Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2012-03-31, n. 201201909

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2012-03-31, n. 201201909
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201201909
Data del deposito : 31 marzo 2012
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 05441/2009 REG.RIC.

N. 01909/2012REG.PROV.COLL.

N. 05441/2009 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5441 del 2009, proposto da:
Di G M, Di G S, quali eredi di D G B, rappresentate e difese dall'avv. M P, con domicilio eletto presso l’avv. Detta Bocchini, in Roma, piazza C. Nerazzini, 5;

contro

Comune di Benevento, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. D D C, con domicilio eletto presso Silvio Bozzi in Roma, corso Trieste, 88;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. CAMPANIA - NAPOLI: SEZIONE V n. 01653/2009, resa tra le parti, concernente PROGETTO DI RISTRUTTURAZIONE URBANISTICA - OCCUPAZIONE D'URGENZA


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Benevento;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 ottobre 2011 il Cons. Andrea Migliozzi.

Nessuno è comparso per le parti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Le sorelle Di G M e Di G S , quali eredi di D G B, espongono di essere proprietarie di immobili siti in Comune di Benevento fatti oggetto di atti di occupazione emessi dall’amministrazione comunale che sono stati impugnati dalle medesime innanzi al Tar per la Campania

Più specificatamente sono stati gravati innanzi al tribunale territoriale l’avviso di esecuzione del decreto di occupazione di urgenza notificato a Di G M in data 8/10/2004, il decreto di occupazione di urgenza preordinato all’ espropriazione, il verbale di immissione in possesso e di occupazione temporanea dell’11/10/2004, tutti finalizzati al progetto di ristrutturazione urbanistica nodale “Arco del Sacramento” approvato con deliberazioni della Giunta comunale n.9 del 21/1/2004 e n.85 dell’11/5/2004, anche queste impugnate .

L’adito Tribunale con sentenza n.1653/09 dichiarava il ricorso inammissibile per difetto di prova della legittimazione attiva della parte ricorrente.

In particolare, la decisione di rito è stata assunta in relazione ad una questione pregiudiziale ritenuta di rilevanza decisiva ai fini della definizione della controversia, costituita dal fatto che sarebbe intervenuta tra il dante causa delle attuali appellanti , il sig. D G B e il Comune di Benevento atto di transazione sottoscritto in data 3 aprile 1986, recante la permuta dell’immobile oggetto della procedura ablatoria per cui è causa con altro suolo edificabile in area 167, per realizzare n.24 alloggi.

Il primo giudice, in relazione alla circostanza testè descritta ha sollecitato con apposita ordinanza istruttoria le parti in causa a fornire chiarimenti, affidando in particolare alla parte ricorrente l’onere di produrre elementi documentali e/o di giudizio volti a dimostrare l’attualità del titolo di proprietà legittimante il ricorso. L’adito TAR una volta constatata l’assenza di positivi riscontri in ordine a quanto richiesto con specifico incombente istruttorio, ha quindi dichiarato il proposto gravame inammissibile, appunto, per difetto di legittimazione attiva a proporre l’impugnativa.

Le sigg.re Di Giovanni hanno impugnato tale sentenza, deducendo a sostegno del proposto gravame i seguenti motivi:

1)Violazione di legge per errato inquadramento fattuale e giuridico;

2) Erronea valutazione dei fatti giuridici con violazione di legge;

3) Violazione di legge per violazione dei principi in materia di giudicato;

4) Erronea interpretazione delle allegazioni tutte svolte.

Si è costituito il Comune di Benevento che ha contestato la fondatezza del proposto gravame di cui ha chiesto la reiezione.

DIRITTO

L’appello è infondato e va pertanto respinto.

In primo luogo vanno confermate le statuizioni di inammissibilità del ricorso di prime cure rese con l’impugnata sentenza.

Invero, la circostanza, incontestata in punto di fatto, circa l’ esistenza di una transazione tra il dante causa delle attuali appellanti e il resistente Comune di Benevento, avente ad oggetto la permuta dell’area interessata dall’opera pubblica per la quale l’Amministrazione ha adottato la procedura ablatoria, ha un indubbia valenza fondamentale in ordine alla sussistenza delle condizioni processuali legittimanti la contestazione giudiziale degli atti amministrativi per cui è causa, sicchè bene ha fatto il Tar a svolgere la sua indagine relativamente ai presupposti dell’azione e ad imporre a carico della parte attrice ( con apposita ordinanza istruttoria) l’onere degli elementi della prova ( produzione e/o dimostrazione del titolo di proprietà dell’immobile ) posti nella sua disponibilità

Così, a fronte della non avvenuto adempimento di un siffatto onere, il giudice di primo grado ha, correttamente utilizzato la regula iuris di cui all’art.116 c.p.c. ( trasposto nell’ art.64 c.p.a. ) desumendo dalla mancata prova della legittimazione attiva l’inammissibilità del ricorso.

