Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2024-04-17, n. 202403496

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2024-04-17, n. 202403496
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202403496
Data del deposito : 17 aprile 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 17/04/2024

N. 03496/2024REG.PROV.COLL.

N. 00284/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 284 del 2022, proposto da
E Service S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall'avvocato G P, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza) n. 10113/2021, resa tra le parti, per l'annullamento e/o declaratoria di illegittimità:

- della delibera n. 41/20/CONS AGCOM contenente l'ordinanza ingiunzione per violazione delle disposizioni della Delibera n. 413/14/CONS notificata in data 18/2/2020;

- della contestazione n. 17/19/DSP AGCOM - Direzione servizi postali - per violazione degli obblighi inerenti alla licenza individuale;

- della relazione sull'attività preistruttoria dell'8/7/2019 P-Istr 22/19/AA - AGCOM – Direzione Servizi Postali – Ufficio Vigilanza e tutela consumatori;

- del verbale di audizione AGCOM – Direzione Servizi Postali – del 14/11/2019;

nonché per la rideterminazione della sanzione e la restituzione del dovuto e per l'accertamento del diritto della società ricorrente al risarcimento per equivalente dei danni.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 aprile 2024 il Cons. T M;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con l’appello in esame la società E Service srl (d’ora in poi anche solo “E”) ha impugnato la sentenza n. 10113 del 2021 con cui il Tar Lazio (Sez. Terza-Ter) ha respinto l’originario gravame;
quest’ultimo era stato proposto dalla stessa parte avverso il provvedimento dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AGCOM) di cui alla delibera n. 41/20/CONS recante ordinanza ingiunzione per la violazione delle disposizioni della “ Direttiva generale per l'adozione da parte dei fornitori di servizi postali delle carte dei servizi (approvata con delibera n. 413/14/CONS) ”, adottata il 18 febbraio 2020.

2. In particolare, l’Autorità ha contestato inizialmente a E le seguenti condotte:

a) l’omessa pubblicazione sul proprio sito internet della carta dei servizi prevista dalla citata direttiva (o un link attraverso il quale si poteva accedere);

b) la mancanza dell’indicazione completa dei prezzi per i diversi servizi e degli standard di qualità previsti per ciascuno di essi;

c) la mancanza, sempre sul predetto sito web della Società, della modulistica per presentare la domanda di conciliazione e il formulario per la risoluzione delle controversie dinnanzi all’Autorità, ai sensi della delibera n. 184/13/CONS e uno schema riassuntivo dei rimborsi o indennizzi previsti per ciascun prodotto postale in caso di disservizio;

d) l’omissione dei riferimenti dei servizi gratuiti di assistenza clienti.

3. All’esito del procedimento, nel corso del quale la società accedeva all’oblazione per le condotte sub. a) e d), l’Autorità, richiamando anche l’art. 21, comma 6, del d.lgs. 261 del 1999, ha intimato alla odierna appellante di pagare la somma complessiva di 30.000 € a titolo di sanzioni amministrative pecuniarie di cui 20.000 €, per la condotta sub b), 10.000 € per la condotta sub c).

4. E ha quindi impugnato il provvedimento sanzionatorio dinanzi al TAR del Lazio, spiegando quattro motivi di censura:

a) violazione dell’art. 5, comma 3, Regolamento n. 581/15/CONS;
violazione dell’art. 14, legge n. 689/1981;
violazione dell’art. 2, comma 1, e dell’art. 3, l. n. 241/1990;
violazione dell’art. 97 Cost.: tardività dell’atto di contestazione;

b) violazione dell’art. 8, comma 3, lett. a), nonché dell’art. 8, comma 3, lett. f) e dell’art. 7 comma 2 della direttiva generale per l’adozione da parte dei fornitori di servizi postali delle carte di servizi di cui alla delibera 413/14/CONS;
violazione dell’art. 2, comma 4, lett. a) della delibera 413/14/CONS;
violazione dell’art. 97 Cost.;
eccesso di potere per irragionevolezza, illogicità, arbitrarietà, ingiustizia manifesta e difetto di istruttoria: le violazioni contestate sarebbero in realtà una sola (l’assenza della carta dei servizi), già contestata previamente per violazione dell’art. 2 comma 4 lett. a) della citata delibera. Inoltre la ricorrente avrebbe già dal 2.11.2019 pubblicato sul suo sito internet la carta dei servizi, fornendo quindi le informazioni, con effetto di far venire meno i presupposti della sanzione;

