Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2014-12-05, n. 201406013
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N. 06013/2014REG.PROV.COLL.
N. 10182/2004 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 10182 del 2004, proposto dal signor G A, rappresentato e difeso dagli avvocati M S e G B, con domicilio eletto presso lo studio del secondo, in Roma, Via Claudio Monteverdi n. 16;
contro
Comune di Castiglione della Pescaia, in persona del Sindaco
pro tempore
, rappresentato e difeso dagli avvocati N M T e D F, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato N D P in Roma, Via Tagliamento n. 55;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. Toscana – Firenze, Sezione II, n. 3014/2003, resa tra le parti, di reiezione del ricorso proposto per l’annullamento dell'ordinanza adottata dal Sindaco del Comune di Castiglione della Pescaia in data 24 maggio 1986, avente ad oggetto " revoca di autorizzazione amministrativa per trattenimenti danzanti rilasciata in data 9.8.80 ".
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Castiglione della Pescaia;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti i decreti 26 settembre 2012 n. 2475 e 28 gennaio 2013, n. 82;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 novembre 2014 il Cons. Antonio Amicuzzi e uditi per le parti gli avvocati Carretta, per delega del’avvocato Stanca, e Di Pierro, per delega dell’avvocato Falagiani;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
1.- Nell’anno 1980 il sig. G A ha presentato al Sindaco del Comune di Castiglione della Pescaia domanda per ottenere l’autorizzazione per l’apertura di una sala da ballo nei locali adiacenti al ristorante di sua proprietà, ubicato a Punta Ala di Castiglione della Pescaia, località Porto n. 27, denominata “ I Buba ”.
L’autorizzazione è stata concessa con deliberazione in data 9 agosto 1980, a seguito di una fase interlocutorio - prescrittiva con la Commissione Provinciale di Vigilanza sui locali di pubblico spettacolo.
Detta Commissione ha poi effettuato ulteriori controlli e, nella seduta del 12 dicembre 1985, ha confermato l’agibilità del locale dettando numerose prescrizioni, fra l’altro e per quanto qui interessa, riducendo a 20 unità il numero massimo delle persone ammissibili ed imponendo che l’attività di ristorante e di discoteca fosse esercitata alternativamente;successivamente la Commissione, riunitasi nuovamente in data 2 aprile 1986, ha confermato le precedenti prescrizioni.
Con ordinanza del 24 maggio1986, il Sindaco del Comune suddetto, richiamati i verbali relativi alle sopra citate sedute della Commissione di Vigilanza, ha revocato l’autorizzazione relativa alla sala da ballo.
2.- Avverso tale negativo provvedimento, nonché contro il rifiuto di esibizione dei documenti in relazione ai quali la revoca stessa era stata deliberata, il signor G ha proposto ricorso al T.A.R. Toscana, che lo ha respinto con la sentenza in epigrafe indicata.
3.- Con il ricorso in appello in esame il suddetto ricorrente ha chiesto l’annullamento o la riforma di detta sentenza, deducendo i seguenti motivi:
a) il provvedimento impugnato sarebbe viziato da eccesso di potere per difetto di motivazione, illogicità manifesta ed erronea valutazione dei presupposti.
La sentenza impugnata sarebbe a sua volta affetta da omessa pronuncia su parte della domanda fatta valere con un motivo di ricorso giurisdizionale, da erronea interpretazione dei dati fattuali e documentali rilevanti ed emergenti immediatamente dagli atti e dal materiale di causa, da erronea assunzione di dati inconferenti e comunque irrilevanti ai fini del giudizio, da perplessità, illogicità e contraddittorietà, nonché da carenza assoluta di motivazione;
b) il provvedimento impugnato sarebbe anche viziato da violazione di legge, errore di procedura, violazione del r.d.l. n. 773 del 1931, artt. 86 e ss., così come modificati dalla l. n. 426 del 1971, dalla l. n. 524 del 1974 e dal d.P.R. n. 616 del 1977.
