Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2016-06-20, n. 201602707

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2016-06-20, n. 201602707
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201602707
Data del deposito : 20 giugno 2016
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 09259/2015 REG.RIC.

N. 02707/2016REG.PROV.COLL.

N. 09259/2015 REG.RIC.

N. 10680/2015 REG.RIC.

N. 00027/2016 REG.RIC.

N. 00357/2016 REG.RIC.

N. 10678/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9259 del 2015, proposto da:
D S, V G, e, quali appellanti incidentali, F L, D V, B S, tutti rappresentati e difesi dall'avv. P A, con domicilio eletto presso P A in Roma, corso D'Italia, 97;

contro

Ministero dell'Istruzione dell'Universita' e della Ricerca, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, 12;

nei confronti di

Giulio Tampalini, Massimiliano Scatena, M S, Sara F, G R, A C;



sul ricorso numero di registro generale 10680 del 2015, proposto da:
A C, rappresentato e difeso dagli avv. B M C, Rene' Verrecchia, con domicilio eletto presso Rene' Verrecchia in Roma, Via Gasperina, 188;

contro

Ministero dell'Istruzione dell'Universita' e della Ricerca, rappresentato e difeso per legge dall' Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, 12;

nei confronti di

Tudzhariv Damyan, L F, V G, S B, M S, G R, Sara F, V D, D S, M S;



sul ricorso numero di registro generale 27 del 2016, proposto da:
M S, rappresentato e difeso dagli avv. Rene' Verrecchia, B M C, con domicilio eletto presso Rene' Verrecchia in Roma, Via Gasperina, 188;

contro

Ministero dell'Istruzione dell'Universita' e della Ricerca, rappresentato e difeso per legge dall' Avvocatura Generale Dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, 12;

nei confronti di

Damyan Tudzharov, L F, V G, S B, M S, G R, A C, Sara F, V D, D S;



sul ricorso numero di registro generale 357 del 2016, proposto da:
Gloria Jane R, rappresentato e difeso dagli avv. B M C, Rene' Verrecchia, con domicilio eletto presso Rene' Verrecchia in Roma, Via Gasperina, 188;

contro

Ministero dell'Istruzione dell'Universita' e della Ricerca, rappresentato e difeso per legge dall' Avvocatura Generale Dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, 12;

nei confronti di

Tudzharov Damyan, L F, V G, S B, M S, A C, Sara F, V D, D S, M S;



sul ricorso numero di registro generale 10678 del 2015, proposto da:
Sara F, rappresentata e difesa dagli avv. Rene' Verrecchia, B M C, con domicilio eletto presso Rene' Verrecchia in Roma, Via Gasperina, 188;

contro

Ministero dell'Istruzione dell'Universita' e della Ricerca, rappresentato e difeso per legge dall' Avvocatura Generale Dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, 12;

nei confronti di

D T, L F, V G, S B, M S, G R, A C, V D, D S, M S;

per la riforma

quanto a tutti i prefati ricorsi:

della sentenza del T.a.r. Lazio - Roma: Sezione III n. 11397/2015, resa tra le parti, concernente procedura di formazione delle graduatorie nazionali per l’attribuzione di incarichi a tempo determinato per il personale docente delle istituzioni AFAM.


Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell'Istruzione dell'Universita' e della Ricerca;

Visto l'atto di appello incidentale proposto da L F, S B, V D, rappresentati e difesi dall'avv. P A, con domicilio eletto presso P A in Roma, corso D'Italia, 97;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 maggio 2016 il Cons. Francesco Mele e uditi per le parti gli avvocati Adami, e dello Stato Russo;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con sentenza n. 11397/2015 del 25-9-2015 il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza), pronunziando sul ricorso e sui motivi aggiunti proposti dai signori F L, G V, B S, Scatena Massimiliano, S M, F S, R Gloria, D V, C A, D S ( tutti soggetti che avevano svolto in favore di varie istituzioni AFAM “tre anni di servizio in corsi di cd. fascia pre-accademica con contratti di collaborazione coordinata e continuativa negli anni 2011/2012, 2012/2013, 2013/2014”) , così disponeva: “ respinge il ricorso introduttivo;
dichiara il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo sui motivi aggiunti per quanto di ragione, che respinge per il resto
”.

In particolare, il giudice di primo grado: respingeva il ricorso introduttivo proposto da tutti i ricorrenti avverso il decreto n. 526 del 30-6-2014 “nella parte in cui , tra i requisiti di ammissione, prevede, per i titolari di contratti di collaborazione coordinata e continuativa e analoghe fattispecie, l’aver svolto almeno 125 ore di insegnamento nei corsi accademici di primo e di secondo livello (art. 2, comma 3)”;
ritenendo la propria giurisdizione, in ragione della corrispondenza tra la disposizione impugnata del decreto ministeriale ed i motivi di esclusione dalle graduatorie definitive e la proposizione avverso gli stessi delle stesse doglianze formulate nel ricorso principale, rigettava, altresì, i motivi aggiunti proposti dai signori D, B, G e S avverso le graduatorie definitive ed i provvedimenti di esclusione dalle stesse.

