Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2012-08-22, n. 201204587

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2012-08-22, n. 201204587
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201204587
Data del deposito : 22 agosto 2012
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00422/2012 REG.RIC.

N. 04587/2012REG.PROV.COLL.

N. 00422/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 422 del 2012, proposto da:
Ministero dell'Interno, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

contro

F G, rappresentato e difeso dall'avv. E M, con domicilio eletto presso E M in Roma, via Tacito n. 50;

per la riforma

della sentenza breve del T.A.R. LAZIO - ROMA: SEZIONE I TER n. 07874/2011, resa tra le parti, concernente trasferimento dalla Questura di Roma al Compartimento Polizia Ferroviaria di Ancona per incompatibilità ambientale


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di F G;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 1 giugno 2012 il Pres. Pier Giorgio Lignani e uditi per le parti l’avvocato Mazzola e l’avvocato dello Stato Lumetti;

Ritenuto di poter procedere alla definizione immediata della controversia ai sensi dell’art. 60 c.p.a.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. L’appellato, già ricorrente in primo grado, assistente capo della Polizia di Stato, è stato oggetto di un procedimento penale scaturito da indagini su elementi della criminalità organizzata calabrese con i quali l’interessato risultava avere frequentazioni e rapporti per ragioni estranee ai doveri d’ufficio.

All’interessato erano stati contestati i reati di concorso nello spaccio di stupefacenti e di favoreggiamento della immigrazione clandestina. In concreto, gli veniva addebitato di collaborare alla gestione di un locale notturno che impiegava immigrate clandestine e nel quale si spacciava cocaina. Il locale era gestito da un pregiudicato per conto del vero proprietario;
quest’ultimo era un latitante poi arrestato.

Con sentenza del 21 dicembre 2007 del G.U.P. di Roma l’interessato è stato prosciolto “perché il fatto non sussiste”.

2. Dopo la conclusione del procedimento penale, l’Amministrazione della P.S. ha iniziato un procedimento disciplinare, nel presupposto che i comportamenti emersi e accertati, ancorché giudicati privi di rilevanza penale, fossero comunque in grave contrasto con i doveri di ufficio di un graduato della Polizia di Stato. All’esito del procedimento disciplinare è stata irrogata la sanzione della destituzione dal servizio.

L’interessato ha impugnato il provvedimento chiedendone la sospensione. La sospensiva, negata dal T.A.R., è stata concessa dal Consiglio di Stato, sez. VI, con ordinanza 11 settembre 2009.

Il ricorso al T.A.R. è ancora pendente.

3. Preso atto dell’ordinanza di sospensiva del Consiglio di Stato, l’Amministrazione della P.S. ha avviato un nuovo procedimento a carico dell’interessato, questa volta per “incompatibilità ambientale”.

All’esito lo ha trasferito dal Commissariato di Frascati (Roma) alla sezione di polizia ferroviaria di Ancona, sottosezione di Pescara.

4. L’interessato ha impugnato davanti al T.A.R. Lazio l’atto di trasferimento per “incompatibilità ambientale”.

Il T.A.R. Lazio, con sentenza n. 7874/2011, ha accolto il ricorso e ha annullato il provvedimento impugnato.

Il Ministero dell’Interno propone ora appello davanti a questo Consiglio.

L’appellato si è costituito con memorie e documenti. Nelle sue difese, fra l’altro, ripropone una censura prospettata in primo grado in subordine e non esaminata dal T.A.R.: e cioè quella relativa alla scelta della sede di destinazione, che l’interessato considera eccessivamente gravosa per lui.

La trattazione della domanda cautelare è stata rinviata al merito. Infine il ricorso è stato discusso all’udienza odierna.

5. Nel merito, si osserva innanzi tutto che il provvedimento amministrativo di cui ora si discute (trasferimento per incompatibilità ambientale) basa la sua motivazione sul medesimo episodio per il quale l’interessato ha ricevuto la sanzione disciplinare della destituzione (provvedimento impugnato e sospeso, tuttora sub iudice ) ed in precedenza aveva subìto un procedimento penale (conclusosi con il proscioglimento).

Questa molteplicità di procedimenti non costituisce, di per sé, una illegittimità, e neppure il sintomo di un ipotetico vizio di eccesso di potere. Si tratta di procedimenti autonomi, diversi nei presupposti, negli strumenti e nelle finalità, quand’anche, come nel caso in esame, traggano origine dal medesimo episodio. Un comportamento, giudicato non punibile in sede penale, ben può essere sanzionato in sede disciplinare, e inoltre può essere preso a motivo di un trasferimento per incompatibilità ambientale. Inoltre il trasferimento per incompatibilità ambientale può essere disposto (beninteso se ve ne sono gli estremi) indipendentemente dal fatto che vi sia stato o non vi sia stato un procedimento disciplinare, e anche se quest’ultimo sia ancora in corso ovvero si sia concluso con un provvedimento ancora sub iudice .

