Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2022-10-20, n. 202208951

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2022-10-20, n. 202208951
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202208951
Data del deposito : 20 ottobre 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 20/10/2022

N. 08951/2022REG.PROV.COLL.

N. 05788/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5788 del 2019, proposto dal signor
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato A F, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio A F Tonucci &
Partners in Roma, via Principessa Clotilde, n. 7;

contro

il Ministero della difesa, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la -OMISSIS- (Sezione Prima) n. -OMISSIS-, resa tra le parti, concernente diniego di ricostruzione della carriera


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero della difesa;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 13 settembre 2022 il Cons. Carla Ciuffetti, udito l’avvocato A F;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con l’appello in esame è gravata la sentenza in epigrafe con cui il Tar ha dichiarato inammissibile il ricorso dell’odierno appellante, diretto all’annullamento del diniego, opposto dalla Direzione generale per il personale militare del Ministero della difesa, con atto in data 8 febbraio 2016, alla domanda del ricorrente di ricostruzione della carriera, a fini giuridici ed economici, per difetto dei presupposti giuridici della domanda stessa.

2. L’appellante espone in fatto di essere stato sottoposto a procedimento penale per il reato di cui all’art. 319 c.p. ( corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio ). Dopo la sentenza del Tribunale di -OMISSIS- -OMISSIS-, di condanna alla pena di tre anni di reclusione e all’interdizione quinquennale dai pubblici uffici, egli era stato sospeso precauzionalmente dal servizio ai sensi dell’art. 4, co. 1, l. n. 97/2001, con decreto ministeriale 3 marzo 2010, n. 91, a decorrere dal 17 dicembre 2009.

Con sentenza -OMISSIS- la Corte d’appello di -OMISSIS- aveva ritenuto che “ l’appello, pur infondato nel merito, deve essere accolto perché il reato è estinto per prescrizione ”. Il medesimo giudice, “ facendo per il resto rinvio alla motivazione del primo giudice ” aveva affermato che “ la prova della responsabilità dell’imputato sussiste ” e che non emergevano elementi per giungere all’assoluzione ai sensi dell’art 129 c.p.p..

L’Amministrazione aveva quindi dichiarato cessata la sospensione precauzionale dal 13 novembre 2013, richiamando l’art. 922 d.lgs. n. 66/2010 e l’art. 4 l. n. 97/2001. In sede disciplinare all’appellante era stata irrogata la sanzione della sospensione disciplinare per 4 mesi.

La richiesta dell’appellante, in data 10 novembre 2015, di ricostruzione della carriera veniva respinta dall’Amministrazione con il provvedimento impugnato in primo grado.

2.1. Con il primo motivo d’appello, rubricato “ Errore in procedendo per violazione degli artt. 7 c.p.a. e 24 Cost.. Eccesso di potere giurisdizionale. Violazione dei limiti del giudizio di legittimità. Sviamento. Travisamento dei fatti. Carenza istruttoria ”, l’interessato assume che la sentenza impugnata sarebbe viziata da eccesso di potere giurisdizionale, poiché il primo giudice “anziché accertare la legittimità del contestato diniego di ricostruzione della carriera ” avrebbe “ sostituito la propria valutazione a quella riservata alla P.A., violando i confini della giurisdizione di legittimità ”. In particolare, il Tar avrebbe “ rettificato ” l’operato dell’Amministrazione individuando “ ragioni diverse rispetto a quelle addotte a sostegno del contestato diniego ”. Infatti, il diniego alla ricostruzione della carriera opposto dall’Amministrazione era motivato dalla “ mancanza dei presupposti di legge, ai sensi dell’art. 921, com. 2, lett. c), del d.lgs. 15.03.2010, n. 66 ”, richiamato peraltro in modo inconferente, dovendo invece trovare applicare gli artt. 918, 921 e 1394 dello stesso d.lgs. n. 66/2010. Il primo giudice avrebbe erroneamente richiamato la lett. f), invece della lett. c), di tale articolo indicata nell’atto di diniego e, altrettanto erroneamente, avrebbe considerato non “ anomalo, né tanto meno illegittimo ” che si fosse fatta applicazione dell’art. 4 l. n. 97/2001, nonostante che tale articolo non rechi disposizioni in tema di ricostruzione della carriera.

2.2. Con il secondo motivo d’appello, rubricato “E rrore in procedendo per violazione dell’art. 35, lett. b, c.p.a. Errore in iudicando per la violazione ed erronea interpretazione degli artt. 918, 920, 921, 922, 1394 d.lgs n. 66/2010 e 4 della l. n. 97 del 27.03.2001. Eccesso di potere per motivazione perplessa ed erronea, carenza istruttoria, illegittimità ed ingiustizia manifesta, travisamento dei fatti. erronea presupposizione. Violazione del principio tempus regit actum ”, l’appellante deduce che il diritto alla ricostruzione della carriera sarebbe sorto in data 25 settembre 2014, in cui era stato emanato il provvedimento che disponeva la sanzione disciplinare della sospensione per 4 mesi. Con tale atto egli avrebbe “ appreso che la sospensione cautelare dall’impiego sofferta per 3 anni e 331 giorni eccedeva la sospensione disciplinare ”. Perciò, in conformità al principio tempus regit actum , l’Amministrazione avrebbe dovuto applicare nei suoi confronti il d.lgs. n. 66/2010, con riferimento agli artt. 918, co. 1, lett. c), 921 e 1394, co.1, lett. b. Il richiamo all’art. 921, co. 2, lett. c), contenuto nell’atto impugnato, sarebbe errato perché il procedimento penale si era concluso in secondo grado con non luogo a procedere e, quindi, non era stata “ comminata alcuna pena detentiva e/o accessoria, da dedursi al periodo di tempo sofferto per la sospensione dall’impiego ”;
inoltre, la statuizione del Tar circa l’applicazione nella fattispecie dell’art. 4 l. n. 97/2001 sarebbe disancorata dalle censure contenute nel ricorso di primo grado, oltre che dal dato normativo. Infatti, l’art. 4 l. n. 97/2001 non dispone in tema di ricostruzione della carriera, il cui diritto in capo all’appellante sarebbe sorto nella vigenza del d.lgs. n. 66/2010. Di tale disciplina l’Amministrazione avrebbe dovuto fare applicazione, anche considerato che nei confronti dell’appellante sarebbe stato già applicato l’art. 920, co. 1, d.lgs. n. 66/2010, poiché, come ivi previsto, durante la sospensione dall’impiego, gli era stata corrisposta la metà degli assegni a carattere fisso e continuativo ed era stato computando per metà il relativo periodo agli effetti della pensione.

2.3. Con il terzo motivo d’appello, rubricato “ Errore in procedendo per violazione dell’art. 35, lett. b, c.p.a. Errore in iudicando per la violazione dell’art. 96 d.p.r. n. 3/1957. Travisamento dei fatti ”, l’interessato deduce l’erroneità del convincimento del Tar che il diritto alla ricostruzione della carriera potesse sussistere solo in caso di sentenza di assoluzione, poiché nella fattispecie ricorrerebbero tutti i presupposti per il riconoscimento di tale diritto ai sensi degli artt. 918, co. 1, lett. c), 921 e 1394, co. 1, lett. b), d.lgs. n. 66/2010. Anche a ritenere non applicabile nella fattispecie tali disposizioni, avrebbe dovuto applicarsi comunque l’art. 96 d.P.R. n. 3/1957, che, con disposizione di carattere generale, prevede, nel caso in cui venga inflitta al dipendente una sanzione disciplinare di durata inferiore a quella della sospensione cautelare, la corresponsione degli assegni non percepiti per il periodo eccedente la durata della stessa sanzione.

2.4. Con il quarto motivo d’appello, rubricato “ errore in iudicando per la violazione ed omessa applicazione dell’art. 10 bis l. n. 241/1990. eccesso di potere per carenza istruttoria. violazione del principio di partecipazione procedimentale ”, l’interessato ripropone una doglianza che non sarebbe stata esaminata dal primo giudice, evidenziando che, se gli fosse stato comunicato il preavviso di rigetto, egli avrebbe potuto far rilevare all’Amministrazione l’inconferenza dell’art. 921, co. 2, lett. c), d.lgs. n. 66/2010, richiamato nell’atto impugnato in primo grado.

3. L’Amministrazione si è costituita in giudizio chiedendo il rigetto dell’appello.

4. La causa, chiamata all’udienza del 13 settembre 2022, è stata trattenuta in decisione.

5. Il Collegio rileva che la sospensione precauzionale dal servizio dell’interessato, a far data dal 17 dicembre 2009, era stata disposta ai sensi della l. n. 97 2001, recante “ Norme sul rapporto tra procedimento penale e procedimento disciplinare ed effetti del giudicato penale nei confronti dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche ”, il cui art. 4, rubricato “ Sospensione a seguito di condanna non definitiva ”, stabilisce che:

1. Nel caso di condanna anche non definitiva, ancorché sia concessa la sospensione condizionale della pena, per alcuno dei delitti previsti dall’articolo 3, comma 1, i dipendenti indicati nello stesso articolo sono sospesi dal servizio.

2. La sospensione perde efficacia se per il fatto è successivamente pronunciata sentenza di proscioglimento o di assoluzione anche non definitiva e, in ogni caso, decorso un periodo di tempo pari a quello di prescrizione del reato ”.

Tra i delitti previsti dall’art. 3, comma 1, di tale legge, è indicato anche il delitto di cui all’art. 319 c.p., per il quale l’odierno appellante era stato condanno in primo grado.

Con riferimento ai rapporti tra la l. n. 97/2001 e il d.lgs. n. 66/2010, deve rilevarsi che questa Sezione ha ritenuto “ di non discostarsi da un risalente, ma tuttora valido, orientamento giurisprudenziale, secondo cui la previsione di cui al citato articolo 4, comma 1, della legge n. 97/2001 è una norma speciale introdotta dal legislatore con l’intento di perseguire con maggiore severità il pubblico dipendente condannato per ipotesi di reato particolarmente gravi (…) ‘la cui riconosciuta commissione comporta l’esclusiva responsabilità del dipendente per interruzione del sinallagma tra prestazione lavorativa e quella retributiva’ (cfr. Cons. Stato, Sez. II, n. 4414/2011) ” (Cons. Stato, sez. II, 11 luglio 2022, n. 5818).

Secondo tale indirizzo, dal quale non si ravvisano ragioni per discostarsi, deve ritenersi che la gravità delle fattispecie considerate dalla legge n. 97/2001, costituite da delitti commessi nei confronti della pubblica amministrazione da parte dei pubblici ufficiali, “ imponga, in base al principio di specialità, l’applicazione del più rigoroso regime ivi previsto in luogo di quello disciplinato sul piano generale dall’art. 918 c.o.m. ” (Cons. Stato, n. 5818/2022, cit.).

5.2. Tale orientamento porta a ritenere che il primo motivo d’appello debba essere considerato infondato.

Poiché la sospensione precauzionale era stata disposta ai sensi dell’art. 4 l. 21/1997, non già ai sensi dell’art. 915 d.lgs. n. 66/2010, deve concludersi per l’inapplicabilità dell’istituto della revoca con effetti retroattivi di cui all’art. 918, co. 1, così come dell’istituto della ricostruzione della carriera di cui all’art. 1394 d.lgs. n. 66/2010.

Tali istituti non sono previsti dal citato art. 4, le cui disposizioni - che, come ricorda il Tar, continuano ad applicarsi al personale militare in forza di conforme previsione dell’art. 922 d.lgs. n. 66/2010 - si limitano a stabilire la perdita di efficacia della sospensione, cui deve attribuirsi effetto ex nunc , anche quando, come nella fattispecie, sia stata pronunciata una sentenza di proscioglimento nei confronti del soggetto sospeso precauzionalmente.

Ciò posto, si condivide la conclusione del Tar in merito all’erroneità della domanda dell’interessato di ricostruzione della carriera ai sensi degli artt. 921 e 1394 del d.lgs. 66/2010 e, quindi, in merito all’ inammissibilità della relativa domanda per difetto dei presupposti giuridici.

5.3. Dall’infondatezza del primo motivo d’appello deriva l’infondatezza del secondo e terzo motivo del gravame. Infatti, dal principio tempus regit actum non si potrebbe trarre un mutamento del titolo in forza del quale era stata disposta la sospensione precauzionale. Tale titolo non prevede disposizioni in termini di revoca retroattiva e di ricostruzione della carriera, nel caso in cui sopravvenga una sentenza di proscioglimento o di assoluzione. Inoltre, la specialità della disciplina di cui all’art. 4 l n. 97/2001 esclude che, nella fattispecie, potesse trovare applicazione l’art. 96 d.P.R. n. 3/1957 evocato dall’appellante.

5.4. Anche il quarto motivo del gravame deve essere considerato infondato, dovendosi considerare, alla luce dell’art. 21- octies l. n. 241/1990, che l’atto dell’Amministrazione non avrebbe potuto essere diverso da quello emanato, data la mancanza dei presupposti per l’applicazione degli istituti previsti dal d.lgs. n. 66/2010.

In conclusione, l’appello deve essere respinto.

Il regolamento delle spese del grado di giudizio, liquidate nel dispositivo, segue la soccombenza.

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