c) violazione dell’art. 8, legge n. 689/1981;
violazione dell’art. 2 delle Linee guida sulla quantificazione delle sanzioni amministrative pecuniarie di cui alla delibera n. 265/15/CONS;
violazione del principio del giusto procedimento di cui agli artt. 1 e 10 della l. n. 241/1990;
eccesso di potere per irragionevolezza, arbitrarietà, ingiustizia manifesta e difetto di istruttoria;
violazione dei principi del legittimo affidamento: l’Autorità avrebbe dovuto applicare il cumulo giuridico tra le violazioni contestate;

d) violazione dell’art. 11 della legge n. 689/1981;
violazione dell’art. 3 delle linee guida sulla quantificazione delle sanzioni amministrative pecuniarie di cui alla delibera n. 265/15/CONS;
violazione dell’art. 3 della legge n. 241/1990;
violazione dei principi del legittimo affidamento, di proporzionalità e adeguatezza;
eccesso di potere per irragionevolezza e illogicità della motivazione, per travisamento ed erronea valutazione dei fatti: la quantificazione della sanzione sarebbe errata e non avrebbe tenuto conto dei principi di proporzionalità ed adeguatezza.

5. All’esito del giudizio di primo grado, il ricorso è stato respinto in quanto ritenuto infondato. In particolare, il TAR ha rilevato:

- per quanto riguarda il primo motivo, che il dies a quo non può coincidere con il momento della mera verifica sul sito internet, ma decorre dal momento in cui l’amministrazione è stata in grado di valutare tutti gli elementi istruttori e avere piena conoscenza della condotta illecita, il che è avvenuto al momento della chiusura della fase istruttoria che coincide con la data della relazione preistruttoria (8.7.2019);

- sul secondo motivo che:

i) gli obblighi previsti dalla direttiva in capo agli operatori sono distinti ed attengono sia alla carta servizi che all’assistenza a favore degli utenti, e per l’effetto le violazioni accertate riguardano non l’assenza della carta dei servizi, ma la carenza nelle informazioni pubblicate sul sito web, non essendo rilevante la successiva pubblicazione della carta dei servizi (mancando le informazioni oggetto degli obblighi informativi di cui all'art. 7, comma 2 e art. 8, comma 3, lettere a), f) e g) della delibera n. 413 del 2014 e le condizioni economiche, la descrizione dei servizi e lo schema dei rimborsi);
per i prezzi dei servizi e per lo schema dei rimborsi si trovava solo un generico richiamo;

ii) l’intervenuta oblazione non rileva in quanto avente oggetto altre violazioni tra quelle originariamente contestate;

iii) la circostanza che la E è titolare di autorizzazione generale e di licenza individuale (ed a questa aveva formalmente rinunciato) è irrilevante in quanto la mera rinuncia alla licenza individuale non toglie che il titolare di autorizzazione generale è comunque tenuto agli obblighi informativi di cui alla delibera;

- sul terzo motivo (l’errato cumulo giuridico) il TAR ha confermato la legittima applicazione dell’art. 8, comma 1, della legge n. 689/1981 in quanto le violazioni riguardano disposizioni diverse e sono frutto di diverse azioni o omissioni, che comporta l’applicazione della regola generale del cumulo materiale delle sanzioni;

- sull’ultimo motivo, che la valutazione di tutti i criteri a base della determinazione della sanzione era puntuale e corretta, considerando in maniera legittima il fatturato invece dell’utile di impresa (confermato dalle Linee Guida sulla quantificazione delle sanzioni di cui alla delibera n. 265/15/ CONS, paragrafo 3.1.2.);
inoltre la sanzione irrogata (30.000 €) era di modesta entità in confronto al fatturato aziendale, mancando inoltre evidenze documentali in merito a condizioni di crisi finanziaria della stessa.

Infine il TAR ha anche disatteso la domanda di risarcimento, avendo confermato la legittimità del provvedimento gravato.

