Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2023-06-21, n. 202306111

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2023-06-21, n. 202306111
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202306111
Data del deposito : 21 giugno 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 21/06/2023

N. 06111/2023REG.PROV.COLL.

N. 07902/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7902 del 2022, proposto da AGEA – Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura, in persona del legale rappresentante pro tempore , rapp.ta e difesa ope legis dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui Uffici legalmente domicilia, in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12,

contro

il signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato S P S del Foro di Cagliari, con studio professionale a Cagliari in Via Grecale n. 6, che lo rappresenta e difende in virtù di procura speciale allegata all’atto di costituzione, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia,

per la riforma

della sentenza T.A.R. Sardegna n. -OMISSIS- e non notificata, con la quale, in accoglimento del ricorso, è stato annullato l’“ Accertamento definitivo ” emesso da AGEA il 22 ottobre 2013, in qualità di “ organismo pagatore – Ufficio del contenzioso comunitario ” di Roma, mediante cui è stata disposta la « restituzione di contributi comunitari » per l’ importo di € 250.507.20, oltre interessi legali (€ 43.838), che sono stati percepiti dal ricorrente in riferimento alle campagne/annualità dal 1990 al 1995.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del sig. -OMISSIS-;

Vista l’ordinanza n. -OMISSIS-del 18 novembre 2022 con la quale la Sezione ha accolto la domanda incidentale di sospensione cautelare dell’efficacia della sentenza appellata;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 25 maggio 2023, il Cons. Paolo Carpentieri e viste le conclusioni delle parti come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Con il ricorso in appello in esame, notificato il 17 ottobre 2022, l’AGEA - Agenzia per le erogazioni in agricoltura ha chiesto la riforma della sentenza n. -OMISSIS- con la quale il T della Sardegna, sez. II, in accoglimento del ricorso proposto dall’appellato sig. -OMISSIS-, ha annullato l’atto di “ Accertamento definitivo ” del 22 ottobre 2013 con il quale l’AGEA, in qualità di “ organismo pagatore – Ufficio del contenzioso comunitario ” di Roma, ha disposto la « restituzione di contributi comunitari » per l’ importo di euro 250.507.20, oltre interessi legali (per euro 43.838), percepiti dal ricorrente in riferimento alle campagne/annualità dal 1990 al 1995.

2. Ha premesso in fatto l’Agenzia appellante che la posizione debitoria del sig. -OMISSIS-emergeva all’esito di una complessa attività di indagine posta in essere dal nucleo di Polizia tributaria della Guardia di finanza di Pescara (nel quadro della “ operazione set-aside ”, così denominata dal nome dal contributo previsto per l’impegno pluriennale di ritiro dei terreni seminativi dalla produzione) per il contrasto alle frodi in danno della Politica agricola comune (PAC). L’indagine aveva consentito di portare alla luce un’associazione a delinquere finalizzata all’indebita percezione di contributi erogati dall’Agenzia nel settore set-aside attraverso un meccanismo fraudolento, ideato e diretto da funzionari dell’AGEA, consistente nella produzione di falsi elenchi di liquidazione regionali “fuori termine” afferenti principalmente alle campagne agrarie dal 1990/1991 al 1994/1995, inoltrati negli anni compresi tra il 2003-2006 con missive regionali anch’esse false;
in tale sistema i percettori, pur non avendo mai presentato alcuna domanda di aiuto per la messa a riposo dei terreni seminativi, avevano messo a disposizione la propria identità e le proprie coordinate bancarie per l’accreditamento di detti contributi (quando il pagamento non avveniva, come nel caso del ricorrente, tramite assegni circolari).

2.1. In questo contesto il sig. -OMISSIS-rientrava tra coloro ai quali l’AGEA, tratta in inganno da falsi elenchi di liquidazione ERSAT (Ente regionale di sviluppo e assistenza tecnica in agricoltura, oggi ARGEA - Agenzia per la gestione e l’erogazione degli aiuti in agricoltura della Regione Sardegna), aveva erogato aiuti per un importo complessivo di euro 250.507,20, come emerso dalla comunicazione di notizia di reato della Guardia di finanza, Nucleo di Polizia tributaria di Pescara del 5 marzo 2008. Per tali fatti il -OMISSIS-, unitamente agli altri soggetti coinvolti, su richiesta della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma veniva rinviato a giudizio in data 27 settembre 2011 (procedimento penale RGNR -OMISSIS-), poi conclusosi con sentenza del Tribunale di Roma n. -OMISSIS- di proscioglimento per prescrizione del reato.

3. Sulla base dei suddetti accertamenti – ha ulteriormente riferito l’Agenzia appellante - e a fronte della citata notizia di reato, l’AGEA sospendeva le erogazioni degli aiuti (provvedimento prot. n. -OMISSIS- dell'11 aprile 2008) e, contestualmente, avviava il procedimento per il definitivo accertamento delle irregolarità ipotizzate nella notizia di reato, acquisendo il processo verbale di contestazione, in data 8 settembre 2011, redatto dalla Guardia di finanza, Compagnia di Nuoro, nei confronti del sig. -OMISSIS-per violazione della legge n. 898 del 1986, nel quale era descritto il ruolo assunto dallo stesso nella truffa perpetrata ai danni dell’AGEA (mancanza di una domanda di contributi per il settore set-aside , falsità degli elenchi di liquidazione fuori termine che riportavano il nominativo del sig. -OMISSIS-, percezione e incasso degli assegni circolari). Da qui l’adozione del provvedimento impugnato prot. n.

UCCU.

2013.5878 del 22 ottobre 2013.

4. Il T della Sardegna, con la qui appellata sentenza n. 192 del 2022, ha accolto il ricorso del sig. -OMISSIS-ritenendo che il provvedimento impugnato, di definitiva restituzione delle somme, non avrebbe potuto essere legittimamente adottato prima della definizione del giudizio penale e che non fosse adeguatamente motivato a fronte dell’intervenuto proscioglimento del -OMISSIS-con la pronuncia di prescrizione del reato n. 5573/15 adottata dal Tribunale di Roma il 2 aprile 2015.

5. Con un unico, articolato motivo di appello l’AGEA ha censurato la sentenza appellata per “ Carenza e illogicità della motivazione per avere il Giudice amministrativo negato rilevanza alle emergenze istruttorie del procedimento penale confluite negli atti che sostengono il provvedimento amministrativo di accertamento negativo adottato da Agea. ”: sarebbe errata la tesi sostenuta dal primo giudice secondo la quale il provvedimento di accertamento dell’indebito non poteva essere adottato dopo la richiesta di rinvio a giudizio ma prima della sentenza declaratoria della prescrizione;
il T avrebbe inoltre privato irragionevolmente di qualunque rilievo l’istruttoria amministrativa compiuta da AGEA grazie agli esiti delle indagini effettuate dagli inquirenti in sede penale, dalla Guardia di finanza in sede di processo verbale ex art. 17 della legge n. 689 del 1981 e dalla ARGEA, negando qualunque valore di prova anche alla sopravvenuta sentenza di condanna della Corte di conti, Sezione giurisdizionale per la Regione Sardegna, n. 389 del 9 dicembre 2019 riferita, tra gli altri, anche al ricorrente, con la sola motivazione che « Trattasi di due diverse tipologie di giudizio, caratterizzate da elementi differenziati di valutazione ».

5.1. Nel motivo di appello l’Agenzia ha altresì evidenziato che la gravità degli addebiti contestati al -OMISSIS-non sarebbe stata in nessun modo smentita nella loro materialità oggettiva dall’appellato, che si è limitato ad eccepire come non si potesse provvedere al recupero prima e indipendentemente dalla sentenza di condanna in sede penale e che su di essi è poi intervenuta sentenza di proscioglimento per intervenuta prescrizione. Se è vero – ha sostenuto l’appellante - che l’obbligo di restituzione del contributo indebitamente percepito prescinde dall’esistenza di una pronuncia del giudice penale (cfr. art. 3 della legge n. 898 del 1986), sarebbe altrettanto innegabile che nel caso in esame le determinazioni di AGEA sono state sorrette da un’autonoma e completa valutazione dei fatti contestati dalla Guardia di finanza anche a mezzo del contraddittorio con il destinatario del provvedimento. Su questi aspetti si fonderebbe l'accertamento amministrativo, non occorrendo affatto attendere l’esito del giudizio penale, non potendosi per di più far discendere conseguenze favorevoli all’imputato da una sentenza di prescrizione. La pronuncia del giudice contabile sarebbe in realtà rilevante perché ribadisce il principio, completamente obliato dal giudice amministrativo di primo grado, dell’autonomia e separatezza tra il procedimento amministrativo, il giudizio contabile e il processo penale.

6. Si è costituito in giudizio per resistere al proposto appello il sig. -OMISSIS-.

7. Con l’ordinanza n. -OMISSIS-del 18 novembre 2022 la Sezione ha accolto la domanda incidentale di sospensione cautelare dell’efficacia della sentenza appellata.

8. Le parti hanno depositato memorie e documenti.

9. Alla pubblica udienza del 25 maggio 2023 la causa è stata chiamata e assegnata in decisione.

DIRITTO

1. L’appello è fondato e merita accoglimento.

2. Come già evidenziato dalla Sezione nella sede cautelare, non è condivisibile l’assunto di base sul quale si fonda la decisione appellata, ossia la necessità che l’accertamento definitivo e il recupero dovessero necessariamente seguire la conclusione del giudizio penale, mentre anteriormente a tale presupposto sarebbe stato possibile adottare esclusivamente un provvedimento interinale di sospensione del beneficio.

3. Sono in tal senso da condividere le conclusioni cui è giunto anche il giudice contabile (sentenza della Corte dei conti della Sardegna n. 389 del 9 dicembre 2019, riferita alla fattispecie qui in esame, nella quale la Corte ha accertato tra l’altro che “ i predetti nominati [tra i quali è espressamente compreso anche il -OMISSIS-] , pur non avendo presentato alcuna domanda all’ERSAT hanno messo a disposizione la propria identità e i propri conti correnti bancari su cui hanno fatto transitare i contributi indebitamente ricevuti ”) nel senso che “ nessun rapporto di pregiudizialità è configurabile qualora il Giudice penale non sia pervenuto all’accertamento del fatto a causa della pronuncia di una sentenza penale di non luogo a procedere per intervenuta prescrizione (sentenza del Tribunale di Roma n. 6782/2014 del 15/4/2014), ma il Giudice contabile sia in possesso, come nel caso in esame, di elementi idonei e sufficienti al fine della decisione nel merito (cfr. Corte dei conti, Sez. I centr. app. sent. nn. 336/A/2002, 95/A/2002, 2000/184) ”.