Parte appellante contesta la fondatezza del rilievo posto a fondamento della pronuncia di rito emessa del Tar, facendo leva sulla sentenza del Tribunale civile di Benevento n.1570/06 che avrebbe statuito l’assenza di un ( valido ) negozio transattivo tra il suindicato ente locale e il dante causa delle ricorrenti, sig. D G B.

Ora, al di là della valenza vincolante o meno del decisum del giudice ordinario in ordine agli elementi di fatto e di diritto che contrassegnano questo contenzioso amministrativo, la circostanza fatta valere con i primi tre mezzi di gravame non risulta sia stata opposta in primo grado, venendo sollevata unicamente in sede di appello, per cui l’introduzione ex novo dell’argomentazione difensiva dedotta dalla parte appellante, indipendentemente dalla sua fondatezza nel merito, non vale ad inficiare una statuizione di rito emessa “iusta alligata et probata” e perciò stesso ineccepibile.

Anche a voler sorvolare sui profili di inammissibilità testè illustrati, l’appello va comunque respinto posto che le censure in esso dedotte, sostanzialmente reiterative dei motivi d’impugnazione denunciati in primo grado, si rivelano in parte inammissibili e in altra parte infondate.

Con la controversia all’esame vengono in discussione gli atti di occupazione di urgenza di aree necessarie alla realizzazione delle opere di un progetto per la sistemazione dell’area nodale “Arco del Sacramento”sita nel centro storico del Comune di Benevento, approvato in attuazione del piano particolareggiato di cui alla delibera consiliare n.132/89, provvedimenti che le appellanti assumono essere illegittimi sotto vari profili.

Una considerazione si impone in via preliminare : le censure di gravame sono articolate in modo alquanto disorganico, risolvendosi in una congerie di critiche e doglianze formulate in maniera generica se non approssimativa, quasi a rasentare la inammissibilità dell’appello nella sua intierezza.

Ciò precisato, da una concreta individuazione delle doglianze variamente denunciate, è possibile evincere ( come pare di capire ) i seguenti punti di contestazione:

il procedimento applicabile alla fattispecie è quello contemplato dalla normativa recata dal DPR n.327 dell’8 giugno 2001, non correttamente posto in essere;

gli atti recanti l’occupazione d’urgenza delle aree son sarebbero stati notificati alle interessate;

le opere a realizzarsi non avrebbero il carattere dell’urgenza e comunque non sono indicate dall’Amministrazione le specifiche ragioni dell’urgenza;

sono stati indicati nei provvedimenti che dispongono l’occupazione soggetti non più proprietari;

i vincoli preordinati all’esproprio apposti sull’area sarebbero decaduti e non reiterati;

le opere progettate e approvate per le quali è stata disposta la procedura ablatoria non sarebbero conformi alla normativa urbanistica recata dagli strumenti comunali di pianificazione territoriale;

l’immissione in possesso non sarebbe dovuta avvenire in quanto la parte interessata non ha condiviso la determinazione dell’indennità provvisoria.

Al riguardo il Collegio osserva quanto segue.

In relazione al punto sub a) la doglianza è estremamente generica: in assenza di compiuta specificazione, non è dato comprendere l’essenza del rilievo, dovendosi qui dare atto che gli atti della procedura ablatoria sono stati adottati sotto il regime giuridico disciplinante le procedure espropriative vigente al tempo in cui le varie fasi del procedimento si sono esplicate.

Dalla lettura dei motivi di gravame sembrerebbe che ci sia stata una precedente procedura che ad avviso della parte appellante andava interrotta e “ricondotta ai canoni legali” recati dalla procedura contenuta nel DPR n.327/2001 e tanto con riferimento ad “una serie di erroneità che non potevano essere accettate per evidenti violazioni di legge”, come fatto rilevare all’allora responsabile del procedimento.

Ora è del tutto evidente che da tali generiche ed approssimative lamentele, non supportate da specifici addebiti, non è possibile rilevare profili di illegittimità ascrivibili ad una non meglio specificata mancata applicazione delle norme del citato DPR inteso nella sua globalità.

Quanto al punto sub b) la mancata notifica ad una delle appellanti ( alla sig.ra Silvia Di Giovanni ) del decreto di occupazione di urgenza appare ininfluente sulla legittimità dell’atto de quo, per le seguenti due ordini di ragioni:

1) la notifica è solo una forma qualificata di comunicazione, rilevante ai fini del dies a quo per l’eventuale impugnativa, senza perciò incidere sulla validità della determinazione assunta (Cons. Stato Sez. IV 25/8/2003 n.4813);

2) la decorrenza del periodo di occupazione legittima inizia dal giorno di emanazione del decreto autorizzativo immediatamente operativo per l’occupante con conseguente compressione della facoltà dell’occupato, senza che spieghi influenza la mancata notifica del decreto stesso ( Cass. Civ. Sez. I 25 marzo 2003 n.4358;

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