Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2020-09-24, n. 202005596

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2020-09-24, n. 202005596
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202005596
Data del deposito : 24 settembre 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 24/09/2020

N. 05596/2020REG.PROV.COLL.

N. 08280/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8280 del 2010, proposto dai signori
G P, A C, G P, R C, C P, V A, A A, L B, G D V, A B, rappresentati e difesi dall’avvocato M F, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato E A in Roma, via G. Belloni, n. 78

contro

il Comune di Terzigno, non costituito in giudizio

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania (Sezione Terza) n. 1916/2010


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 14 luglio 2020 il Cons. Carla Ciuffetti, dati per presenti i difensori della parte appellante, ai sensi dell’articolo 84, comma 5, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito in legge 24 aprile 2020, n. 27;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. La vicenda in esame riguarda due manufatti costruiti sine titulo in zona vincolata ricadente nel Parco del Vesuvio, che erano stati oggetto di domanda di condono edilizio presentata in data 18 novembre 2004, ai sensi del d.l. n. 269/2003 convertito dalla l. n. 326/2003, dagli odierni appellanti, unitamente ad istanza di accertamento di compatibilità paesaggistica.

In data 22 marzo 2005, il Comune di Terzigno aveva ingiunto la demolizione di tali manufatti con ordinanza n. 24/2005, che veniva impugnata davanti al Tar dagli interessati, con ricorso n.rg. n. 4127/2005. In primo grado essi deducevano che il loro “ ricorso dovrebbe dichiararsi inammissibile per carenza di interesse ”, stante l’obbligo dell’Amministrazione di esaminare la domanda presentata e di adottare, eventualmente, una nuova ordinanza di demolizione.

Nelle more del procedimento, il medesimo Comune accertava l’inottemperanza alla suddetta ingiunzione con verbale n. 254, in data 21 ottobre 2006, che veniva impugnato dagli stessi interessati con ricorso per motivi aggiunti.

Infine, con ordinanza n. 1394/2007, il Comune di Terzigno ingiungeva agli odierni appellanti la demolizione di ulteriori lavori abusivi riguardanti i medesimi manufatti. Anche tale ordinanza veniva impugnata dagli interessati.

2. Con la sentenza in epigrafe, il Tar ha dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse il ricorso n. rg. n. 4127/2005, ritenuto che l’ordinanza n.1394/2007 non costituisse un atto meramente confermativo della precedente e che essa non fosse stata ritualmente avversata, in quanto, alla notifica della relativa impugnazione, non aveva fatto seguito il deposito dell’atto. Il primo giudice ha inoltre dichiarato il ricorso per motivi aggiunti inammissibile, oltre che improcedibile, data la sopravvenienza dell’ordinanza n. 1394/2007.

3. Con il presente appello, i ricorrenti avversano la sentenza in epigrafe in base ai seguenti motivi:

a ) il Tar avrebbe erroneamente interpretato quanto esposto nel ricorso principale in merito al fatto che esso doveva “ dichiararsi inammissibile per carenza di interesse ”: infatti, una volta presentata l’istanza di condono, sarebbe stata preclusa la facoltà del Comune appellato di adottare il provvedimento di demolizione - che nella fattispecie risulterebbe illegittimo per eccesso di potere scaturito da violazione del principio del giusto procedimento ”- e il Tar non avrebbe dovuto dichiarare l’improcedibilità del ricorso principale, sussistendo l’interesse dei ricorrenti ad una decisione nel merito;

b ) l’impugnazione dell’ordinanza n. 1394/2007 avrebbe dovuto essere considerata atto per motivi aggiunti, in quanto, nell’intenzione dei ricorrenti, esso era tale;

c ) erroneamente il primo giudice avrebbe valutato le ordinanze n. 24/2005 e n.1394/2007 come atti del tutto distinti e autonomi, essendo invece legati da un nesso di pregiudizialità.

4. Tanto premesso, il Collegio passa all’esame dell’appello.

4.1. Le censure esposte sub 3, lett. a ), sono infondate e devono essere respinte. Nella fattispecie non è in discussione il fatto che, in pendenza di un’istanza di condono edilizio, l’Ente locale debba definire il relativo procedimento prima di adottare un eventuale provvedimento di demolizione;
quanto, piuttosto, il fatto che, all’ordinanza n. 24/2005, adottata nonostante la presentazione di una tale istanza, abbia fatto seguito l’ordinanza n. 1394/2007, che non poteva essere considerata atto meramente confermativo della precedente, in quanto basata su presupposti autonomi rispetto ad essa. Perciò, in difetto di un’autonoma - e rituale - impugnazione di tale atto, correttamente il primo giudice ha dichiarato improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse il ricorso avverso l’ordinanza n. 24/2005. Altrettanto correttamente il Tar ha dichiarato inammissibile, e comunque improcedibile, il ricorso per motivi aggiunti, considerato che l’accertamento dell’inottemperanza all’ordine di demolizione, in quanto atto endoprocedimentale, è privo di portata lesiva degli interessi del privato, tanto che da ciò consegue, secondo la giurisprudenza di questo Consiglio, la non impugnabilità del verbale di accertamento e la sostanziale irrilevanza della sua notificazione (cfr. Cons. St., sez. V, 17 giugno 2014, n. 3097;
sez. VI, 25 giugno 2019 n. 4336).

In ogni caso, il Collegio non può esimersi dall’osservare che, come risulta dall’ordinanza n. 24/2005, l’istanza di condono edilizio riguardava manufatti siti in “ zona rurale, sottoposta a vincolo paesaggistico-ambientale di cui al d.lgs. n. 490/99 e regolamentato dal Piano Territoriale Paesistico approvato con DM 04/07/2002 (…) nonché vincolo archeologico ai sensi dell’art.82 comma quinto del d.P.R. 27/07/77 n.616 e ricadente nella perimetrazione definitiva del Parco Nazionale del Vesuvio ai sensi del D.P.R. 06/05/95 ”: vale a dire opere per le quali nessuna sanatoria avrebbe potuto essere conseguita alla luce dell’art. 32 del citato d.l. n. 269/2003 che ha escluso la sanatoria edilizia in presenza di vincolo paesaggistico e archeologico (cfr., e plurimis Cons. Stato, sez. VI, 17 marzo 2020, n. 1902: “ non possono esser sanate le opere che hanno comportato la realizzazione di nuove superfici e nuova volumetria in zona assoggettata a vincolo paesaggistico, sia esso di natura relativa o assoluta, o comunque d’inedificabilità ”).

4.2. Passando all’esame delle censure esposte sub 3. lett. b ), il Collegio considera che non poteva essere ritenuto ritualmente proposto il ricorso degli interessati avverso l’ordinanza n. 1394/2007, a causa dell’omissione del deposito dell’atto a seguito della notifica: infatti, solo tale adempimento consente di integrare il potere-dovere del primo giudice di pronunciarsi sulla domanda del ricorrente (cfr. per il giudizio di appello, Cons. Stato, sez. V, 7 dicembre 2010, n. 8605: “ Nel giudizio amministrativo nel caso in cui l’atto di appello sia depositato in violazione del termine decadenziale fissato dagli artt. 36, comma 5, del R.D. 26 giugno 1924, n. 1054, e 21, comma 2, della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 (espressivo di principi di ordine pubblico processuale e perciò sottratto alla disponibilità delle parti) si ha l’improcedibilità del gravame, in quanto solo il tempestivo deposito del ricorso determina il sorgere del rapporto processuale e l'obbligo del giudice di pronunciare sulla domanda, a nulla rilevando l’avvenuta costituzione della parte appellata ”). L’omissione del suddetto adempimento non è smentita dagli appellanti, che si limitano a dichiarare che la loro intenzione, sottesa all’impugnazione dell’ordinanza n. 1394/2007, fosse quella di presentare un ricorso per motivi aggiunti e che, come tale, l’atto notificato avrebbe dovuto essere considerato dal primo giudice. Dunque, devono essere respinti, in quanto infondati, i motivi di appello riconducibili alle censure esposte sub 3. lett. b ).

4.3. Anche i motivi di appello riconducibili alle censure esposte sub 3. lett. c ) devono essere rigettati in quanto infondati, poiché gli stessi appellanti, che sostengono la tesi di un rapporto di pregiudizialità tra i due atti, ammettono che, tuttavia, le medesime ordinanze di demolizione avevano lo stesso oggetto (pag. 10 dell’atto di appello), sul quale essi hanno proseguito la realizzazione di interventi edilizi.

Per quanto sopra esposto, l’appello è infondato e deve essere respinto.

Non si fa luogo a pronuncia sulle spese del giudizio, non essendosi costituito il Comune appellato.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi