Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2016-04-13, n. 201601450

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2016-04-13, n. 201601450
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201601450
Data del deposito : 13 aprile 2016
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 08199/2015 REG.RIC.

N. 01450/2016REG.PROV.COLL.

N. 08199/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello nr. 8199 del 2015, proposto dalla signora M G C, rappresentata e difesa dall’avv. G B, con domicilio eletto presso l’avv. Francesco A. Caputo in Roma, via U. Ojetti, 114,

contro

i signori D B, A C e D N D F, rappresentati e difesi dall’avv. Livia Grazzini, con domicilio eletto presso la stessa in Roma, via L. Serra, 32,

nei confronti di

AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa ope legis dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata presso la stessa in Roma, via dei Portoghesi, 12,

avverso e per l’annullamento e/o la riforma,

previa sospensione dell’esecuzione,

della sentenza resa tra le parti dal T.A.R. della Calabria, Sezione Prima, nr. 962 del 24 aprile 2015, depositata il 23 maggio 2015, mai notificata, con la quale è stato accolto il ricorso nr. 677/2014 proposto dai signori D B, A C e D N d F e, per l’effetto, è stato annullato il provvedimento prot. 36694 del 27 novembre 2013 con il quale il Direttore dell’Ufficio Regionale dei Monopoli di Stato della Calabria e Basilicata, Sezione di Catanzaro, ha deliberato l’istituzione della Rivendita speciale nr. 7 presso il bar della Stazione di Servizio Automobilistico ENI sita in Soveria Mannelli, viale Rubettino s.n.c., esercitata dall’appellante.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio degli appellati, signori D B, A C e D N d F e dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, nonché l’appello incidentale proposto da quest’ultima;

Viste le memorie prodotte dalla appellante (in data 9 novembre 2015) e dagli appellati (in date 14 novembre 2015 e 5 febbraio 2016) a sostegno delle proprie difese;

Vista l’ordinanza di questa Sezione nr. 5151 del 18 novembre 2015, con la quale è stata accolta la domanda incidentale di sospensione dell’esecuzione della sentenza impugnata;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, all’udienza pubblica del giorno 10 marzo 2016, il Consigliere Raffaele Greco;

Uditi l’avv. Barba per l’appellante, l’avv. Grazzini per gli appellati e l’Avv. dello Stato D’Avanzo per l’Amministrazione;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

La signora M G C ha impugnato, chiedendone la riforma previa sospensione dell’esecuzione, la sentenza con la quale il T.A.R. della Calabria, in accoglimento del ricorso proposto dai signori D B, A C e D N d F, ha annullato il provvedimento dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli di autorizzazione all’apertura di una rivendita speciale di tabacchi presso il bar, gestito dalla medesima appellante, sito presso una stazione di servizio automobilistico nel Comune di Soveria Mannelli.

L’appello è affidato ai seguenti motivi in diritto:

1) violazione e falsa applicazione del principio tempus regit actum in riferimento agli artt. 6 e 2 del d.m. 21 febbraio 2013, nr. 38, 21 e 22 della legge 22 dicembre 1957, nr. 1293, 53 del d.P.R. 14 ottobre 1958, nr. 1074, al d.m. 19 ottobre 1994, nr. 678, tabella allegata voce 451, nonché all’art. 28, comma 4, del decreto-legge 6 luglio 2011, nr. 98, convertito con modificazioni dalla legge 15 luglio 2011, nr. 111 (per la parte in cui il primo giudice ha erroneamente ritenuto cha al provvedimento impugnato dovesse applicarsi la sopravvenuta disciplina di cui al d.m. nr. 38 del 2013);

2) violazione e falsa applicazione sotto altro profilo degli artt. 21, 22 e 23 della legge nr. 1293 del 1957, dell’art. 53, comma 1, del d.P.R. nr. 1074 del 1958 e degli artt. 4, 5, 6, 7 e 8 del d.m. nr. 38 del 2013 (in relazione alla parte in cui il primo giudice ha ritenuto che la speciale disciplina di cui all’art. 6 del d.m. nr. 38/2013 escludesse la perdurante applicabilità della previgente normativa in materia di rivendite speciali, per la quale la giurisprudenza ha sempre concordemente escluso la necessità del rispetto di un requisito di distanza minima rispetto alle rivendite ordinarie);

3) violazione e falsa applicazione degli artt. 83- bis, comma 17, del decreto-legge 25 giugno 2008, nr. 112, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2008, nr. 133, 24, comma 42, lettera e ), e 28, comma 8, lettera b ), del d.l. nr. 98 del 2011, come ulteriormente modificato dall’art. 8, comma 22- bis, del decreto-legge 2 marzo 2012, nr. 16, convertito dalla legge 26 aprile 2012, nr. 44, 3, comma 7, del decreto-legge 13 agosto 2011, nr. 138, convertito con modificazioni dalla legge 14 settembre 2011, nr. 148, 34, commi 2 e 3, lettera b ), del decreto-legge 6 dicembre 2011, nr. 201, convertito con modificazioni dalla legge 22 dicembre 2011, nr. 214 (dovendo, in via subordinata, pervenirsi a disapplicazione del citato art. 6 del d.m. nr. 38/2013, siccome violativo della normativa primaria in materia di “liberalizzazione” dianzi richiamata);

4) violazione degli artt. 49, 56, 101 e 102 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (T.F.U.E.), nonché degli artt. 3, 41 e 117 Cost.;
violazione e falsa applicazione dei principi comunitari e nazionali che regolano la concorrenza e il libero mercato (dovendo, in via ulteriormente subordinata, proporsi questione pregiudiziale dinanzi alla Corte di giustizia dell’Unione Europea in relazione alle norme primarie di riferimento, ove interpretate in modo da limitare la possibilità di apertura di rivendite del tipo di quella per cui è causa, siccome violative dei superiori principi comunitari dianzi richiamati).

Si sono costituiti gli appellati, signori D B, A C e D N d F, opponendosi con diffuse argomentazioni all’accoglimento dell’appello e instando per la conferma della sentenza impugnata.

Si è altresì costituita l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, la quale ha altresì spiegato appello incidentale avverso la sentenza in epigrafe, sulla scorta di un unico motivo sovrapponibile al secondo motivo dell’appello principale, con cui ha dedotto in particolare: violazione e/o falsa applicazione del d.m. nr. 38/2013 (artt. 2, 4, 5, 6, 7 e 8) in relazione agli artt. 21, 22 e 23 della legge nr. 1293/1957 ed all’art. 53 del d.P.R. nr. 1074/1958;
violazione e/o falsa applicazione dell’art. 28, comma 8, del d.l. nr. 98/2011 come modificato dall’art. 8, comma 22- bis, lettere a ) e b ), del d.l. nr. 16/2012; error in iudicando .

All’esito della camera di consiglio del 17 novembre 2015, questa Sezione ha accolto la domanda incidentale di sospensione dell’esecuzione della sentenza impugnata.

Di poi, le parti private hanno affidato a memorie l’ulteriore svolgimento delle rispettive tesi.

All’udienza del 10 marzo 2016, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. La signora M G C è stata autorizzata a gestire una rivendita speciale di generi di monopolio, istituita con provvedimento dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli del 27 novembre 2013, presso un bar sito in una stazione di servizio automobilistica nel Comune di Soveria Mannelli.

Il provvedimento istitutivo della nuova rivendita è stato impugnato in sede giurisdizionale dai signori D B, A C e D N d F, titolari di altrettante rivendite ordinarie site nel territorio del medesimo Comune.

Il T.A.R. della Calabria, investito della controversia, ha accolto il ricorso e per l’effetto annullato il provvedimento impugnato, ritenendolo viziato per carenza dei requisiti richiesti dall’art. 6 del d.m. 21 febbraio 2013, nr. 38, per le rivendite da istituire presso gli impianti di rifornimento di carburante.

Avverso detta sentenza sono insorti con gli appelli oggi all’esame l’originaria controinteressata nonché, in via incidentale, la stessa Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, già intimata in prime cure.

