Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2018-02-21, n. 201801096

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2018-02-21, n. 201801096
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201801096
Data del deposito : 21 febbraio 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 21/02/2018

N. 01096/2018REG.PROV.COLL.

N. 02478/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 2478 del 2017, proposto da:
L A, rappresentato e difeso dall'avvocato Michela Reggio D'Aci, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via degli Scipioni, 288;

contro

Ministero della giustizia, in persona del Ministro in carica, e CSM - Consiglio Superiore della Magistratura, in persona del legale rappresentante, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata ope legis in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LAZIO - ROMA: SEZIONE I QUATER n. 09963/2016, resa tra le parti, (a definizione del giudizio rubricato con il numero RG 11606/2014), non notificata.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero della giustizia e del Consiglio Superiore della Magistratura;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 novembre 2017 il Cons. F D M e uditi per le parti gli avvocati Michela Reggio D'Aci, e l’avvocato dello Stato Paola De Nuntis;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Il dott. Alessio L, in atto magistrato ordinario con funzioni di giudice presso il Tribunale di Tivoli, ha impugnato al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio l’atto del Consiglio superiore della magistratura 6 giugno 2014 prot. P10663/2014 che aveva rigettato la sua istanza di attribuzione della quinta valutazione di professionalità a decorrere dal 22 settembre 2011.

1.1. Premesso di aver superato il concorso per magistrato bandito nel 1996 e di essere entrato nei ruoli della magistratura ordinaria per d.m. 28 luglio 1998, e poi di essere passato nella magistratura amministrativa dal 22 settembre 2003 avendo superato il concorso per referendario nei tribunali amministrativi bandito nel 2002, egli esponeva di aver poi conseguito la nomina a primo referendario (in data 22 luglio 2007) e in seguito quella a consigliere di tribunale amministrativo (dal 22 luglio 2011) con, a suo dire, qualifica e stipendio equiparati a consigliere della Corte di cassazione. Nel 2011 aveva presentato istanza di riammissione in magistratura ordinaria ai sensi dell’art. 211, secondo comma, r.d. 30 gennaio 1941, n. 12 (ordinamento giudiziario);
istanza accolta dal CSM con delibera 27 luglio 2011.

1.2. Riammesso così in magistratura ordinaria, gli era stato riconosciuto il trattamento economico del consigliere di cassazione, con conseguente pagamento di tutti gli arretrati;
nondimeno era stato collocato, nel ruolo di anzianità della magistratura ordinaria, tra i magistrati in possesso della sola terza valutazione di professionalità.

1.3. Egli presentò istanza per il collocamento tra i magistrati in possesso della quinta valutazione di professionalità, ma il CSM lo negò sulla base del parere di quell’Ufficio studi n. 408/2013 secondo cui, nell’applicazione dell’istituto della riammissione in servizio con provenienza dalle magistrature speciali, al magistrato riammesso va riconosciuta un’anzianità di servizio e, dunque, una valutazione di professionalità, corrispondente alla somma degli anni di servizio presso entrambe le magistrature: cioè a prescindere dalla qualifica intanto conseguita presso le magistrature speciali, così dovendosi intendere il riferimento alla «ricongiunzione dei servizi prestati» di cui al detto art. 211. Diversamente – per quel parere - al magistrato verrebbe riconosciuto un periodo di servizio (necessario per conseguire la più elevata valutazione di professionalità) in realtà superiore alla somma degli anni in cui ha effettivamente esercitato le funzioni di magistrato.

2. Il ricorso del dott. L era articolato in otto motivi e assumeva l’abrogazione tacita – ad opera della Costituzione e del d.lgs. 5 aprile 2006, n. 160 – dell’art. 211, ultimo comma, dell’ordinamento giudiziario, con conseguente applicazione dell’art. 11 ( Funzioni di merito e di legittimità ) d.lgs. 5 aprile 2006, n. 160 ( Nuova disciplina dell'accesso in magistratura, nonché in materia di progressione economica e di funzioni dei magistrati, a norma dell'articolo 1, comma 1, lettera a), della legge 25 luglio 2005, n. 150 ), da interpretare conformemente al principio costituzionale del merito, per il quale il superamento del concorso di secondo grado e il conseguente servizio nella magistratura amministrativa va preso in considerazione ai fini dell’attribuzione delle valutazioni di professionalità al momento della riammissione nella magistratura ordinaria.

Il ricorrente sollevava poi questione di legittimità costituzionale dell’art. 211, u.c., e chiedeva disporsi rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, riscontrando nella normativa, come interpretata dal CSM, la violazione dei principi comunitari di concorrenza e libera circolazione delle persone, favorendo un sistema giuridico e lavorativo rivolto a sancire l’immobilità dei magistrati con sfavore verso ogni spostamento da una magistratura all’altra.

2.1. Il ricorrente domandava così l’annullamento del provvedimento del CSM che respingeva la sua istanza e l’accertamento del diritto al riconoscimento della quinta valutazione di professionalità dall’acquisizione della qualifica di consigliere di tribunale amministrativo e il conseguente diritto ad essere scrutinato per le successive valutazioni di professionalità (la sesta e la settima), considerato il tempo intercorso. In subordine, egli domandava il riconoscimento, ai soli fini economici, della quinta valutazione di professionalità dall’acquisizione della qualifica di consigliere di tribunale amministrativo e il conseguente riconoscimento del diritto alle successive integrazioni stipendiali connesse alle valutazioni quadriennali di professionalità.