Quanto ai motivi aggiunti proposti dagli altri docenti avverso le graduatorie definitive ed i provvedimenti di esclusione, dichiarava il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo. Avverso la predetta sentenza sono stati proposti distinti atti di appello, chiedendosi l’integrale riforma della pronuncia del Tribunale, con conseguente accoglimento del ricorso di primo grado e dei motivi aggiunti.

Nello specifico hanno interposto gravame:

i signori S D, G V, F L, D V e B S (appello iscritto al n. 9259/2015 R.G.);

la signora F S (appello iscritto al n. 10678/2015 R.G.);

il signor C A ( appello iscritto al n. 10680/2015);

il signor S M (appello iscritto al n. 27/2016 R.G.);

la signora R G J (appello iscritto al n. 357/2016 R.G.).

Le censure proposte sono comuni a tutti gli atti di appello e possono così compendiarsi, salve le ulteriori specificazioni che verranno di seguito evidenziate nella trattazione in diritto: 1)Omessa, illogica e contraddittoria motivazione in ordine alle censure denunciate mediante il ricorso principale;
2) Omessa pronuncia in ordine al ricorso per motivi aggiunti-illogica e contraddittoria motivazione in ordine alla declinatoria di giurisdizione.

L’Amministrazione intimata si è costituita in giudizio, deducendo l’infondatezza degli appelli e chiedendone il rigetto.

Le cause sono state discusse e trattenute per la decisione all’udienza del 19-5-2016.

DIRITTO

Ritiene preliminarmente la Sezione che gli appelli iscritti ai nn. 9259/2015 R.G. (S D, G V, F L, D V, B S), n. 10678/2015 R.G. (F S), n. 10680/2015 R.G. ( C A), n.27/2016 R.G. (S M) e n. 357/2016 R.G. (R G J) debbano essere riuniti, ai sensi dell’articolo 96 c.p.a., trattandosi di impugnazioni proposte contro la stessa sentenza n. 11397/2015 del 25-9-2015, resa dal Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio.

I motivi di appello possono essere esposti e trattati congiuntamente, essendo state formulate avverso la gravata sentenza le medesime censure.

Con un primo motivo gli appellanti censurano decisione di primo grado nella parte in cui ha rigettato il ricorso principale e non ha ritenuto la illegittimità del decreto ministeriale n. 526 del 2014 nella parte impugnata (articolo 2, comma 3).

Deducono in proposito: Omessa, illogica e contraddittoria motivazione in ordine alle censure denunciate mediante il ricorso principale.

Lamentano in primo luogo che-contrariamente a quanto immotivatamente ritenuto dal giudice di primo grado – le previsioni del d.l. 104/2013 e quelle del d.m. 526/2014 non sono sovrapponibili.

Invero, la norma di legge, riferendosi al possesso di “ almeno tre anni accademici di insegnamento… ” non pone alcuna limitazione a particolari tipologie di corsi (accademici o preaccademici). Il d.m., invece, per il caso di insegnamenti regolati da contratti di co.co.co. o similari, ha ritenuto utilizzabili solo i periodi svolti “ nei corsi accademici di primo e di secondo livello ”.

Ripropongono, inoltre, le censure avanzate con il ricorso di primo grado, non esaminate dal Tribunale Amministrativo.

Deducono in proposito che il d.m. avrebbe illegittimamente introdotto due diverse nozioni di anno accademico: la prima, relativamente ai contratti a tempo determinato e ai contratti di collaborazione di cui all’art. 273 del d.lgs. n. 297/1994, la quale darebbe luogo ad una anzianità spendibile indifferentemente sia se maturata nei corsi accademici di primo o di secondo livello sia nei corsi pre accademici;
una seconda, riferita invece ai contratti di collaborazione coordinata e continuativa e altre tipologie contrattuali, utilizzabile solo se svolta in corsi accademici di primo e di secondo livello.

Il bando avrebbe, di poi, imposto un duplice discrimine: il primo, di carattere oggettivo, legato ad una dequalificazione dell’attività prestata dai docenti in corsi preaccademici (dequalificazione che non trova ragion d’essere nella natura e nel contenuto di tale attività didattica, del tutto analoga a quella prestata nei corsi accademici di prima e seconda fascia);
il secondo, di carattere soggettivo, legato alla tipologia contrattuale con cui viene espletato l’insegnamento, con illegittima penalizzazione dei docenti in rapporto di collaborazione coordinata e continuativa rispetto a coloro che fruiscono di contratti a tempo determinato, ovvero di collaborazioni ex art. 273 del D.Lgs. n. 297/94, nonostante le medesime modalità di selezione e la sostanziale identità del servizio di insegnamento prestato.