2. Ciò premesso, gli appelli si appalesano infondati e vanno conseguentemente respinti.

3. Principiando dal primo motivo dell’appello principale, con esso si lamenta la asseritamente erronea applicazione del principio tempus regit actum, per avere il primo giudice ritenuto che la legittimità del provvedimento autorizzatorio impugnato, in ragione della data di sua adozione, dovesse essere vagliata alla luce della sopravvenuta disciplina riveniente dal citato d.m. nr. 38 del 2013 (entrato in vigore nel corso del suo iter procedimentale);
al contrario, secondo l’istante avrebbe dovuto più correttamente farsi applicazione del principio tempus regit actionem, tenendo conto che l’intero procedimento si era svolto sotto il vigore della normativa previgente e che, solo a causa di un ritardo nell’adozione delle determinazioni conclusive da parte dell’Amministrazione, il provvedimento finale era intervenuto dopo l’entrata in vigore del decreto suindicato.

La censura non merita condivisione, dovendo convenirsi con l’opposto avviso del giudice di primo grado.

3.1. E, difatti, per giurisprudenza assolutamente granitica la corretta applicazione del principio tempus regit actum comporta che la p.a. deve considerare anche le modifiche normative intervenute durante il procedimento, non potendo considerare l’assetto normativo cristallizzato in via definitiva alla data dell’atto che vi ha dato avvio, con la conseguenza che la legittimità del provvedimento adottato al termine di un procedimento avviato ad istanza di parte deve essere valutata con riferimento alla disciplina vigente al tempo in cui è stato adottato il provvedimento finale, e non al tempo della presentazione della domanda da parte del privato, dovendo ogni atto del procedimento amministrativo essere regolato dalla legge del tempo in cui è emanato in dipendenza della circostanza che lo jus superveniens reca sempre una diversa valutazione degli interessi pubblici (cfr. Cons. Stato, sez. V, 23 ottobre 2014, nr. 5249;
nello stesso senso, Cons. Stato, sez. IV, 14 gennaio 2016, nr. 83;
id., sez. V, 12 maggio 2015, nr. 2356;
id., sez. IV, 12 marzo 2015, nr. 1313;
id., sez. V, 4 agosto 2014, nr. 4140;
id., sez. III, 21 luglio 2014, nr. 3886;
id., sez. IV, 4 novembre 2011, nr. 5854;
id., sez. VI, 15 settembre 2011, nr. 5154).

3.2. A tale regola, contrariamente a quanto si assume da parte appellante, non può farsi eccezione neanche per l’ipotesi in cui – come accade nella presente fattispecie – lo jus superveniens sia intervenuto dopo il completamento dell’intera istruttoria procedimentale, e tuttavia prima dell’adozione del provvedimento finale.

Al riguardo, non appaiono conferenti i precedenti di segno opposto richiamati dalla istante, atteso che:

- il primo di essi (Cons. Stato, sez. IV, 6 luglio 2004, nr. 5018) attiene a una procedura concorsuale, situazione nella quale – come è noto – è jus receptum che, in apparente deroga ai principi sopra richiamati, la lex della procedura si “cristallizzi” al momento dell’atto di indizione (e, comunque, la fattispecie ivi esaminata era del tutto peculiare, facendosi questione dell’interpretazione di norme transitorie con cui lo jus superveniens aveva inteso disciplinare proprio la propria applicazione ai concorsi in itinere );

- la seconda sentenza invocata (T.A.R. Calabria, 1 ottobre 2007, nr. 1420) è stata in parte riformata da questo Consiglio di Stato, con decisione nella quale è stata espressamente chiarita l’irrilevanza, ai fini del thema decidendum, dell’auspicata evocazione del principio tempus regit actionem, potendo pervenirsi a identici risultati anche applicando il tradizionale principio tempus regit actum (sez. VI, 10 dicembre 2012, nr. 6288).

4. Passando al secondo motivo dell’appello principale, questo, assieme all’unico motivo dell’appello incidentale dell’Amministrazione, solleva la questione centrale della presente controversia: quella del rapporto della sopravvenuta disposizione ex art. 6 del d.m. nr. 38/2013, in tema di requisiti e procedura per l’istituzione di rivendite presso gli impianti di distribuzione di carburante, con la previgente disciplina in materia di rivendite speciali riveniente dall’art. 22 della legge 22 dicembre 1957, nr. 1293, e dalla relativa normativa regolamentare esecutiva.