3.1. Conclusione, questa, che è vieppiù riferibile alla doverosa azione di recupero che l’amministrazione è tenuta a porre in essere ai sensi dell’art. 3 della legge 23 dicembre 1986, n. 898 (di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 27 ottobre 1986, n. 701, recante Misure urgenti in materia di controlli degli aiuti comunitari alla produzione dell’olio di oliva. Sanzioni amministrative e penali in materia di aiuti comunitari nel settore agricolo ), a mente del quale “ 1. Indipendentemente dalla sanzione penale, per il fatto indicato nei commi 1 e 2 dell’articolo 2, nell’ambito di applicazione delle misure finanziate dal Fondo europeo agricolo di garanzia (FEAGA), il percettore è tenuto in ogni caso alla restituzione dell’indebito e, soltanto quando lo stesso indebito sia superiore a lire centomila, al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria, pari all’importo indebitamente percepito. Nell’ambito di applicazione delle misure finanziate dal Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR), indipendentemente dalla sanzione penale, per il fatto indicato nei commi 1 e 2 dell’articolo 2 il percettore è tenuto alla restituzione dell’indebito nonché, nel caso in cui lo stesso sia superiore a 150 euro, anche al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria, nella misura minima di 150 euro e massima di 150.000 euro, calcolata in percentuale sulla somma indebitamente percepita, secondo i seguenti scaglioni . . . 2. L’amministrazione competente determina le somme dovute ai sensi del comma 1 ed emette ingiunzione di pagamento della somma stessa . . . 6. Entro novanta giorni dalla notificazione della sentenza esecutiva, ancorché non irrevocabile o non passata in giudicato, l’amministrazione competente è tenuta a rimborsare le somme che giudizialmente risultino da essa recuperate in eccedenza ”).

3.1.1. Il comma 6 dell’art. 3 della legge n. 898 del 1986, da ultimo citato, rende evidente l’infondatezza della opposta tesi secondo la quale, ai sensi dell’art. 2, comma 3, della medesima legge (in base al quale “ Con la sentenza il giudice determina altresì l’importo indebitamente percepito e condanna il colpevole alla restituzione di esso all’amministrazione che ha disposto la erogazione di cui al comma 1 ”) la determinazione dell’importo indebitamente percepito e la condanna del colpevole alla restituzione all’amministrazione sarebbero di esclusiva spettanza del giudice penale. È peraltro evidente che la norma del comma 3 dell’art. 2, ora richiamata, riguarda il caso in cui sia intervenuta la condanna penale, ma non esclude affatto l’autonomo esercizio delle doverose funzioni amministrative di recupero dell’indebito.

3.1.2. È appena il caso poi di aggiungere, sotto tale profilo, che la norma sulla sospensione dei pagamenti contenuta nell’art. 33 ( Disposizioni per gli organismi pagatori ) del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228 ( Orientamento e modernizzazione del settore agricolo, a norma dell’articolo 7 della L. 5 marzo 2001, n. 57 ) non incide in alcun modo sulla doverosità del recupero in via amministrativa e sulla indipendenza del procedimento amministrativo rispetto al giudizio penale sanciti dalla norma della legge n. 898 del 1986 sopra richiamata. La locuzione, presente nella norma del 2001, a mente della quale la sospensione delle erogazioni è disposta “ finché i fatti non siano definitivamente accertati ”, non implica affatto che tale definito accertamento debba essere e possa essere esclusivamente quello in sede penale e non anche quello svolto in sede amministrativa, restando, si ripete, vigente ed efficace la norma del 1986, che è esplicita nell’escludere ogni forma di pregiudizialità penale.

3.2. L’acclarata autonomia dell’accertamento amministrativo rende ininfluente il rilievo del T per cui “ Il provvedimento lesivo non è stato assunto di propria iniziativa, bensì quale <conseguenza>
dell’indagine penale sul piano amministrativo
”, cui conseguirebbe la conclusione per cui “ l’esito di quel giudizio risultava fondamentale ”, avendosi altrimenti una ingiusta “ sovrapposizione fra profili penalistici e poteri della PA di analisi dei presupposti ”. La tesi del giudice di prime cure contrasta con il principio dell’autonomia logico-giuridica degli accertamenti amministrativi e con l’evidente insussistenza di una pregiudiziale penale ostativa alle autonome determinazioni dell’Amministrazione [assenza di pregiudiziale penale – come si è visto - espressamente enunciata dalla legge speciale di settore nel caso del recupero dei fondi indebitamente erogati: art. 3 della legge n. 898 del 1986, cit.: “ Indipendentemente dalla sanzione penale, per il fatto indicato nei commi 1 e 2 dell'articolo 2, nell’ambito di applicazione delle misure finanziate dal Fondo europeo agricolo di garanzia (FEAGA), il percettore è tenuto in ogni caso alla restituzione dell’indebito ”; idem dicasi “ per le misure finanziate dal Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR) ”].