6. Nel ricostruire in fatto e nei documenti la vicenda, parte appellante ha formulato i seguenti motivi di appello.

1) Error in iudicando per erroneità, carenza e contraddittorietà manifeste della motivazione del capo della sentenza che ha ritenuto infondato il primo motivo di ricorso ed errata valutazione degli atti di causa. L’appellante rileva che il TAR avrebbe erroneamente ritenuto la tempestività della notifica dell’atto di contestazione, entro il termine di 90 giorni dall’accertamento, previsto dall’art. 14, comma 2, della legge n. 689/1981, ma avrebbe interpretato in modo errato le norme citate e travisato il contenuto dei documenti prodotti. La E sostiene che il termine per la notifica dell’atto di contestazione avrebbe dovuto decorrere dalla prima verifica sul proprio sito effettuata da AGCOM (26.6.2019) o dall’ultima verifica (5.7.2019), ma non dalla data della redazione della relazione preistruttoria (8.7.2019), che non avrebbe apportato alcun nuovo elemento. La notifica del 4.10.2019 sarebbe pertanto tardiva. L’appellante aggiunge che se si dovesse sempre considerare la data di redazione della relazione preistruttoria come momento di chiusura della fase istruttoria, allora si eliminerebbe ogni tutela, lasciandosi ampio margine all’organo accertatore di attendere di redigere la relazione per non far decorrere il termine, pur in assenza di effettivi accertamenti ancora da compiere (nel caso di specie mancherebbero del tutto complessità o necessità istruttorie particolari).

2) Error in iudicando per erroneità, carenza e contraddittorietà manifeste della motivazione del capo della sentenza che ha ritenuto infondato il secondo motivo di ricorso ed errata valutazione degli atti di causa. E contesta anche il capo della sentenza che ha ritenuto corretto che nel caso di specie non sia possibile invocare la riconducibilità delle violazioni contestate ad un unico principio di informazione e trasparenza (da rinvenirsi in tesi nella Carta dei Servizi, che, in quanto mancante, integrerebbe la violazione dell’art. 2, co. 4, lett. a) della Direttiva Generale) e successivamente sarebbe stata sanata con la pubblicazione sul sito web. Ciò avrebbe incluso:

i) la tipologia di servizi e di differenziazione dei medesimi e dei corrispettivi in base alla tipologia di clienti, esclusivamente business;

ii) le procedure in caso di danneggiamento;

iii) le procedure ed i moduli per il reclamo, per la possibilità di attivare il meccanismo di conciliazione;

iv) l’assistenza attraverso i numeri verdi.

L’appellante sostiene anche in questa sede d’appello di aver dato prova della difficoltà di pubblicare i prezzi dei propri servizi, svolgendo attività di corriere espresso per una clientela business, per cui i contratti vengono di volta in volta negoziati con i singoli clienti.

3) Error in iudicando per erroneità, carenza e contraddittorietà manifeste della motivazione del capo della sentenza che ha ritenuto infondato il terzo motivo di ricorso ed errata valutazione degli atti di causa. Con la terza doglianza la società sostiene che il TAR non avrebbe dovuto rigettare la censura sulla mancata applicazione del cumulo giuridico tra le diverse violazioni contestate nel caso de quo , incorrendo nell’errore di non valutare congruamente la contestualità delle omissioni informative e l’unicità del relativo effetto complessivo. Secondo E le violazioni dell’art. 8 comma 3 della Direttiva Generale sarebbero geneticamente collegabili ad un’unica omissione informativa (collegata a sua volta all’art.7, comma 2). Le Linee Guida di AGCOM sulla quantificazione delle sanzioni amministrative pecuniarie (Allegato A alla delibera AGCOM n. 265/15/CONS) fornirebbero criteri interpretativi per verificare se, in presenza di plurime azioni od omissioni, esse debbano essere considerate unitariamente, con conseguente applicazione del regime del cumulo giuridico, ma di questo l’Autorità non avrebbe fatto alcuna valutazione nel provvedimento impugnato. Il TAR del Lazio si sarebbe limitato a giustificare l’applicazione della regola generale del cumulo materiale delle sanzioni sulle base dell’affermazione per cui “ le violazioni concernono disposizioni diverse e sono evidentemente frutto di diverse azioni o omissioni ”, ma tale motivazione sarebbe solo tautologica.

