è quello e solo quello che comporti necessariamente ed obbligatoriamente l’uso delle armi.
E’ pacifico invece che il possesso della qualifica di vigile urbano non comporti il possesso della qualifica di agente di pubblica sicurezza e che, quest’ultima qualifica, a sua volta, non comporti quale conseguenza automatica, l’obbligo di portare le armi.
Tanto che l’art. 15 comma 1 del regolamento di Polizia municipale del Comune di Novi Velia prevede che “agli addetti al corpo di polizia municipale, con le modalità previste dall’art. 7 comma 5, del presente regolamento, è data in consegna l’arma , così come previsto dal D.M. interno n. 145 del 4 marzo 1987, emanato ai sensi della legge n. 65 del 1986”.
L’art. 5 comma 5 della legge ( nulla disponendo l’art. 7 comma 5 del regolamento che non esiste ) prevede che “gli addetti al servizio di polizia municipale, ai quali è conferita la qualità di agente di pubblica sicurezza, possono, previa deliberazione in tal senso del Consiglio Comunale, portare, senza licenza, le armi, di cui possono essere dotati in relazione al tipo di servizio, nei termini e nelle modalità previsti dai rispettivi regolamenti, anche fuori dal servizio, purché nell’ambito territoriale dell’ente di appartenenza e nei casi di cui all’art. 4. Tali modalità e tali casi sono stabiliti, in via generale, con apposito regolamento, approvato con decreto del Ministro dell’Interno, sentita l’Associazione nazionale dei comuni d’Italia. Detto regolamento stabilisce anche la tipologia , il numero delle armi in dotazione e l’accesso ai poligoni di tiro per l’addestramento al loro uso”.
Anche da questa norma si evincerebbe che il possesso dell’ arma è solo eventuale ed all’esito di un ulteriore procedimento;trattandosi di una mera facoltà rimessa alla valutazione del competente organo deliberativo.
In sostanza l’obiettore di coscienza potrebbe ben fare il vigile urbano senza attribuzione della qualifica di agente di pubblica sicurezza.
L’art. 15 comma 3 del regolamento comunale citato dal giudice di prime cure sarebbe applicabile ai soli vigili in possesso della qualifica di agente di pubblica sicurezza ma non potrebbe essere inteso nel senso che i servizi indicati dalla medesima norma ( vigilanza, polizia stradale, ordine pubblico,polizia giudiziaria e servizi di vigilanza e protezione della casa comunale ) debbano essere svolti con le armi da tutti i vigili urbani.
Il bando di concorso, poi, non aveva previsto, da parte dei candidati, il possesso dei requisiti per ottenere la qualifica di agente di pubblica sicurezza.
Nessuno si è costituito per il Comune mentre resiste l’odierna appellata ( già ricorrente e vincitrice in primo grado).
DIRITTO
L’appello è infondato.
La prima eccezione proposta dalla parte appellata attiene alla tardività dell’appello.
Si rileva che la sentenza sarebbe stata notificata al sig. I A presso il procuratore domiciliatario in data 19 ottobre 2004 per cui il termine per proporre appello sarebbe scaduto il 18 dicembre 2004.
L’appello sarebbe stato notificato dal sig. I solo in data 28 dicembre 2004 .
Si sostiene che il trasferimento dello studio del domiciliatario presso cui aveva eletto domicilio l’appellata non varrebbe a giustificare l’insanabile ritardo della notifica dell’appello.
Si lamenta la circostanza relativa alla mancata autorizzazione del Consiglio di Stato ad effettuare una notifica tardiva al nuovo domicilio.
L’eccezione è infondata.
E’ stato affermato in giurisprudenza che, nel caso in cui la parte vittoriosa in primo grado non abbia provveduto a comunicare il nuovo domicilio, la notifica presso il precedente domicilio impedisce la decadenza ove l'impugnazione sia rinotificata nel nuovo domicilio del procuratore costituito, ancorché dopo la scadenza del termine breve (Cons. Stato, Sez. IV, sent. 2 novembre 2004, n. 7072).