3.3. Non risulta poi pertinente il richiamo, operato nella sentenza appellata, alla precedente decisione di questa Sezione 11 giugno 2018, n. 3565, che riguardava vicende analoghe, ma non sovrapponibili alla fattispecie portata all’odierno esame del Collegio. Secondo il T “ la sentenza del Consiglio di Stato n. 3565 del 11.6.2018, già richiamata (che ha, in parte, riformato T Sardegna 872 e 873 del 2014), e riferita a provvedimenti, analoghi, di opposizione al “recupero integrale” degli aiuti, attinenti la medesima indagine nazionale penale, ha chiarito che è necessario “distinguere” quali sono i provvedimenti che possono essere assunti, nelle diverse fasi processuali . . . Con necessità di tutela delle diverse e contrapposte posizioni, nella ricerca di un “equilibrio garantistico”, in una fase in cui a carico dei privati non era stata ancora accertata l’effettiva avvenuta commissione dei reati, da parte di -OMISSIS- ”. Il precedente richiamato dal T deve in realtà essere opportunamente contestualizzato e va correttamente riferito alla specificità in punto di fatto della fattispecie ivi esaminata, nella quale, contrariamente a quanto riscontrato nel caso qui in trattazione, sussistevano oggettivi dubbi e serie lacune sulla completezza dell’autonoma istruttoria amministrativa. In quella fattispecie era stato acclarato che “ gli appellanti (oltre a non aver mai presentato alcuna domanda, com’è assodato) non hanno mai percepito alcuna somma inerente i procedimenti oggetto del giudizio penale, non hanno mai aperto alcun conto bancario presso la filiale di-OMISSIS-del Banco di Sardegna, ed hanno disconosciuto le firme apposte negli assegni prodotti da controparte in primo grado, chiedendo al riguardo una CTU calligrafica che il TAR non ha preso in considerazione ”. Si legge, inoltre, nella richiamata sentenza della Sezione, al punto 14.4 della motivazione, che “ Il Collegio, in presenza di una contestazione di indebita percezione dei contributi rimasta (anche in ragione dell’esito del procedimento penale) priva di adeguato riscontro, e decisamente e tempestivamente smentita dagli appellanti, ritiene che non vi siano elementi, nemmeno presuntivi, idonei a supportarla. Gli appellanti sottolineano che-OMISSIS-dista da -OMISSIS-, località di loro residenza, -OMISSIS-e per raggiungerlo ci vogliono circa 2 ore, e che sarebbe stato insensato servirsi di una banca così fuori mano;
mentre è plausibile che chi dalla penisola ha organizzato la truffa abbia scelto una banca che fosse sì in Sardegna (per evitare sospetti), ma abbastanza lontana dal luogo di residenza e di attività degli appellanti dove nessuno li conosceva e non avrebbe potuto essere scoperto l’inganno e la sostituzione di persona per incassare le somme. Una simile argomentazione non ha trovato una confutazione logica nelle difese dell’Avvocatura, né questo Collegio dispone di elementi per superarla. In definitiva, occorre riconoscere che non ci sono elementi per sostenere che siano stati proprio gli odierni appellanti ad incassare indebitamente i contributi indebitamente concessi, ovvero che essi abbiano partecipato alla truffa, e che quindi i provvedimenti finali del luglio 2013 risultano insufficientemente motivati in ordine ai presupposti giustificativi della disposta restituzione con compensazione
”.