La sentenza impugnata sarebbe altresì censurabile per erronea interpretazione dei dati fattuali e documentali rilevanti ed emergenti immediatamente dagli atti e dal materiale di causa, per erronea assunzione di dati inconferenti e comunque irrilevanti ai fini del giudizio, per perplessità, illogicità e contraddittorietà, nonché per carenza assoluta di motivazione.
c) E’ stata infine formulata domanda di risarcimento danni.
4.- Con memoria depositata il 14 dicembre 2004 si è costituito in giudizio il Comune di Castiglione della Pescaia, che ha eccepito l’irricevibilità, l’inammissibilità e l’improcedibilità del ricorso, nonché ne ha dedotto l’infondatezza.
5.- Con decreto 26 settembre 2012 n. 2475 il ricorso in esame è stato dichiarato perento.
6.- Con decreto 28 gennaio 2013, n. 82 detto decreto n. 2475 del 2012 è stato revocato.
7.- Con atto depositato il 24 settembre 2014 si sono costituiti per l’appellante due nuovi difensori, in sostituzione di quelli che avevano redatto l’atto d’appello (che avevano rinunciato al mandato), insistendo nelle domande e nelle difese formulate con i precedenti atti difensivi.
8.- Con memoria depositata il 2 ottobre 2014 il costituito Comune ha dedotto l’infondatezza dell’appello, ha eccepito la prescrizione del diritto al risarcimento del danno dal momento in cui la revoca ha iniziato a produrre effetti, cioè dalla data del 30 settembre 1986, ed ha affermato che sarebbe comunque insussistente l’elemento soggettivo della colpa e che non sarebbe stato dimostrato l’ammontare del risarcimento.
8.- Con memoria depositata il 3 ottobre 2014 l’appellante ha ribadito tesi e richieste.
9.- Con memoria depositata il 14 ottobre 2014 il Comune ha replicato alle avverse argomentazioni.
10.- Con memoria depositata il 14 ottobre 2014 l’appellante ha a sua volta replicato alle contrarie deduzioni, in particolare contestando l’avvenuta prescrizione ed affermando che la quantificazione del danno emergente sarebbe possibile anche in via equitativa.
11.- Alla pubblica udienza del 4 novembre 2014 il ricorso in appello è stato trattenuto in decisione alla presenza degli avvocati delle parti, come da verbale di causa agli atti del giudizio.
12.- L’appello è infondato.
13.- Con il primo motivo di gravame (pagine 10 – 22) è stata criticata l’impugnata sentenza perché non avrebbe preso posizione sul dedotto eccesso di potere ed avrebbe erroneamente ritenuto infondata la censura di difetto di motivazione.
13.1.- Osserva preliminarmente il Collegio che risulta dal fascicolo di primo grado che con il ricorso introduttivo del giudizio, cui hanno fatto seguito motivi aggiunti con richiesta di risarcimento dei danni assuntamente subiti, è stata dedotta l’illegittimità dell’impugnato provvedimento sia per essere stati citati nel provvedimento impugnato documenti di cui non era stato concesso di prendere visione, sia perché [con riguardo al riferimento ivi contenuto al verbale del 12 dicembre 1985 della citata Commissione (nella parte in cui è affermato che si rilevava difformità nella situazione dei luoghi rispetto agli elaborati tecnici originariamente prodotti)] detto verbale prendeva in considerazione la difformità in parola solo per affermare comunque la idoneità del locale (confermando il precedente positivo parere di idoneità), sia perché l’affermazione che nel verbale del 2 aprile 1986 era sostenuto che il locale non poteva essere adibito anche all’uso di discoteca (come indicato nel verbale del 12 dicembre 1985) sarebbe contraddetta dal fatto che il verbale da ultimo indicato si limitava (peraltro ultroneamente perché dopo le ore 23 il ristorante era chiuso) a prescrivere l’uso alternativo del locale a ristorante o a discoteca, sia perché era stato ottemperato a tutte le ulteriori prescrizioni contenute nel ridetto verbale del 12 dicembre 1985 (punto 3: rispettata la richiesta di produzione degli schemi elettrici con dichiarazione di conformità;punto 4: poiché dopo la chiusura alle ore 23 del ristorante era chiuso anche l’impianto del gas - peraltro situato in un corridoio all’aperto- e sussistevano impianti alternativi), sia perché non sussisteva l’interesse pubblico attuale alla revoca dell’autorizzazione.
13.1.2.- Rileva al riguardo la Sezione che nell’impugnata sentenza è diffusamente fatto riferimento alla circostanza che il provvedimento di revoca era motivato per relationem al verbale dell’11 dicembre 1985 della Commissione di vigilanza ed in particolare all’osservazione ivi contenuta che la presenza di una struttura fissa al centro del locale e la disposizione delle poltroncine e dei tavoli del ristorante riducevano sensibilmente lo spazio per l’uso contemporaneo del locale anche per l’attività di discoteca, e che a motivo di ciò l’attività di ristorante e di discoteca dovevano essere esercitate alternativamente. Tanto deve ritenersi che fosse sufficiente a giustificare l’adottato provvedimento di revoca, sicché non indispensabile era la puntuale contestazione delle censure al riguardo contenute nel ricorso introduttivo del giudizio.
La Sezione ritiene comunque infondate le deduzioni contenute nell’atto d’appello circa l’inadeguatezza delle rilevate irregolarità a comportare pericolo alla sicurezza del locale di cui trattasi.
Quanto al dedotto rispetto della condizione che l’attività di ristorante e di discoteca dovevano essere esercitate alternativamente va rilevato che il verbale dei Vigili del Fuoco del 23 ottobre 1985 (all. n. 5 al fascicolo del Comune di primo grado), richiamato nel provvedimento impugnato, fa riferimento al verbale della Commissione Provinciale di Vigilanza del 12 febbraio 1980 (all. n. 8 al fascicolo di primo grado del Comune) con cui era stato preliminarmente imposto al ricorrente di installare una porta metallica a chiusura automatica e con resistenza al fuoco nel vano di comunicazione tra il ristorante e la sala discoteca. Nel successivo verbale di detta Commissione del 12 dicembre 1985 (all. n. 10 al fascicolo di primo grado), pure richiamato nel provvedimento impugnato, è asserito che la situazione dei luoghi si presentava difforme dagli elaborati tecnici originariamente prodotti dall’interessato a causa di una struttura fissa collocata al centro del locale di circa 8 mq. adibita a bar ed impianti di stereofonia, e (rilevato che la situazione era già stata riconosciuta idonea dalla Commissione con verbale del 25 luglio 1980 ed evidenziato che l’installazione di detta struttura e la disposizione delle poltroncine e dei tavoli per l’esercizio del bar ristorante riducevano in modo sensibile lo spazio a disposizione per l’uso contemporaneo del locale per le diverse attività) è stato confermato il parere di agibilità a condizione che l’attività di ristorante e discoteca fossero esercitate alternativamente.
A detto verbale della Commissione ha fatto seguito un seguente verbale del 2 aprile 1986, pure richiamato nel provvedimento impugnato, con cui è stata ribadita l’inidoneità del locale ad essere adibito anche a discoteca, con la precisazione che la destinazione avrebbe potuto essere svolta se non fosse stata esercitata l’attività di ristorante.
In base ai rilievi contenuti in detti atti della Commissione di vigilanza ( con valutazioni tecniche di merito che non possono essere sindacate in sede di legittimità),, ritiene il Collegio che congruamente si è ritenuto che l’uso alternativo del locale come ristorante o come discoteca non potesse essere posto in essere mediante lo sfalsamento temporale delle due attività, essendo di ostacolo all’esercizio del locale come discoteca la circostanza che la disposizione della struttura centrale, delle poltroncine e dei tavoli per l’esercizio del bar ristorante riducevano in modo sensibile lo spazio a disposizione, sicché, anche dopo la cessazione dell’attività di ristorante, la presenza di dette suppellettili continuava ad essere di ostacolo all’esercizio dell’attività di discoteca nell’ambiente da esse occupato.
Ciò in quanto dal verbale dei Vigili Urbani del 18 agosto 1985 (depositato in copia in atti, all. 2 al fascicolo di primo grado del Comune) risulta che non esistevano spazi sufficienti per permettere il ballo e detta attrezzatura era situata in modo da non poter essere rimossa.
Tanto esclude la rilevanza delle circostanze che gli impianti del locale sarebbero risultati perfettamente a norma e che sarebbe stata sostanzialmente superata la richiesta di eliminazione dell’alimentazione a gas GPL delle cucine.
Quanto alla censura che il provvedimento non troverebbe sostegno in specifiche ragioni di interesse pubblico prevalenti su quello privato, a prescindere dalla sua ammissibilità, va rilevato che non sussisteva in questo caso uno specifico obbligo di motivazione, atteso che l'interesse pubblico all'adozione dell'atto è in re ipsa in quanto ricorrevano pericoli per la incolumità degli avventori del locale de quo e comunque la sua prevalenza rispetto all'interesse pubblico emerge dal percorso istruttorio compiuto dall'Amministrazione e dalla circostanza che la revoca dell'atto costituiva un vero e proprio dovere del Comune, che era tenuto a porre rimedio alle sfavorevoli conseguenze derivate dal perdurare dell'efficacia del provvedimento.
Il tenore di detti provvedimenti della citata Commissione esclude quindi che sussistessero i vizi di illogicità del provvedimento, di contraddittorietà degli atti e di erronea valutazione dei presupposti, a nulla valendo che il primo parere conterrebbe una valutazione favorevole all’agibilità del locale, non essendo stata rispettata la fondamentale condizione dell’alternatività (non temporale ma effettiva) tra le due attività di cui trattasi per giustificare detta agibilità.
13.1.3..- Prosegue il motivo in esame con il rilievo che la sentenza afferma che il provvedimento di autorizzazione prevedeva espressamente la possibilità di revoca in qualsiasi momento per motivi di ordine e sicurezza o per abuso del titolare, ma l’affermazione sarebbe inconferente, non essendosi espresso il primo giudice sulla sussistenza del presupposto della revoca, che deve essere sempre esternato.
La censura è, ad avviso del Collegio, incondivisibile, atteso che detto rilievo non era affatto eccentrico rispetto al thema decidendum inconferente, essendo volto a confortare la tesi che legittimamente era stato adottato l’impugnato provvedimento senza necessità, come in precedenza evidenziato, di esternazione di particolare motivazione dello stesso, essendo evidente la finalità di garantire la sicurezza e l’incolumità pubblica posta a base del provvedimento di revoca, ponendo in rilievo la circostanza che questa era prevista dal provvedimento di rilascio dell’autorizzazione all’esercizio della sala da ballo come adottabile in qualsiasi momento per motivi di sicurezza pubblica.
La locuzione era quindi volta sostanzialmente a rafforzare la tesi che il provvedimento in questione poteva essere adottato senza particolare motivazione sui presupposti posti a base della revoca, trattandosi di motivi attinenti alla pubblica sicurezza.
Comunque l'interesse pubblico all'adozione dell'atto era in re ipsa ed era prevalente rispetto a quello del privato proprietario del locale alla prosecuzione dell’attività di sala da ballo.
13.1.4. - Secondo l’appellante non sarebbe condivisibile la sentenza neppure laddove ha ritenuto sufficiente la notifica dei pareri in questione per ritenere assolto l’onere motivazionale, non essendo stati indicati e resi disponibili gli atti richiamati se non nell’imminenza dell’udienza di discussione del ricorso di primo grado.
Anche tale censura è ritenuta incondivisibile dalla Sezione, atteso che l'art. 3 della l. 241 del 1990, nella parte in cui afferma che la motivazione per relationem è legittima a condizione che siano indicati e resi disponibili gli atti cui si fa rinvio, va inteso semplicemente nel senso che all'interessato deve essere garantita la possibilità di prenderne visione, di richiederne e ottenerne copia in base alla normativa sul diritto di accesso ai documenti amministrativi e di chiederne la produzione in giudizio, con la conseguenza che non sussiste per la pubblica amministrazione l'obbligo di notificare all'interessato tutti gli atti richiamati nel provvedimento, ma soltanto di indicarne gli estremi e di metterli a disposizione su richiesta dell'interessato (Consiglio di Stato, sez. IV, 22 marzo 2013, n. 1632).
Nel caso di specie nel provvedimento di revoca impugnato erano indicati gli estremi di tutti i provvedimenti presupposti (nota n. 3800/5947/85 del 23 ottobre 1985 del Comando Provinciale dei VV.FF. di Grosseto, rapporto del Comando del VV.UU. n. 3074/P dell’11 novembre 1985, verbali della Commissione Provinciale di Vigilanza del 12 dicembre 1985 e del 2 aprile 1986), che erano a disposizione dell’interessato, se non previamente conosciuti, tramite la procedura di accesso ai documenti amministrativi (riconosciuto ex art. 10, d.lgs. n. 267 del 2000 alla generalità dei cittadini, ovvero a chiunque sia, ex art. 22 e ss., della l. n. 241 del 1990, portatore di un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l'accesso).
13.1.5..- Prosegue l’appellante rilevando che la motivazione dell’atto di revoca, che deve essere tanto più congrua quanto più esso vada ad incidere nella sfera giuridica del privato, sarebbe inoltre viziata anche dalla mancata possibilità offerta al ricorrente di indicare la scelta tra l’una o l’altra attività.
La tesi è, ad avviso del Collegio, palesemente infondata, essendo evidente che dagli atti presupposti richiamati nell’impugnato provvedimento era l’attività di discoteca ad essere incompatibile, all’epoca della sua adozione ed allo stato degli atti, con l’assetto del locale di cui trattasi, per la presenza, come sopra evidenziato, di una struttura centrale fissa, di poltroncine e dei tavoli per l’esercizio del bar ristorante, che riducevano in modo sensibile lo spazio a disposizione per l’esercizio della sala da ballo.
14.- Con il secondo motivo d’appello sono stati dedotti i seguenti vizi che si esaminano partitamente.
14.1.- Erroneamente il primo giudice avrebbe ritenuto applicabile alla revoca dell’autorizzazione per la sala da ballo l’art. 80 del r.d. n. 773 del 1931 e gli artt. 141 e ss. del regolamento attuativo, perché esso non sarebbe immediatamente applicabile ai trattenimenti danzanti ma solo ai teatri e ai luoghi di pubblico spettacolo.
Alle sale da ballo sarebbero invece applicabili solo gli artt. 69 e ss. e 86 e ss. di detto r.d. n. 773 del 1931.
In particolare al caso di specie, in cui il ricorrente era titolare di autorizzazione per trattenimenti danzanti e di autorizzazione all’esercizio di ristorante bar, sarebbero stati applicabili l’art. 23, comma 1, lettera c), del d.m. 28 aprile 1976 (secondo cui l’esercente di attività di ristorazione cui accede attività di sala da ballo deve essere in possesso di autorizzazione ex artt. 86 e segg. del r.d. n. 773 del 1931) ed il combinato disposto degli artt. 2 e 3 della l. n. 524 del 1974 (secondo cui il rilascio di nuove licenze di Pubblica Sicurezza è di competenza del Questore, previa acquisizione del parere della Commissione comunale per il commercio, ex artt. 15 e 16 della l. n. 426 del 1971), nonché l’art. 19 del d.P.R. n. 616 del 1977 (che ha attribuito al Sindaco la competenza per il rilascio delle licenze ex artt. 2 e 3 della l. n. 524 del 1974).
Da tanto conseguirebbe che il Sindaco, prima di procedere alla revoca, avrebbe dovuto acquisire il parere della Commissione comunale per il commercio.
14.1.1.- Le tesi sono, ad avviso del Collegio, insuscettibili di favorevole esame, atteso che sono pienamente condivisibili le osservazioni al riguardo formulate dal primo giudice che alla fattispecie era applicabile la disciplina dettata dagli artt. 80 e ss. del r.d. n. 773 del 1931 e dagli artt.141 e ss. del relativo regolamento, diretta a garantire la sicurezza per l’incolumità pubblica dei luoghi in cui si svolgono varie forme di spettacolo o intrattenimento pubblico;tra i luoghi di pubblico spettacolo cui è riferito il disposto di detto art. 80 rientrano infatti i ristoranti all’interno dei quali sono effettuati trattenimenti danzanti musicali (Cass. Pen., sez. I 24 ottobre 2013 n. 46400), le sale da ballo e le discoteche (Cass. Pen., sez. I, 24 ottobre 2013 n. 46400, 29 settembre 2011, n. 3128 e 31 marzo 1999, n. 4835) e i luoghi aperti al pubblico che sono sottoposti alla disciplina degli spettacoli pubblici (Cass. Pen., sez. I, 12 maggio 1997, n. 3314).
L’art. 23, comma 1, lettera c) del d.m. 28 aprile 1976, ai fini della formazione dei piani e per il rilascio e la vidimazione delle relative licenze di pubblica sicurezza, individua infatti gli “ esercizi di cui alle lettere a) e b) nei quali la somministrazione di alimenti e bevande viene effettuata congiuntamente all'esplicazione di attività di trattenimento e di svago (sale da ballo, sale da gioco, locali notturni, stabilimenti balneari ed esercizi similari) ”.
L’art. 86 del r.d. n. 773 del 1931 stabilisce che “ Non possono esercitarsi, senza licenza del questore, alberghi, compresi quelli diurni, locande, pensioni, trattorie, osterie, caffè o altri esercizi in cui si vendono al minuto o si consumano vino, birra, liquori od altre bevande anche non alcooliche, né sale pubbliche per bigliardi o per altri giuochi leciti o stabilimenti di bagni, [esercizi di rimessa di autoveicoli o di vetture], ovvero locali di stallaggio e simili ”.
Invero, oltre alla licenza di cui agli artt. 86 e segg. del r.d. n. 773 del 1931, di competenza del Questore, era necessaria, per l’apertura del luogo di pubblico spettacolo di cui trattasi, anche la licenza di cui all’art. 80 di detto r.d., che deve essere preceduta dalla verifica, da parte della Commissione Provinciale di Vigilanza sui locali di pubblico spettacolo, della solidità e la sicurezza dell'edificio e dell'esistenza di uscite pienamente adatte a sgombrarlo prontamente nel caso di incendio.
E’ quest’ultima l’autorizzazione che è stata revocata dal Sindaco del Comune di cui trattasi, con contrarius actus , previa verifica da parte di detta Commissione, con procedura pienamente legittima.
Non doveva quindi essere acquisito il parere della Commissione comunale per il commercio, competente con riguardo alla licenza di cui all’art. 86 del citato d.m., non in contestazione.
14. 2.- Lamenta l’appellante che non sarebbe, inoltre, condivisibile neppure l’assunto del T.A.R. che il ricorrente aveva fatto acquiescenza all’applicazione della disciplina dell’art. 80 e ss. del r.d. n. 773 del 1931 per non aver impugnato il provvedimento di autorizzazione all’esercizio della sala da ballo o i pareri della Commissione Provinciale di Vigilanza sui locali di pubblico spettacolo, non avendo avuto interesse ad impugnare provvedimenti ad esso favorevoli;comunque l’acquiescenza non sarebbe ammissibile nei confronti della normativa applicabile ad un procedimento.
14.2.1.- Osserva la Sezione che il primo giudice aveva evidenziato le citate circostanze (che nessuna obiezione il ricorrente aveva formulato con riguardo all’applicabilità di detto art. 80 all’atto del rilascio della autorizzazione all’apertura della sala per trattenimenti danzanti e nessuna specifica obiezione aveva mosso quando la Commissione stessa aveva confermato il parere all’agibilità condizionandolo alla riduzione del numero massimo delle persone ammissibili) a sostegno della tesi che nel caso di specie si verteva in materia di rilascio di autorizzazione di cui all’art. 80 e non 86 del r.d. n. 773 del 1931;la sopra evidenziata piena fondatezza di tale proposizione esclude la necessità della ulteriore verifica delle critiche rivolte dall’appellante a detti asserti, pronunciati solo ad colorandum , per rafforzare la tesi circa l’applicabilità alla fattispecie delle disposizioni di cui a detto art. 80..
15.- Con il ricorso in appello è stata formulata anche richiesta di risarcimento
15.1.- La domanda è infondata.
All'infondatezza dei motivi di ricorso, ed alla conseguente assodata legittimità del provvedimento impugnato, non può che conseguire l'inaccoglibilità della domanda di risarcimento danni dei quali l’appellante chiede il ristoro, perché non è stato dimostrato il nesso di causalità tra essi danni e l'attività dell'Amministrazione, non potendo essere considerata ingiusta o illecita la condotta da essa tenuta in esecuzione di provvedimenti riconosciuti legittimi (Consiglio Stato, sez. V, 14 febbraio 2011, n. 965).
Tanto comporta l’assorbimento dell’esame dell’ eccezione di prescrizione del diritto al risarcimento del danno formulata dalla difesa del resistente Comune.
16.- L’appello deve essere conclusivamente respinto e deve essere confermata la prima decisione.
17.- Le spese di giudizio, regolamentate secondo l’ordinario criterio della soccombenza, sono liquidate in dispositivo tenuto conto dei parametri stabiliti dal regolamento 10 marzo 2014, n. 55.
18. Il Collegio rileva che la pronuncia di infondatezza del ricorso si fonda, come dianzi illustrato, su ragioni manifeste che integrano i presupposti applicativi delle norme sancite dall’art. 26, co. 1, c.p.a., secondo l’interpretazione che ne è stata data dalla giurisprudenza di questo Consiglio (cfr., Sez. V, 11 giugno 2013, n. 3210;Sez. V, 31 maggio 2011, n. 3252;Sez. V, 26 marzo 2012, n. 1733, cui si rinvia a mente degli artt. 74 e 88, co. 2, lett. d), c.p.a. anche in ordine alle modalità applicative ed alla determinazione della misura indennitaria – ex art. 26, co. 1).
Le conclusioni cui è pervenuta la giurisprudenza del Consiglio di Stato sul punto in esame sono state, nella sostanza, recepite dalla novella recata dal d.l. n. 90 del 2014 all’art. 26 c.p.a.
Invero:
a) l’art. 26, comma 1, che rinviava (e rinvia) all’art. 96 c.p.c., prevedeva la condanna, su istanza di parte, al risarcimento del danno se la parte ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave (art. 96, comma 1, c.p.c.), nonché la condanna anche d’ufficio in favore dell’altra parte, di una somma equitativamente determinata;
b) il d.l. n. 90 del 2014 ha inciso sull’art. 26, co. 1, c.p.a., in termini generali, valevoli per tutti i riti davanti al giudice amministrativo;
c) sebbene l’art. 26, co. 1, continui a richiamare l’art. 96 c.p.c. in tema di lite temeraria, detta ora una regola più puntuale stabilendosi che in ogni caso, il giudice, anche d'ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, in favore della controparte, di una somma equitativamente determinata, comunque non superiore al doppio delle spese liquidate, in presenza di motivi manifestamente infondati;
La condanna della parte ricorrente ai sensi dell’art. 26 c.p.a. rileva, infine, anche agli effetti di cui all’art. 2, co.