Ebbene, nel caso di specie la parte vittoriosa in primo grado ha provveduto alla notifica della sentenza senza dichiarare una residenza o un domicilio diversi da quelli del primo grado.
E , a fronte di ciò, l’appellante , preso atto che la prima notifica presso il domicilio eletto non era andata a buon fine , ha provveduto ad effettuare una seconda notifica, sia pure a termine scaduto.
L’appellata si è poi costituita.
E’ vero che si è ritenuta non idonea la costituzione dell’appellato a sanare la deficitaria azione dell’appellante, ma ciò per il caso in cui la parte appellante abbia tentato la notifica presso il domicilio eletto in primo grado e, non essendosi la notifica perfezionata per trasferimento del domiciliatario, in presenza dell’ onere dell'appellante di procedere ad una nuova notifica del medesimo atto presso il nuovo domicilio del procuratore costituito in primo grado, se del caso giovandosi della remissione in termini conseguente alla necessità di rinotificare l'atto presso un indirizzo non comunicato, nulla sia avvenuto.
In assenza di tale attività la notifica si è detto è inesistente e la costituzione dell’appellato non vale a sanarla ( CdS IV 14luglio 2004 n. 5082 ).
Ma nel caso in cui la notifica sia stata prima tentata senza andare a buon fine nel termine di legge (nella specie risulta la relata, in data 17 dicembre 2004, di “ omessa notifica perché l’avv. Sofia si è trasferito” ) e poi sia stata nuovamente effettuata al nuovo domicilio del procuratore, non reso noto all’atto della notifica della sentenza, in tal caso, stanti i doveri processuali gravanti sulle parti in termini di lealtà, ben può essere concesso l’errore scusabile senza darsi rilievo alla tardività.
Per individuare il luogo dove notificare l'appello si devono infatti prendere in considerazione le dichiarazioni rese dalla controparte nell'atto di notificazione della sentenza o quelle del giudizio di primo grado (ai sensi dell'art. 330 comma 1 c.p.c.), restando a carico della controparte l'onere di portare a conoscenza dell'altra parte ogni modifica di tale luogo;pertanto, in mancanza delle comunicazioni sopradette, la notificazione dell'impugnazione nel domicilio del procuratore scelto per il giudizio di primo grado, anche se non andata a buon fine a causa del trasferimento del domiciliatario , impedisce la decadenza dall'impugnazione per decorrenza del termine, sempreché venga rinnovata nel nuovo luogo del procuratore (Consiglio Stato , sez. IV, 14 maggio 1999 , n. 846).
Ciò essendo avvenuto nella specie comporta il rigetto dell’eccezione di tardività.
Va poi esaminata l’eccezione di sopravvenuta carenza di interesse, per non aver l’appellante I impugnato autonomamente la deliberazione di Giunta comunale n. 14 del 19 gennaio 2006 con la quale il Comune di Novi Velia ha riformulato, in pendenza dell’appello, la graduatoria di merito dichiarando vincitrice la sig.ra G G.
Si sostiene che, non avendo il Comune adottato l’atto facendo riserva rispetto all’esito dell’appello, l’atto in questione non sarebbe travolto dall’accoglimento dell’appello e, conseguentemente, lo I non potrebbe conseguire alcun vantaggio dall’impugnazione proposta.
Si è ritenuto da parte del Consiglio di Stato, circa la diversa ma analoga questione della possibilità per l’amministrazione di presentare appello nonostante abbia adempiuto alla sentenza di primo grado che “la spontanea esecuzione della pronunzia di primo grado, favorevole al dipendente, da parte della Pubblica amministrazione datrice di lavoro, anche quando la riserva d'impugnazione non venga dalla medesima a quest'ultimo resa nota, non comporta acquiescenza alla sentenza, preclusiva dell'impugnazione ai sensi del combinato disposto di cui all'art. 329, c.p.c. ed all'art. 28, l. 6 dicembre 1971 n. 1034, trattandosi di mero adempimento di un ordine giudiziale e quindi di un comportamento posto in essere in esecuzione della sentenza di primo grado non sospesa dal Consiglio di Stato e che conserva la sua naturale esecutività (Consiglio Stato , sez. IV, 18 dicembre 2008 , n. 6368 ).