In tal modo, uno stesso periodo di docenza potrebbe essere valorizzato, ai fini dell’inclusione in graduatoria, esclusivamente sulla base del contratto di lavoro che lo ha regolato, elemento questo che dipende esclusivamente da una scelta delle istituzioni AFAM.

Con altro motivo di appello censurano la decisione del Tribunale Amministrativo, nella parte in cui, con riferimento ai motivi aggiunti proposti avverso le graduatorie definitive ed i provvedimenti di esclusione, ha ritenuto il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo.

Lamentano in proposito: Omessa pronuncia in ordine al ricorso per motivi aggiunti-illogica e contraddittoria motivazione in ordine alla declinatoria di giurisdizione.

I signori R, C e F deducono in primo luogo che la sentenza non si sarebbe affatto pronunciata sulla loro posizione e, dunque, sulla impugnativa dagli stessi proposta con i motivi aggiunti.

Gli stessi R, C e F ( ove volesse ritenersi che il Tribunale abbia anche per la loro posizione pronunciato il difetto di giurisdizione), nonché i signori S e F censurano la decisione di prime cure in quanto essa non avrebbe considerato che i motivi di esclusione pronunciati nei loro confronti costituivano diretta conseguenza della illegittimità del bando-regolamento.

Essi, infatti, discendevano dalla mancata considerazione delle ore di insegnamento prestate in fascia preaccademica.

Pertanto, erroneamente il Tribunale avrebbe ritenuto che le prefate ragioni di esclusione non sarebbero riferibili ad una procedura concorsuale, vertendosi nella specie di un mero inserimento in graduatoria di coloro che sono in possesso di determinati requisiti per cui non vengono in considerazioni valutazioni discrezionali.

Gli appelli, relativamente alla impugnazione del decreto ministeriale, sono fondati.

La sentenza gravata così motiva il rigetto del ricorso.

Nel caso in esame il Collegio ritiene sussistere la giurisdizione amministrativa sia sul ricorso introduttivo, con cui viene censurato l’atto regolamentare, che sui motivi aggiunti dei docenti D, B, G e S, nei quali la stessa prospettazione dei ricorrenti riconduce espressamente la asserita illegittimità dei singoli provvedimenti di esclusione ai medesimi vizi che affliggerebbero il decreto ministeriale, nella parte in cui esso prescrive che per i docenti che hanno insegnato in forza di contratti di collaborazione coordinata e continuativa siano indispensabili, ai fini dell’inserimento in graduatoria, tre anni accademici, computati con un minimo di 125 ore di lezione per ciascun anno. Su questo punto il Collegio deve confermare i propri precedenti (ad esempio, per tutte, sentenza n. 8259/2015) , per cui ai fini dell’inserimento nelle graduatorie nazionali utili per l’attribuzione degli incarichi di insegnamento a tempo determinato, è richiesto, ex art. 19, comma 2 del d.l. n. 104 del 2013, oltre alla non titolarità di un contratto a tempo indeterminato ed al superamento di un concorso selettivo per l’inclusione nelle graduatorie di istituto, anche l’aver maturato almeno tre anni accademici di insegnamento presso le Istituzioni di alta formazione artistica, musicale e coreutica. Del pari nel cennato d.m. n. 526 del 2014, all’art. 2, comma 1, è previsto la non titolarità di un contratto a tempo indeterminato, il superamento di un concorso selettivo per l’inclusione nelle graduatorie di istituto e l’aver maturato almeno tre anni accademici di insegnamento presso le Istituzioni di alta formazione artistica, musicale e coreutica. Ne discende che il d.m. n. 526 del 2014 risulta perfettamente aderente sul punto alla sopraordinata previsione legislativa e le censure appena esaminate vanno respinte ”.

Le censure proposte avverso il decreto ministeriale sono meritevoli di favorevole considerazione.

L’articolo 19, comma 2, del d.l. 12-9-2013, n. 104 dispone che “ Il personale docente che non sia già titolare di contratto a tempo indeterminato nelle istituzioni dell’alta formazione artistica, musicale e coreutica, che abbia superato un concorso selettivo ai fini dell’inclusione nelle graduatorie di istituto e abbia maturato almeno tre anni accademici di insegnamento presso le suddette istituzioni alla data di entrata in vigore del presente decreto, è inserito ….in apposite graduatorie nazionali utili per l’attribuzione degli incarichi di insegnamento a tempo determinato in subordine alle graduatorie di cui al comma 1 del presente articolo, nei limiti dei posti vacanti disponibili. L’inserimento è disposto con modalità definite con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca ”.

Osserva la Sezione che dalla lettura della disposizione legislativa emerge che in primo luogo che l’inclusione nelle graduatorie è consentita al “ personale docente ”.

La generica ed ampia dizione utilizzata dalla norma rende, pertanto, legittima la disposizione contenuta nell’articolo 2, comma 1, dell’impugnato decreto ministeriale, laddove indica, quale requisito di ammissione, che si tratti di “ personale docente…e che, alla data del presente decreto, abbia maturato, a decorrere dall’anno accademico 2001-2002, almeno tre anni accademici di insegnamento, con contratto di lavoro subordinato a tempo determinato o con contratto di collaborazione, ai sensi dell’art. 273 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, ovvero con contratto di collaborazione coordinata e continuativa o altra tipologia contrattuale nelle medesime istituzioni dell’alta formazione artistica, musicale e coreutica ”.

Invero, l’indicazione legislativa di “ personale docente ” consente di esplicitare le diverse categorie contrattuali rilevanti attraverso le quali l’attività di insegnamento è stata prestata.

Ciò posto e venendo a questo punto alla questione che costituisce il nodo centrale della presente controversia, va rilevato che l’articolo 19, comma 2 citato (come del resto il primo comma dell’articolo 2 del d.m. n. 526 del 2014) richiede la maturazione di “ almeno tre anni accademici di insegnamento presso le suddette istituzioni ”.

Come è ben chiaro dalla lettera della disposizione, vi è un requisito esclusivamente temporale, tale intendendosi “ tre anni accademici di insegnamento ”.

L’aggettivo “accademico” è riferito all’anno, mentre il termine “insegnamento” è indicato in termini generici, senza riferimento alcuno alla tipologia di “corso” cui esso si riferisce.

E’ ragionevole, pertanto, ritenere che, in presenza di un dato meramente temporale (anno accademico), riferentesi alla istituzione presso la quale l’attività di “insegnamento” è svolta, il requisito non sconti di una distinzione rilevante in relazione alla tipologia di corsi comunque organizzati da e tenuti presso l’Istituzione (accademico o pre-accademico) e per i quali l’insegnamento sia stato comunque esercitato.

Deve, pertanto, ritenersi non condivisibile la pronuncia del giudice di primo grado che ha sostanzialmente interpretato la dizione legislativa “ tre anni accademici di insegnamento ” come “ tre anni di insegnamento in corsi accademici ”, trattandosi di conclusione che non trova supporto nella lettera della legge.

Né può ricondursi per altra via il termine “accademico” al tipo di insegnamento, affermandosi che l’insegnamento svolto nell’anno accademico è necessariamente di tipo “accademico”.

Invero, la disposizione non ha utilizzato l’inciso “tre anni di insegnamento accademico”, che ben avrebbe potuto utilizzare ove avesse voluto indiscutibilmente attribuire valenza alla sola attività prestata su corsi accademici.

Riferendo l’aggettivo “accademico” all’anno, ha inteso unicamente operare un’indicazione dell’anno di riferimento in relazione alla Istituzione interessata, la quale è di tipo universitario e, dunque, “accademica”. Con ciò, peraltro, non ha escluso certamente che dalla attività di insegnamento rilevante presso la stessa espletata andassero esclusi i cd. corsi “pre-accademici”, rientrando comunque gli stessi nell’offerta formativa del Conservatorio e costituendo, pertanto, a pieno titolo, attività di insegnamento svolta presso l’Istituzione.

Né può trovare favorevole considerazione l’argomentazione in base alla quale la norma di legge (articolo 19 cit.) non contiene una espressa indicazione dei co.co.co. e di altre tipologie contrattuali, con la conseguenza che la loro inclusione è stata il frutto di una scelta discrezionale dell’Amministrazione la quale, al fine di ampliare la platea degli aspiranti, ha voluto ammettere alla partecipazione anche i co.co.co. ed altre tipologie contrattuali, limitando, peraltro, il periodo utile solo a quello svolto in corsi accademici di primo e di secondo livello.

Va, invero, considerato che, quand’anche si fosse trattato di scelta discrezionale, non obbligatoria per legge, la limitazione imposta non troverebbe ragionevole giustificazione – anche sotto il profilo della parità di trattamento con le altre categorie di docenti – considerandosi che il futuro assetto delle Istituzioni (destinato, a dire dell’Amministrazione, a prevedere l’utilizzo dei co.co.co. solo per i corsi di primo e di secondo livello, mentre i corsi pre-accademici risulterebbero svolti presso la scuola secondaria) non giustificherebbero comunque, una volta ammessa la categoria alla selezione, una limitazione relativa ad una attività di insegnamento che comunque è stata prestata presso di essa e ciò operando, altresì, un diverso trattamento rispetto ad altra categoria ammessa.

La norma di legge, invero, si riferisce al “ personale docente ”, opera riferimento alla attività di insegnamento e non contiene una espressa specificazione delle tipologie contrattuali con cui si instaura il rapporto di lavoro.

Ammesse, pertanto, alcune categorie, non può applicarsi alle stesse un trattamento differenziato relativamente ai corsi nei quali è stata prestata l’attività di insegnamento

Sulla base delle considerazioni sopra svolte deve, pertanto, ritenersi la fondatezza sul punto dei proposti appelli, con conseguente riforma della sentenza di primo grado, accoglimento del ricorso introduttivo ed annullamento dell’articolo 2, comma 3 del d.m. n. 526/2014 nella parte in cui, per i contratti di collaborazione coordinata e continuativa e per altre tipologie contrattuali, limita la nozione di anno accademico alle sole ore di insegnamento prestate nei corsi accademici di primo e secondo livello e non anche nei corsi pre accademici.

Risulta evidente che dal richiamato annullamento consegue che nei termini sopra specificati deve essere letto ed applicato il decreto ministeriale in oggetto laddove contenga un generico richiamo al citato articolo 2, comma 3.

L’accoglimento degli appelli avverso il decreto ministeriale, così come sopra disposto, determina l’accoglimento degli appelli proposti dai signori S, G, D e B, per la parte in cui sono stati rigettati i motivi aggiunti dagli stessi proposti avverso le graduatorie definitive ed i provvedimenti di esclusione dalle stesse.

Invero, l’esclusione di tali docenti è stata motivata per “ carenza di insegnamento nei corsi accademici di primo e di secondo livello con contratti di collaborazione continuativa ”.

Trattasi di motivo di esclusione direttamente ed immediatamente riconducibile alla previsione dell’articolo 3, comma 2, del D.M. n. 526 del 2014, laddove prescrive che, ai fini della sussistenza del requisito della maturazione di almeno tre anni accademici di insegnamento, “ si considera anno accademico solo l’insegnamento prestato nei corsi accademici di primo e secondo livello ”.

Dalla ritenuta illegittimità della norma in relazione a tale limitazione ed alla mancata considerazione del servizio svolto in corsi preaccademici deriva l’illegittimità dei provvedimenti di esclusione e delle graduatorie definitive nella parte in cui non includono i suddetti appellanti per la ragione formalmente espressa nella determinazione di esclusione.

Vi è, dunque, sul punto riforma dell’impugnata sentenza ed, in accoglimento dei motivi aggiunti proposti in primo grado, annullamento dei provvedimenti di esclusione e delle graduatorie definitive nella parte in cui, per le ragioni espresse nei suddetti atti di esclusione, non vi includono i richiamati appellanti.

Può a questo punto passarsi all’esame degli appelli, nella parte in cui contestano la declaratoria di difetto di giurisdizione pronunciata dal giudice di primo grado sui motivi aggiunti, con i quali sono state impugnate le graduatorie definitive ed i provvedimenti di esclusione dalle stesse.

Premette la Sezione che, anche se non vi è, nella motivazione della sentenza, espressa menzione della posizione dei signori F, R e C, vi è stata anche nei loro confronti pronuncia di difetto di giurisdizione, ciò evincendosi chiaramente dai motivi che hanno fondato, nella determinazione assunta dall’Amministrazione, la loro esclusione dalle graduatorie.

Ciò posto, ritiene il Collegio di dover preliminarmente richiamare i principi espressi dalla Sezione in tema di giurisdizione nella materia di cui trattasi.

Con riferimento specifico alla individuazione del giudice cui spetta conoscere della impugnazione delle graduatorie ( e della esclusione dalle stesse) formate in attuazione dell’articolo 19 della legge n. 128/2013 per il personale docente nelle istituzioni dell’alta formazione artistica, musicale e coreutica, è stato affermato che la giurisdizione appartiene al Giudice Ordinario ( cfr. Cons. Stato, VI, sentt. n. 3451/2015;
n. 5526/2015;
n. 5527/2015;
n.5528/2015;
n. 3408/2015;
n. 3413/2015).

La Sezione , richiamando i contenuti dell’articolo 19, comma 2, del d.l. n. 104/2013 (convertito dalla legge n.128 del 2013), degli articoli 1 e 2 del d.m. 30 giugno 2014 n. 526, ha chiarito che il superamento del concorso selettivo ai fini dell’inclusione nelle graduatorie “consuma” il momento autoritativo dell’azione pubblica e che risulta sussistere una omogeneità di ratio decidendi rispetto alla vicenda delle graduatorie nazionali permanenti, poi divenute ad esaurimento, utili per attribuire incarichi di insegnamento con contratti a tempo indeterminato e determinato, a mano a mano che le cattedre si rendevano disponibili, con riferimento alla quale questo Consiglio ( Ad. Plen. n. 11/2011) ha declinato la giurisdizione del giudice amministrativo, sul rilievo della insussistenza di una procedura concorsuale in senso stretto, vertendosi in tema di accertamento di diritti di docenti già iscritti e trattandosi di atti di gestione di graduatorie utili per vedersi attribuiti gli incarichi di docenza (cfr. pure Cass. SS.UU., nn. 3399/2008, 22805/2010, 3032/2011 e 27991/2013).

