Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2024-04-17, n. 202403488

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2024-04-17, n. 202403488
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202403488
Data del deposito : 17 aprile 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 17/04/2024

N. 03488/2024REG.PROV.COLL.

N. 09990/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9990 del 2021, proposto da
L Z, rappresentato e difeso dall’Avvocato L M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Roma Capitale, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentata e difesa dagli Avvocati A M e B B, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda) n. 04609/2021, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 aprile 2024 il Cons. M P;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Con ricorso iscritto al n. 7266/2020 R.R. l’odierno appellante impugnava l’ordinanza n. 51167 del 29 maggio 2020 con la quale Roma Capitale sospendeva ex art. 23, comma 6, del d.P.R. n.380/2001 la D.I.A. presentata il 1° giugno 2017 per l’esecuzione di lavori di ampliamento ex L.R. n. 21 del 2009 (c.d. Piano casa) di un fabbricato ricadente in zona T3 del P.R.G., soggetta a vincolo paesaggistico.

Il provvedimento veniva adottato una volta accertata, in sede di sopralluogo, la realizzazione di una piscina non contemplata dal titolo edilizio.

Il T, con sentenza in forma semplificata ex art. 60 c.p.a. n. 4609 del 20 aprile 2021, respingeva il ricorso disattendendo la dedotta tardività della sospensione sul rilievo della « non veritiera rappresentazione dei fatti ad opera del privato » che legittimerebbe l’intervento inibitorio anche oltre lo spirare del termine di consolidamento del titolo edilizio fissato in 30 giorni.

Il Signor Zappelli impugnava la sentenza con appello depositato il 26 novembre 2021 deducendo

I. « Violazione di legge - Violazione e falsa applicazione dell’art. 54 e 55 comma 12 del D.lgs. luglio 2010, n. 104 – Codice del Processo Amministrativo - ERROR IN PROCEDENDO - illegittima valutazione di un documento introdotto nel fascicolo di causa dinanzi al TAR » censurando la scelta di definire il giudizio con sentenza in forma semplificata ritenendo erroneamente la ricorrenza del presupposto della completezza istruttoria;

II. « Violazione di legge. Violazione e falsa applicazione Art. 23 comma 6 e 27 del DPR 380/2001. Eccesso di Potere. L'irragionevolezza, l'illogicità e la contraddittorietà dell'atto » lamentando la tardività dell’intervento inibitorio posto in essere dall’amministrazione;

III. « Error in procedendo – Nullità della sentenza per sussistenza di vizio revocatorio ex art. 495 n. 4 c.p.c. » per aver il giudice di prime cure ritenuto erroneamente che la D.I.A. presentata comprendesse anche la realizzazione della piscina, invece, contemplata in sede di integrazione del titolo.

L’amministrazione si costituiva formalmente in giudizio il 17 dicembre 2021.

Nella camera di consiglio del 21 dicembre 2021, con ordinanza n. 6787/2021, veniva respinta l’istanza di sospensione.

All’esito della pubblica udienza dell’11 aprile 2024, la causa veniva decisa.

Con il primo motivo l’appellante lamenta il tardivo adempimento, da parte dell’amministrazione, all’istruttoria disposta dal T con ordinanza n. 6753 resa all’esito della camera di consiglio del 29 ottobre 2020 assegnando il termine di 20 giorni.

In particolare evidenzia come l’amministrazione avesse provveduto al deposito di quanto richiesto solo alle ore 18:40 del giorno precedente la camera di consiglio del 20 gennaio 2021 fissata per la discussione dell’istanza cautelare.

Ciò nonostante il T, con l’impugnata sentenza, definiva il giudizio con sentenza semplificata dando erroneamente atto della « completezza del contraddittorio e dell’istruttoria ».

La censura è infondata.

Ai sensi dell’art. 54, comma 1, c.p.a. « la presentazione tardiva di memorie o documenti può essere eccezionalmente autorizzata, su richiesta di parte, dal collegio, assicurando comunque il pieno rispetto del diritto delle controparti al contraddittorio su tali atti, qualora la produzione nel termine di legge sia risultata estremamente difficile ».

Il successivo art. 55, comma 12, dispone che « in sede di esame della domanda cautelare il collegio adotta, su istanza di parte, i provvedimenti necessari per assicurare la completezza dell'istruttoria e l'integrità del contraddittorio ».

In ossequio alle citate disposizioni il T, con ordinanza n. 6753/2020 disponeva un’integrazione istruttoria e, solo all’esito dell’adempimento da parte dell’amministrazione, ancorché successivo allo spirare del termine assegnato (non avente in ogni caso natura perentoria), che confermava l’assenza di sopravvenienze riteneva la causa matura per la decisione sulla base di quanto da tempo acquisito agli atti del giudizio.

Ciò premesso, deve in primis rilevarsi che, come da tempo affermato in giurisprudenza, « il termine fissato dal giudice per l'adempimento istruttorio deve ritenersi meramente ordinatorio, non essendo la sua inosservanza sanzionata da decadenze o preclusioni dalle norme del codice regolatrici del potere istruttorio (artt. 65 e 68 c.p.a.), né dall'analoga norma prima vigente (art. 23 comma 4, l. n. 1034 del 1971) » (Cons. Stato, Sez. III, 31 marzo 2014, n. 2013).

Quanto alla pretesa violazione del diritto a contraddire non può che evidenziarsi come l’amministrazione abbia ottemperato all’ordine del T mediante un mero richiamo ad un atto già prodotto, rappresentando che « non ci sono stati atti o aggiornamenti da segnalare a seguito della relazione tecnica trasmessa in data 28/09/2020 ».

La relazione richiamata veniva depositata in giudizio, e quindi resa conoscibile, in data 24 ottobre 2020 senza che l’appellante nei circa tre mesi successivi sviluppasse alcuna difesa in ordine ai contenuti della nota.

Non è dato comprendere, pertanto, in cosa consistano le difese dell’amministrazione in relazione alle quali al « difensore dell’odierno appellante, è stat[a] negata la possibilità di replicare ».

Con il secondo motivo, l’appellante deduce l’illegittimità dell’operato dell’amministrazione per aver agito oltre lo spirare del termine perentorio di cui all’art. 23, comma 6, del d.P.R. n. 380/2001 senza ricorrere all’esercizio dei poteri di autotutela.

Così procedendo l’amministrazione lo avrebbe privato delle garanzie procedimentali contemplate dall’istituto dell’autotutela, indicate nella comunicazione di avvio del procedimento, nel rispetto del termine ragionevole, nella valutazione comparativa degli interessi intercettati e dell’affidamento ingeneratosi in capo al proprietario alla legittimità del titolo.

Il motivo è infondato.

Ai sensi dell’invocato art. 23, comma 6, « il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, ove entro il termine indicato al comma 1 [30 giorni, ndr] sia riscontrata l'assenza di una o più delle condizioni stabilite, notifica all'interessato l'ordine motivato di non effettuare il previsto intervento ».

Tuttavia, come già rilevato dalla Sezione, « è jus receptum (cfr., per tutti, Cons. St., V, 11 dicembre 2015, n. 5646) secondo cui, anche dopo la scadenza del termine fissato dall'art. 23, comma 6, del DPR 380/2001, la P.A. conserva il potere di verificare se le opere siano state veramente eseguite in base ad una regolare DIA e può esercitare i poteri di vigilanza e sanzionatori previsti dalla legge » (Cons. Stato, Sez. VI, 9 luglio 2019, n. 4794).

Ciò premesso non può che rilevarsi come sia pacifico che la realizzazione della piscina non fosse contemplata dal titolo edilizio né, come correttamente rilevato dal T, può riconoscersi alcun rilievo al successivo conseguimento dell’autorizzazione paesaggistica dell’8 ottobre 2019, inidonea a sanare la non veritiera rappresentazione dello stato di fatto riportato nella D.I.A..

Con il terzo motivo, l’appellante deduce la nullità della sentenza in ragione dell’errore di fatto in cui sarebbe incorso il giudice di prime cure che riteneva la piscina oggetto di contestazione come ricompresa nell’oggetto della D.I.A. mentre l’opera costituiva « soltanto oggetto di integrazione per il rilascio del nulla osta paesaggistico e di relativa compatibilità. Ostacolo che, però, è stato, come risulta dai documenti e dagli atti di causa, tempestivamente e legittimamente rimosso dall’odierno appellante mediante integrazione ».

Il motivo è infondato.

L’appellante censura la sentenza deducendo che « nel caso di specie il Giudice di prime cure è arrivato al proprio convincimento presupponendo erroneamente che tra gli interventi oggetto della richiesta di concessione edilizia presentata con DIA dall’odierno appellante fosse ricompreso anche quello della realizzazione ex novo di una piscina, invece soltanto oggetto di integrazione per il rilascio del nulla osta paesaggistico e di relativa compatibilità ».

A tacere della scarsa intelligibilità della censura, non può non rilevarsi come la doglianza trovi smentita nella sentenza posto che, contrariamente a quanto dedotto, il T escludeva espressamente che la realizzazione della piscina costituisse oggetto della D.I.A. rilevando « la non veritiera situazione dello stato di fatto ante operam riportato nella d.i.a., ove non risulta la previa realizzazione di una piscina » e fondando su detto assunto il rigetto del ricorso (e non sulla ricomprensione della piscina nell’intervento assentito).

Per quanto precede l’appello deve essere respinto compensando le spese di giudizio in ragione della costituzione solo formale dell’amministrazione.

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