Se ciò è stato ritenuto per sancire la possibilità dell’amministrazione di impugnare sentenze eseguite, a fortiori deve ritenersi che il controinteressato soccombente in primo grado non sia onerato ad impugnare tali atti di esecuzione.
In sostanza l'esecuzione, anche spontanea, di una sentenza o di un’ ordinanza cautelare non costituisce attività di autotutela e non può comportare il venir meno della res litigiosa ( Cga 5 giugno 2008 n. 508).
Non è necessario che l’amministrazione, quando esegue le sentenze dei giudici amministrativi, inserisca la clausola di riserva dell’esito dell’appello ( che non avrebbe avuto senso nella specie poiché l’amministrazione è rimasta volutamente in posizione “agnostica” mentre l’appello era stato già proposto dal controinteressato ).
A configurare l’acquiescenza rebus ipsis ac factis ovvero ad onerare il controinteressato del dovere di impugnare atti sopravvenuti occorrono dei fatti che siano indice di un concreto ed autonomo ripensamento della pubblica amministrazione rispetto alle scelte prima adottate ( quale l’adozione di un atto di autotutela diretto ad eliminare del tutto dal mondo giuridico la sequenza procedimentale sulla quale si fonda la pretesa azionata ad es. l’annullamento del concorso od un suo riesame del tutto autonomo rispetto al dictum giudiziale ).
In conclusione anche se l’amministrazione non ha poi impugnato la sentenza, occorre notare che ciò è avvenuto per autonoma scelta processuale dell’amministrazione, che non onera il controinteressato in pendenza di giudizio ad impugnare gli atti esecutivi della sentenza di primo grado, in difetto di un chiaro atto di autotutela che rimuova le determinazioni prima adottate.
Nel merito l’appello è infondato.
Non si ignora l’esistenza di un precedente della Sezione che depone in senso favorevole per l’appellante.
Si tratta del decisum che ha ritenuto legittima l'ammissione ad un concorso a posti di vigile urbano di un obiettore di coscienza non essendo da alcuna disposizione normativa prescritto l'uso delle armi da parte del vigile.(Consiglio Stato , sez. V, 21 giugno 2007 , n. 3336).
La sentenza citata era stata preceduta da altra decisione, che muovendo dalla considerazione per cui ai sensi dell'art. 5 l. 7 marzo 1983 n. 65, il vigile urbano non consegue automaticamente la qualità di agente di pubblica sicurezza concludeva nel senso che fosse illegittima la mancata nomina del vincitore di un concorso motivata con riferimento alla dichiarazione dell'interessato di essere obiettore di coscienza. (Consiglio Stato , sez. V, 27 giugno 1994 , n. 718).
Tuttavia il Collegio, anche in considerazione della peculiarità della presente fattispecie, che riguarda uno specifico regolamento comunale che considera – come vedremo – normale il possesso di armi da parte dei vigili in servizio per l’ente locale, ritiene necessario rimeditare tale orientamento.
Occorre quindi ricostruire analiticamente la normativa.
Ai sensi dell'art. 9 L. n. 772/72 "a coloro che siano stati ammessi a prestare servizio militare non armato o servizio sostitutivo civile è permanentemente vietato detenere ed usare le armi e munizioni, indicate rispettivamente negli articoli 28 e 30 del testo unico della legge di pubblica sicurezza".
Secondo, poi, l'art. 15 L. n. 230/98 "a coloro che sono stati ammessi a prestare servizio civile è vietato detenere ed usare le armi di cui all'articolo 2, comma 1, lettera a), nonché assumere ruoli imprenditoriali o direttivi nella fabbricazione e commercializzazione, anche a mezzo di rappresentanti, delle predette armi, delle munizioni e dei materiali esplodenti...A coloro che sono stati ammessi a prestare servizio civile è vietato partecipare ai concorsi per l'arruolamento nelle Forze armate, nell'Arma dei Carabinieri, nel Corpo della Guardia di Finanza, nella Polizia di Stato, nel Corpo di Polizia Penitenziaria e nel Corpo forestale dello Stato o per qualsiasi altro impiego che comporti l'uso delle armi".