Nella fattispecie in esame vengono, dunque, in rilievo, più che procedure concorsuali dirette all’assunzione di un impiego pubblico, atti di gestione di graduatorie che vanno fatti ricadere tra le determinazioni assunte con le capacità e i poteri del datore di lavoro privato.

Viene in proposito in primo luogo precisato che la natura gestionale-privatistica delle graduatorie per il conferimento di incarichi di insegnamento e dei relativi atti di gestione riguarda non solo gli atti che determinano i punteggi e la conseguente collocazione all’interno della graduatoria, ma anche gli atti volti a verificare la sussistenza dei requisiti per l’inserimento nella graduatoria medesima;
considerandosi, altresì, che in entrambi i casi l’aspirante candidato fa valere un diritto soggettivo (o comunque una situazione di natura privatistica) che si sostanzia nella pretesa ad essere inserito in graduatoria e di essere esattamente collocato al suo interno e che, del resto, la verifica dei requisiti per l’inserimento non richiede alcun esercizio di discrezionalità amministrativa, trattandosi al contrario di attività vincolata alla sussistenza dei presupposti di legge, rispetto alla cui verifica possono venire eventualmente in considerazione giudizi tecnico-valutativi, ma non scelte di opportunità amministrativa o, comunque, atti di esercizio di discrezionalità amministrativa ( cfr. Cons. Stato, VI, n. 3413/2015 cit.).

Di poi, si osserva che l’attribuzione al giudice amministrativo, contenuta nell’articolo 63, comma 4 del d.lgs. n. 165/2001, della giurisdizione in tema di “ controversie in materia di procedure concorsuali per l’assunzione dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni ” costituisce regola residuale rispetto a quella generale stabilita al comma 1.

Di conseguenza, la norma è di stretta interpretazione, riferendosi pertanto alle procedure concorsuali in senso stretto, fattispecie che non si ritiene ricorrere nel caso di specie.

Invero, come si desume dall’articolo 1 del d.m. n. 526/2014, la procedura non è direttamente finalizzata alla assunzione di dipendenti nella pubblica amministrazione, ma alla costituzione di graduatorie nazionali utili per l’attribuzione di incarichi a tempo determinato nei limiti dei posti in organico vacanti e disponibili.

Non vi è, poi, una valutazione comparativa in senso stretto, venendo piuttosto in rilievo la formazione di un elenco nel quale la collocazione è correlata all’assegnazione di un punteggio che consegue alla ricognizione di titoli la cui valenza è esattamente predeterminata dall’atto organizzatorio posto a monte, con la conseguenza che la funzione attribuita alla commissione è quella della mera ricognizione della sussistenza degli stessi, così come già valutati, in termini generali e senza ulteriori margini di considerazione, dal d.m. medesimo.

Non assume, di conseguenza, rilievo né l’esistenza di un bando ( risultando lo stesso naturalmente destinato a dare notizia della formazione della graduatoria e a consentire la partecipazione dei docenti interessati) né la circostanza che la graduatoria venga, all’esito della sua formazione, approvata, essendo quest’ultimo adempimento finale conseguente alla necessaria verifica conclusiva e cristallizzazione dell’attività posta in essere, ma non immediatamente finalizzato alla individuazione di soggetti destinatari di una assunzione alle dipendenze dell’amministrazione in relazione a posti già predeterminati.


Ciò posto in termini generali, va peraltro affrontato il problema della giurisdizione nell’ipotesi in cui l’impugnazione della graduatoria e del provvedimento di esclusione venga effettuata in occasione della contestuale o precedente impugnazione del decreto ministeriale che regola la procedura di formazione della stessa, per il quale, trattandosi di atto di macro-organizzazione che detta la regola ordinatoria, è pacifica la giurisdizione del giudice amministrativo ( ex multis, sentt. n. 240/216;
n.4232/2015;
n.4565/2015), atteso che l’impugnativa ha ad oggetto l’atto generale di organizzazione, con contestazione dei criteri generali ed astratti predisposti dall’amministrazione per la formazione e l’aggiornamento della graduatoria.

La Sezione, pronunciandosi in materia di GAE, ha ritenuto sussistere la giurisdizione del giudice amministrativo anche per l’impugnazione delle graduatorie, sulla base di argomentazioni che giustificano l’attrazione nel giudizio amministrativo anche dell’atto di gestione.

Si opera in primo luogo riferimento alla circostanza che non può prescindersi da una considerazione unitaria dell’oggetto del giudizio di primo grado, evidenziando che le graduatorie vengono gravate nel medesimo giudizio e che, in disparte il dato della collocazione dell’impugnativa nel medesimo ambito processuale, la loro contestazione viene effettuata con peculiare riferimento al fatto che esse costituiscono conseguenza della illegittima regolazione generale operata dall’amministrazione.

In tal modo le suddette graduatorie non vengono in rilievo, nell’instaurato giudizio in sede giurisdizionale amministrativa sotto tale profilo, quali atti di gestione in sé, ma sono contestate con riferimento alla illegittima regolamentazione dei criteri generali di formazione delle stesse e per le medesime ragioni per le quali si è impugnato il decreto ministeriale. Dunque, la posizione giuridico-soggettiva fatta valere è sempre quella di interesse legittimo e non anche di diritto soggettivo, atteso che la contestazione è sempre diretta alla legittima determinazione dei criteri generali.

In buona sostanza, si afferma che – a prescindere dalla natura dell’atto – anche in sede di impugnativa delle graduatorie definitive i ricorrenti non fanno questione della singola collocazione del docente in una determinata graduatoria, ma pur sempre del legittimo esercizio del potere generale di regolamentazione, che, all’interno dello stesso giudizio, è il medesimo e specifico oggetto della contestazione sia con riferimento all’atto generale che ha esercitato tale potere sia con riferimento all’atto successivo che del primo ha fatto applicazione.

Dunque, anche attraverso la domanda di annullamento delle graduatorie, la controversia verte sempre e comunque sul corretto esercizio del potere generale di regolamentazione delle stesse e finisce per coinvolgere posizioni di interesse legittimo (v. Cons. Stato, VI, 9-3-2016, n. 953).

Invero, la ragione della mancata inclusione nella graduatoria e della esclusione risiede in via immediata e diretta nella regola contenuta nel decreto ministeriale che costituisce oggetto della impugnazione principale.

In tal caso si ritiene che “ la stretta correlazione tra le domande azionate non consente una ripartizione della potestas iudicandi tra giudice ordinario e giudice amministrativo, essendo concentrata dinanzi a quest’ultimo la tutela invocata da parte ricorrente ” ( sent. n. 4485/2015 del 24-9-2015), affermandosi, altresì, che nella specie sono comunque rilevabili “ contestazioni che investano direttamente il potere governativo o ministeriale, ovvero la potestà di emanare atti amministrativi generali di natura non regolamentare”, atteso che “nella situazione in esame si censurano infatti non le modalità di valutazione delle singole posizioni soggettive, ma in via principale le determinazioni espresse dal MIUR ….., per profili organizzativi di carattere generale … ” (ordinanza n. 364/2016 del 29-1-2016).

Ciò posto, osserva la Sezione che l’attrazione nella giurisdizione del giudice amministrativo anche della cognizione dell’atto di gestione e, dunque, la deroga alla regola ordinaria che vuole quest’ ultimo appartenere alla giurisdizione dell’AGO, richieda, peraltro, una indissolubile correlazione e legame tra l’atto generale impugnato e l’atto di gestione, correlazione e legame che abbiano a manifestarsi in maniera chiara ed univoca anche nella espressione provvedimentale dell’atto di esclusione.

Sulla base dei principi e delle argomentazioni sopra esposte ritiene la Sezione che nella vicenda oggetto del presente giudizio non sussista la giurisdizione del giudice amministrativo e che, di conseguenza, meriti conferma la sentenza gravata in punto di declinatoria della giurisdizione.

Va in primo luogo osservato che nel ricorso di primo grado viene impugnato l’articolo 2, comma 3, del D.M. n. 526 del 30-6-2014 “ nella parte in cui, tra i requisiti di ammissione, prevede, per i titolari di contratti di collaborazione coordinata e continuativa e analoghe fattispecie l’aver svolto almeno 125 ore di insegnamento nei corsi accademici di primo e secondo livello ”, assumendosi, da parte dei ricorrenti, di avere svolto “ tre anni di servizio in corsi di cd. fascia pre-accademica con contratti di collaborazione coordinata e continuativa negli anni 2011/2012, 2012/2013, 2013/2014 ”.

I provvedimenti di esclusione degli appellanti si fondano, invece, su altra norma del citato decreto ministeriale e, segnatamente, l’articolo 4 dello stesso.

Osserva la Sezione che le ragioni dell’esclusione e, dunque, della mancata inclusione in graduatoria sono due: 1) “ Mancanza del requisito di iscrizione in una graduatoria di istituto per l’insegnamento per il quale ha prestato domanda ” ( per gli appellanti F, F, C, S, R) ;
2)“ alcun servizio prestato nell’insegnamento dove ha presentato domanda ” ( per gli appellanti F, C, S, R).

Tali ragioni di esclusione riposano espressamente (anche per indicazione contenuta nell’atto di esclusione) nell’articolo 4 del richiamato d.m., il quale prevede, al primo comma che “ il candidato che abbia maturato almeno tre anni accademici di insegnamento, come previsto dall’art. 2, commi 2 e 3, può produrre domanda di inserimento per la graduatoria nazionale per la quale abbia superato un concorso selettivo ai fini della inclusione nella relativa graduatoria di istituto ” e, al comma 2, che “ il candidato, per ogni tre anni accademici di effettivo insegnamento, può produrre domanda di inserimento anche in altra graduatoria nazionale, per la quale abbia comunque superato un concorso selettivo ai fini dell’inclusione nella relativa graduatoria di istituto e purchè abbia svolto attività di insegnamento, secondo quanto stabilito nel presente articolo, nella materia per la quale chiede l’inserimento in graduatoria ”.

Orbene, da quanto sopra emerge che non vi è alcuna identità tra la norma del d.m. impugnato, relativa alla regola che “ ai fini della valutazione dei requisiti di cui al comma 1, per i contratti di collaborazione coordinata e continuativa e per altre tipologie contrattuali, si considera anno accademico l’aver svolto almeno 125 ore di insegnamento nei corsi accademici di primo e di secondo livello ” ed i motivi espressi negli atti di esclusione e che fondano la mancata inclusione nelle graduatorie, i quali si riferiscono non al computo dell’anno accademico in relazione alla tipologia di corso dove si è insegnato, quanto espressamente alla mancata iscrizione in una graduatoria di istituto per la classe dove si è presentata domanda ed alla mancata prestazione del servizio nella classe dove si è presentata domanda.

Non vi è, dunque, quella palesata e indissolubile correlazione tra la specifica regola dell’atto generale impugnato ed i contenuti dell’atto di gestione, necessaria, come si è sopra detto, per giustificare l’attrazione della cognizione di quest’ultimo nella giurisdizione del giudice amministrativo.

Tanto avviene anche con riferimento alla contestazione della regola generale di cui all’articolo 4 del d.m. citato, rilevandosi che i provvedimenti per cui è causa non riferiscono affatto che l’insegnamento per la classe di concorso ove si è presentata domanda e l’inclusione nella graduatoria di istituto sono requisiti mancanti in quanto non presenti per corsi accademici di primo e di secondo livello, né lo stesso articolo 4 indica espressamente, con riferimento a tali specifici requisiti, la necessità della loro esistenza in relazione a tale tipologia di corsi.

D’altra parte, operando il citato articolo 4 riferimento al “ candidato che abbia maturato almeno tre anni accademici di insegnamento, come previsto dall’articolo 2, commi 2 e 3… ”, gli atti di esclusione avrebbero dovuto, richiamando l’articolo 4, motivare con riferimento a tale requisito e, quindi, ad un servizio prestato o ad iscrizione in graduatoria non afferente corsi accademici di primo e di secondo livello;
espressione motivazionale che nella specie non si riscontra.

Le argomentazioni sopra svolte sono, inoltre, avvalorate dalla circostanza che le stesse parti ricorrenti, quando contestano la mancanza del requisito della inclusione ” in graduatorie d’istituto nella classe dove ha presentato domanda ” deducono principalmente un’erronea applicazione degli articoli 2 e 4 del decreto ministeriale (e non una illegittimità di questi ultimi), rilevando che “ il provvedimento di esclusione non sembra ancorarsi alle disposizioni del bando (artt. 2 e 4), le quali, sotto tale aspetto, appaiono pienamente conformi a legge, limitandosi a ripetere la formula in essa contenuta ed individuando l’esistenza di un concorso selettivo in una qualsiasi procedura selettiva che abbia dato luogo alla costituzione di una graduatoria utile all’attribuzione di incarichi di insegnamento ”.

In conclusione, le considerazioni tutte in precedenza esposte inducono a ritenere nella specie sussistente la giurisdizione del giudice ordinario, quanto all’impugnazione delle graduatorie e dei provvedimenti di esclusione da parte dei signori F, F, C, S e R, confermandosi sul punto la sentenza di primo grado.

Restano salvi gli effetti condivisi da tutti i ricorrenti derivanti dall’annullamento del d.m. disposto con la presente decisione.

A tali effetti l’Amministrazione potrà operare riferimento ove la stessa verifichi che le esclusioni pronunciate abbiano trovato effettivamente fondamento nel mancato computo, ai fini della individuazione dell’anno accademico, dell’insegnamento prestato nei corsi preaccademici.

Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cassazione civile, sez. II, 22 marzo 1995 n. 3260 e, per quelle più recenti, Cassazione civile, sez. V, 16 maggio 2012 n. 7663). Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

Le spese del doppio grado di giudizio possono essere integralmente compensate tra le parti costituite in considerazione della novità delle questioni trattate.

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