Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2010-09-10, n. 201006549

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2010-09-10, n. 201006549
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201006549
Data del deposito : 10 settembre 2010
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 10446/1999 REG.RIC.

N. 06549/2010 REG.DEC.

N. 10446/1999 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

DECISIONE

Sul ricorso numero di registro generale 10446 del 1999, proposto da:
I R S, rappresentato e difeso dall'avv. C F, con domicilio eletto presso Sabina Colletti in Roma, viale degli Ammiragli,114;

contro

U.S.L. /10 Azienda Sanitaria - Camerino, rappresentato e difeso dagli avv. S D V, A M, con domicilio eletto presso S D V in Roma, viale Angelico, 38;

nei confronti di

Regione Marche, Mantovani Angelo;

per la riforma

della sentenza del TAR MARCHE - ANCONA n. 00979/1999, resa tra le parti, concernente ACCORPAMENTO PROVVISORIO DIVISIONE DI OSTETRICIA E GINECOLOGIA.


Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 marzo 2010 il Cons. N R e uditi per le parti gli avvocati Tolomeo per delega dell’Avv. Fraticelli, e l’Avv. Del Vecchio;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con ricorso dinanzi al T.A.R. Marche n. 1465/97 il dr. I prof. Renato Salvatore impugnava, chiedendone l’annullamento, i seguenti atti:

il provvedimento del Direttore Generale della AUSL n. 10 di Camerino n. 182 del 4.8.1997, avente ad oggetto “Accorpamento provvisorio per 90 giorni del punto nascita programmato della Divisione di Ostetricia e Ginecologia di Camerino presso quella di San Severino Marche” e dell’ordinanza n. 1 del 5.8.1997, prot. n. 791, del Direttore Sanitario;

la deliberazione n. 283 dell’11.9.1997, avente ad oggetto “Riorganizzazione provvisoria della Unità Operativa di Ostetricia e Ginecologia”;

la lettera in data 27.10.1997, prot. n. 18228, del Direttore Generale della AUSL n. 10 di Camerino;

la lettera in data 29.10.1997, prot. n. 1040-int., del Direttore Generale della AUSL n. 10 di Camerino;

l’atto del Direttore Generale n. 437 del 28.10.1997, avente ad oggetto “Organigramma aziendale. Disciplina competenze e funzioni della direzione generale, dirigenti e unità operative. Modalità di adozione degli atti, relative procedure e tipologie”, nonché di ogni atto presupposto, conseguente e collegato.

Le censure svolte dal ricorrente si sostanziavano in: incompetenza del Direttore Generale in materia di soppressione ed accorpamento di strutture sanitarie;
violazione della convenzione per la gestione della Scuola di Ostetricia;
violazione dell’art. 8 R.D.L. 15.10.1936, n. 2128;
violazione dell’art. 13 R.D. 24.7.1940, n. 1630, essendo stata disattesa la sua posizione di Direttore del Reparto di Ostetricia e Ginecologia, conseguente alla funzione di Direttore della Scuola di Ostetricia.

Prima del dr. I, con ricorso dinanzi al T.A.R. Marche n. 1037/97, era insorto il Comune di Camerino avverso la decisione di accorpamento n. 182/97 del D.G. dell’Azienda, deducendo il motivo di incompetenza del Direttore Generale, essendo autorizzata a disporre degli accorpamenti delle strutture sanitarie solo la Regione, ed eccesso di potere per illogicità, difetto di motivazione e di istruttoria, dal momento che il provvedimento è stato adottato senza aver prima esperito tutti i tentativi per scongiurarlo ed essendo state ignorate sia la diffida del Sindaco di Camerino che le proposte del Primario di Ostetricia.

Il Comune, con successivo ricorso n. 1479/97, aveva gravato anche la decisione del D.G. dell’Azienda n. 283 dell’11.9.1997.

Il T.A.R. delle Marche, sede di Ancona, con sentenza n. 979/99, pubblicata il 25 settembre 1999, riuniti i tre ricorsi e preso atto che nelle more del giudizio il D.G. dell’Azienda aveva “individuato i Dipartimenti previsti dalla L.R. 17/7/26, n. 26, di riordino del servizio sanitario regionale in esecuzione del D.Lg.vo. 30.12.1992, n. 502, come modificato dal D.Lg.vo 7.12.1993, n. 517, allo scopo di sostituire la precedente organizzazione, basata sulla distinzione tra divisioni, reparti e servizi”, ha dichiarato la sopravvenuta carenza di interesse dei ricorrenti, atteso che, ancorché fossero annullati gli atti impugnati, nessun beneficio ne deriverebbe loro, essendo il contestato assetto organizzativo definito dai provvedimenti sopravvenuti.