In estrema sintesi, si assume dalle parti appellanti che il citato art. 6 introdurrebbe una disciplina del tutto autonoma ed estranea rispetto a quella previgente, non destinata a interferire con la disciplina delle rivendite speciali, per le quali resterebbero fermi sia la normativa anteriore che la giurisprudenza applicativa (la quale, in particolare, ha sempre pacificamente escluso che per l’istituzione di dette rivendite fosse necessario rispettare una distanza minima con le altre rivendite esistenti sul territorio);
pertanto, lungi dal verificare il rispetto dei requisiti di dimensione e distanza prescritti dal precitato art. 6, l’Amministrazione per provvedere sull’istanza dell’odierna appellante avrebbe dovuto semplicemente verificare la sussistenza delle “ concrete e particolari esigenze ” richieste dall’art. 22, l. nr. 1293/1957 per l’istituzione delle rivendite speciali: esigenze il cui positivo riscontro sarebbe stato sufficiente a legittimare l’assenso alla richiesta, prescindendo da qualsivoglia altra considerazione di distanze e dimensioni.

Il motivo è infondato.

4.1. Ed invero, la questione del rapporto fra le due discipline dianzi richiamate è stata affrontata funditus dalla Sezione nelle sentenze nn. 1427 e 1428 del 19 marzo 2015, che parte istante mostra di conoscere, ma che tende a “svalutare” siccome non risolutive per non essere stata in tale circostanza approfondita la questione della perdurante validità dell’art. 22, l. nr. 1293/1957 (nei successivi scritti difensivi, in realtà, l’appellante tende piuttosto a contestare nel merito i principi espressi nella suindicate sentenze, auspicandone una rimeditazione).

In tale sede, con rilievi dai quali qui non si ravvisa ragione per discostarsi, è stato ben messo in luce come la portata dell’art. 6 del d.m. nr. 38/2013, lungi dall’aver introdotto un tertium genus di rivendite a fianco a quelle ordinarie e speciali (ovvero un quartum genus, se si tiene conto anche del “patentino” su cui si tornerà subito appresso), sia proprio quella di introdurre una disciplina speciale delle rivendite da istituire presso gli impianti di distribuzione di carburanti, pur restando però nell’ambito della categoria delle rivendite speciali di cui alla legislazione primaria;
inoltre, è stato chiarito che le più restrittive limitazioni alla possibilità di apertura di dette rivendite presso gli impianti in questione, sostanziantisi nella previsione di rigorosi requisiti in termini di dimensioni e caratteristiche dei locali nonché di distanza rispetto alle altre rivendite esistenti nel medesimo Comune (variabili a seconda della popolazione del Comune medesimo, e quindi del presumibile bacino di utenza), integrino un punto di equilibrio fra l’esigenza di assicurare l’esercizio dell’iniziativa imprenditoriale e la tutela della salute pubblica, come testimoniato dalla possibilità, in difetto dei requisiti di cui all’art. 6, di procedere ugualmente alla vendita dei generi di monopolio attraverso lo strumento del “patentino”, che è soggetto però a più rigorose condizioni quanto a pubblicizzazione dell’offerta nei confronti del pubblico.

4.2. A sostegno del proprio opposto avviso, le parti appellanti richiamano un precedente di segno diverso, costituito da un parere reso da questo Consiglio di Stato in sede di ricorso straordinario proposto da un soggetto avverso il provvedimento di “ archiviazione ” di una sua istanza motivato proprio con l’insussistenza delle condizioni di cui all’art. 6, d.m. nr. 38/2016 (sez. II, nr. 3054/2014 del 27 agosto 2014).

4.2.1. Nella fase cautelare del presente giudizio, la Sezione ha ravvisato la necessità di farsi carico più approfonditamente del possibile contrasto giurisprudenziale emergente dalle diverse decisioni che si sono richiamate, e per questo ha ritenuto che nelle more di ciò l’istante non dovesse subire il grave pregiudizio derivante dall’esecuzione della sentenza impugnata.

Tuttavia, al più globale e sereno esame proprio della sede di merito, si è dell’avviso di dover confermare integralmente l’indirizzo di cui alle sentenze nn. 1427 e 1428 del 2015, non apparendo questo suscettibile di essere scalfito dagli argomenti svolti nel parere nr. 3054/2014.