Dalle disposizioni richiamate risulta che l'obiettore di coscienza non può detenere ed utilizzare armi né partecipare ai concorsi per impieghi che comportino l'uso delle stesse.
Il Collegio ritiene che tra le funzioni per le quali è necessariamente previsto l'uso delle armi vi siano quelle di pubblica sicurezza che possono essere conferite ai vigili urbani come previsto dall'art. 5 L. n. 65/86 secondo cui "il personale che svolge servizio di polizia municipale, nell'ambito territoriale dell'ente di appartenenza e nei limiti delle proprie attribuzioni, esercita anche...funzioni ausiliarie di pubblica sicurezza ai sensi dell'art. 3 della presente legge".
Sul piano logico l'ineludibile nesso tra utilizzazione delle armi e funzioni di pubblica sicurezza consegue alla connessione di queste ultime con le attività di vigilanza, prevenzione e repressione di reati ed il possibile uso delle armi, quale mezzo di coercizione indispensabile per il perseguimento di tali finalità, che ne deriva (così C.d.S. sez. IV n. 6247/00).
Tale necessaria connessione è, poi, espressamente desumibile dalla stessa disciplina concernente l'esercizio delle funzioni di agente di pubblica sicurezza da parte del vigile urbano il quale, in tale qualità, dipende operativamente dalla competente autorità di pubblica sicurezza nel rispetto di eventuali intese fra detta autorità e il Sindaco come previsto dall'art. 5 comma 4° L. n. 65/86.
In particolare, secondo l'art. 2 comma 1° del D.M. 4 marzo 1987 n. 145, recante norme concernenti l'armamento degli appartenenti alla polizia municipale ai quali è conferita la qualità di agente di pubblica sicurezza, "con regolamento dell'Ente di appartenenza, osservate le disposizioni della L. 7 marzo 1986 n. 65, quelle vigenti in materia di acquisto, detenzione, trasporto, porto, custodia e impiego delle armi e delle munizioni, nonché quelle del presente regolamento, sono determinati i servizi di polizia municipale per i quali gli addetti in possesso delle qualità di agente di pubblica sicurezza portano, senza licenza, le armi di cui sono dotati, nonché i termini e le modalità del servizio prestato con armi".
Ai sensi del comma 3° del citato articolo, poi, "per motivi particolari di sicurezza e tenuto conto degli indici locali di criminalità, il prefetto può chiedere al Sindaco che tutti gli addetti alla polizia municipale in possesso della qualità di agente di pubblica sicurezza prestino servizio armato".
Dalle norme ora richiamate si evince chiaramente che, pur rientrando nella discrezionalità dell'Ente locale l'individuazione dei servizi di polizia municipale che vanno svolti in forma armata, vi è un obbligo per tutti gli addetti in possesso della qualifica di pubblica sicurezza di portare le armi in dotazione durante l'espletamento del servizio allorché il Prefetto ne faccia motivata richiesta.
Ne consegue che, dovendo il vigile-agente di p.s. portare le armi ove addetto a servizi da svolgere in forma armata, per specifica deliberazione comunale o per esplicita richiesta del prefetto, non può acquisire detta qualifica il soggetto in capo al quale sussiste, in base agli artt. 9 L. n. 772/72 e 15 L. n. 230/98, una totale e permanente preclusione all'utilizzo delle armi (così C.d.S. sez. IV n. 6247/00;C.d.S. sez. I parere n. 837/99;T.A.R. Lazio - Roma n. 1597/05;T.A.R. Abruzzo - Pescara n. 459/99;T.A.R. Toscana n. 490/94;T.A.R. Lombardia - Brescia n. 263/94).