3. Si costituivano in giudizio il Consiglio superiore della magistratura e il Ministero della giustizia, sollevando eccezioni di rito e concludendo per l’inammissibilità o, comunque, l’infondatezza del ricorso.

4. Con ricorso per motivi aggiunti, il dott. L impugnava l’atto del CSM del 22 maggio 2015 che gli attribuiva, in sede di valutazione di professionalità, la quarta valutazione di professionalità, essendo medio tempore maturati gli anni di servizio necessari, e non la quinta (o sesta in ragione degli anni trascorsi) valutazione di professionalità, come atteso. Il provvedimento era fatto oggetto delle medesime censure già svolte con il ricorso principale.

5. Il Tribunale amministrativo rendeva la sentenza 28 settembre 2016, n. 9963 che dichiarava inammissibile il ricorso e i motivi aggiunti.

La sentenza accoglieva l’eccezione di inammissibilità del ricorso per violazione dell’art. 41, comma 2, Cod. proc. amm. non avendo il ricorrente notificato né il ricorso principale né i motivi aggiunti ad almeno uno dei controinteressati.

6. Il dott. L appella detta sentenza. Il Consiglio superiore della magistratura e il Ministero della Giustizia si sono costituiti in giudizio contestando l’appello e hanno depositato memoria in vista dell’udienza pubblica, cui l’appellante ha replicato con memoria.

All’udienza pubblica del 9 novembre 2017 la causa è stata trattenuta in decisione.

7. Con il primo motivo di appello, il dott. L censura la sentenza per aver violato i principi generali sulla partecipazione del controinteressati al processo come definiti dalla giurisprudenza amministrativa, nonché per violazione dell’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo.

8. Il Tribunale amministrativo, infatti, ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto in conseguenza della mancata notifica ad almeno uno dei controinteressati come richiesto a pena di decadenza dall’art. 41, comma 2, Cod. proc. amm..

La sentenza assume che la domanda giudiziale di annullamento del provvedimento del CSM che aveva negato l’attribuzione di una valutazione di professionalità (la quinta) perché non corrispondente a quella conseguibile calcolando il periodo complessivo trascorso in magistratura (la terza), avrebbe comportato, ove accolta, il collocamento dell’interessato in posizione di ruolo poziore rispetto agli altri magistrati che, entrati in carriera prima del ricorrente, non avevano conseguito la quinta valutazione di professionalità avendo seguito il percorso ordinario di carriera.

Costoro, per la sentenza, andavano considerati controinteressati in senso tecnico, avendo un interesse preciso e immediato alla conservazione della posizione e, dunque, a tener fermo il provvedimento impugnato.

9. L’appellante sostiene invece che rispetto all’atto di diniego impugnato non sarebbero configurabili controinteressati da dover convenire nel giudizio di annullamento a pena di decadenza ai sensi dell’art. 41, comma 2, Cod. proc. amm..

Richiamata la consolidata giurisprudenza per cui la nozione di controinteressato in senso tecnico postula il concorso di un elemento formale, l’espressa menzione o l’immediata individuabilità nel provvedimento impugnato, e di uno sostanziale, la titolarità di un interesse giuridico qualificato al mantenimento degli effetti dell’atto, l’appellante ritiene che, nella specie, mancherebbe sia l’uno che l’altro.

9.1. Quanto all’elemento formale, dall’atto impugnato non erano desumibili i nomi e i cognomi dei magistrati collocati in posizione anteriore in ruolo che non hanno conseguito la quinta valutazione di professionalità. Quanto all’elemento sostanziale, i detti magistrati non avrebbero un effettivo interesse contrario al suo, avendo invece interesse alla corretta applicazione della disciplina normativa di riferimento cui potrebbero ricorrere in altro momento della loro carriera professionale.

10. Questo motivo di appello è fondato, va accolto e il ricorso va esaminato nel merito.

10.1. In realtà, il contraddittorio processuale era stato instaurato.

L’art. 21 l. 6 dicembre 1971, n. 1034 prevedeva: « Il ricorso deve essere notificato tanto all’organo che ha emesso l’atto impugnato quanto ai controinteressati ai quali l’atto direttamente si riferisce o almeno a uno tra essi ».

Rilevava la giurisprudenza che la disposizione non dava una testuale nozione di controinteressato, ma la presupponeva e delimitava, consentendo di individuare il controinteressato in senso formale come parte necessaria del giudizio impugnatorio, rinvenuto in chi è portatore di un interesse differenziato, eguale e contrario a quello del ricorrente: il ricorrente ha interesse alla caducazione dell’atto impugnato, il controinteressato alla sua conservazione.

Al processo, però, dev’essere messo in consapevole condizione di partecipare solo il controinteressato al quale «l’atto direttamente si riferisce» , cioè il controinteressato in senso formale, esplicitamente menzionato nel provvedimento impugnato o comunque agevolmente individuabile secondo semplice e ordinaria diligenza (cfr., ex multis , Cons. Stato, sez. V, 17 novembre 2001, n. 6254).

10.2. Il Codice del processo amministrativo del 2010, all’art. 41 ( Notificazione del ricorso e suoi destinatari ), comma 2 (in forza del quale « il ricorso deve essere notificato, a pena di decadenza, […] ad almeno uno dei controinteressati che sia individuato nell'atto stesso »), recependo l’acquisizione giurisprudenziale, precisa che controinteressato [in senso formale] è il soggetto – titolare di un interesse uguale e contrario a quello del ricorrente – « che sia individuato nell’atto stesso ». Non basta che l’atto si riferisca a un controinteressato, è necessario che lo individui. La giurisprudenza continua ad equiparare il controinteressato individuato testualmente dall’atto a quello facilmente individuabile in ragione delle indicazioni contenute nell’atto impugnato (es. Cons. Stato, V, 7 giugno 2017, n. 2723;
IV, 12 aprile 2017, n. 1701;
VI, 11 novembre 2016, n. 4676): ciò a prevenire il grave inconveniente processuale, fonte di possibili irrazionalità, distorsioni e disparità, che le parti necessarie del processo siano definite non dalla legge ma dalle contingenti modalità di redazione del provvedimento impugnato.

11. E’ corretto pertanto affermare, con la sentenza appellata, che il controinteressato che è litisconsorte necessario nel giudizio di annullamento è un controinteressato sostanziale – formale , portatore di un interesse speculare e opposto a quello del ricorrente (criterio sostanziale) e contemplato dal provvedimento impugnato ovvero di agevole individuazione (criterio formale).

12. Alla luce di questi sedimentati assunti giurisprudenziali, deve però qui valutarsi se sussistessero controinteressati processuali rispetto all’atto del CSM impugnato in giustizia dal L, cui dover notificare il ricorso.

12.1 Il Collegio ritiene non condivisibile la conclusione dell’appellata sentenza, che assume che controinteressati all’annullamento del diniego di attribuzione della quinta valutazione di professionalità siano da considerare tutti i magistrati che, entrati nei ruoli della magistratura ordinaria prima del dott. L, e non avendo per ragioni di loro anzianità ancora conseguito la quinta valutazione di professionalità, hanno interesse a che l’appellante resti, nel ruolo, collocato in posizione loro ulteriore.

Difetta, infatti, in capo ad essi l’attualità della lesione, dunque di un interesse a contraddire nel processo, qui simmetrica all’interesse al bene della vita accampato dal dott. L. I magistrati potenzialmente postergati nel ruolo di anzianità a seguito dell’eventuale accoglimento del ricorso sono invero portatori dell’interesse alla conservazione della loro posizione nei termini in cui da detta semplice postergazione derivi un effettivo vulnus alle loro personali aspettative di carriera. Il che non si realizza perché – come è palese nella specie - ancora il tutto si esaurisce nella postergazione medesima, che riguardo alla carriera di suo ha solo un effetto solo formale e simbolico, che allo stato corrisponde ancora a un interesse di fatto, visto che la posizione poziore in graduatoria non genera vantaggi immediati e diretti, perché il superamento nella posizione del ruolo non produce nella condizione giuridica di chi lo subisce pregiudizi diretti ed immediati.

Ravvisare nei magistrati così superati la qualità di parte necessaria del processo, come fa il Tribunale, significherebbe dunque raffigurare la necessità di un confronto processuale tra soggetti cui in realtà si riferiscono situazioni affatto diverse e non simmetriche;
una tale configurazione è preclusa dal rammentato criterio sostanziale, essendo controinteressati solamente quanti si trovano in posizione autenticamente simmetrica con il ricorrente perché versano in una situazione analoga e contraria (cfr., ex multis , Cons. Stato, V, 2 febbraio 2012, n. 567).

12.2. La giurisprudenza è del resto ferma nel ritenere che non è litisconsorte necessario il controinteressato solo potenziale, perché la qualità di controinteressato va rilevata alla data di emanazione dell’atto lesivo impugnato, restando irrilevante ogni circostanza o vicenda sopravvenuta (es. Cons. Stato, V, 26 settembre 2000, n. 5092;
Cons. giust. amm. Sicilia, 2 giugno 1992, n. 140).

Nella vicenda in esame, non è ancora attuale un interesse a un reale bene della vita in urto con quello del ricorrente: come invece sarebbe, coinvolgendo il precedente fatto che ha generato quella collocazione in ruolo, in presenza di una domanda, in concorso con lui, per un ufficio che sia stato messo a concorso per funzioni direttive cui può aspirare il magistrato di quinta valutazione di professionalità. La circostanza che tali attribuzioni non siano al momento richieste dal dott. L conferma l’esclusione, per le ragioni dette, che ai magistrati oltrepassati nel ruolo spetti la qualifica di contraddittori necessari alla sua domanda giudiziale.

12.3. Il carattere solo eventuale e futuro del pregiudizio per un magistrato, la cui posizione in ruolo viene superata, non comporta pertanto l’irrimediabile tutela immediata in giudizio.

13. Queste ragioni conducono ad accogliere il motivo di appello e di ritenere assorbita ogni considerazione sul tema.

Va nondimeno precisato che, nella parte finale del primo motivo d’appello, l’appellante lamenta che la sentenza ha dichiarato inammissibile il suo ricorso per mancata notifica ad almeno un controinteressato anche riguardo alla domanda subordinata di condanna al riconoscimento dell’anzianità al solo fine della progressione economica.