4) Error in iudicando per erroneità, carenza e contraddittorietà manifeste della motivazione del capo della sentenza che ha ritenuto infondato il quarto motivo di ricorso ed errata valutazione degli atti di causa. Con l’ultima censura E contesta la sentenza nella parte che ha ritenuto infondata l’erronea applicazione dei parametri di cui all’art. 11 della legge n. 689/1981. Più in particolare la società, reiterando le rispettive doglianze di primo grado, espone che:

a) quanto al parametro della gravità della violazione, data la natura B2B dei servizi di E, mancherebbe un vulnus informativo ai danni dei consumatori;

b) quanto al parametro della personalità, l’Autorità (ed il TAR) non avrebbe debitamente tenuto in conto che E non possa essere considerata tra i “principali operatori nazionali”, non avendo una struttura aziendale ed economico finanziaria paragonabile ad altri competitor;

c) quanto al parametro delle condizioni economiche, si dovrebbe considerare solo l’utile di impesa (54.556 € di fronte ad una sanzione di 30.000 € e le oblazioni) e non il fatturato;

d) la sanzione irrogata sarebbe sproporzionata al caso concreto ed alle reali condizioni della Società.

In subordine l’appellante:

- chiede ai sensi dell’art. 134, co. 1, lett. c) c.p.a., l’eventuale rideterminazione in misura inferiore;

- chiede che si disponga la restituzione di quanto versato a titolo di oblazione parziale e reitera la richiesta di risarcimento del danno.

7. L’Autorità si è costituita in giudizio ed ha puntualmente dedotto perché l’appello sia respinto.

8. In vista dell’udienza di trattazione l’appellante ha depositato una memoria conclusionale e di replica.

9. Alla pubblica udienza del 4 aprile 2024 la causa è passata in decisione.

10. L’appello non merita condivisione e va respinto.

11. Scrutinando il primo motivo dell’appello, il Collegio deve richiamare la sentenza n. 9380/2023 della Sezione. La Sezione ha, infatti, rimarcato che “ nella disciplina italiana antitrust, così come in quella europea, l’avvio del procedimento istruttorio volto all’accertamento di eventuali violazioni del diritto della concorrenza è preceduto da una fase comunemente definita preistruttoria nella quale l’AGCM, sulla base di segnalazioni, denunce o esposti o di notizie o informazioni autonomamente acquisite, procede in via officiosa a una prima indagine, di tipo preliminare, per verificare la sussistenza dei presupposti per procedere all’avvio dell’istruttoria ”;
e ciò conformemente a quanto accade in genere per i procedimenti attivabili d’ufficio, nei quali - a differenza dei procedimenti attivabili su istanza di parte - il termine per procedere non può che decorrere dal momento in cui l’amministrazione valuti sussistenti i presupposti per esercitare il proprio potere ”. La Sezione ha, quindi, affermato l’operatività della previsione di cui all’art. 14 della L. n. 689/1981 alla fase preistruttoria volta alla contestazione dell’illecito antitrust, ma ha, altresì, evidenziato come il dies a quo del termine decadenziale “ non possa che farsi decorrere dal momento in cui l’amministrazione è nelle condizioni per operare la detta contestazione ossia da quando ha acquisito quell’insieme di elementi che le consentono di perimetrare l’oggetto dell’indagine da svolgere in sede istruttoria nel contraddittorio con i soggetti interessati ”. Inoltre, la Sezione ha ricordato come “ il diritto dell’UE non stabilisca un termine entro il quale la Commissione deve condurre le indagini antitrust e neppure un termine per la comunicazione formale degli addebiti una volta conclusa la fase preistruttoria, ma solo un termine di prescrizione per l’irrogazione delle sanzioni ”;
ciò non significa, tuttavia, che, anche tenuto conto dell’art. 6 della Cedu e dell’art. 41 della Carta di Nizza, la fase preistruttoria e quella istruttoria possano svolgersi non rispettando alcuna tempistica, ma solo che il termine in questione deve essere ragionevole in modo da non pregiudicare da un lato il diritto di difesa e dall’altro l’effetto utile delle pertinenti disposizioni del Trattato ”. Inoltre, “ una simile conclusione non contrasta con l’idea che il termine per la fase preistruttoria possa essere determinato, ovvero specificato, dal legislatore nazionale e che – in assenza di previsioni ad hoc, nel caso italiano - lo stesso coincida con quello generale di 90 giorni indicato dal citato art. 14, decorrente dal momento in cui l’Autorità ha la conoscenza degli elementi dell’illecito che intende contestare agli interessati ”. Pertanto, secondo la Sezione, “ il termine di 90 giorni non risulta irragionevole o irrispettoso del diritto di difesa secondo il diritto unionale, né di impedimento all’Autorità per l’esercizio dei suoi poteri officiosi, una volta inteso come decorrente dall’accertamento dell’illecito nei suoi termini essenziali e non dalla mera notizia dello stesso sulla base di una semplice segnalazione ”;
al contrario, una diversa soluzione che facesse decorrere il termine per la contestazione dell’illecito immediatamente dall’acquisizione da parte dell’Autorità di qualsivoglia elemento che in astratto potrebbe tradursi in un illecito antitrust sarebbe del tutto irragionevole non consentendo all’Autorità di operare una scrematura di quelle notizie che si rivelino irrilevanti o del tutto infondate o per le quali non sussistono le condizioni necessarie per promuovere un procedimento sanzionatorio ”. Secondo la Sezione, non deve trascurarsi, peraltro, che le indagini svolte dall’Autorità spesse volte coinvolgono questioni particolarmente complesse sia in fatto che in diritto, sicché sarebbe inesigibile – oltre che talvolta inutilmente pregiudizievole per le stesse imprese “incolpate” - richiedere a quest’ultima di operare un accertamento preliminare con obbligo di contestazione entro 90 giorni dalla prima notizia dell’illecito.