6. Il presupposto essenziale del trasferimento per incompatibilità ambientale è che sussista obiettivamente una situazione di fatto per effetto della quale la permanenza dell’impiegato in una determinata sede è di nocumento al “prestigio dell’amministrazione”. E’ irrilevante che tale situazione dipenda o meno da un comportamento volontario dell’interessato e che tale comportamento sia sanzionabile in sede penale e/o disciplinare.

Anche nel caso in esame, dunque, il fatto che l’interessato abbia già ricevuto una sanzione disciplinare (peraltro impugnata e attualmente sospesa in attesa dell’esito del giudizio) non esclude che gli stessi fatti vengano presi in considerazione, questa volta non per punire il dipendente, ma per porre rimedio ad una situazione obiettivamente lesiva del prestigio dell’amministrazione.

Ci si chiede, dunque, se in concreto sussista una situazione lesiva in tal senso. La risposta a questa domanda comporta necessariamente una disamina dei comportamenti dell’interessato, però non in quanto meritevoli, in ipotesi, di una sanzione disciplinare, bensì in quanto produttivi sul piano esterno di un nocumento al prestigio dell’amministrazione – nocumento rimediabile, anche solo in parte, con l’assegnazione dell’interessato ad altra sede.

7. Nella motivazione del provvedimento di trasferimento (decreto del Capo della Polizia 5 maggio 2011, prot. 333.D.35121) i comportamenti dell’interessato sono così descritti:

« - aver frequentato assiduamente un latitante legato alla malavita organizzata calabrese, nonché la moglie del medesimo, dopo che questi era stato tratto in arresto;

- aver collaborato occasionalmente con un [altro] pregiudicato, anch’esso legato alla criminalità organizzata calabrese, alla gestione di una discoteca romana, frequentata quasi esclusivamente da cittadini stranieri non in regola con il permesso di soggiorno;

- avere fornito, in più occasioni, notizie riguardanti la posizione amministrativa degli stranieri che si recavano presso il locale in questione;

- essere stato a conoscenza di episodi di cessione ed assunzione di sostanze stupefacenti avvenuti all’interno dell’esercizio commerciale, nonché di aver fatto richiesta egli stesso dell’illecita sostanza, in una occasione, per conto di un suo conoscente» .

8. Per la miglior comprensione dei fatti richiamati, è utile fare riferimento al processo penale definito con sentenza di proscioglimento del G.U.P. del 21 dicembre 2007.

In quella occasione, all’attuale appellato erano stati mossi i seguenti capi d’imputazione: «delitto [di favoreggiamento continuato dell’immigrazione clandestina] perché... al fine di trarre ingiusto profitto, favoriva la permanenza nello Stato di cittadine extracomunitarie illegalmente presenti nel territorio facendole lavorare, senza regolare contratto di lavoro, presso [il locale notturno] alla cui gestione collaborava, avvisandole preventivamente dei controlli della polizia programmati nel locale, nonché comunicando una serie di notizie apprese in ragione del suo lavoro, in modo da evitare che venissero controllate e rimpatriate (...);
delitto [di violazione continuata delle leggi sugli stupefacenti] perché ... illegalmente deteneva e cedeva a terzi quantitativi imprecisati di cocaina»
.

Come si è detto, l’interessato è stato prosciolto da entrambe le imputazioni e la sentenza è divenuta definitiva, ma ai fini di cui qui si discute è indispensabile richiamarne la motivazione.

9. Va premesso che in quel processo penale l’interessato aveva ammesso di avere collaborato “saltuariamente” nel locale notturno come buttafuori e come addetto al controllo dei biglietti d’ingresso per arrotondare i propri stipendi;
che in quel locale si facesse spaccio di stupefacenti e vi fosse la presenza, come lavoratrici in nero (non è stato detto con quali mansioni) di cittadine rumene (all’epoca extracomunitarie) senza permesso di soggiorno, è stato ampiamente provato e non è controverso.

Il G.U.P. ha riconosciuto che l’attuale appellato «certamente collaborava, ma con mansioni di secondario profilo, all’attività della discoteca», ma, quanto al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, ha affermato che «non vi [erano] elementi probatori sicuri per affermare [a suo riguardo] la sussistenza del “fine di profitto” elemento certamente costitutivo del delitto in esame». Inoltre, poiché il fatto concerneva cittadine rumene, il G.U.P. ha posto il dubbio (senza risolverlo) se l’illecito fosse tuttora punibile dopo l’ingresso (avvenuto a distanza di alcuni anni dai fatti) della Romania nell’Unione Europea. Ha aggiunto che nessun elemento probatorio confortava l’ipotesi che l’imputato avesse preavvisato il gestore del locale di eventuali controlli di polizia.

