Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2015-01-22, n. 201500264
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Testo completo
N. 00264/2015REG.PROV.COLL.
N. 09223/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9223 del 2013, proposto dal Comune di Tivoli, rappresentato e difeso dagli avvocati A G e C M, con domicilio eletto presso lo studio legale Guarino, in Roma, piazza Borghese n. 3;
contro
Il signor C C, rappresentato e difeso dagli avvocati G V, F M e S G, con domicilio eletto presso quest’ultimo, in Roma, piazza Barberini n. 12;
i signori M M, G M, F P, G P, U F;
nei confronti di
Sirio Hotel s.r.l., Finanziaria Tiburtina s.p.a., Bluserena s.p.a. (già Serena Majestic Hotel &Residence s.r.l.), Terme di Cotilia s.r.l., Immobiliare Milanese Carlero s.r.l.;Quadrio Curzio s.p.a.;
per la revocazione
della sentenza del Consiglio di Stato - Sez. V n. 3962/2013, resa tra le parti, concernente alcuni atti con cui il Comune di Tivoli ha avviato la privatizzazione parziale della società concessionaria delle acque termali Acque Albule s.p.a.;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di C C;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 gennaio 2015 il Cons. F F e uditi per le parti gli avvocati C M e F M;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Alcuni cittadini e consiglieri del Comune di Tivoli impugnavano davanti al TAR Lazio – sede di Roma (ricorso n. 7541/2001) gli atti con i quali l’amministrazione locale aveva deciso di ripianare le perdite, ricapitalizzare e cedere a privati parte del capitale della società interamente controllata Acque Albule s.p.a., concessionaria della costruzione e gestione dell’omonimo impianto termale sito in Tivoli. Più precisamente, l’impugnativa concerneva le deliberazioni consiliari nn. 22 e 31 del 22 marzo e 20 aprile 2001, nonché i successivi atti della conseguente procedura ad evidenza pubblica di privatizzazione della società, così definiti in epigrafe del ricorso <<tutti gli atti presupposti connessi successivi ed attuativi ivi compreso il bando per la privatizzazione della spa Acque Albule e della conseguente procedura di aggiudicazione, allo stato definita dalla selezione dell’unico concorrente (su sei partecipanti) che ha presentato un’offerta tuttora da vagliare>> .
2. Con sentenza n. 8799 del 25 ottobre 2001, il TAR adito ha dichiarato il ricorso inammissibile, perché non notificato all’unico soggetto controinteressato, e cioè la citata società concessionaria.
3. In accoglimento dell’appello proposto dagli originari ricorrenti (n. di r.g. 1726/2002), con la sentenza indicata in epigrafe questa Sezione ha annullato con rinvio la pronuncia di primo grado ai sensi dell’art. 105, comma 1, cod. proc. amm., sul rilievo che, diversamente da quanto ritenuto dal giudice di primo grado, erano stati ritualmente evocati in giudizio altri controinteressati, ed in particolare l’aggiudicataria della procedura di privatizzazione Sirio Hotel s.r.l., nei confronti dei quali si sarebbe dovuto integrare il contraddittorio anziché dichiarare inammissibile l’impugnativa.
4. Di questa pronuncia il Comune di Tivoli chiede ora la revocazione per plurimi errori di fatto.
5. Si è costituito in resistenza il solo dott. C C, ricorrente nel giudizio di merito.
6. All’udienza del 13 gennaio 2015, la causa è stata trattenuta per la decisione.
DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso, nel quale il Comune di Tivoli si duole che questa Sezione non abbia esaminato l’eccezione di perenzione del giudizio d’appello da essa sollevata nel giudizio di merito, è fondato.
2. Deve al riguardo premettersi che - in base ad un orientamento che costituisce ormai ius receptum - è deducibile la censura di mancata pronuncia, ordinariamente integrante un errore di giudizio, nell’ambito del vizio revocatorio di errore di fatto.
Ciò ogniqualvolta tale mancanza sia dipesa dalla mancata percezione di atti e documenti di causa nei quali la domanda o l’eccezione (come nel caso di specie) erano state formulate (Ad. plen. 22 gennaio 1997, n. 3;Sez. III, 24 maggio 2012, n. 3053;Sez. IV, 13 ottobre 2014, n. 5043, 28 ottobre 2013 n. 5187, 13 giugno 2013, n. 3287, 15 aprile 2013, n. 2026;Sez. VI, 22 settembre 2014, n. 4774, 20 luglio 2011, n. 4305).
La giurisprudenza ora richiamata precisa tuttavia che l’omessa pronuncia inficiata da svista percettiva degli atti di causa non si traduce in errore revocatorio ogniqualvolta la domanda o eccezione risulti implicitamente respinta in base ad una lettura non formalistica della motivazione della decisione di cui si chiede la revoca.
3. Ciò premesso, dalla lettura della motivazione della sentenza in epigrafe risulta innanzitutto non esaminata l’eccezione di perenzione in quella sede formulata dal Comune di Tivoli.
Dalla stessa motivazione non emerge per contro alcun implicito rigetto della stessa.
Nella parte “in fatto” si dà semplicemente atto del deposito di memoria difensiva da parte dell’amministrazione. La successiva parte “in diritto” si incentra invece in via esclusiva sul motivo d’appello rivolto a contestare la dichiarazione di inammissibilità resa in primo grado, malgrado il carattere giuridicamente preliminare (e logicamente incomputabile con l’accoglimento dell’appello) dell’eccezione di perenzione del giudizio di secondo grado.
Poiché, dunque, quest’ultima eccezione si muove su un piano distinto rispetto alla questione formulata con l’atto d’appello, non si può ritenere che l’accoglimento di quest’ultimo rechi l’implicito rigetto della prima.
4. L’accoglimento del primo motivo comporta, nell’ambito della fase rescindente del giudizio, l’assorbimento del terzo motivo, svolto in via subordinata, mentre il secondo motivo deve essere esaminato nella fase rescissoria.
Infatti, con esso il Comune di Tivoli si duole del mancato accoglimento dell’eccezione di perenzione.
Tuttavia sebbene il mancato accoglimento dell’eccezione venga inizialmente dedotto come errore di fatto, la stessa censura compare nelle conclusioni ai fini dell’accoglimento del ricorso per revocazione anche per la fase rescissoria.
5. Ciò precisato, e passando alla fase rescissoria, l’eccezione di perenzione non può essere accolta, dovendosi applicare in via ufficiosa il beneficio dell’errore scusabile ex art. 37 cod. proc. amm., per la decisiva considerazione che l’avviso di perenzione inviato dalla Segreteria agli allora appellanti nel giudizio di merito ex art. 9, comma 2, l. n. 205/2000 recava l’avvertimento di depositare l’istanza nel termine ordinario di “sei mesi”, anziché in quello dimezzato ex art. 23- bis l. Tar di tre mesi.
Essendo il primo termine stato pacificamente rispettato (l’istanza di fissazione udienza è stata depositata l’11 ottobre 2010, a fronte della ricezione dell’avviso avvenuta il 14 maggio precedente), sarebbe del tutto iniquo addebitare alla parte un errore indotto da un ausiliario del giudice davanti al quale pende la controversia, configurandosi quindi uno dei casi eccezionali ai sensi dell’art. 37 citato che consente di derogare alle conseguenze derivanti dall’applicazione di termini processuali perentori.
6. Deve infine essere rilevato che in memoria conclusionale il Comune ricorrente eccepisce l’improcedibilità del ricorso di controparte, pendente ora davanti al TAR Lazio, in seguito alla pronuncia di questa Sezione di cui viene chiesta la revoca, a causa dell’omessa impugnativa degli atti della nuova procedura di privatizzazione parziale della Acque Albule s.p.a., disposta dall’amministrazione ai sensi dell’art. 3, commi 27 e seguenti, l. n. 244/2007 (legge finanziaria per il 2008).
Sul punto, va osservato che non è questa la sede in cui può essere formulata l’eccezione, ma quella del giudizio di merito, spettando al TAR ogni valutazione sulla connessione tra i due giudizi e sul rilievo del provvedimento sopravvenuto.
7. In conclusione, pur ammissibile, il presente ricorso per revocazione deve essere respinto, con conseguente conferma della sentenza n. 3962/2013, da integrare con la statuizione di rigetto dell’eccezione di perenzione.
Le spese di causa vanno poste a carico del Comune di Tivoli in virtù del criterio della soccombenza, rinviandosi al dispositivo per la relativa liquidazione.