Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2023-04-03, n. 202303428
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Pubblicato il 03/04/2023
N. 03428/2023REG.PROV.COLL.
N. 07000/2021 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7000 del 2021, proposto da
CGIL – Confederazione Generale Italiana del Lavoro Lombardia, CGIL – Confederazione Generale Italiana del Lavoro Piemonte, CISL – Confederazione Italiana Sindacati Lavoratori Piemonte, UIL – Unione Italiana del Lavoro, Milano e Lombardia, in persona dei rispettivi legali rappresentanti
pro tempore
, tutte rappresentate e difese dagli avvocati V A, F S e S V, con domicilio digitale come da registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato S V in Roma, alla via Flaminia, n. 195;
contro
Regione Lombardia, in persona del Presidente
pro tempore
, rappresentato e difeso dall'avvocato Alessandro Gianelli, con domicilio digitale come da registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Luigi Fiorillo in Roma, al viale Mazzini, n. 134;
Autorità di Gestione Programma di Cooperazione Italia Svizzera, Comitato Direttivo del Programma di Cooperazione Interreg V - A Italia Svizzera, Provincia di Lecco, non costituiti in giudizio;
nei confronti
Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura di Varese, non costituita in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia – Milano, sez. III, n. 1057/2021, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio della Regione Lombardia;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 novembre 2022 il Cons. G G e uditi per le parti gli avvocati Gomitoni, per delega dell’avvocato Angiolini, e Buttafuoco, per delega dell’avvocato Gianelli;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1.- Con decreto n. 9248 del 25 giugno 2019, la Regione Lombardia, nella qualità di Autorità di Gestione (responsabile della gestione del Programma Interreg VA Italia – Svizzera), emanava un avviso pubblico per la presentazione di “ progetti di Cooperazione transfrontaliera ”.
Gli Assi del Programma su cui era possibile presentare domanda di finanziamento erano: a ) Asse 3 – Mobilità integrata e sostenibile; b ) Asse 4 – Servizi per l’integrazione delle comunità; c ) Asse 5 – Rafforzamento della governance transfrontaliera.
La durata dei progetti, da sviluppare in partenariato, non poteva essere superiore a ventiquattro mesi, salvo i progetti di “ Small projects ”, per i quali era prevista una durata non superiore ai quindici mesi.
La dotazione dell’Avviso era pari, per parte italiana, a € 17.518.755,88 e, per parte svizzera, a CHF 9.945.528,00.
Le odierne appellanti presentavano, per il tramite del Capofila italiano Camera di Commercio Industria Artigianato Agricoltura di Varese e dei relativi partners la propria candidatura del progetto “ GETIS - ID 1531886 ”, a concorrere sull’Asse 5, per un valore di € 804.119,08, di cui € 755.321,22 di contributo pubblico, nazionale italiano e comunitario FESR ed CHF 575.658,30, di parte svizzera (con un contributo pubblico richiesto di CHF 287.829,15), della durata massima di ventiquattro mesi.
Dalle azioni proposte dal progetto dovevano scaturire una serie di prodotti ( output ), quali: banche dati condivise;materiale informativo per i lavoratori frontalieri; tool per il riconoscimento dei titoli di studio e modelli di governance del controllo del mercato del lavoro.
Al punto 11, l’avviso pubblico specificava che “ l’attività istruttoria [sarebbe stata] effettuata dall’Autorità di Gestione con il supporto del Segretariato Congiunto e delle Amministrazioni partner e [sarebbe stata] finalizzata ad accertare: a) i requisiti di ammissibilità formali e di partecipazione;b) il soddisfacimento dei criteri di valutazione ”.
Era, altresì, previsto che, nell’ambito della verifica di ammissibilità, si sarebbe proceduto anche ad accertare “ la compatibilità con le politiche cantonali e regionali di riferimento ”, segnatamente mediante specifica verifica che il progetto non vi arrecasse pregiudizio.
Inoltre, era precisato, al punto 12, che, tra le “ cause di non ammissibilità ” rientrava, tra l’altro, la “ mancata rispondenza del progetto con l’obiettivo specifico ”.
Con apposito allegato all’avviso, erano evidenziati gli “ obiettivi specifici ” per l’Asse 5 e, con ulteriore allegato, i proponenti erano resi edotti della metodologia e dei criteri di selezione che avrebbero orientato la valutazione delle proposte, segnatamente distinti in: a ) “ criteri di ammissibilità ”, sia di ordine “ formale ” (controllo del rispetto dei termini e delle modalità di presentazione della proposta progettuale, dei documenti allegati nonché della presenza degli elementi obbligatoriamente previsti dal Programma di Cooperazione) che “ sostanziale ” (relativi ai requisiti di partecipazione: presentazione della manifestazione di interesse, composizione e localizzazione del partenariato, evidenza del cofinanziamento, compatibilità con le politiche italiane e svizzere); b ) criteri di selezione strategici ; c ) criteri di selezione operativi .
L’allegato in questione (D12) precisava, quindi: a ) che “ la verifica dei requisiti di ammissibilità [sarebbe stata] eseguita interamente sul sistema SIAGE ed […] effettuata su tutti i progetti presentati a cura del Segretariato Congiunto ”, in parte in forma automatizzata; b ) che “ l’esito delle verifiche [sarebbe stato] formalizzato dal Comitato Direttivo ”; c ) che, in base alla decisione del Comitato direttivo, “ l’Autorità di Gestione [avrebbe informato] i Capofila di progetto delle proposte non ammesse fornendone motivazione ”.
Tra i criteri di valutazione, il documento includeva, in particolare quello (A2.9) inerente la “ Compatibilità con le politiche italiane e svizzere ”, il cui riscontro era affidato al quesito se “ il progetto [potesse] portare pregiudizio all’attuazione delle politiche regionali o cantonali di riferimento ”. Alla valutazione della proposta, sotto il profilo in questione, sarebbe stato il “ Segretario Congiunto (SC) del Programma ”, composto da un gruppo di esperti interni ed esterni alle Amministrazioni;peraltro, in caso di risposta affermativa al quesito, la valutazione di ammissibilità sarebbe stata effettuata dal Comitato Direttivo.
Essendo risultata “affermativa”, sotto il profilo in questione, la valutazione del progetto GETIS da parte del Segretariato Congiunto, l’Autorità di Gestione procedeva a sollecitare, come previsto, l’ulteriore valutazione del Comitato Direttivo.
In data 14 novembre 2019, l’Amministrazione Cantonale Ticinese esprimeva il proprio “ parere negativo ” in ordine alla ammissibilità del progetto GETIS alla luce del criterio A2.9, sull’assunto che “ alla luce dell'analisi di ammissibilità fatta dai servizi dell'Amministrazione cantonale, [era risultato] che, per i progetti di competenza del Dipartimento delle finanze e dell'economia, il progetto GETIS […] rec [asse] pregiudizio all'attuazione delle politiche settoriali del Canton Ticino ”, e ciò anche alla luce della “ modifica della Costituzione cantonale ”, che aveva introdotto “ norme programmatiche sotto forma di linee guida che le autorità cantonali [avrebbero dovuto] seguire nell'ambito delle relazioni con i Paesi limitrofi al fine di tutelare il mercato del lavoro e l'economia del Cantone ”.
Secondo l’Amministrazione Cantonale Ticinese gli obiettivi del progetto GETIS sarebbero risultati divergenti dalle suddette linee guida della Costituzione cantonale in diversi punti. In particolare:
a ) sarebbero state “ totalmente assenti le associazioni economiche e i sindacati che rappresenta [va] no il Ticino ” e pretermesse “ le istituzioni cantonali direttamente interessate alla governance dell'economia transfrontaliera ”;
b ) “ la totale disarmonia tra attori italiani, presenti in toto, e attori svizzeri, decisamente assenti, [avrebbe rappresentato] un ostacolo rilevante al raggiungimento dei risultati posti dal progetto ”;
c ) ” la creazione di un quadro informativo di comparazione […] a supporto delle politiche delle amministrazioni pubbliche in ambito della gestione del mercato del lavoro [sarebbe risultato] un doppione di quanto già impostato con gli strumenti forniti dall'Istituto ricerche economiche dell'Università della Svizzera italiana (IRE) ”, risultando per tal via “ molto critico il completamento dei lavori dell'IRE attraverso una nuova banca dati legata a un progetto interregionale dalle basi istituzionali non solide ”;
d ) ” la creazione di un sistema integrato di servizi informativi per l'economia transfrontaliera [avrebbe potuto] ulteriormente agevolare il flusso unilaterale di lavoratori d'oltreconfine (frontalieri e prestatori transfrontalieri di servizio) nel […] Cantone, senza dovutamente prendere in considerazione il bisogno di un riequilibrio dei flussi in seno all'area transfrontaliera ”;
e ) “ a livello svizzero lo sviluppo della rete Eures all'interno dell'area transfrontaliera [era] un tema è gestito dalla Segreteria di Stato dell'economia (SECO), mentre la consulenza [era] gestita dal Cantone Ticino con il Canton Vallese ”, di tal che “ un eventuale coinvolgimento del Ticino [era] da escludere ”;
f ) “ le attività legate alla creazione di un percorso di sviluppo del mercato del lavoro attraverso attività di formazione e allineamento delle prassi […] non [sarebbero risultate] idonee o addirittura fuorvianti nel contesto della lotta al dumping salariale ”.
Inoltre, l’Amministrazione ticinese lamentava l’assenza dei progetti detti “ small projects ” (cioè al di sotto della soglia dei 100.000 euro), che avrebbero trovato maggiore coinvolgimento degli attori svizzeri e che costituiva un’altra tipologia progettuale prevista dal Programma.
In data 3 dicembre 2019, il Comitato Direttivo, recepiva proprio il parere dell’Amministrazione Cantonale Ticinese sul progetto GETIS che, per l’effetto, veniva argomentatamente dichiarato “ non ammissibile ” dai rappresentanti svizzeri in seno al Comitato, per violazione della proposta al Criterio A2.9, sicché il Comitato Direttivo prendeva atto della richiesta della componente svizzera e confermava il complessivo e definitivo giudizio di non ammissibilità della proposta progettuale GETIS.
In ottemperanza alle prescrizioni di cui all’avviso, l’Autorità di Gestione, in data 13 gennaio 2020, comunicava alla CCIAA di Varese, capofila italiano del progetto GETIS, e all’Università della Svizzera Italiana – Istituti IRE e IDUSI – capofila svizzero, la non ammissibilità del progetto per mancato soddisfacimento del criterio A2.9, in quanto il progetto era stato giudicato, nei sensi evidenziati, incompatibile con le politiche svizzere.
In data 23 gennaio 2020, la CCIAA di Varese, per conto dei partner del progetto GETIS e degli enti sostenitori dello stesso, presentava formale reclamo, avverso il giudizio d’inammissibilità del progetto GETIS, sollecitandone la riammissione alla successiva fase di valutazione di merito e in subordine, il deferimento della decisione al Comitato di Sorveglianza del Programma, formalizzando inoltre richiesta di accesso agli atti relativi al procedimento di valutazione di ammissibilità, cui l’Autorità di Gestione dava positivo riscontro positivamente in data 10 febbraio 2020.
L’Autorità di Gestione, in data 13 febbraio 2020, informava il Comitato Direttivo, cui chiedeva di esprimersi sul reclamo presentato dai ricorrenti entro il termine fissato, precisando che l’Autorità di Gestione era tenuta a conformarsi al parere del Comitato Direttivo solo se questo si fosse espresso unanimemente da parte di tutti i suoi membri.
In data 24 febbraio 2020, l’Autorità di Gestione prendeva atto che il Comitato Direttivo aveva confermato quanto già deciso nella seduta del 3 dicembre 2019, ritenendo con ciò preclusa la possibilità di sottoporre la questione al Comitato di Sorveglianza, al fine di proporre una diversa decisione, dandone comunicazione alla CCIAA di Varese, capofila del progetto GETIS.
2.- Con atto notificato il 20 giugno 2020, gli odierni appellanti impugnavano dinanzi al TAR per la Lombardia il provvedimento in questione, lamentandone, sotto plurimo profilo l’illegittimità.
Nella resistenza della Regione Lombardia, con sentenza n. 1057 in data 27 aprile 2021, resa nel rituale contraddittorio delle parti previa ordinanza di concessione dei termini a difesa ex art. 73 cod. proc. amm., il Tribunale adito dichiarava il ricorso in parte inammissibile (nella parte in cui sollecitava un sindacato giurisdizionale su decisioni assunte dalle autorità elvetiche) e in parte infondato (nella acclarata assenza della unanimità ai fini della positiva valutazione del progetto, alla quale era risultato fatalmente ostativo il dissenso della componente elvetica).
Con atto di impugnazione, notificato nei tempi e nelle forme di rito, le appellanti contestano, con diffusa argomentazione censoria, la ridetta statuizione, di cui auspicano l’integrale riforma.
Nella resistenza della Regione Lombardia, alla pubblica udienza del 24 novembre 2022, sulle reiterate conclusioni dei difensori delle parti costituite, la causa è stata riservata per la decisione.
DIRITTO
1.- L’appello non è fondato e merita di essere respinto.
2.- Importa premettere che la decisione impugnata risulta assunta sulla base della articolata considerazione per cui:
a ) il Programma di cooperazione Interreg V-A Italia Svizzera 2014- 2020, cui gli atti impugnati erano intesi a dare attuazione, costituiva frutto di un accordo internazionale stipulato fra la Repubblica italiana e la Confederazione elvetica, poi approvato da una Decisione della Commissione europea, che ne aveva recepito i contenuti;
b ) le norme del Programma prevedevano il coinvolgimento dei due Stati interessati (i quali avrebbero dovuto provvedere al suo cofinanziamento) e l’istituzione di appositi organi (Comitato di Sorveglianza e Comitato Direttivo) cui era attribuito il compito di individuazione dei progetti da finanziare: organi composti da rappresentati delle autorità dello Stato italiano e della Confederazione elvetica;
c ) in base ai regolamenti che ne disciplinavano il funzionamento, le deliberazioni del Comitato di Sorveglianza e del Comitato Direttivo dovevano essere approvate all’unanimità, e ciò per assicurare che le decisioni assunte non si ponessero in contrasto con gli interessi dei due Stati o con quelli delle loro autorità locali: e ciò con segnato riguardo proprio alle valutazioni riguardanti il criterio A2.9, il cui scopo era, per l’appunto, quello di evitare il finanziamento di progetti che potessero arrecare pregiudizio alle politiche regionali o cantonali;
d ) in sostanza, le norme elaborate erano rispondenti al principio secondo cui solo l’Autorità titolare dell’interesse potesse valutarne il possibile pregiudizio, non essendosi ritenuto ammissibile rimettere alle Autorità italiane l’apprezzamento circa la compatibilità di un progetto alle politiche svizzere (per quanto non condivisibili) o viceversa, né essendosi ritenuto ammissibile che la maggioranza italiana dell’organo potesse imporre il finanziamento (anche con risorse svizzere) di un progetto ritenuto dalle Autorità svizzere contrastante con le proprie politiche;
e ) a fronte della contrarietà al progetto formalizzata, in sede di Comitato Direttivo, dalla componente elvetica (in ragione della ritenuta contrarietà del progetto agli interessi nazionali) le censure sollevate dalle ricorrenti, tutte incentrate a dimostrare l’illegittimità del giudizio di contrasto del loro progetto con le politiche cantonali ticinesi, dovevano ritenersi pregiudizialmente inconferenti (in ragione del rilievo che la decisione era stata assunta non in ragione della positiva condivisione dei termini negativi del giudizio, ma della mera e paralizzante presa d’atto del veto dei rappresentanti della componente elvetica) e, comunque, inammissibili (quanto alla pretesa di accertare la legittimità della decisione assunta dalle Autorità elvetiche, ovvero di verificare la portata e l’efficacia delle norme contenute nella Costituzione del Canton Ticino, ovvero ancora di sondarne la compatibilità con le disposizioni contenute nella Costituzione italiana, nel TFUE o nei regolamenti UE: non spettando al giudice italiano, del tutto privo di giurisdizione sul punto, il compimento di tali ordini di valutazioni, né prospettandosi alcun problema di compatibilità delle norme dell’ordinamento elvetico con quelle dell’ordinamento italiano e di quello dell’Unione europea, di cui la Svizzera non era parte.
3.- Con il primo motivo di gravame, le appellanti lamentano che la sentenza avrebbe ingiustamente respinto le censure sollevate nei confronti degli atti impugnati in primo grado, erroneamente ritenendo che le decisioni con essi assunte non sarebbero state motivate dalla condivisione da parte dell’Amministrazione del giudizio di contrasto del progetto GETIS con le politiche del Canton Ticino, ma dalla mera presa d’atto del veto opposto dai rappresentanti della componente elvetica.
In particolare, si assume che il ragionamento del primo giudice (di là dalla contestata e non meglio argomentata assenza di profili tecnicamente abilitativi alla declaratoria di inammissibilità, per sé poco intellegibile) suonerebbe illogico e contraddittorio: e ciò proprio in ragione del valorizzato assunto che le decisioni in materia di ammissibilità (od inammissibilità) dei progetti avrebbero dovuto essere assunte all’unanimità, di tal che la mancanza di unanimità correlata al dissenso delle autorità elvetiche avrebbe impedito un abusivo arresto procedimentale sotto la specie della mera ed anodina presa d’atto.
In sostanza, proprio perché il Comitato Direttivo avrebbe, in tesi, potuto dichiarare inammissibile un progetto solo se i suoi componenti fossero stati unanimi in tal senso, il dissenso in seno al Comitato Direttivo avrebbe – come tale – impedito la dichiarazione di inammissibilità del progetto GETIS.
3.1.- L’assunto è del tutto erroneo, già sotto un profilo di ordine logico, prima ancora che propriamente giuridico.
Invero, l’art. 4 del regolamento del Comitato Direttivo e l’art. 7 del regolamento del Comitato di Sorveglianza stabilivano, in guisa convergente, che le relative decisioni fossero “ assunte per consenso ”, imponendo per tal via “ l’unanimità dei voti ”.
Con ogni evidenza, ratio della previsione era quella di impedire che sia il Comitato di Sorveglianza che la sua diramazione funzionale, cioè appunto il Comitato Direttivo, potessero in ogni caso assumere “ decisioni contrastanti con gli interessi dei due Stati aderenti al Programma ” (trattandosi di interessi di ordine non meno politico che finanziario , posto che entrambi gli Stati erano tenuti a contribuire al finanziamento del Programma).
È chiaro, perciò, che l’unanimità di valutazione fosse richiesta ai fini del (positivo) assenso al progetto (sì da impedire che una divergenza di valutazioni potesse ridondare in pregiudizio degli interessi pariteticamente rappresentati), non certo per il (negativo) dissenso : essendo il mancato conseguimento di una valutazione unanime ragion sufficiente – di là da ogni altro e difforme possibile apprezzamento – per l’assunzione di un, pregiudiziale ed ostativo, fin de non recevoir .
La conclusione, importa precisare, non è inficiata dall’osservazione, pure criticamente prospettata dalle appellanti, secondo cui, in realtà, in base alle previsioni dell’allegato D.12 al bando di concorso, recante “ Metodologia e criteri di selezione ”, la rimessione alla valutazione del Comitato Direttivo avrebbe potuto attivarsi solo quando, nella fase di valutazione preliminare, fosse emerso (in negativo) che il progetto recasse, a qualunque titolo, pregiudizio alle politiche regionali o cantonali (avendo il Comitato Direttivo un potere di validazione anche nella ricorrenza di tale eventualità), ma non nel caso, occorso nella specie, in cui alcun profilo di incompatibilità era emerso nella fase preparatoria.
Si tratta, invero, di argomento è specioso, ma non persuasivo: è evidente che la valutazione operata nella ( preliminare ) fase istruttoria (semplicemente prodromica alla successiva e definitiva valutazione del progetto) non potesse sortire alcuna efficacia “preclusiva” al giudizio, nel merito, delle componenti paritetiche delle Autorità nazionali, non potendosi trattare di apprezzamento in alcun modo vincolante.
Tale considerazione vale, per giunta, ad elidere anche il terzo motivo di gravame, che muove da opposta ed infondata premessa.
4.- Con un secondo motivo di doglianza, le appellanti lamentano che la sentenza impugnata avrebbe ingiustamente affermato l’inammissibilità delle censure sollevate nei confronti degli atti in contestazione, erroneamente ritenendo che non spetterebbe al giudice italiano, per assoluto difetto di giurisdizione. valutarne la legittimità.
Invero, si assume in particolare: a ) che oggetto del giudizio fossero esclusivamente provvedimenti amministrativi adottati da amministrazioni italiane, tutte articolazioni della Regione Lombardia; b ) che, in ogni caso, quand’anche la decisione avesse implicato la soluzione di questioni di diritto straniero, la relativa verifica ben avrebbe potuto (e dovuto) essere effettuata, in via incidentale e senza effetto di giudicato, ai sensi dell’art. 6 della l. n. 218 del 1995), anche in ragione del principio per cui «[i] l giudice amministrativo nelle materie in cui non ha giurisdizione esclusiva conosce, senza efficacia di giudicato, di tutte le questioni pregiudiziali o incidentali relative a diritti, la cui risoluzione sia necessaria per pronunciare sulla questione principale ».
4.1.- Il motivo è infondato.
Le evidenze documentali confermano che la valutazione negativa del progetto per cui è causa rimonta alla decisione, di ordine essenzialmente politico, delle Autorità elvetiche, coinvolte nella gestione paritetica dei finanziamenti, che ha ritenuto incompatibile l’iniziativa programmata con l’ordinamento nazionale, come plasmato dai recenti interventi di riforma costituzionale.
Di fatto, il Canton Ticino ha deciso, con referendum , una linea politica intesa ad evitare il “ dumping salariale ”, perpetrato dai datori di lavoro svizzeri a danno dei lavoratori subordinati, grazie a condizioni sfavorevoli accettate dai lavoratori frontalieri.
È evidente che – a fronte della “paralisi” imposta dalla valutazione negativa della componente elvetica delle Autorità decidenti – ogni valutazione inerente alla esistenza , alla portata , all’ incidenza , e più ancora alla legittimità di siffatta “ linea politica ” (in quanto abbia finito per concretamente condizionare, nei termini considerati, la definizione negativa della fase di valutazione progettuale) non possa che esulare del tutto, come correttamente ritenuto dal primo giudice, dai limiti della giurisdizione non solo del giudice amministrativo, ma della giurisdizione nazionale tout court .
Ancora una volta, è evidente l’equivoco che sorregge l’assunto degli appellanti: vero che il provvedimento impugnato è stato (formalmente) assunto da una Autorità amministrativa italiana;ma la sostanza della decisione (contro la quale si appuntano le ragioni di doglianza) rimonta a valutazioni, del tutto insindacabili, in quanto per giunta connotate di essenziale politicità , delle autorità elvetiche.
5.- Alla luce delle esposte considerazioni, assorbenti di ogni altro rilievo, le doglianze formulate devono ritenersi complessivamente infondate.
Peraltro, le appellanti evidenziano una potenziale questione interpretativa ex art. 267, comma 3 TFUE, sollecitando il Collegio ad interrogare la Corte di Giustizia dell’Unione Europea sulla questione “ se il diritto dell'Unione, ed in particolare l'art. 47 della carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, vadano interpretati nel senso che ostano a che il diritto di uno Stato membro, quale nella specie l'Italia, consenta che il finanziamento da accordare per l'attività di ricerca con fondi europei sia subordinato al potere di veto di uno stato terzo, quale nella specie la Svizzera, rendendo il potere medesimo insindacabile e sottraendolo a qualsiasi ricorso effettivo di carattere giurisdizionale ”.
5.1.- La questione non sussiste ed il dubbio è in ogni senso irrilevante, il che vale ad esimere il Collegio dalla articolazione del relativo quesito interpretativo.
Importa, in effetti, ribadire:
a ) che, nella vicenda esaminata la Svizzera non potrebbe considerarsi un mero Stato “terzo”, essendo, in realtà Stato partecipe al “ Programma di cooperazione Interreg V-A Italia Svizzera 2014-2020 ”, a tal fine impegnato, assieme allo Stato italiano, a fornire il cofinanziamento necessario per l’esecuzione del Programma;
b ) che, per l’effetto, al fine della selezione dei progetti meritevoli di cofinanziamento, fosse (imprescindibilmente) richiesta, nei sensi più volte ribaditi, la volontà unanime tanto dai rappresentanti delle Autorità italiane quanto di quelli delle Autorità elvetiche (essendo necessario garantire, tramite la valutazione del Comitato di Sorveglianza e del Comitato Direttivo, a composizione paritetica, che non fossero assunte decisioni contrastanti con gli interessi dei due Stati aderenti al Programma;
c ) che, per l’effetto, nessun dubbio può sussistere sulla circostanza che la Regione Lombardia – in qualità di Autorità di Gestione del Programma intestataria del potere di formalizzazione degli amministrativi di concessione del finanziamento pubblico – non potesse in alcun modo non tenere conto anche degli effetti giuridici e finanziari derivanti nei confronti della Svizzera;
d ) che, di conseguenza, non si è affatto trattato, come pretendono le appellanti, di “ veto ” opposto ab externo da uno Stato “ terzo” rispetto a scelte di finanziamento con fondi europei: la Svizzera era compartecipe al progetto di finanziamento, sicché il suo assenso (sotto il concorrente profilo dell’interesse politico e della cooperazione finanziaria ) era in ogni senso necessario, senza che la valutazione espressa, in chiave paritetica, potesse ritenersi incisiva di una (autonoma ed irrelata) scelta dell’Autorità nazionale, per la quale possa anche solo astrattamente porsi un problema di compatibilità con il diritto unionale.
6.- In definitiva, l’appello va integralmente respinto.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo che segue.