Quanto al reato di spaccio di stupefacenti, il G.U.P. ha ricordato come fatto incontroverso che l’interessato «faceva uso di cocaina acquistandola da C. [il gestore del locale] ma, in assenza di sicuri riscontri circa una sua partecipazione all’attività di spaccio, deve concludersi che la comprasse solo per uso personale».

10. Come si vede, nonostante la (doverosa) impostazione garantistica, la sentenza penale assume come fatto accertato che in quel locale notturno si svolgessero abitualmente, ad opera del gestore, almeno due attività illecite: l’utilizzazione di immigrate clandestine (con mansioni imprecisate), e lo spaccio di stupefacenti. Essa esclude che l’attuale appellato ne fosse complice in senso penalmente rilevante ( rectius afferma che non vi sono sicuri elementi probatori in tal senso): ma dal suo contesto emerge che quei traffici illeciti si svolgevano tranquillamente sotto i suoi occhi, e che anzi dello spaccio di stupefacenti egli si avvaleva abitualmente per il suo consumo personale. D’altra parte, l’interessato frequentava quel locale non quale avventore, bensì come collaboratore retribuito.

11. Se tutto questo è vero, sembra innegabile che tali comportamenti (sia pure non sanzionabili penalmente) siano idonei ad apportare un gravissimo nocumento all’immagine e al prestigio della Polizia. L’interessato teneva bordone a traffici illeciti organizzati, che nell’esercizio delle sue funzioni avrebbe avuto il dovere di reprimere (eventualmente anche con l’arresto in flagranza) e quanto meno denunciare;
faceva tutto ciò percependo una retribuzione dall’autore degli illeciti e giovandosi dell’opportunità di procurarsi stupefacente per il suo consumo personale.

E se è vero che non è stato positivamente provato che egli abbia preavvisato il gestore dei controlli di polizia, non ci si può nascondere, secondo le comuni conoscenze ed esperienze, che se il gestore di un locale dove si svolgono traffici illeciti di quella sorta assume a libro paga (in nero) un assistente di polizia, lo fa proprio perché si attende (forse a torto) che costui possa tornargli utile, in qualche modo, nei rapporti con le forze dell’ordine.

Il cittadino comune che viene a conoscenza di simili episodi non può farsi che un’immagine estremamente negativa del personale di polizia e tale effetto non viene certo dissipato da sentenze penali assolutorie motivate come quella che si è vista.

Vi sono poi gli ulteriori fatti citati nella motivazione del trasferimento (la frequentazione dell’interessato con un latitante legato alla malavita organizzata calabrese, nonché con la moglie di costui dopo il di lui arresto;
la circostanza, verosimilmente nota all’interessato, che il suddetto latitante era il vero dominus del locale notturno, mentre il gestore C. ne era solo un fiduciario) i quali, se debitamente accertati, sarebbero ugualmente pregiudizievoli al prestigio dell’amministrazione ma dai quali si può qui prescindere in quanto sono rimasti estranei al processo penale e pertanto, a differenza degli altri fatti, non sono suffragati dalla sentenza del G.U.P..

12. Sin qui, risulta accertato il primo elemento dell’incompatibilità ambientale, e cioè il danno al prestigio dell’amministrazione.

Resta da vedere se, nella concretezza della fattispecie, risultino altre circostanze che inducano a ritenere comunque incongruo o immotivato il provvedimento di trasferimento, come dedotto dall’interessato e come ritenuto, in effetti, dal T.A.R..

12.1. Il primo aspetto da esaminare a questo riguardo è quello della tempestività del provvedimento. Si assume che tra lo svolgimento dell’episodio incriminato (anni 2002-2003) e il provvedimento di trasferimento (maggio 2011) è passato un tempo abbastanza lungo per neutralizzare gli effetti pregiudizievoli prodotti dall’episodio sull’opinione pubblica.

Ad avviso di questo Collegio, l’intervallo non è così lungo, se si considera che la sentenza penale di proscioglimento è stata pronunciata nel dicembre 2007, e che sùbito dopo è stato avviato il procedimento disciplinare concluso nel dicembre 2008 con il provvedimento di destituzione. Quest’ultimo è stato sospeso dal giudice amministrativo nel settembre 2009 e con decreto del 2 ottobre 2009 l’interessato è stato riammesso in servizio. Solo in questo momento l’amministrazione ha dovuto porsi il problema di tutelare il prestigio dell’amministrazione, che prima poteva dirsi in qualche misura tutelato dalla pendenza di un processo penale e, poi, dall’esistenza di un provvedimento disciplinare. D’altra parte davanti all’opinione pubblica i fatti erano relativamente “recenti” perché la loro notorietà era stata prodotta o comunque alimentata proprio dalla intervenuta sentenza penale e dal provvedimento disciplinare. Si trattava insomma di una vicenda aperta e tuttora sub iudice . Infine il tempo trascorso fra la riammissione in servizio e il trasferimento è dovuto sostanzialmente ai tempi tecnici inerenti al procedimento, che includono anche le garanzie procedurali dovute all’interessato.

