Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2018-12-03, n. 201806841

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2018-12-03, n. 201806841
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201806841
Data del deposito : 3 dicembre 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 03/12/2018

N. 06841/2018REG.PROV.COLL.

N. 08538/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8538 del 2012, proposto dal
Comune di Napoli, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati G D, A P, A A, Barbara Accattatis Chalons D'Oranges, E C, A C, B C, A I F, G P, B R, G R, con domicilio eletto presso lo studio Gian Marco Grez in Roma, corso Vittorio Emanuele II n.18;

contro

M R B L, V A, rappresentati e difesi dall'avvocato C S, domiciliata presso la segreteria del Consiglio di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro 13;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, 7 settembre 2012, n. 3803, resa tra le parti, per l'annullamento della disposizione dirigenziale n. 11 del giorno 8 gennaio 2010 di diniego a costruire in sanatoria e ordina il ripristino dello stato dei luoghi;
della comunicazione dei motivi ostativi in data 27 ottobre 2009;
e nel ricorso per motivi aggiunti: della diffida a demolire n. 188 del 16 giugno 2010 emessa a carico di V A.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di M R B L e di V A;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 ottobre 2018 il Cons. D S e uditi per le parti gli avvocati Enrico Follieri per delega dell'avv. G P e C S;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con ricorso iscritto al n. 8538 del 2012, il Comune di Napoli propone appello avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, 7 settembre 2012, n. 3803 con la quale è stato accolto il ricorso proposto da M R B L e V A per l'annullamento della disposizione dirigenziale n. 11 del giorno 8 gennaio 2010 di diniego a costruire in sanatoria e ordina il ripristino dello stato dei luoghi;
della comunicazione dei motivi ostativi in data 27 ottobre 2009;
e nel ricorso per motivi aggiunti: della diffida a demolire n. 188 del 16 giugno 2010 emessa a carico di V A.

Dinanzi al giudice di prime cure, con ricorso notificato il 21 aprile 2010 Maia Rosaria Barone Lumaga esponeva di avere realizzato su un immobile di proprietà alla Strada comunale del Principe n. 51 una sopraelevazione senza titolo di 160 mq in relazione alla quale sono stati effettuati verbali di sequestro il 12 agosto 2002, 23 agosto 2002, 17 luglio 2003, ed il 16 dicembre 2003 ed è stato spedito ordine di demolizione.

Aggiungeva di avere impugnato tale provvedimento e di avere proposto istanza di condono edilizio trattandosi di opere realizzate prima del 31 marzo 2003.

Il Comune il 20 febbraio 2009 ha disposto avvio del procedimento di diniego, contestando la non ultimazione delle opere abusive alla data del 31 marzo 2003;
il 5 marzo 2010 è stato emesso il provvedimento definitivo di diniego di condono, che reitera la diffida a demolire.

La ricorrente articolava le seguenti doglianze:

Violazione di legge (art. 32, comma 37, D:L. 269 del 2003, conv. in L. n. 326 del 2003), eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, in quanto i volumi contestati sarebbero tutti esistenti alla data del 31.3.2003, come dimostrano anche i verbali di sequestro susseguitisi nel tempo;

difetto di motivazione, eccesso di potere, difetto di istruttoria.

Si costituiva in giudizio il Comune di Napoli, chiedendo il rigetto del gravame.

Con motivi aggiunti successivamente notificati V A impugnava il provvedimento n. 188 del 16 giugno 2010 con il quale il Comune estendeva anche nei suoi confronti, in qualità di comproprietario, la diffida a demolire già emessa a carico del proprio coniuge Barone L M R.

Il Comune ha replicato anche relativamente ai motivi aggiunti.

Alla pubblica udienza del 11 luglio 2012 il ricorso veniva discusso e deciso con la sentenza appellata. In essa, il T.A.R. riteneva fondate le censure proposte, sottolineando l’illegittimità dell’operato della pubblica amministrazione, in relazione alla possibilità di condono dell’immobile, in quanto completato al rustico.

Contestando le statuizioni del primo giudice, la parte appellante evidenzia l’errata ricostruzione in fatto e in diritto operata dal giudice di prime cure e propone, in un ricorso di appello non analiticamente articolato per punti, ribadisce come la costruzione non potesse aver raggiunto un grado di compiutezza tale da potersi considerare sanabile.

Nel giudizio di appello, si sono costituiti M R B L e Vincenzo Viano, chiedendo di rigettare il ricorso sulla scorta di tre diversi motivi, meglio precisati in parte motiva.

A seguito della notifica dell’avviso di cui all’art. 82 c.p.a. in data 5 dicembre 2017, il Comune presentava istanza di fissazione d’udienza in data 22 febbraio 2018 e alla successiva pubblica udienza del 18 ottobre 2018, il ricorso veniva discusso e assunto in decisione.

DIRITTO

1. - L’appello è fondato e va accolto per i motivi di seguito precisati.

2. - In via preliminare, va rilevata l’infondatezza dell’eccezione di inammissibilità dell’impugnazione, sollevata al punto 2 della memoria di costituzione degli appellati, atteso che, in disparte ogni valutazione sulla eventuale presenza nel ricorso del Comune di parti estrapolate da altri giudizi simili, l’ente pubblico effettivamente contesta la ricostruzione operata dal primo giudice in merito al momento del completamento, almeno al rustico, del manufatto in esame. Il che impedisce di rinvenire la genericità su cui si fonda l’eccezione.

3. - Le rimanenti questioni si fondano essenzialmente sull’applicabilità della sanatoria straordinaria, ex art. 32 del decreto legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito con modificazioni dalla legge 4 novembre 2003, n. 326, nella messa in opera del manufatto realizzato dalle parti appellate e descritto dal primo giudice, facendo riferimento ai verbali di sequestro del 23 agosto 2002, come ”manufatto di circa 160 mq racchiuso perimetralmente con blocchi in laterizi e presenta copertura con lamiere coibentate coperto da pilastrini in ferro impostati a circa mt 3 dal calpestio. Internamente si presenta parzialmente tramezzato ....”. Esse pertanto possono essere congiuntamente esaminate, sia in relazione all’atto di appello, che evidenzia come detta struttura non potesse ritenersi compiuta alla data ultima indicata dalla legge –ossia il 31 marzo 2003-;
sia in rapporto alle difese degli appellati, che contestano la ricostruzione in fatto operata dal Comune e la tesi ivi sostenuta.

4. - La questione centrale riguarda quindi l’accertamento di una circostanza, ossia se le opere oggetto della domanda di condono fossero o meno ultimate alla data del 31 marzo 2003.

Il primo giudice ha accolto il ricorso, interpretando l’art. 31, comma 2, della legge 28 febbraio 1985, n. 47 a mente del quale “ai fini delle disposizioni del comma precedente [cioè ai fini dell’ottenimento della concessione in sanatoria], si intendono ultimati gli edifici nei quali sia stato eseguito il rustico e completata la copertura, ovvero, quanto alle opere interne di edifici già esistenti e a quelle non destinate alla residenza, quando esse siano completate funzionalmente”.

Il T.A.R., ripercorsa la giurisprudenza in materia, ha ripreso la descrizione dell’immobile come riportata nel verbale di sequestro del 23 agosto 2002, sopra citata, ed ha ritenuto che “Ciò integra la definizione dell’ingombro volumetrico del fabbricato idonea a consentire la ammissibilità della domanda di condono.”

5. - Osserva il Collegio che l’art. 31, comma 2, legge n. 47 del 1985 prevede due criteri alternativi per la verifica del requisito dell’ultimazione, rilevante ai fini del rilascio del condono. Si tratta del criterio strutturale, che vale nei casi di nuova costruzione e del criterio funzionale, che opera, invece, nei casi di opere interne di edifici già esistenti.

Qualora, come nella fattispecie oggetto del presente giudizio, le opere edilizie abbiano ad oggetto un intervento di nuova costruzione, il criterio di applicare non può che essere unicamente quello c.d. strutturale. Infatti, ragionando diversamente, si finirebbe per riservare un trattamento differenziato e più severo (pretendendosi anche il completamento funzionale) a quelle situazioni in cui l’intervento edilizio, anziché dare vita ad una costruzione prima totalmente inesistente, abbia avuto come base di partenza una costruzione già esistente, ma radicalmente diversa (per volumetria e sagoma) rispetto a quella che risulta all’esito dell’attività di trasformazione.”

L’unico criterio da applicare è, pertanto, quello strutturale del completamento del rustico.

6. - Occorre quindi verificare se effettivamente risultava ultimata alla data del 31 marzo 2003 la detta struttura al rustico del nuovo edificio.

A tale quesito, contrariamente a quanto ritenuto dal primo giudice, deve darsi risposta negativa.

Ai fini del condono, per edifici “ultimati”, si intendono quelli completi almeno al “rustico”. Costituisce principio pacifico che per edificio al rustico si intende un’opera mancante solo delle finiture (infissi, pavimentazione, tramezzature interne), ma necessariamente comprensiva delle tampognature esterne, che realizzano in concreto i volumi, rendendoli individuabili e esattamente calcolabili (cfr., fra le tante, Cons. Stato, sez. IV, 16 ottobre 1998, n. 130).

Ma come sono necessarie le tompagnature esterne, a maggior ragione diventa essenziale l’esistenza di una copertura che ha, dal punto di vista della sagoma e del volume, la funzione di definire le dimensioni dell’intervento realizzato e, dal punto di vista costruttivo, lo scopo di rendere conto della compiutezza della realizzazione stessa. In tal senso vanno lette le affermazioni che evidenziano come la copertura debba essere in materiale non precario ed idoneo ad una rifinitura finale con interventi minimi (da ultimo, Cons.Stato, VI, 15 settembre 2015, n. 4287, dove si evidenzia la sufficienza di una copertura in muratura, stabilmente infissa al corpo verticale e costituita con materiale non precario e soltanto non rifinita con tegole o simili, ossia realizzata in maniera tale “da permettere la precisa individuazione del volume da condonare, escludendosi ogni possibilità di far luogo a successive modifiche o ampliamenti”).

Nel caso in esame, questo completamento dimensionale e costruttivo non appare per nulla definito, visto che è incontestato tra le parti e valutato nella sentenza del primo giudice, che la copertura sia stata fatto con modalità tali (ossia tramite lamiere coibentate) che non possono ritenersi satisfattive dell’esigenza di dare certezza dell’impossibilità di successive modifiche o ampliamente ma anzi si presentano strutturalmente flessibili proprio in vista di possibili ulteriori interventi.

La copertura con lamiere coibentate, stante la facilità di posa in opera e l’agevole rimovibilità, va considerata copertura provvisoria e non definitiva e in quanto tale non può quindi integrare il requisito del completamento strutturale (analogamente, cfr. Cass. pen., III, 14 giugno 2011, n. 28233).

7. - L’appello va quindi accolto. Tutti gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso. Le spese processuali seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

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