L'ineludibile collegamento tra la qualifica di agente di pubblica sicurezza e il possesso dell'arma è, altresì, confermato, sul piano operativo, dal fatto che, ai sensi dell'art. 3 del D.M. n. 145 del 1987, il numero complessivo delle armi in dotazione alla polizia municipale, con il relativo munizionamento, equivale a quello degli addetti forniti della qualifica di agente di pubblica sicurezza.
Ritenuto, pertanto, che il collegamento tra uso delle armi e funzioni di pubblica sicurezza preclude l'esercizio di queste ultime all'obiettore di coscienza, stante il divieto previsto dagli artt. 9 L. n. 772/72 e 15 L. n. 230/98 in precedenza citati, deve, allora, essere accertato se l'espletamento di tali funzioni rientri necessariamente o meno nelle mansioni del vigile urbano e, quindi, se a tale impiego possa accedere colui che ha prestato il servizio civile sostitutivo.
Il Collegio ritiene che la questione non possa essere risolta in astratto ma debba tenere conto – come correttamente ritenuto dalla sentenza impugnata - della concreta disciplina che ciascun comune ha previsto per le mansioni del posto di vigile urbano da ricoprire con la procedura concorsuale eventualmente contestata (per la necessità del riferimento alla disciplina dell'ente locale: C.d.S. sez. V ord. n. 3180/03;la sentenza qui impugnata T.A.R. Campania - Salerno n. 1854/04;T.A.R. Abruzzo - Pescara n. 459/99).
Ciò – sul piano metodologico – è ammesso anche dalla decisione CdS V n. 3336 del 2007 che pure aveva concluso in senso favorevole all’assunzione dell’obiettore di coscienza quale vigile urbano, esaminando ed interpretando, sul piano delle concretezze, il regolamento di Polizia Municipale in quella fattispecie rilevante.
O va considerato che il vigente regolamento di Polizia Municipale del Comune di Novi Velia, approvato con deliberazione consiliare n. 42 del 30 dicembre 1999 , espressamente prevede che la polizia locale sia tenuta ad espletare funzioni di polizia giudiziaria e di sicurezza .
Prevede che il Sindaco comunichi i dati anagrafici degli addetti al servizio di polizia municipale ( senza esclusione alcuna ) al Prefetto per l’acquisizione della qualifica di agente di pubblica sicurezza.
All’art.15 ( rubricato “armamentario individuale” ) prevede che agli addetti al corpo di Polizia Municipale ( anche qui si noti: senza esclusioni di sorta ), con le modalità previste dall’art. 7 comma 5 del presente regolamento, è data in consegna l’arma così come previsto dal D.M. Interni n. 145 del 4 marzo 1987 emanato ai sensi della legge n. 65 del 1986.
Lo stesso regolamento poi prevede che l’arma sia necessaria per i servizi esterni di “vigilanza, polizia stradale, ordine pubblico, polizia giudiziaria e di pubblica sicurezza e , comunque, per i servizi di vigilanza e protezione della casa comunale”.
In sintesi , per il Comune di Novi Velia, non si prevede l’ eventualità di un servizio di polizia municipale che non sia “normalmente” armato, pur non potendosi escludere , che , per evenienze particolari, un addetto alla Polizia Municipale, non abbia i requisiti per conseguire la qualifica di agente di pubblica sicurezza (ad es. intervenute condanne penali in pendenza di procedimenti disciplinari ecc. ).
Il bando di concorso prevedeva significativamente l’adempimento degli obblighi previsti dalla legge sul reclutamento militare per i soggetti di sesso maschile ( art. 4 lett. f).
Ne consegue, che, in presenza di un regolamento comunale che imponga come normale il servizio armato degli addetti alla polizia municipale, l’obiettore di coscienza incorra nella preclusione di cui all’art. 15 della legge n. 230 del 1998.
Sussistono per la peculiarità e la novità del caso, e per la presenza di oscillanti precedenti giurisprudenziali , i presupposti per la compensazione delle spese.