4.2.2. Infatti, oltre che di molti mesi anteriore al pronunciamento della Sezione, e ad essersi risolto nel mero annullamento di un provvedimento di “ archiviazione ” (e, quindi, nell’obbligo dell’Amministrazione di rideterminarsi sull’istanza formulata dal ricorrente), il predetto parere è stato manifestamente influenzato dalle preoccupazioni espresse dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato nel parere reso in data 21 giugno 2013 sulla disciplina del più volte citato d.m. nr. 38/2013, del quale erano stati paventati possibili effetti distorsivi della concorrenza;
per questo, la Sezione consultiva all’epoca investita della questione aveva ritenuto preminenti i profili di possibile contrasto della disciplina introdotta dall’art. 6 del detto decreto con la normativa primaria “liberalizzatrice” riveniente dall’art. 28, comma 8, lettera b ), del decreto-legge 6 luglio 2011, nr. 98, convertito con modificazioni dalla legge 15 luglio 2011, nr. 111.

Tutti questi aspetti sono stati bensì delibati nelle successive sentenze nn. 1427 e 1428 del 2015, con cui sono state confermate altrettante sentenze del T.A.R. del Lazio di reiezione di ricorsi direttamente proposti avverso il d.m. nr. 38/2013, e sono stati considerati superabili in base ad argomenti che in questa sede vanno integralmente richiamati e condivisi;
in particolare:

a ) si è preso atto dell’accantonamento delle più gravi preoccupazioni dell’A.G.C.M., come da comunicato del 9 giugno 2014, nel quale si è rappresentata – proprio a seguito delle sentenze del T.A.R. capitolino che avevano riaffermato la legittimità del decreto de quo – la determinazione di non procedere a sua impugnazione giurisdizionale ai sensi dell’art. 21- bis della legge 10 ottobre 1990, nr. 287;

b ) quanto al rapporto con la disciplina contenuta nel d.l. nr. 98 del 2011, si è sottolineato come il potere regolamentare esercitato col d.m. nr. 38/2013 trovasse la propria fonte in una norma contenuta nel medesimo decreto-legge (art. 24, comma 42), per inferirne la ragionevolezza e la legittimità delle opzioni trasfuse nell’art. 6 proprio in ragione della necessità di contemperare le esigenze “liberalizzatrici” con la superiore necessità di assicurare un elevato livello di tutela della salute.

4.3. A fronte dei rilievi fin qui richiamati, tali da indurre il Collegio a riaffermare i principi espressi nelle sentenze nn. 1427 e 1428 del 2015, non persuadono gli ulteriori argomenti spesi dalle parti appellanti a sostegno della propria diversa impostazione (oltre tutto supportati – specie nell’appello incidentale della difesa erariale – con l’abbondante ma incongruo richiamo di giurisprudenza anteriore al d.m. nr. 38/2013, e quindi palesemente non più pertinente).

4.3.1. In primis, non appare corretta la ricostruzione della prevalenza della disciplina contenuta nell’art. 4, comma 2, lettera b ), del medesimo d.m. nella parte in cui fa riferimento alle rivendite speciali site nelle “ stazioni automobilistiche ”: categoria nella quale, si assume, ricadrebbe la rivendita per cui è causa.

Infatti, la disposizione in parte qua va raccordata con le disposizioni primarie tuttora vigenti, e in particolare con l’art. 53 del d.P.R. 14 ottobre 1958, nr. 1074, laddove, con riferimento ai luoghi presso cui possono essere istituite le rivendite speciali di generi di monopolio, le “ stazioni automobilistiche ” sono menzionate in modo distinto dalle stazioni “ di servizio automobilistiche ”;
le relative definizioni sono contenute nella Circolare dell’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato del 15 ottobre 1998, laddove le prime vengono definite come “ le aree poste nei terminali delle autolinee di servizio pubblico extraurbano ” e le seconde come “ le aree poste sulle autostrade e sui raccordi autostradali, riconosciuti come autostrade ancorché senza pedaggio in base alla legge n. 1197/1965 ”.

Pertanto, risulta evidente come la stazione di servizio presso cui insiste il bar dell’odierna appellante rientra nella seconda categoria, individuata dall’art. 6 del decreto con la più comune locuzione di “ impianti di distribuzione di carburanti ”: donde l’inconferenza del richiamo normativo di parte istante.

4.4. Del pari destituito di fondatezza è l’ulteriore argomento, addotto a confutazione della differenza che – come evidenziato nelle precedenti sentenze della Sezione – esisterebbe, sul versante della “invasività” dell’offerta e quindi della tutela della salute, fra il regime della rivendita speciale e quello del “patentino”;
si assume, infatti, che in nessuno dei due casi sarebbe consentito esporre all’interno o all’esterno dei locali l’insegna indicante la rivendita dei tabacchi, sicché alcuna differenza vi sarebbe tra i due istituti sotto questo punto di vista.

L’assunto è erroneo in fatto, dal momento che – come ben evidenziato dagli odierni appellati – per le rivendite site presso gli impianti di distribuzione di carburante soccorre il comma 16 del più volte citato art. 6, il quale, in deroga a quanto stabilito dall’art. 4, comma 3, per le altre rivendite speciali, consente “ sempre ” l’esposizione delle dette insegne (disposizione, quest’ultima, evidentemente non applicabile in ipotesi di mero “patentino”).

5. I rilievi fin qui svolti consentono di respingere anche il terzo mezzo, col quale parte appellante principale in via subordinata sollecita la disapplicazione del ridetto art. 6, d.m. nr. 38/2013, reputandolo contrastante con la normativa primaria in materia di “liberalizzazione” delle rivendite di tabacchi: dell’insussistenza di detto contrasto si è già dato conto, infatti, nel richiamare le puntuali osservazioni svolte nelle sentenze nn. 1427 e 1428 del 2015 in ordine a come e perché la disciplina in esame debba considerarsi, al contrario, come l’equilibrato risultato del contemperamento di esigenze diverse (di liberalizzazione del commercio e di tutela della salute pubblica).

6. Con l’ultimo motivo d’impugnazione, l’appellante principale deduce, in via ulteriormente gradata, il contrasto della normativa primaria in subiecta materia (e, deve ritenersi, dell’art. 24, comma 42, del d.l. nr. 98/2011, quale fonte del potere regolamentare esercitato col d.m. nr. 38/2013) con le disposizioni anticoncorrenziali ricavabili dagli artt. 49, 56, 101 e 102 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (T.F.U.E.), sollecitando pertanto il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia.

Anche tale mezzo va disatteso, potendo sul punto sinteticamente richiamarsi quanto estesamente rilevato dalla Sezione nelle più volte citate sentenze nn. 1427 e 1428 del 2015.

In tale occasione, in particolare, è stato rilevato:

- che la questione di compatibilità comunitaria, per come formulata, concerne la posizione di privilegio costituita a favore degli operatori titolari di rivendite già esistenti, i quali verrebbero a essere avvantaggiati dall’obbligo per i terzi di ricorrere al “patentino” in tutti i casi in cui difettino i requisiti di cui all’art. 6, con la conseguente necessità di far capo ad altra rivendita preesistente, venendo in tal modo a investire la disciplina del “patentino” medesimo (art. 23 della legge nr. 1293 del 1957) e quindi a essere irrilevante nella specie, non avendo la parte istante alcun interesse a veder dichiarare l’illegittimità comunitaria di tale disciplina (dal momento che essa aspira a ottenere l’autorizzazione per una rivendita speciale, e non un “patentino”);

- che in ogni caso, per pacifico indirizzo della stessa Corte di Lussemburgo, la libertà comunitaria di stabilimento può subire delle restrizioni giustificate da motivi imperativi di interesse generale, e pertanto, anche ammettendo che la normativa primaria direttamente rilevante nella specie possa effettivamente presentare dei profili anticoncorrenziali, questi sarebbero legittimati dalle prevalenti esigenze di tutela della salute, che alla stregua della stessa normativa primaria va equilibrata con le esigenze di liberalizzazione dell’iniziativa economica, in modo da imporre di commisurare l’offerta di tabacchi alla domanda effettiva e non consentire di strutturare una sovra-offerta che stimoli un incremento della domanda (giungendosi a ipotizzare, per questo, che il diritto alla salute possa addirittura agire da “ controlimite ” ad un’eventuale pronuncia della Corte UE che affermasse la prevalenza delle esigenze di tutela della concorrenza).

7. In conclusione, s’impone una pronuncia di reiezione di entrambi gli appelli qui all’esame, con l’integrale conferma della sentenza impugnata.

8. In considerazione della complessità delle questioni di diritto esaminate, segnate anche da non lineari recenti indirizzi giurisprudenziali, le spese di lite possono essere integralmente compensate.

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