3.3.1. Ora, a differenza del precedente del 2018 testé richiamato e assunto dal T a base della sua decisione, nella fattispecie oggetto del presente giudizio è stata acquisita la prova dell’avvenuta negoziazione e incasso, da parte dell’appellato, degli assegni recanti le somme oggetto di indebita erogazione e quindi di recupero, né vi sono ulteriori deduzioni e contestazioni difensive (disconoscimento della firma, querela di falso, etc .) che possano introdurre seri dubbi sulla completezza e l’idoneità dell’accertamento in sede amministrativa dei fatti posti a base del provvedimento impugnato.

3.3.2. Nella pag. 13 del ricorso in primo grado la parte appellata dichiara: “ Infatti, dagli stessi atti del procedimento penale, documenti che vengono posti alla base dell’odierno procedimento amministrativo, risulta che l’imputazione a carico del sig. -OMISSIS-presuppone e dà per accertato che questi abbia incassato solamente una piccola parte delle somme ritenute percepite indebitamente, mentre la restante parte sia stata incassata dai funzionari AGEA (livello apicale) e dall’intermediario (livello intermedio) ”. Tuttavia, nella pag. 9 del ricorso in appello l’Avvocatura dello Stato ha affermato che “ Si aggiunga, peraltro, che ove non fosse sopraggiunta la prescrizione – istituto pur sempre rinunciabile dall’imputato – il Sig. -OMISSIS-avrebbe dovuto spiegare al Tribunale penale di Roma perché, se estraneo ai fatti, ovvero ‘vittima’ della attività fraudolenta posta in essere da altri, avesse negoziato “inconsapevolmente” ben cinque assegni circolari di cospicuo valore, costituenti parte del contributo di € 250.507,20 indebitamente percepito ”. Tale affermazione non risulta contestata, né smentita negli scritti difensivi prodotti dall’appellato in questa fase del giudizio.

3.4. La tesi per cui la determinazione di “recupero integrale” dei contributi non sarebbe legittima “ se assunta in correlazione alla (sola) richiesta di rinvio a giudizio del PM e successivo decreto del GUP” che dispone il rinvio al giudizio ” non ha più alcun rilievo una volta conclusasi definitivamente la vicenda penale con una sentenza di proscioglimento per prescrizione del reato, una pronuncia, come rilevato dallo stesso T, in sé “ neutrale ” (“ Il processo ha avuto, per il ricorrente, un esito “neutro” ), dalla quale non può certamente farsi derivare, come in sostanza fatto dal primo giudice e stigmatizzato negativamente dall’Avvocatura dello Stato nell’atto di appello, effetti vantaggiosi per l’imputato prosciolto. La circostanza per cui “ Nel caso di specie il ricorrente -OMISSIS-non è stato condannato per frode-associazione a delinquere, e non sono state individuate le sue responsabilità” (pagg. 16-17 della sentenza appellata), trattandosi di sentenza che dichiara la prescrizione dei reati, non può certo tradursi, a vantaggio dell’imputato prosciolto, nell’annullamento degli accertamenti amministrativi acquisiti e nella mancata restituzione delle somme indebitamente percepite. Contrariamente all’opinione del T, del tutto legittimamente “ L’Amministrazione ha ritenuto, già prima che il processo penale venisse definito con una sentenza, che vi fossero sufficienti elementi per poter disporre il “recupero definitivo” dei contributi, ritenendoli indebiti (già) “in via amministrativa” (in modo autonomo) ”.

4. Ininfluente agli effetti del giudizio di legittimità del provvedimento oggetto di giudizio risulta poi la circostanza, invece valorizzata dal T per motivare l’accoglimento qui contestato, che l’interessato “ aveva presentato regolari domande per «set – aside» negli anni 1990 - 1995, ma che, tuttavia, nulla sapeva della liquidazione fuori termine della domanda, né del suo inserimento in quegli elenchi ”, posto che, come correttamente rilevato nella stessa sentenza appellata, “ Le domande presentate si riferiscono ad un’estensione di “messa a riposo” per tre terreni, di estensione complessiva di 25 ettari ”, a fronte di un contributo indebitamente percepito di euro 250.507 riferito a ben 120 ettari. La macroscopica e autoevidente sproporzione tra il domandato e il ricevuto non abbisognava di ulteriori accertamenti istruttori, sicché è errata e non condivisibile la tesi del primo giudice, secondo la quale il provvedimento di recupero sarebbe illegittimo in quanto adottato “ Senza che l’indagine penale avviata possa destituire di fondamento la spettanza e la conservazione ”.

5. Alla luce della macroscopica evidenza dei fatti, oggettivamente e documentalmente accertati già nel procedimento amministrativo, non risulta condivisibile neppure l’ulteriore tesi svolta nella sentenza appellata, secondo la quale “ In questo contesto, essendo il soggetto privato indagato, era necessario valutare, a livello amministrativo, se risultassero sussistenti <sufficienti>
elementi <oggettivi>
“documentali”, idonei ad acclarare la posizione specifica del ricorrente tali da legittimare l’annullamento o la revoca del contributi concessi in relazione alle annualità 1990-1995 “set-aside . . . Con annullamento (che avrebbe dovuto essere formalizzato) di quegli atti che avevano consentito l’attribuzione delle somme (con conseguente restituzione all’ente)
”. L’autonomo accertamento amministrativo dei fatti risulta essere più che sufficiente e non occorreva alcun previo annullamento dei precedenti atti di concessione dei benefici, vertendosi, nella fattispecie, in un caso di revoca-decadenza dovuta e vincolata ex lege per il verificarsi dei fatti indicati nei commi 1 e 2 dell’articolo 2 della legge n. 898 del 1986 (il cui art. 3, già sopra citato, chiarisce, infatti, che per i predetti fatti, tra i quali il conseguimento indebito mediante l’esposizione di dati o notizie falsi di aiuti, premi, indennità, restituzioni, contributi o altre erogazioni a carico totale o parziale del Fondo europeo agricolo di garanzia e del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale, “ il percettore è tenuto in ogni caso alla restituzione dell’indebito ”).

6. Ultronea e infondata risulta infine la pretesa, accennata nella parte finale della sentenza appellata, per cui l’Amministrazione avrebbe dovuto compiere ulteriori accertamenti “( un’analisi sostanziale) in riferimento all’effettiva disponibilità, da parte del ricorrente, delle superfici (120 ettari) ”, e un “ riscontro/verifica del compiuto o meno ritiro effettivo delle aree dalla produzione ”. Essendo pacifico in atti che il ricorrente in primo grado aveva chiesto il beneficio solo per 25 ettari, non si comprende la ragione per la quale l’Amministrazione, dinanzi a fatti evidenti di indebita percezione accertati e documentati, avrebbe dovuto svolgere tali, ulteriori e inutili verifiche.

7. Prive di rilievo risultano infine le repliche di parte appellata, che ha insistito (cfr. memoria in data 22 aprile 2023) nella tesi difensiva imperniata sull’assenza (o insufficienza) di un’autonoma istruttoria amministrativa (“ Come argomentato nel giudizio di primo grado e nelle difese formulate in questo giudizio d’appello, manca tuttavia il presupposto fondante del provvedimento di recupero delle somme da parte di AGEA in danno del sig. -OMISSIS-, vale a dire lo svolgimento di accertamenti amministrativi autonomi ”), tesi in realtà contraddetta e smentita dagli atti, come sopra rilevato. Parimenti ininfluente è l’argomentazione di parte appellata, anche in questa sede riproposta, secondo la quale “ Risulta inoltre dimostrato come l’unico atto istruttorio “autonomo” condotto da AGEA si sia rivelato clamorosamente errato. Ci si riferisce alla dichiarazione di ARGEA richiamata nel provvedimento di ripetizione impugnato in primo grado del seguente tenore . . . “non è mai stato attivato alcun procedimento ad istanza, tra gli altri, del Sig. -OMISSIS-“per il ritiro dei terreni seminativi dalla produzione ai sensi del regolamento

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