Consiglio di Stato, sez. II, sentenza breve 2023-12-21, n. 202311078

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza breve 2023-12-21, n. 202311078
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202311078
Data del deposito : 21 dicembre 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 21/12/2023

N. 11078/2023REG.PROV.COLL.

N. 09089/2023 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

ai sensi degli articoli 60 e 38 del codice del processo amministrativo,
sul ricorso numero di registro generale 9089 del 2023, proposto dal signor S E, rappresentato e difeso dall’avvocato G C F, con domicilio eletto presso lo studio di questi in Roma, via Paolo Emilio, n. 57;

contro

il Ministero della difesa, in persona del Ministro pro tempore , e il Comando generale dell’Arma dei carabinieri, in persona del Comandante generale pro tempore , rappresentati e difesi ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici sono domiciliati ope legis in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma, sezione prima bis , n. 8486/2023, resa tra le parti.


Visto il ricorso in appello e i relativi allegati;

visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero della difesa e del Comando generale dell’Arma dei carabinieri;

visti tutti gli atti della causa;

relatore, nella camera di consiglio del giorno 5 dicembre 2023, il consigliere F F e udito per il ricorrente l’avvocato G C F;

dato l’avviso di cui all’art. 60 del codice del processo amministrativo.


- Rilevato che il signor S E partecipò fruttuosamente a un concorso per il reclutamento di allievi ufficiali in ferma prefissata dell’Arma dei carabinieri e conseguì la nomina a sottotenente il 22 agosto 2005, prestando servizio complessivamente per 19 mesi e 16 giorni dal 30 maggio 2005 (data di inizio del periodo del corso di formazione) al 13 gennaio 2007 e che, al momento del congedamento, percepì il premio di cui all’art. 38 della legge n. 574/1980 per un importo pari a euro 7.479,92;

- considerato che con il ricorso di primo grado n. 3174 del 2014 il signor S E impugnò il provvedimento con cui successivamente l’amministrazione militare aveva revocato, con contestuale recupero, il suddetto premio di congedamento;

- precisato che il T.a.r. per il Lazio, sede di Roma, sezione prima bis , con sentenza n. 8486 del 18 maggio 2023, ha respinto tale ricorso e ha compensato tra le parti le spese processuali;

- rilevato che l’interessato ha interposto appello avverso la su menzionata sentenza, articolando tre motivi, con cui, criticando gli esiti interpretativi del T.a.r., ha riproposto, in sostanza, tramite la prima censura i primi tre motivi del ricorso introduttivo, congiuntamente vagliati dal collegio di primo grado, e mediante la seconda e la terza censura rispettivamente gli originari quarto e quinto motivo;

- osservato che la prima doglianza – con cui, in sintesi, è stata lamentata la violazione da parte dell’amministrazione degli articoli 3, commi 1 e 4, 2, commi 2 e 6, 8, comma 2, lettera c- bis ), 10, 10- bis ) e 21- nonies , comma 1, della legge n. 241/1990 e dell’art. 1 del primo protocollo addizionale alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, nonché un’omessa motivazione da parte del T.a.r. sul dedotto difetto di motivazione del recupero finanziario – è infondata, giacché:

a) l’atto di recupero dell’indebito, a prescindere dalla matrice del riconoscimento dell’attribuzione patrimoniale, integra un preciso e ineludibile obbligo in capo alla pubblica amministrazione, che trova fondamento giustificativo nell’esigenza di corretta allocazione delle risorse finanziarie, con consequenziale preclusione a qualsivoglia attribuzione delle stesse all’infuori delle coordinate di correttezza e legittimità dell’esercizio del sotteso potere, sicché il potere di autotutela – sostanziatosi, nella fattispecie, nella contestata repetitio indebiti – ha carattere strettamente dovuto, senza che l’esercizio dello stesso riveli profili di discrezionalità;

b) il recupero coattivo di somme che siano state indebitamente erogate dalla pubblica amministrazione nei confronti di un proprio dipendente costituisce dunque il risultato di attività amministrativa di verifica e di controllo, scevra di valenza discrezionale, con la conseguenza che in tali ipotesi l’interesse pubblico è in re ipsa e non richiede specifica motivazione, atteso che, a prescindere dal tempo trascorso, l’oggetto del recupero produce di per sé un danno alla pubblica amministrazione, consistente nell’esborso di denaro pubblico senza titolo ed un vantaggio ingiustificato per il dipendente, trattandosi, dunque, di un atto dovuto che non lascia all’amministrazione alcuna discrezionale facultas agendi , configurandosi, anzi, il mancato recupero delle somme illegittimamente erogate come danno erariale (cfr. Consiglio di Stato, sezione II, sentenza 5 settembre 2022, n. 7690);

c) l’affidamento del pubblico dipendente, così come la buona fede, non integrano la presenza di un elemento ostativo all’esercizio del potere-dovere di recupero, poiché l’amministrazione non è tenuta a fornire un’ulteriore motivazione sull’elemento soggettivo riconducibile all’interessato (cfr. Consiglio di Stato, sezione III, sentenza 12 settembre 2013, n. 4519;
Consiglio di Stato, sezione V, sentenza 30 settembre 2013, n. 4849);

d) per la medesima ragione è recessivo il richiamo ai principi in materia di autotutela amministrativa sotto il profilo della considerazione del tempo trascorso e della sua incidenza sull’affidamento in capo all’interessato (cfr., ex aliis, Consiglio di Stato, sezione III, sentenze 4 settembre 2013, n. 4429, 31 maggio 2013, n. 2986 e 10 dicembre 2012, n. 11548);

e) posto che la mancata comunicazione dell’avvio del procedimento amministrativo avente per oggetto l’emanazione dell’atto vincolato di recupero di somme erroneamente corrisposte dall’amministrazione non costituisce causa di illegittimità dell’atto, non influendo, invero, sulla debenza delle somme, né sulla possibilità di difesa del destinatario (cfr. Consiglio di Stato, sezione V, sentenza 30 dicembre 2015, n. 5863;
Consiglio di Stato, sezione III, sentenza 30 dicembre 2010, n. 2320), a fortiori è del tutto irrilevante la lamentata mancata puntuale risposta dell’amministrazione alle osservazioni dell’interessato;

f) l’omissione di qualsivoglia obbligo formale previsto dalla legge n. 241/1990 non comporta l’illegittimità del provvedimento in forza del principio di dequotazione dei vizi formali recato dall’art. 21- octies , comma 2, della medesima legge (nella sua versione vigente ratione temporis anteriore alla riforma recata dal decreto legge n. 76/2020 convertito in legge 120/2020 e decorrente dal 17 luglio 2020), che, nell’imporre al giudice di valutare il contenuto sostanziale del provvedimento e di non annullare l’atto nel caso in cui le violazioni formali non abbiano inciso sulla legittimità sostanziale del medesimo, rende irrilevante la violazione delle disposizioni sul procedimento o sulla forma dell’atto qualora il contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato (cfr., ex aliis , Consiglio di Stato, sezione IV, sentenze 13 febbraio 2020, n. 1144, 11 gennaio 2019, n. 256, e 27 settembre 2018, n. 5562;
Consiglio di Stato, sezione III, sentenza 28 settembre 2015, n. 4532), come si riscontra nel caso di specie, essendo l’atto di recupero di somme erroneamente erogate doveroso e di contenuto necessitato;

g) la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo 11 febbraio 2021 emessa nella causa n. 4893/2013, richiamata dall’appellante, afferma principi non conferenti con il caso de quo , essendo stato ivi chiarito che non può essere ripetuto l’emolumento avente carattere retributivo non occasionale corrisposto da una pubblica amministrazione in modo costante e duraturo e senza riserve a un lavoratore in buona fede, pena la violazione dell’articolo 1 del primo protocollo addizionale alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, precisando cionondimeno la necessaria presenza nella fattispecie concreta di una serie di indefettibili condizioni dalla cui ricorrenza deriva l’irripetibilità delle somme non dovute corrisposte dall’amministrazione, tra cui la circostanza che il pagamento « deve essere eseguito per un periodo sufficientemente lungo da far sorgere una ragionevole convinzione che sia definitivo e stabile (...) ;
l’assegno versato non deve essere riconducibile ad un’attività professionale una tantum e “isolata” ma deve essere collegato all’attività ordinaria
» (punto 74 della richiamata pronuncia della Corte europea dei diritti dell’uomo), cosicché laddove si tratti, come nel caso di specie, di un’indennità a carattere non continuativo e versata una tantum alla cessazione del rapporto, è da « giustificare, tenuto conto della sua natura occasionale e isolata, un errore da parte delle autorità per quanto riguarda l’importo da riconoscere agli interessati »;

h) non ricorrono dunque i presupposti per la disapplicazione dell’art. 2033 del codice civile, siccome non sussiste alcun contrasto con l’art. 1 del primo protocollo addizionale alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, non rinvenendosi, infatti, nella fattispecie de qua i requisiti per ipotizzare il legittimo affidamento del dipendente pubblico percipiente, né un’ingerenza non proporzionata nel diritto dell’individuo al rispetto dei suoi beni;

- precisato inoltre che quanto illustrato assorbe anche ogni questione inerente alla lamentata omessa motivazione del T.a.r. sulle contestazioni dell’interessato in punto di asserito – e in concreto irrilevante – deficit motivazionale del provvedimento amministrativo;