12. Declinando tali rilievi generali al caso di specie – che ha ad oggetto sanzioni irrogate da una diversa Autorità ma dove viene in evidenza del pari l’applicazione dell’art. 14 della l. 689 del 1981 – il Collegio osserva come il dies a quo del termine di 90 giorni non possa, in primo luogo, farsi decorrere dal primo accesso al sito web. Risulta non solo evidente come la vicenda, in primo luogo, andava verificata da parte dell’Autorità, non potendo provvedere all’immediato avvio del procedimento senza prima accertare la consistenza di tutti elementi (quindi non solo la presenza o meno della carta servizi, ma l’ispezione di tutte le pagine web per ulteriori contenuti). In secondo luogo risulta condivisibile la tesi del T.A.R. che ha ritenuto che la data del 8.7.2019 quale dies a quo del decorso del termine di cui all’art. 14 della legge n. 689/1981 sia ragionevole. Questo per l’evidente dato che tra il primo “semplice accesso” in data 26.6.2019 ed il compimento della relazione preistruttoria si contano nemmeno due settimane, un tempo di “messa a fuoco” dei fatti che corrisponde ad un periodo minimo adeguato. Un reiterato controllo del sito internet (in quel comunque breve arco temporale) può giovare del resto anche al controllato, perché sarebbe stato astrattamente possibile che medio tempore l’impresa avesse caricato il documento sul sito o comunque l’Autorità appurato che non vi fossero gli estremi per dare avvio all’istruttoria. Infine, non risulta che questo stretto margine di tempo abbia compresso le esigenze difensive dell’impresa, ipotesi in teoria configurabile laddove la preistruttoria si protragga molto nel tempo (“eccessiva durata del procedimento”), circostanza che non è emersa nel caso di specie. Quindi si può confermare l’assunto del TAR in ordine alla tempestività nell’avvio del procedimento.

13. Infondato risulta anche il secondo motivo del ricorso, alla luce delle seguenti considerazioni.

13.1 La Direttiva che è la base del provvedimento sanzionatorio prevede principi e criteri che permeano i rapporti tra i fornitori di servizi postali e la loro clientela, in modo da garantire un’informazione chiara e completa sulle modalità giuridiche, economiche e tecniche di erogazione dei servizi postali offerti e un’adeguata gestione dei reclami e dell’assistenza. A tal fine è prescritto di rendere disponibili al pubblico una completa e organica informazione delle condizioni economiche e giuridiche di svolgimento del servizio, dei presidi e degli strumenti a loro tutela. In particolare, l’art. 2 comma 4 stabilisce che “ i fornitori di servizi postali (omissis) rendono disponibile all’utente copia delle carte dei servizi presso tutti i locali, includono nelle condizioni generali di contratto un richiamo alle carte dei servizi, comunicano il link e il sito web in cui esse sono pubblicate ”, mentre l’art. 7, comma 2, prevede che “ sul sito web (omissis) dei fornitori di servizi postali (omissis) sono pubblicate le modalità per poter presentare ai medesimi fornitori reclami, segnalazioni, istanze per le procedure di conciliazione, con l’indirizzo della sede presso cui indirizzarli, nonché il numero telefonico, di fax e l’indirizzo di posta elettronica ”. Infine, l’art. 8, comma 3, detta che “ I fornitori di servizi postali rendono disponibile sul proprio sito web, tra l’altro: a) un elenco aggiornato di tutti i servizi offerti, anche mediante tabelle comparative tra prodotti offerti, recante la descrizione completa delle caratteristiche di ciascun servizio e l’indicazione completa dei prezzi e degli standard di qualità previsti per ciascuno di essi;
f) il formulario per la presentazione del reclamo per il disservizio postale e il formulario per la eventuale domanda di conciliazione, nonché il formulario per la risoluzione delle controversie approvato con delibera n. 184/13/CONS;
g) uno schema riassuntivo dei rimborsi e/o indennizzi previsti per ciascun prodotto postale in caso di disservizio.

13.2 Questa Sezione ha già chiarito che “ gli obblighi previsti dalla direttiva in capo agli operatori, infatti, sono distinti ed attengono sia alla carta dei servizi che all'assistenza a favore degli utenti, la quale ultima si traduce nel rendere disponibili sul sito web una serie di informazioni e di strumenti di tutela dell'utenza medesima, ciò in considerazione che i destinatari degli invii postali, non essendo contraenti dei contratti di servizio stipulati con i propri clienti dal corriere-espresso, non possono conoscere tramite il documento contrattuale, rispetto al quale sono “terzi”, le informazioni prescritte ex lege all'operatore per la tutela dei loro diritti. Sicché le regole previste dall’AGCOM costituiscono un ordinato e basilare concentrato di misure necessarie a garantire il rapporto con l'utenza, dettate in termini tali da risultare, nei limiti di sindacato predetti, pienamente sostenibili, specie in un contesto ormai pacificamente informatizzato quale quello in cui operano le imprese del settore, e pienamente coerenti ai parametri evocati di cui all'art. 14 d.lgs. 261/1999, dettati peraltro a tutela di tutte le parti del rapporto. […] Ogni diversa organizzazione […] non è compatibile con la disciplina settoriale vigente, il cui mancato rispetto provoca l’inevitabile intervento dell’Autorità. Il Collegio, dunque, condivide la valutazione di non conformità alla predetta disciplina della condotta accertata, nel senso che l'impresa non ha predisposto meccanismi idonei ad ottemperare ai seguenti obblighi: - la descrizione dei servizi offerti anche mediante tabelle comparative tra prodotti offerti, recante la descrizione completa delle caratteristiche di ciascun servizio con indicazione dei prezzi e degli standard di qualità di ciascuno;
- i riferimenti dei servizi gratuiti di assistenza clienti;
- il formulario per la presentazione del reclamo per il disservizio postale e il formulario per la eventuale domanda di conciliazione, nonché il formulario per la risoluzione delle controversie approvato con delibera n.184/13/CONS;
- lo schema riassuntivo dei rimborsi e/o indennizzi per disservizi;
- la numerazione telefonica gratuita per i servizi di assistenza clienti
” (Cons. Stato, sez. VI, 14 settembre 2022, n. 7980). Questo è da accertare anche nel giudizio de quo : gli obblighi sono quindi sia generali che specifici. A questi ultimi risulta che l’azienda non abbia ottemperato neanche dopo l’avvio dell’istruttoria, mancando nella carta di servizi pubblicata ex post le condizioni economiche, la descrizione dei servizi, lo schema dei rimborsi e i moduli.

13.3 Risulta al Collegio presente solo un limitato e generico richiamo generale ai prezzi (“ Il servizio è regolato da contratti stipulati di volta in volta tra ELLECI SERVICE SRL ed il Cliente. I prezzi dei servizi, compresi quelli accessori, sono concordati tra le parti con libera contrattazione. L’elenco di tutti i servizi offerti, compresi quelli accessori, è pubblicato sul nostro sito internet www.elleciservice.it ”) che non soddisfa, come ha rilevato correttamente il TAR, le esigenze di tutela e di adeguata informazione in ossequio del principio di trasparenza richiesto dalla normativa. Anche la parte dove E richiama genericamente l’articolo 1696 del codice civile per quanto riguarda i rimborsi non è sufficiente, in quanto non soddisfa le previsioni puntuali della Direttiva (informazione chiara ed inequivocabile, semplice e intelligibile, sintetica e precisa, agevolmente accessibile e direttamente disponibile sul sito). Per quanto riguarda il formulario mancante per la conciliazione e per la risoluzione delle controversie dinnanzi all’Autorità un mero rinvio alla Carta Servizi e ad altri siti non è sufficiente stante l’obbligo preciso di “ rendere disponibile sul proprio sito ” – il tenore chiaro e letterale esclude la via indiretta. Quanto evidenziato dalla Sezione che “ è dunque confermato che in capo agli operatori postali incombe l'obbligo di fornire agli utenti tre tipi distinti di formulario, connessi alle più volte citate procedure: a) quello per presentare reclamo (all'operatore postale);
b) quello per presentare la domanda di conciliazione (all'operatore postale);
c) quello per chiedere la risoluzione della controversia (all'AGCOM). Ogni diversa organizzazione della “reclamistica” non è compatibile con la disciplina settoriale vigente, il cui mancato rispetto provoca l’inevitabile intervento dell’Autorità. Il Collegio, dunque, condivide la valutazione di non conformità alla predetta disciplina della condotta accertata, nel senso che l'impresa non ha predisposto meccanismi idonei ad ottemperare ai seguenti obblighi: - la descrizione dei servizi offerti anche mediante tabelle comparative tra prodotti offerti, recante la descrizione completa delle caratteristiche di ciascun servizio con indicazione dei prezzi e degli standard di qualità di ciascuno;
[…] - il formulario per la presentazione del reclamo per il disservizio postale e il formulario per la eventuale domanda di conciliazione, nonché il formulario per la risoluzione delle controversie approvato con delibera n.184/13/CONS;
- lo schema riassuntivo dei rimborsi e/o indennizzi per disservizi;
- la numerazione telefonica gratuita per i servizi di assistenza clienti
” (Cons. Stato, sez. VI, 14 settembre 2022, n. 7980) è da confermare pienamente anche nella vicenda che ci occupa. È pacifica l’assoggettabilità dei servizi di corriere espresso agli obblighi informativi in quanto “ se è vero, dunque, che i servizi di corriere espresso sono di regola utilizzati da utenti professionali, in qualità di mittenti, ciò non può comportare una deminutio per i destinatari che sono i beneficiari ultimi del servizio. Peraltro, è sempre più diffuso il ricorso diretto degli utenti agli stessi servizi in questione, con la conseguente definitiva conferma della esigenza di estendere le previste garanzie ” (Cons. Stato, sez. VI, 13 luglio 2022, n. 5893).

13.4 L’appellante invoca anche in sede d’appello l’avvenuta rinuncia della licenza individuale, ma senza che ciò rilevi, considerato che il Disciplinare delle procedure per il rilascio dei titoli abilitativi per l’offerta pubblico dei servizi postali, adottato con Decreto del Ministro dello Sviluppo Economico del 29 luglio 2015 prevede all’art. 9 che tutti i soggetti titolari di autorizzazione generale sono tenuti al rispetto degli obblighi elencati nell’art. 11 del Regolamento sui titoli abilitativi (allegato A alla delibera 129/15/CONS dell’11 marzo 2015);
il soggetto titolare di autorizzazione generale deve dunque rispettare le disposizioni della Direttiva sulle carte dei servizi, adottata con delibera n. 413/14/CONS.

13.5 Inconferente risulta anche l’avvenuta oblazione (solo) per talune delle contestazioni mosse all’inizio della procedura, essendo l’oblazione un istituto previsto dalla legge n. 689/1981 di cui il beneficiario si può avvalere, versando il doppio del minimo edittale della sanzione di cui all’art 21, comma 7, del 16 d.lgs. n. 261/1999, entro e non oltre i 60 giorni decorrenti dalla notifica dell’atto di contestazione per estinguere il procedimento sanzionatorio. Ne consegue che l’oblazione parziale effettuata da E esula dal provvedimento impugnato.

14. La doglianza di cui al terzo motivo, sul mancato cumulo giuridico, è del pari infondata, atteso che:

- l’art. 8, comma 1, della legge n. 689/1981 limita l’applicabilità del “cumulo giuridico” alla sola ipotesi del concorso formale tra le violazioni contestate e quindi per le sole ipotesi di violazioni plurime, ma commesse con un’unica azione od omissione;

- il cumulo giuridico non può essere invocato con riferimento all’altra e diversa ipotesi del concorso materiale tra violazioni commesse con più azioni od omissioni;

- la pluralità di condotte, ancorché eventualmente animate da un’unica strategia di impresa, determina l’insorgenza di una pluralità di sanzioni distinte, una per ogni violazione accertata, mantenendo tutte una loro distinta autonomia sul piano giuridico (Cons. Stato, Sez. VI, 31 marzo 2022, n. 2363);

- alla luce di questi principi consolidati, correttamente il TAR ha ritenuto che nel caso di specie l’Autorità ha legittimamente quantificato la sanzione ad E, avendo le disposizioni violate attraverso le singole condotte omissive finalità differenti e regolando fattispecie che non possono essere considerate unitariamente: a) omessa indicazione di informazioni e modulistica riguardanti gli strumenti di tutela concretamente utilizzabili dall’utenza;
b) violazione di obblighi informativi relativi all’indicazione completa delle condizioni economiche e degli standard di qualità.

15. Infine, parimenti destituito di fondamento è il quarto ed ultimo motivo, dedotto in ordine alla misura delle sanzioni. Parte appellante lamenta l’illegittimità dell’atto anche nella parte relativa al calcolo della sanzione pecuniaria, determinata in 20.000 € e in 10.000 €. In linea generale, i criteri di cui fare applicazione in sede di commisurazione delle sanzioni pecuniarie sono rinvenibili nell'ambito dell'art. 11 della legge n. 689 del 1981, per il quale, “ nella determinazione della sanzione amministrativa pecuniaria fissata dalla legge tra un limite minimo ed un limite massimo e nell'applicazione delle sanzioni accessorie facoltative, si ha riguardo alla gravità della violazione, all'opera svolta dall'agente per l'eliminazione o attenuazione delle conseguenze della violazione, nonché alla personalità dello stesso e alle sue condizioni economiche ” (Cons. Stato, Sez. VI, 24 agosto 2011, n. 4799). Nella fattispecie l’Autorità ha fatto corretto utilizzo dei parametri di quantificazione di cui alla normativa di principio, quali: la gravità della violazione, l’opera svolta dall'impresa per eliminare o attenuare l’infrazione, la personalità dell’agente e le condizioni economiche dell’impresa stessa, valorizzando: l’elevata qualificazione professionale del soggetto agente;
la gravità della condotta, che rappresenta un aggravio ingiustificato, in termini economici, per la clientela che necessita di informazioni sul servizio, in quanto condiziona ad un onere aggiuntivo, e non previamente determinabile l’esercizio del diritto ad ottenere informazioni sul servizio offerto. Va tenuto anche conto del fatto che, per essere effettiva e dissuasiva, la quantificazione della sanzione deve essere correlata al rilievo economico e all’importanza del professionista (Cons. Stato, sez. VI, 17 dicembre 2018, n. 7107). Pertanto è corretto fare riferimento al fatturato e non all’utile di esercizio, senza nemmeno dover conto delle eventuali perdite di esercizio dell’impresa sanzionata ( ex plurimis Cons. Stato, sez. VI, 9 marzo 2021 n. 1994). L’entità della sanzione non deve nemmeno commisurarsi ai ricavi sul singolo prodotto oggetto della condotta illecita, ma sempre e comunque all’importanza e alle condizioni economiche dell’impresa, ai sensi dell’artt. 11, della legge n. 689/1981, e ciò proprio per il rispetto del principio di proporzionalità e di adeguatezza della sanzione, in modo da garantirne un’efficacia deterrente, dovendosi, in sede di valutazione del criterio della dimensione economica del professionista, tener conto del fatturato complessivo dallo stesso realizzato (in questi termini Cons. Stato, sez. VI, 18 gennaio 2012, n. 176).

16. Parimenti infondata è la richiesta di restituzione delle somme corrisposte a titolo di oblazione atteso che, come innanzi esposto, l’oblazione parziale effettuata dalla E esula dal provvedimento impugnato.

17. L’istanza risarcitoria riproposta anche in sede di appello – avendo il Collegio già respinto tutti i motivi circa l’annullamento del provvedimento gravato, ritenendolo legittimo – è destituita di qualsiasi fondamento, non essendo presenti gli elementi costitutivi di alcun danno ingiusto.

18. Alla luce delle considerazioni che precedono l’appello va dunque respinto.

19. La soccombenza determina la decisione delle spese di lite che saranno liquidate nel dispositivo.

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