Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2024-04-15, n. 202403423
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Pubblicato il 15/04/2024
N. 03423/2024REG.PROV.COLL.
N. 09325/2023 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9325 del 2023, proposto da -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentato e difeso dall'avvocato F D R, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Ministero dell'Interno, Ufficio Territoriale del Governo di Reggio Calabria, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Autorità Nazionale Anticorruzione Area Vigilanza - Ufficio Sanzioni, Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Reggio Calabria, non costituiti in giudizio;
Comune di Reggio Calabria, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentato e difeso dall'avvocato Lucia Falcomatà, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria sezione staccata di Reggio Calabria (Sezione Prima) -OMISSIS-, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno, del Comune di Reggio Calabria e dell’ Ufficio Territoriale del Governo di Reggio Calabria;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 febbraio 2024 il Cons. Giovanni Tulumello e udito per la parte appellante l’avvocato Domenico Neto su delega dell’avvocato F D R;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con la sentenza indicata in epigrafe il T.A.R. della Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria, ha respinto il ricorso proposto dall’odierna appellante per l’annullamento del provvedimento interdittivo antimafia emesso a suo carico dal Prefetto di Reggio Calabria, e degli atti a questo connessi.
L’indicata sentenza è stata impugnata con ricorso in appello dalla ricorrente in primo grado.
Si sono costituiti in giudizio, per resistere al ricorso, il Ministero dell'Interno, il Comune di Reggio Calabria e l’Ufficio Territoriale del Governo di Reggio Calabria.
Il ricorso è stato trattenuto in decisione alla pubblica udienza del 22 febbraio 2024.
2. Il provvedimento interdittivo emesso a carico dell’odierna appellante si fonda tra l’altro sul rilievo che -OMISSIS- sarebbe un artificio societario costituito per consentire a-OMISSIS- di continuare a gestire l’impresa in precedenza confiscatagli (-OMISSIS-).
Sia l’informativa che la sentenza danno atto di numerosi ed univoci elementi sintomatici in tal senso, richiamati, in particolare, ai punti 2.1. e 2.2. della sentenza del T.A.R., ai quali per esigenze di sintesi (art. 3, comma 2, cod. proc. amm.) in questa sede si rinvia (salvo quanto sarà specificamente richiamato infra ).
Come peraltro ritenuto da questa Sezione in sede di appello cautelare nel corso del processo di primo grado con ordinanza -OMISSIS-, tali elementi indizianti, “ esaminati in un’ottica complessiva, lasciano trasparire sufficienti elementi idonei ad individuare, secondo parametri di valutazione probabilistica propri del carattere preventivo della misura contestata, la sussistenza di plurimi e qualificati indici sintomatici del rischio di permeabilità mafiosa ”.
3. L’appellante, con il primo motivo di appello, contesta la sentenza gravata nella parte in cui ha ritenuto non utilizzabili, in sede di scrutinio della legittimità del provvedimento interdittivo, “ accertamenti investigativi di data anteriore all’adozione del provvedimento impugnato, sol perché riportati e trascritti in seno ad ordinanza del Giudice penale adottata successivamente all’informazione interdittiva impugnata ”.
Fermo restando il principio che impone di valutare la legittimità di un provvedimento amministrativo alla stregua dello stato di fatto e di diritto sussistente al momento della sua adozione ( tempus regit actum ), ciò che caratterizza la fattispecie dedotta è che la parte ricorrente ha veicolato nel processo amministrativo non tali accertamenti investigativi in quanto tali, ma secondo la valenza agli stessi attribuita da provvedimenti giurisdizionali penali emessi successivamente all’adozione dell’informativa.
Né può accogliersi il profilo di censura con cui l’appellante lamenta che il T.A.R. non avrebbe comunque autonomamente valutato tali elementi, formatisi in data anteriore, senza necessariamente implicare in tale valutazione quella operata dal giudice penale successivamente all’adozione dell’informativa.
È infatti evidente che la produzione effettuata nel giudizio di primo grado aveva riguardo ai provvedimenti giurisdizionali penali, ed al significato da questi attribuito agli accertamenti investigativi in questione: in altre parole, l’elemento veicolato in giudizio aveva rilievo, più che alla dimensione fattuale, a quella giuridico-penale di tali accertamenti (l’esclusione dell’aggravante mafiosa dei reati contestati nell’ambito del procedimento penale in questione, l’esclusione del reato di cui all’art. 416-bis cod. pen. a carico di -OMISSIS- e dell’imputazione di cui all’art. 512-bis cod. pen. a carico dei -OMISSIS-), acquisita successivamente all’adozione dell’interdittiva impugnata.
Altrettanto è a dirsi per le vicende relative al giudizio sul controllo giudiziario (in merito alle quali si rinvia ai princìpi affermati da questa Sezione nella sentenza 11 gennaio 2021, -OMISSIS-).
4. Con il secondo motivo l’appellante deduce che “ Erra il primo Giudice a ritenere sussistenti elementi sufficienti a confermare la presenza della “longa manus di -OMISSIS- dietro -OMISSIS-” sulla scorta del solo rapporto parentale intercorrente tra lo stesso ed i (soggetti qualificati) titolari effettivi dell’azienda ”.
Il mezzo è infondato, in quanto la decisione avversata non si fonda, come dedotto, sul solo rapporto di parentela fra -OMISSIS- e -OMISSIS-, ma anche su elementi ulteriori che collegano, sul piano delle cointeressenze economiche, i predetti soggetti.
Il T.A.R. ha infatti effettivamente valorizzato, in aggiunta al legame parentale, le circostanze che “ dalla rilevata presenza di due di loro (-OMISSIS-) all’interno dell’attività commerciale si risaliva, inoltre, ad un ulteriore collegamento della -OMISSIS- con la famiglia -OMISSIS-, risultando essi titolari della società ‘-OMISSIS-’, la quale intrattiene uno stabile rapporto lavorativo con la prima per la promozione dei prodotti e dei servizi offerti, prestando servizi di consulenza e marketing aziendale;nel capannone aziendale veniva rilevata la presenza di alcuni mezzi già oggetto di confisca definitiva nell’ambito di un diverso procedimento di prevenzione celebrato nei confronti della società ‘-OMISSIS-’, riconducibile al medesimo -OMISSIS-;tali mezzi risultavano venduti su autorizzazione del giudice delegato a tale -OMISSIS-, estraneo alla procedura, il quale, tuttavia, appena qualche mese dopo li aveva rivenduti ad una società riconducibile al proposto (-OMISSIS-), risultando le relative quote nella titolarità dei -OMISSIS- (….) ”.
La conclusione, pertanto, conformemente al pacifico orientamento giurisprudenziale in materia, ha inferito il dato contestato da una pluralità di elementi indizianti, secondo una valutazione non atomistica e parcellizzata ma piuttosto complessiva, alla stregua del canone quae singula non prosunt, collecta iuvant ( ex multis , Consiglio di Stato, sez. III, sentenze nn. 759/2019, 4837/2020, n. 4951/2020, 10279/2023, 193/2024).
Il limite del mezzo in esame è quello di pretendere che il giudizio prognostico circa il pericolo di infiltrazione sia ancorato non già – come per pacifica giurisprudenza – ad una ragionevole previsione che renda “più probabile che non” la contiguità (compiacente o soggiacente) dell’impresa alla criminalità organizzata, ma ad un canone più intenso.
Tale prospettazione è esplicitata dall’appellante allorché lamenta che il primo giudice, richiamandosi all’orientamento giurisprudenziale pacifico formatosi in punto di individuazione dei presupposti legittimanti l’esercizio del potere in questione, avrebbe confinato “ il proprio sindacato alla verifica della sola tenuta logica della motivazione proposta dalla Prefettura (…) negandosi l’accesso alla valutazione del materiale documentale sottoposto alla sua cognizione ”.
Tale assunto è però infondato, perché la tenuta logica della motivazione è condizione necessaria e sufficiente, ovviamente alla stregua di una corretta valutazione del materiale raccolto, non richiedendosi il raggiungimento di una soglia di accertamento probatorio ulteriore.
Come infatti affermato dalla sentenza di questa Sezione n. 10279/2023, “ Per consolidata giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, che ha trovato un autorevole avallo da parte della Corte costituzionale, gli elementi di fatto valorizzati dal provvedimento prefettizio devono essere valutati non atomisticamente, ma in chiave unitaria, secondo il canone inferenziale – che è alla base della teoria della prova indiziaria - quae singula non prosunt, collecta iuvant, al fine di valutare l’esistenza o meno di un pericolo di una permeabilità dell’impresa dell’appellante a possibili tentativi di infiltrazione da parte della criminalità organizzata, “secondo la valutazione di tipo induttivo che la norma attributiva rimette al potere cautelare dell’amministrazione, il cui esercizio va scrutinato alla stregua della pacifica giurisprudenza di questa Sezione (ex multis, Consiglio di Stato, sez. III, sentenza n. 759/2019)” (così da ultimo le sentenze n. 4837/2020 e n. 4951/2020). Come ha chiarito la sentenza n. 6105/2019, “Ciò che connota la regola probatoria del "più probabile che non" non è un diverso procedimento logico, (…..), ma la (minore) forza dimostrativa dell'inferenza logica”. Il princìpio è stato ribadito dalla Corte costituzionale, nella sentenza n. 57 del 2020: “Deriva dalla natura stessa dell’informazione antimafia che essa risulti fondata su elementi fattuali più sfumati di quelli che si pretendono in sede giudiziaria, perché sintomatici e indiziari ”.
Alla stregua di tali canoni esegetici, che il Collegio condivide, il motivo in esame deve essere dunque respinto perché infondato.
5. Con il terzo motivo l’appellante lamenta che “ Erra il primo Giudice a stimare la sussistenza dell’attualità e concretezza del pericolo d’infiltrazione assunto a fondamento dell’informazione interdittiva prescindendo dal considerare il tempo cui risalgono gli ultimi accertamenti confermativi della pericolosità dell’originario proposto e da ogni verifica intorno alla permanente vicinanza del medesimo a contesti criminali, anzi ritenendo tali dati assolutamente irrilevanti al fine ”.
La sentenza gravata resiste, sul punto, agli argomenti di critica posti a fondamento del motivo in esame.
Essa infatti ha valorizzato per un verso “la gravità e la convergenza degli elementi indiziari”, e par altro verso la “rilevata continuità della relativa gestione, pure a fronte del radicale mutamento dell’assetto societario, da parte della famiglia di -OMISSIS-”.
In altri termini, la collocazione temporale degli elementi sintomatici del pericolo infiltrativo non ha una valenza assoluta, ma si colora di significato in funzione del complessivo quadro indiziario e della idoneità dello stesso a supportare una prognosi infiltrativa anche a distanza di tempo.
Come affermato, tra le altre, dalla sentenza n. 11600/2022, “ la giurisprudenza di questa Sezione (ex multis, sentenza n. 2 del 2020) ha chiarito che i fatti sui quali si fonda l’interdittiva antimafia possono anche essere risalenti nel tempo nel caso in cui vadano a comporre un quadro indiziario dal quale possa ritenersi attendibile l’esistenza di un condizionamento da parte della criminalità organizzata ”.
Il primo giudice ha correttamente applicato tale canone, ravvisando un’attualità del pericolo giustificata dalla quantità e qualità degli elementi raccolti a supporto del provvedimento interdittivo.
Il mezzo risente peraltro del limite concettuale che condiziona il motivo precedentemente esaminato: quello di richiedere uno standard di accertamento del pericolo di infiltrazione maggiormente elevato di quello in realtà richiesto dalla norma attributiva del potere, così da elevare il tempo trascorso ad elemento di svalutazione del significato inferenziale degli elementi indizianti.
In realtà, dovendosi raggiungere non una soglia di certezza ma di ragionevole probabilità, anche elementi risalenti, purché valutati – come nel caso di specie - nel contesto di un complessivo giudizio connotato da coerenza logica, non perdono per ciò solo il loro significato inferenziale (anche alla luce dell’intensità del condizionamento riveniente dall’accertata vicinanza a contesti di criminalità organizzata).
L’adozione del provvedimento interdittivo non richiede in realtà la positiva dimostrazione della “ persistente vicinanza al contesto criminoso di tipo ‘ndranghetistico per la quale -OMISSIS- egli fu sottoposto a processo e subì condanna ”, invocata dall’appellante quale presupposto legittimante l’informativa.
Il legame condizionante è infatti ragionevolmente desumibile, in presenza del complessivo quadro di cui si è detto, dalla significatività di tale legame, pur risalente, e dalla sua conseguente idoneità a condizionare nell’attualità le dinamiche in questione.
6. La presente decisione è stata assunta tenendo conto dell'ormai consolidato "principio della ragione più liquida", corollario del principio di economia processuale (cfr. Cons. Stato, Ad. pl., 5 gennaio 2015, n. 5, nonché Cass., Sez. un., 12 dicembre 2014, n. 26242), che ha consentito di derogare all'ordine logico di esame delle questioni e tenuto conto che le questioni sopra vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell'art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cass. civ., Sez. II, 22 marzo 1995, n. 3260, e, per quelle più recenti, Cass. civ., Sez. V, 16 maggio 2012, n. 7663, e per il Consiglio di Stato, Sez. VI, 19 gennaio 2022, n. 339), con la conseguenza che gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
Dalle considerazioni che precedono discende che l’appello è infondato e che va pertanto respinto, con conferma della sentenza di primo grado qui gravata.
Sussistono, nondimeno, giusti motivi legati alla peculiarità della vicenda sottesa al presente contenzioso per disporre, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., per come espressamente richiamato dall’art. 26, comma 1, c.p.a, l’integrale compensazione delle spese del presente grado di giudizio tra le parti.