In particolare, per quanto riguarda la posizione del dr. I, la sentenza ha sottolineato che “neppure residua un interesse morale alla decisione del …. ricorso, dal momento che un siffatto interesse non è configurabile nei confronti di qualsiasi atto amministrativo in quanto lesivo – essendo la lesione un requisito essenziale per la proponibilità del ricorso – ma solo per gli atti che, sia pure per implicito, presuppongono valutazioni negative sul comportamento, sul prestigio, sul merito professionale o sulla dignità di un determinato soggetto giuridico: tanto non è ravvisabile per i provvedimenti impugnati, affatto fondati, neppure indirettamente, su queste valutazioni, ma unicamente sull’opportunità di una diversa dislocazione territoriale di uno specifico servizio sanitario”.

Avverso la prefata sentenza ha proposto appello solo il dr. I, deducendo i seguenti motivi:

Violazione dell’art. 23, u.c. L. 6.12.1971, n. 1034;
errata valutazione dei fatti e delle censure mosse ai provvedimenti impugnati con specifico riferimento alla posizione del ricorrente, quale Direttore della Scuola autonoma di Ostetricia di Camerino;
conseguente errata valutazione nella dichiarazione di sopravvenuta carenza di interesse, poiché il T.A.R. non ha considerato la violazione degli obblighi legislativi e convenzionali dell’Azienda Sanitaria per garantire il funzionamento della Scuola di Ostetricia, conculcando, sotto la parvenza della riorganizzazione della struttura ospedaliera, la funzione di Primario del Reparto di Ostetricia in capo al dr. I e impedendo l’insegnamento pratico delle allieve. L’interesse alla decisione del ricorso sussiste, perché la delibera n. 146 del 21.4.1999 non è, come afferma il T.A.R. Marche, la conclusione di “una rinnovata valutazione istruttoria”, bensì “un operoso ravvedimento del D.G. che si è accorto di avere portato ad estreme conseguenze la situazione con l’esautorazione del prof. I dalle funzioni primariali che gli competono per legge”, e non supera le violazioni di legge contestate, segnatamente dell’art. 13 R.D. 24.7.1940, n. 1630.

Violazione dell’art. 33, u.c. L. 6.12.1971, n. 1034;
errata ricostruzione del c.d. processo di dipartimentalizzazione della AUSL n. 10;
contraddittoria valutazione rispetto alla dichiarata sopravvenuta carenza di interesse, in quanto è la Regione a dover intervenire sulla riorganizzazione delle strutture ospedaliere, mentre la costituzione del Dipartimento Materno Infantile, con l’accorpamento dei Reparti, è avvenuta in assoluta assenza dei presupposti di legge, ovvero senza che la Regione avesse adottato il provvedimento (piano sanitario regionale) che le competeva. Non si vede come l’AUSL possa, con la delibera 146 del 21.4.1999, attivare il Dipartimento Materno Infantile, se ancora l’apposita Commissione prevista dal PSR non ha fornito gli indirizzi necessari.

Violazione dell’art. 23, u.c. L. 6.12.1971, n. 1034;
errata valutazione del T.A.R. Marche rispetto all’interesse morale del ricorrente ad ottenere l’annullamento delle delibere anzidette, anche sotto il profilo risarcitorio per i danni subiti, poiché “l’esaurimento degli effetti di un atto amministrativo impugnato in sede giurisdizionale non determina la cessazione della materia del contendere se la Pubblica amministrazione non abbia anche eliminato il provvedimento stesso con effetto ex tunc. Nel caso di specie il ricorrente è stato spogliato delle funzioni primariati, e non ha potuto svolgere il compito di insegnamento pratico alle allieve e l’attività di ricerca.

Si è costituita l’Azienda Unità Sanitaria Locale n. 10 delle Marche, che ha chiesto il rigetto del ricorso in quanto infondato.

Prima dell’udienza di discussione le parti hanno depositato memorie illustrative, insistendo per l’accoglimento delle conclusioni già rassegnate nei rispettivi scritti difensivi.

Alla pubblica udienza del 23.3.2010 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

L’appello è infondato in quanto correttamente l’originario ricorso del dott. I, al pari di quelli del Comune di Camerino, è stato dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse.

Afferma la sentenza appellata che “gli atti impugnati con i tre ricorsi e relativi al temporaneo (90 giorni) e poi provvisorio accorpamento del punto nascita di Camerino con quello di San Severino Marche sono stati … superati, anche se sostanzialmente confermati, dalle suindicate decisioni n. 128/99 e n. 146/99 che, a loro volta, in quanto emanate a seguito di rinnovata valutazione ed istruttoria, non sono affatto meramente consequenziali o confermative di quelli, appunto, impugnati: di conseguenza, anche se questi atti fossero annullati, nessun beneficio ne deriverebbe ai ricorrenti, essendo il contestato assetto organizzativo comunque definito dai provvedimenti sopravvenuti”.

E, invero, nella specie appaiono incontestabili due dati:

- quello della emanazione, successivamente al ricorso di prime cure, di una serie di atti dell’Azienda che hanno conferito assetto definitivo alla “dipartimentalizzazione”, superando quelli oggetto dell’impugnativa;

- quello della mancata censura di essi da parte del dr. I.

La giurisprudenza nega, infatti, la sussistenza dell’interesse al ricorso nei confronti di un provvedimento dal cui annullamento non deriverebbe alcun vantaggio per via della perdurante efficacia di un diverso atto che produrrebbe gli stessi effetti.

L’interesse a ricorrere costituisce una condizione dell’azione che deve persistere per tutto il giudizio, dal momento introduttivo a quello della sua decisione e la cui carenza è rilevabile d’ufficio, in qualunque stato del processo, dal giudice della causa.

Nel processo amministrativo la dichiarazione di improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse può essere pronunciata al verificarsi di una situazione di fatto o di diritto del tutto nuova e sostitutiva rispetto a quella esistente al momento della proposizione del ricorso, tale da rendere certa e definitiva l’inutilità della sentenza, per avere fatto venire meno per il ricorrente qualsiasi (anche soltanto strumentale o morale o comunque residua) utilità della pronuncia del giudice (cfr. Cons. St., Sez. IV, 9.9.2009, n. 5402;
id., 11.10.2007, n. 5355).

Il ricorso va, dunque, dichiarato improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse quando il processo non possa per qualsiasi motivo produrre un risultato utile per il ricorrente. La sopravvenuta carenza dell’interesse al ricorso giurisdizionale, infatti, si verifica per effetto del mutamento della situazione di fatto e di diritto dedotta in sede di ricorso, rendendo priva di qualsiasi residua utilità giuridica, ancorché meramente strumentale o morale, una pronuncia del giudice adito sulla fondatezza della pretesa dedotta in giudizio (cfr. Cons. St., Sez. V, 6.7.2007, n. 3853).

La declaratoria di improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse riguarda dunque l’ipotesi - come quella di cui al caso di specie - in cui l’atto amministrativo impugnato abbia cessato di produrre i suoi effetti per il mutamento della situazione di fatto o di diritto presente al momento della proposizione del ricorso che faccia venir meno l’effetto del provvedimento impugnato, ovvero per l’intervenuta adozione di un nuovo provvedimento idoneo a ridefinire l’assetto degli interessi in gioco e tale da rendere certa e definitiva l’inutilità della sentenza anche dal punto di vista di un interesse morale o strumentale.

La sentenza impugnata in questa sede, del resto, afferma esplicitamente che “Diversamente, inoltre, da quanto dedotto dal difensore del prof. I con la memoria depositata il 9.6.99, nella fattispecie, neppure residua un interesse morale alla decisione del … ricorso, dal momento che un siffatto interesse non è configurabile nei confronti di qualsiasi atto amministrativo in quanto lesivo …ma solo per gli atti che, sia pure per implicito, presuppongono valutazioni negative sul comportamento, sul prestigio, sul merito professionale o sulla dignità di un determinato soggetto giuridico: tanto non è ravvisabile per i provvedimenti impugnati, non affatto fondati, neppure indirettamente, su queste valutazioni, ma unicamente sull’opportunità di una diversa dislocazione territoriale di uno specifico servizio sanitario”.

Come fondatamente eccepito dall’Azienda appellata, è, quindi, insussistente l’interesse del dr. I alla decisione del suo ricorso, interesse meramente asserito e non dimostrato, e ciò a prescindere dal “dato inconfutabile della mancata attuazione delle decisioni impugnate, poi addirittura travolte dalla chiusura dell’Ospedale a seguito del sisma” (del 26.9.1997);
non risulta, del resto, scalfita la conclusione del T.A.R. Marche, che collega la sussistenza dell’interesse morale a valutazioni negative sul comportamento, prestigio, merito professionale o dignità del soggetto, elementi tutti esclusi nei provvedimenti anzidetti, fondati unicamente sull’esigenza di “una diversa dislocazione territoriale di uno specifico servizio sanitario”.

Anzi, come pure aggiunge la difesa dell’Azienda appellata, il dr. I, “con la nuova articolazione delle strutture ospedaliere si è visto accrescere, e non diminuire, le opportunità per la funzione di Direttore della Scuola e di Primario del Reparto di Ostetricia e le occasioni per l’attività libero-professionale” e “il suo trattamento economico-giuridico non ha subito alcuna “deminutio”, essendo stato remunerato come Primario Ospedaliero a tempo definito, in applicazione della L. n. 213/71, modificata dal D.P.R. n. 382/80.

L’appello in esame deve, pertanto, essere respinto, con conseguente conferma della sentenza impugnata.

Sussistono, tuttavia, giusti motivi per disporre l’integrale compensazione fra le parti delle spese ed onorari del presente grado di giudizio.

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