Per l’appellante, anche in relazione a detta domanda, non sussistono situazioni di controinteresse.

13.1. In realtà la detta domanda subordinata di condanna al riconoscimento della quinta valutazione di professionalità ai soli fini economici (dalla data di riconoscimento della già conseguita qualifica di consigliere di tribunale amministrativo), è stata dall’appellata sentenza ritenuta inammissibile non per mancata notifica ex art. 41, comma 2, Cod. proc. amm., ma per la ragione intrinseca di carenza di interesse, avendo il ricorrente ammesso che l’Amministrazione gli aveva riconosciuto la pretesa mediante corresponsione del trattamento economico corrispondente alla qualifica richiesta.

13.2. Tale statuizione non è stata oggetto di censura dell’appellante: sicché è passata in giudicato.

14. Definite le questioni relative all’instaurazione del contraddittorio, si passa ad esaminare nel merito le doglianze del dott. L, qui riproposte ex art. 101, comma 2, Cod. proc. amm..

15. I primi tre motivi di ricorso possono essere congiuntamente esaminati poiché pongono, nel complesso, la questione della disciplina applicabile alla vicenda, come quella del dott. L, del magistrato ordinario che, dopo alcuni anni trascorsi nei ruoli della magistratura amministrativa fino ad aver raggiunto la qualifica di consigliere di tribunale amministrativo, faccia domanda di rientro nella magistratura ordinaria.

15.1. Il CSM, nel provvedimento impugnato, ha recepito il parere del suo Ufficio Studi n. 408/2013 per il quale: “ Gli effetti del […] trasferimento dalla magistratura amministrativa a quella ordinaria sono disciplinati dall’art. 211 dell’Ordinamento giudiziario” e quindi: “La norma, come emerge dal suo tenore letterale, stabilisce che il magistrato che transiti da una magistratura all’altra, ha diritto alla ricongiunzione dei servizi prestati. Il giudice amministrativo ha chiarito che la ricongiunzione dei servizi prestati attiene al computo, presso la nuova amministrazione, dell’anzianità maturata nel diverso plesso magistratuale (T.A.R. Lazio sez. I, 22 maggio 2006 n. 3697). Tanto è accaduto, come si è già visto per ciò che riguarda il dottor L a cui favore è stato computato anche il periodo di servizio svolto presso la magistratura amministrativa, essendo stata determinata la sua anzianità a partire dal decreto di nomina del 1998, corrispondente al suo originario ingresso in magistratura, considerando quindi integralmente il periodo intermedio. Gli è stata così attribuita la terza valutazione di professionalità, nonostante egli abbia trascorso in magistratura ordinaria un periodo effettivo di poco più di sei anni ”.

La conclusione dell’atto è di ritenere infondata la richiesta del dott. L al conseguimento della quinta valutazione di professionalità - corrispondente a consigliere di cassazione - per effetto della asserita corrispondenza alla qualifica di consigliere di tribunale amministrativo, acquisita nel periodo trascorso nei ruoli della magistratura amministrativa.

15.2. Con primo motivo di ricorso, il dott. L sostiene la vicenda del passaggio dalla magistratura amministrativa a quella ordinaria non essere disciplinata dall’art. 211 Ord. giud., perché abrogato a seguito dell’entrata in vigore della Costituzione (artt. 106 e 107), della legge istitutiva dei tribunali amministrativi regionali, l. 6 dicembre 1971, n. 1034 (e del relativo Regolamento di esecuzione, d.P.R. 21 aprile 1974, n. 214) nonché della riforma della carriera dei magistrati di cui al d.lgs. 5 aprile 2006, n. 160 [ Nuova disciplina dell'accesso in magistratura, nonché in materia di progressione economica e di funzioni dei magistrati, a norma dell'articolo 1, comma 1, lettera a), della L. 25 luglio 2005, n. 150 ].

L’abrogazione sarebbe avvenuta per incompatibilità. Per l’appellante, l’art. 211 si inseriva in un quadro normativo in cui la carriera dei magistrati avanzava solo per anzianità, senza che rilevasse il merito dimostrato ovvero la specifica capacità professionale. Tale quadro è mutato nel tempo, fino ad essere capovolto dal d.lgs. 5 aprile 2006, n. 160, per il quale la carriera dei magistrati avanza in ragione del merito, mediante periodiche valutazione di professionalità, per accertare il livello di professionalità raggiunto. In questo sistema è possibile che il magistrato più giovane superi il magistrato più anziano, così disapplicando la regola di non scavalcabilità dell’art. 211, ultimo comma.

Per il secondo motivo di ricorso dell’appello, abrogato l’art. 211 Ord. giud., la disciplina del trasferimento dalla magistratura amministrativa a quella ordinaria andrebbe ricavata dall’art. 11 d.lgs. 5 aprile 2006, n. 160, da interpretarsi coerenza con la legge istitutiva dei tribunali amministrativi, l 6 dicembre 1971, n. 1034. Quando detto art. 11 definisce i parametri sulla cui base va compiuta la valutazione di professionalità (capacità, laboriosità, diligenza e impegno) occorre considerare anche l’avvenuto superamento del concorso di secondo grado come referendario di tribunale amministrativo e del servizio prestato presso la magistratura amministrativa, quale espressione di una maggiore capacità professionale.