12.2. L’appellato deduce, tuttavia, che nell’intervallo fra la riammissione in servizio (ottobre 2009) e il trasferimento (maggio 2011) egli ha avuto un ottimo stato di servizio, raccogliendo encomi ed altri riconoscimenti formali e informali. Di nuovo, viene dedotto che il danno al prestigio dell’amministrazione è stato in tal modo bilanciato e neutralizzato.

Il Collegio osserva che, in effetti, si può ben credere che l’interessato (trovandosi nella condizione di destituito disciplinarmente, precariamente riammesso in servizio per effetto di un provvedimento cautelare) abbia fatto tutto il possibile per dare buona prova di sé, e che in questo senso abbia ottenuto anche dei risultati.

Nondimeno, la gravità dei fatti dannosi per il prestigio dell’amministrazione appare tale da non consentire il preteso “bilanciamento”.

12.3. Un terzo argomento dell’appellato è che i fatti incriminati si sono svolti nella città di Roma, mentre quando è stato emesso il provvedimento di trasferimento per incompatibilità ambientale la sua sede di servizio non era più la stessa, ma era Frascati.

Questo aspetto era stato già fatto presente dall’interessato nel corso del procedimento amministrativo, e il provvedimento impugnato ne dà atto, replicando argomentatamente. Nella motivazione del decreto si legge, al riguardo, che il commissariato di Frascati dipende dalla Questura di Roma, e che le due città sono molto vicine fra loro;
sicché non si può dire che siano due ambienti reciprocamente estranei, per quanto qui interessa.

Il giudizio dell’amministrazione deve essere condiviso. Se l’interessato aveva legami indebiti con ambienti della criminalità operante nella città di Roma, l’assegnazione alla sede di Frascati non costituisce un ostacolo al mantenimento di quel tipo di legami. Ciò si dice non perché lo scopo del trasferimento per incompatibilità ambientale sia quello di prevenire siffatti comportamenti illeciti: ma perché lo scopo è quello di eliminare situazioni di fatto pregiudizievoli per l’amministrazione, e la situazione pregiudizievole in questo caso sussiste anche se l’interessato presta servizio a Frascati.

13. Viene ora in esame la domanda dell’appellato, con il quale si ripropone la censura subordinata (non esaminata dal T.A.R.) rivolta contro la scelta della sede di destinazione.

In proposito, l’appellato espone che il servizio nella sede di Pescara comporta per lui un sacrificio eccessivo, dal momento che la sua situazione familiare gli rende impossibile trasferire la propria residenza nella nuova destinazione.

Il Collegio osserva che questi problemi erano stati rappresentati anche nel procedimento amministrativo e il decreto impugnato se ne dà carico, giungendo tuttavia alla conclusione che non fossero praticabili altre soluzioni. Tuttavia la motivazione non sembra, su questo punto, soddisfacente.

Va precisato che, viste le cause della situazione d’incompatibilità ambientale, il rimedio del trasferimento, per essere efficace, dovrebbe riguardare quanto meno una sede di destinazione estranea al territorio della Questura di Roma. In questo senso la proposta dell’interessato, di essere trasferito dal Commissariato di Frascati ad altro Commissariato nella stessa Provincia, non potrebbe essere presa in considerazione, perché un trasferimento siffatto sarebbe ininfluente rispetto all’interesse perseguito. Ma, a parte ciò, non risulta sufficientemente approfondita la ricerca di una sede che comporti disagi minori di quelli inerenti alla destinazione a Pescara.

Va tenuto conto, del resto, del fatto che il trasferimento per incompatibilità ambientale (pur ampiamente giustificato nella fattispecie) non può avere, per sua natura, una funzione punitiva.

Pertanto l’amministrazione dovrà riprendere in esame la situazione dell’interessato, ferma restando la determinazione di disporre il trasferimento per incompatibilità ambientale, e scegliere una sede di destinazione che, fatti salvi gli scopi del provvedimento, risulti meno gravosa per il dipendente.

15. In conclusione, l’appello dell’amministrazione dev’essere accolto solo in parte, e la sentenza del T.A.R. dev’essere confermata nel dispositivo (annullamento del provvedimento impugnato) con diversa motivazione, e nei liniti di quest’ultima.

Le spese del giudizio possono essere compensate.

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