- considerata infondata la seconda censura, poiché la tesi del ricorrente secondo cui l’art. 38 della legge n. 574/1980 (attualmente abrogato, ma vigente ratione temporis ) per l’attribuzione del premio ivi previsto porrebbe quale requisito soltanto il congedamento indipendentemente dalla contrazione di un’ulteriore periodo di ferma aggiuntiva rispetto a quella originariamente contratta è incoerente con il quadro ordinamentale di riferimento e specificamente con il combinato disposto degli articoli 37, comma 1, e 38, comma 1, della legge n. 574/1980, dove, infatti, nel primo si fa riferimento, per gli ufficiali e aspiranti ufficiali di complemento, alla possibilità di chiedere « di vincolarsi ad una ferma volontaria di due anni decorrente dal giorno successivo a quello del compimento del servizio di prima nomina » e nel secondo si stabilisce che « Agli ufficiali di complemento che vengono congedati al termine della ferma volontaria di due anni o che ne sono prosciolti è corrisposto un premio pari al 15 per cento dello stipendio iniziale, annuo lordo spettante al sottotenente di complemento (o grado corrispondente) in servizio di prima nomina, per ogni semestre di ferma volontaria espletata », sicché è indubbio, stante l’univocità del testo normativo, che il premio spetti soltanto agli ufficiali di complemento in rafferma, ovverosia che vengano congedati dopo avere svolto un periodo di servizio aggiuntivo ulteriore e connotato dalla volontarietà;

- puntualizzato peraltro che la tesi del ricorrente è anche contrastante con la ratio del beneficio, che, invero, consiste in un’erogazione finanziaria una tantum di natura genericamente indennitaria caratterizzata dalla finalità d’incentivare economicamente il trattenimento in servizio del personale;

- specificato in proposito che, pur non ignorando sul tema la differente impostazione seguita dalla pronuncia del Consiglio di Stato, sezione II, n. 668 del 31 gennaio 2022, segnalata dal ricorrente, il Collegio intende dare continuità all’orientamento giurisprudenziale maggioritario, del quale condivide pienamente gli esiti ermeneutici, per cui, per effetto degli articoli 24, comma 1, e 28 del decreto legislativo n. 215/2001 (attualmente abrogati, ma vigenti ratione temporis ), in base ai quali, rispettivamente tanto per lo stato giuridico quanto per lo stato economico, « Agli ufficiali in ferma prefissata si applica il trattamento previsto per gli ufficiali di complemento », gli ufficiali in ferma prefissata hanno diritto al premio di fine ferma alle stesse condizioni e sotto i medesimi presupposti previsti dall’art. 38 della legge n. 574/1980 per l’attribuzione del beneficio agli ufficiali di complemento e in particolare con riferimento alla contrazione di una ferma ulteriore, che la legge richiede all’evidente scopo di favorire la permanenza degli ufficiali, cosicché in difetto di tale requisito viene meno la ragione per corrispondere l’emolumento in questione e, ove questo sia stato erogato, l’amministrazione ha il diritto-dovere di pretenderne la restituzione (cfr. Consiglio di Stato, sezione IV, sentenze 8 maggio 2017, n. 2091, 27 gennaio 2014, n. 379 e 16 giugno 2011, n. 3658);

- osservato conseguentemente che il premio non spetta in difetto di ferma aggiuntiva, a nulla rilevando che nel periodo relativo ai fatti di causa l’interessato non potesse normativamente richiederla, essendo la dazione del beneficio ancorata all’oggettivo svolgimento del servizio aggiuntivo, mancante nel caso di specie;

- rilevata altresì l’infondatezza del terzo motivo, poiché, alla luce di un consolidato principio giurisprudenziale, da cui il Collegio non intende discostarsi, è decennale – e non quinquennale come sostenuto dall’appellante – il termine di prescrizione per il recupero di emolumenti erroneamente versati dalla pubblica amministrazione a un proprio dipendente, decorrente dal giorno in cui le somme sono state materialmente erogate (cfr., ex aliis Consiglio Stato, sezione II, sentenza 4 gennaio 2021, n. 97Consiglio Stato, sezione IV, sentenza 13 aprile 2017, n. 1714), trattandosi di un’azione di ripetizione d’indebito oggettivo ai sensi dell’art. 2033 del codice civile e non rilevando che il diritto all’ottenimento delle spettanze retributive si prescrive del termine di cinque anni ai sensi dell’art. 2948, comma 1, n. 5) c.c., siccome normativamente non sussiste in tale ambito una simmetria tra l’azione diretta del lavoratore e quella contraria di recupero da parte del datore, soggetta, invero, all’ordinario termine prescrizionale di cui all’art. 2946 c.c., pienamente rispettato nel caso di specie, atteso che l’erogazione dell’indennità è avvenuta nel 2007 e che il primo atto interruttivo è stato ritualmente comunicato all’interessato nel 2013, come risulta per tabulas ;

- ritenuto, pertanto, infondato il gravame;

- reputato che le spese processuali vadano compensate, stante la peculiarità della vicenda;

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