Infine, con il terzo motivo, l’appellante assume che la ricostruzione proposta ha fondamento anche nell’art. 4, comma 8, l. 6 agosto 1984, n. 425 [ Disposizioni relative al trattamento economico dei magistrati ] per il quale “ Le anzianità maturate nelle carriere di cui alla legge 19 febbraio 1981, n. 27 , diverse da quella di appartenenza, sono valutate tenendo conto dell'equiparazione esistente tra le diverse qualifiche delle varie magistrature e dell'avvocatura dello Stato ”, da interpretare in conformità al principio del merito derivante dagli artt. 106 e 107 Cost. e quindi nel senso che la qualifica di consigliere di tribunale amministrativo è equiparata ad ogni effetto a quella di – a dire dell’interessato - consigliere di cassazione.

16. I motivi sono infondati.

17.1. Va anzitutto rilevato che l’art. 211 ( Divieto di riammissione in magistratura ), nell’originaria formulazione constava del solo primo comma, a tenore del quale «il magistrato che ha cessato di far parte dell'ordine giudiziario in seguito a sua domanda, da qualsiasi motivo determinata, anche se ha assunto altri uffici dello Stato, non può essere riammesso in magistratura».

Questa preclusione, per il suo rigore correlato all’importanza particolare del rapporto di servizio del magistrato rispetto al restante pubblico impiego, faceva eccezione alla regola generale di possibile riammissione, valevole per gli impiegati civili dello Stato, ai sensi dell’art. 132 d.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3.

La l. 2 aprile 1979, n. 97 ha poi introdotto all’art. 211 i commi secondo, terzo e quarto: che innovando al divieto generale di riammissione del primo comma, hanno anzitutto stabilito che il divieto «non si applica a chi, già appartenente all'ordine giudiziario, sia transitato nelle magistrature speciali ed in esse abbia prestato ininterrottamente servizio» .

La fattispecie è regolata dalle previsioni del terzo e del quarto comma.

In particolare, il terzo comma prevede che il magistrato interessato «può essere riammesso, a domanda, previa valutazione del Consiglio superiore della magistratura. Il Consiglio, acquisito il fascicolo personale del richiedente, nel deliberare la riammissione, colloca il magistrato, anche in soprannumero, nel posto di ruolo risultante dalla ricongiunzione dei servizi prestati e dalle valutazioni e relative nomine, da effettuarsi contestualmente, ai sensi delle leggi 25 luglio 1966, n. 570, 20 dicembre 1973, n. 831, e successive modificazioni» ;
il quarto comma prevede che «In nessun caso gli interessati possono essere collocati in ruolo in un posto anteriore a quello che avrebbero normalmente avuto se non fossero transitati nelle magistrature speciali» . .

17.2. L’assunto dell’appellante, che la disposizione sia stata tacitamente o implicitamente abrogata per sopravvenienza dalla Costituzione, è destituita di presupposto.

In disparte ogni questione circa la pretesa abrogazione tacita o implicita di leggi ad opera della Costituzione – che sembra disattendere l’esistenza, prevista dalla Costituzione stessa, dell’apposito giudizio sulla legittimità costituzionale delle leggi (art. 134, prima ipotesi, Cost.) -, osta l’insuperabile dato storico che le norme che si pretenderebbero abrogate per sopravvenienza della Costituzione, o dalla l. n. 1034 del 1971, sono di trentuno anni posteriori alla prima, di otto anni alla seconda. Sicché non è figurabile il fatto stesso della sopravvenienza invocato a fondamento del duplice assunto.

Nemmeno queste previsioni di legge sono state tacitamente o implicitamente abrogate dalla sopravvenienza del d.lgs. 5 aprile 2006 n. 160 ( Nuova disciplina dell'accesso in magistratura, nonché in materia di progressione economica e di funzioni dei magistrati, a norma dell'articolo 1, comma 1, lettera a), della legge 25 luglio 2005, n. 150 ), che ha riformato le modalità di progressione in carriera dei magistrati ordinari il cui assetto c.d. a ruoli aperti, o di selezione puramente negativa, era stato introdotto dalle leggi 25 luglio 1966, n. 570 e 20 dicembre 1973, n. 831 in sostituzione dell’originario sistema di progressione c.d. a ruoli chiusi, basato su avanzamenti mediante concorsi e scrutini.

Il d.lgs. n. 160 del 2006 non tratta della riammissione in servizio del magistrato proveniente dalle magistrature speciali perché è tema estraneo al riordino delle forme della progressione interna, che concerne non la riammissione del magistrato, ma il solo avanzamento all’interno della magistratura ordinaria. Sicché non riordina anche la fattispecie della riammissione, che resta distintamente disciplinata dall’art. 211 (salvi, ovviamente, i riferimenti alle leggi n. 570 del 1966 e n. 831 del 1973, implicitamente sostituite dallo stesso d.lgs. n. 160 del 2006).

Soprattutto difettano vuoi i presupposti del giudizio di incompatibilità tra singole disposizioni che stiano alla base di un’ipotesi di abrogazione tacita;
vuoi – con riguardo alla riammissione - una nuova disciplina organica della medesima materia che stia alla base di un’ipotesi di abrogazione implicita.

Vero è che il d.lgs. n. 160 del 2006 ha disciplinato le nuove forme di progressione in carriera del magistrato ordinario, basate su quadriennali valutazioni di professionalità. Ma questo avviene riguardo alla normale progressione interna alla magistratura ordinaria, dove le valutazioni di professionalità vengono svolte a scansione temporale prestabilita, mediante apposito procedimento non competitivo, sulla base di predeterminati elementi, parametri, documentazione e di indicatori per valutare il quadriennio passato di attività individuale.

Non vi a ha che fare un concorso per titoli ed esami di amissione in altra magistratura, per sua natura esterno all’ordine giudiziario, regolato da altre normative, organizzato dall’amministrazione di quelle giurisdizioni e inteso a valutare, su base concorsuale e dunque competitiva, la capacità di futuro svolgimento professionale di altra, speciale, funzione magistratuale. Si tratta di tutt’altra fattispecie, per oggetto e finalità. Sicché è anzitutto per inconferenza che difetta il ricordato elemento della nuova disciplina organica della materia.

17.3. Va escluso, poi, che gli effetti dell’avvenuta riammissione nei ruoli della magistratura ordinaria rientrandovi da quelli delle magistrature speciali si traggano dall’art. 4, comma 8, l. 6 agosto 1984, n. 425 ( Disposizioni relative al trattamento economico dei magistrati ), come sostenuto nel terzo motivo del ricorso.

L’art. 4 (« Le anzianità maturate nelle carriere di cui alla legge 19 febbraio 1981, n. 27, diverse da quella di appartenenza, sono valutate tenendo conto dell'equiparazione esistente tra le diverse qualifiche delle varie magistrature e dell'avvocatura dello Stato »), concerne – come la rubrica della legge evidenzia - la diversa materia del trattamento economico dei magistrati. Sicché l’equiparazione che contempla è ai soli fini economici e non anche giuridici.

18. Ferma dunque la perdurante vigenza dell’art. 211 Ord. giud., come modificato dalla l. n. 97 del 1979, occorre vagliare gli effetti della sua applicazione per valutare l’eventuale contrasto con disposizioni costituzionali o principi sovranazionali, in ciò sollecitati dai motivi di ricorso formulati dal dott. L (dal quattro all’otto).

18.1. Il ricordato art. 211, terzo comma, come accennato va piuttosto considerato implicitamente modificato per quanto attiene le «valutazioni e relative nomine, da effettuarsi contestualmente, ai sensi delle leggi 25 luglio 1966, n. 570, 20 dicembre 1973, n. 831, e successive modificazioni» . Infatti l’art. 54 del ricordato d.lgs. n. 160 del 2006 ha espressamente abrogato le dette due leggi, che – innovando all’originario sistema selettivo di avanzamento - concernevano la nomina per anzianità a magistrato di corte di appello e a magistrato di cassazione e il conferimento degli uffici direttivi superiori, per sostituirvi il ricordato nuovo sistema di progressione di funzioni, basato sulla periodiche valutazioni di professionalità, e di attribuzione degli incarichi semidirettivi e direttivi. Naturalmente, il venir meno delle norme del rinvio non ha travolto l’intera previsione dell’art. 211, terzo comma, vuoi perché lo stesso art. 54 non ne prevede l’abrogazione espressa;
vuoi perché il rinvio era all’evidenza dinamico avendo ad oggetto non la progressione in sé ma le modalità di progressione esistente al 1979 e disciplinato da quelle leggi «e successive modificazioni» , sicché mutando quelle muta anche la valutazione da fare alla riammissione;
vuoi perché, diversamente, vi sarebbe violazione degli artt. 3, 102 e 103 Cost., perché contro la ragionevolezza e l’unità funzionale della giurisdizione, si fingerebbe inesistente il servizio intermedio nella magistratura speciale, con l’effetto pratico di far regredire – con irrazionale disparità di trattamento - il magistrato ordinario che rientra rispetto alla sua posizione che pur virtualmente conserva «nel posto di ruolo risultante dalla ricongiunzione dei servizi prestati» nelle due magistrature.

Pertanto, in luogo di quelle valutazioni e relative nomine, si deve oggi all’atto della riammissione procedere alle valutazioni di professionalità di cui, medio tempore e figurata una virtuale permanenza ininterrotta del magistrato nell’ordine giudiziario, sarebbero maturati i presupposti temporali. Ma questa valutazione non comporta un avanzamento per saltum rispetto alla progressione tipica dell’ordine giudiziario.

La medesima ratio impone che, tale essendo l’oggetto da valutare in concreto, siffatta serie di valutazioni di professionalità tenga nella dovuta attenzione sia il fatto stesso - di suo meritevole indipendentemente dai suoi effetti giuridici - dell’avvenuto superamento del concorso di secondo grado di ammissione nella magistratura speciale, sia tutti gli elementi rilevanti dello svolgimento di attività presso quella magistratura o in ragione di quella condizione di magistrato speciale: elementi poi che comunque in futuro potranno andare, di loro, a comporre tratti del merito professionale e a contribuire a delineare le attitudini dell’interessato (cfr. Cass., SS.UU., 5 ottobre 2015, n. 19787). Ma questo è quanto.

Il fatto stesso della riammissibilità, che deroga al rigoroso divieto generale di cui all’art. 211, primo comma, fonda sull’assimilabilità della condizione comunque di magistrato , ordinario o speciale che sia. Il che riflette l’immanente principio costituzionale di unità funzionale della giurisdizione dell’art. 102 Cost.. Sicché la barriera dell’art. 211, ultimo comma (per cui l’interessato non può essere ricollocato in ruolo in un posto anteriore a quello che avrebbe normalmente avuto se non fosse transitato nella magistratura speciale) è sì previsione essenziale ad evitare che il transito nella magistratura speciale non divenga strumentale a un’elusione delle valutazioni di professionalità e dei loro presupposti quadriennali, finalizzata a così surrettiziamente “accelerare” la progressione in magistratura ordinaria;
ma – come norma speciale che osta a quello che altrimenti sarebbe un effetto naturale dell’intervenuta acquisizione di un livello superiore di carriera comunque magistratuale - è anche norma di stretta interpretazione, esaurendo i suoi effetti in questo mero impedimento giuridico.

Tutto questo postula che, nelle speciali valutazioni di professionalità da compiere in sede di riammissione dal transito in magistrature speciali, ove occorra vadano adattati parametri e indicatori per considerarne congruamente le specificità, oltre a considerare l’avvenuto passaggio intermedio del tempo. Il che ad esempio osta a che – contro la natura magistratuale dell’attività svolta medio tempore – sia dia fittiziamente per sospeso (cioè “congelato” dal momento del transito e per tutta la durata di questo), il periodo di legittimazione necessario per passare ad altro ufficio, invece effettivamente decorso. Ma di ciò il dott. L non pare dolersi.

18.2. Contrariamente a quanto pretende il dott. L, l’acquisizione presso la magistratura speciale di qualifica superiore a quella che egli avrebbe avuto permanendo in magistratura ordinaria non rileva dunque ai fini della determinazione nella collocazione nel ruolo di anzianità della magistratura ordinaria all’atto della riammissione in essa. Per il combinato dei detti nuovi commi dell’art. 211, egli in quel ruolo organico torna a riprendere la posizione che, virtualmente, mai vi ha lasciato.

19. Il ricorrente sostiene che l’art. 211 è in contrasto con norme costituzionali (artt. 3, 106 e 107 Cost.), nonché con l’art. 6 e l’art. 1, para. 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e, infine, con gli artt. 26, 45 e 81 del Trattato istitutivo dell’Unione europea.

19.1. Il contrasto con norme costituzionali è variamente prospettato. In primo luogo (quarto motivo di ricorso) egli ravvisa siffatto contrato con la circostanza che, in applicazione dell’art. 211, i magistrati amministrativi che domandano la riammissione nella magistratura ordinaria, pur avendo acquisito la qualifica di consigliere di tribunale amministrativo che a suo dire è equiparata a quella di consigliere di cassazione, ai fini della ricongiunzione dei servizi sono sottoposti alle valutazioni di professionalità proprie di qualifiche che precedono a quella più alta ormai conseguita. Così egli, pur avendo in pratica conseguito la qualifica di consigliere di cassazione cui, a suo dire, è equiparata quella di consigliere di tribunale amministrativo (il che corrisponde alla quinta valutazione di professionalità), è stato indebitamente inserito tra i magistrati con la sola terza valutazione di professionalità, e va nuovamente valutato per la quarta e poi per la quinta valutazione: in tal modo, egli afferma, subirebbe una “retrocessione”.

In secondo luogo (quinto motivo di ricorso) per la medesima vicenda il riconoscimento economico - pur attribuito all’atto della riammissione nella magistratura ordinaria (quello di consigliere di cassazione in ragione della citata equiparazione – a suo dire - a consigliere di tribunale amministrativo) - sia reso temporaneo e fittizio, poiché riassorbito dagli avanzamenti ottenuti con le successive valutazioni di professionalità e, di fatto, mantenuto fermo per i futuri diciassette anni, perché andrebbe a conseguire l’ulteriore scatto stipendiale solo con la settima valutazione di professionalità.

Infine (settimo motivo di ricorso), gli effetti conseguenti all’applicazione dell’art. 211 contrasterebbero con il principio del merito per la selezione dei magistrati e per il decorso della loro carriera, quale si ricava dagli artt. 106 e 107 Cost..

20. Ritiene il Collegio che la questione di legittimità costituzionale sia manifestamente infondata.

20.1. Dagli artt. 102, secondo comma, e 103 Cost. discende la distinzione degli ordini di magistrature: il rammentato principio di unità della giurisdizione dell’art. 102 Cost. va inteso come « unità non organica, ma funzionale di giurisdizione, che non esclude, anzi implica, una divisione dei vari ordini di giudici in sistemi diversi, in sistemi autonomi » (così Corte cost., 6 luglio 2004, n. 204). La distinzione degli ordini di magistrature implica la separazione dell’ordinamento e dello sviluppo delle carriere dei magistrati, per cui la progressione nella carriera in ciascun ordine è governata da criteri diversi . Come si è visto, l’eccezionale riammissibilità è effetto dell’unità funzionale della giurisdizione, il che reca il dovere, per l’amministrazione di rientro, di adeguata valutazione quadriennale o pluriquadriennale dei servizi nell’altra magistratura resi;
ma non esclude che ogni ordine magistratuale conservi integro il proprio e distinto sistema di reclutamento e progressione in carriera, con cui il merito - espresso dal principio del concorso dell’art. 106 Cost. - va apprezzato. Sicché irrazionale non è portare all’esposta conseguenza questo assetto generale;
lo appare piuttosto la pretesa di commistione dell’un ordine con l’altro.

Quanto al diverso aspetto degli effetti economici, provvede l’art. 4, comma 8, l. n. 425 del 1984: «Le anzianità maturate nelle carriere di cui alla legge 19 febbraio 1981, n. 27, diverse da quella di appartenenza, sono valutate tenendo conto dell'equiparazione esistente tra le diverse qualifiche delle varie magistrature e dell'avvocatura dello Stato» .

20.2. Pare dunque che la questione di legittimità costituzionale sia manifestamente infondata anche per ciò che concerne il trattamento economico.

21. Il dott. L, nel sesto motivo, assume il contrasto del provvedimento impugnato con l’art. 6 e con l’art. 1, para. 1 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti e delle libertà fondamentali: l’asserita privazione della qualifica acquisita nella magistratura amministrativa in riammissione in quella ordinaria comporterebbe rilevanti danni economici e la perdita di un bene fondamentale, la proprietà, estesa dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’Uomo anche al credito.

21.1. Il contrasto asserito non sussiste, anzitutto in ragione della volontarietà della riammissione;
ben avrebbe potuto il dott. L restare in magistratura amministrativa, senza così subire questo asserito pregiudizio. La sua personale, libera scelta di lasciare la magistratura amministrativa per domandare la riammissione in magistratura ordinaria non può generare a suo favore un regime economico speciale, a carico del pubblico erario.

Si aggiunge che comunque le previsioni della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti e delle libertà fondamentali tutelano il cittadino da atti espropriativi dei beni già presenti nel patrimonio dell’individuo che non siano giustificati da ragioni di pubblica utilità e attuate mediante legittimi provvedimenti amministrativi. Non vi ha a che vedere l’aspirazione personale all’acquisizione di un vantaggio economico particolare e futuro.

22. Infine, con l’ottavo motivo di ricorso, il dott. L domanda il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione europea per la verifica della conformità della normativa interna dell’art. 211, ultimo comma, Ord. giud.. Egli contesta la conformità all'ordinamento eurounitario di siffatta previsione - che come visto contrasta le elusioni e le indebite accelerazioni ab extra dello sviluppo della carriera del magistrato ordinario – perché, a suo dire, realizza un sistema giuridico e lavorativo caratterizzato “ dall’immobilità dei magistrati e dove si postula il palese disfavore verso ogni spostamento da una magistratura all’altra ”, in contrasto anche con il principio della libera circolazione delle persone e della concorrenza, oltre che dei principi posti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea del 30 marzo 2010 con specifico riferimento agli artt. 15 (libertà professionale e diritto di lavorare) e 21 (non discriminazione) oltre che dei principi della direttiva servizi 2006/123/CE.

22.1. Ritiene il Collegio che l’assunto non abbia alcun fondamento. Il che senz’altro esclude la necessità di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione europea.

22.2. Anzitutto va rilevato che si verte di una carriera speciale di diritto pubblico (art. 3 d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165), dunque di un rapporto di servizio che inerisce a una funzione espressiva di sovranità: che perciò - per l’inerenza all’interesse pubblico e alla configurazione della funzione cui serve, modellandone struttura e sviluppo - non può essere assimilato a un comune rapporto di lavoro e per il quale non si pone questione di libera circolazione del lavoratore negli spazi eurounitari. Inoltre, l’ordinamento nazionale della giurisdizione corrisponde al descritto modello, sicché non si vede in cosa possa consistere l’asserito contrasto.

22.3. Comunque, circa il contrasto con il principio della libera circolazione delle persone nell’Unione, intesa come libera circolazione dei lavoratori, prevale che per l’esercizio della funzione di magistrato vale la limitazione posta dal quarto comma dell’art. 45 TFUE per cui le disposizioni in materia, che garantiscono la libera circolazione dei lavori subordinati, non si applicano “ agli impieghi nella pubblica amministrazione ” (nell’interpretazione che ne ha dato la Corte di Giustizia dell’Unione europea come riferita a quelle attività che implicano l’esercizio di pubblici poteri, sin dalla sentenza C-149/79 del17 dicembre 1980, Commissione c. Belgio).

22.4. Il magistrato che, proveniente dai ruoli della magistratura amministrativa, è riammesso in quella ordinaria non subisce limitazioni alla libertà professionale né al diritto di lavorare, nessuna delle misure previste incidendo sull’esercizio della funzione: né è discriminato rispetto ad altro lavoratore più favorito a parità di condizioni (che, peraltro, il dott. L, non individua).

23. Per le ragioni esposte, tutti i motivi di ricorso vanno respinti.

24. L’accoglimento del primo motivo di appello sulla questione preliminare giustifica la compensazione delle spese del presente grado del giudizio.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi