Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2023-06-05, n. 202305461

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2023-06-05, n. 202305461
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202305461
Data del deposito : 5 giugno 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 05/06/2023

N. 05461/2023REG.PROV.COLL.

N. 04315/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4315 del 2017, proposto dal signor L G F in proprio e nella qualità di legale rappresentante della ditta La Bella Venere s.a.s. di L G F &
C., entrambi rappresentati e difesi dagli avvocati R F e L M, con domicilio eletto presso lo studio degli stessi in Roma, via Nicolò Tartaglia, n. 11;

contro

il Ministero delle Finanze, in persona del Ministro pro tempore , non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sede di Roma, sezione seconda, n. 11584 del 21 novembre 2016.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatrice nell’udienza pubblica del giorno 23 marzo 2023 il consigliere Emanuela Loria;

Viste le conclusioni delle parti come da verbale.


FATTO e DIRITTO

1. L’oggetto del presente contenzioso è costituito dl provvedimento n. 101694 del 12 febbraio 2021 avente ad oggetto il Testimoniale di Stato per l’acquisizione del complesso alberghiero denominato “La Bella Venere” edificato dalla società La Bella Venere s.a.s. all’inizio degli anni Sessanta su suolo demaniale (arenile del lago di Vico).

2. La ricorrente ha rilevato di avere presentato numerose istanze (tra l’8 maggio 1959 e il 6 marzo 2000) tese all’ottenimento della concessione della porzione di arenile ma l’Amministrazione non avrebbe dato riscontro a tali richieste nonostante fosse approvato lo schema di disciplinare per la concessione.

Tale atto (redatto dall’Ufficio speciale del Genio civile per il Tevere e l’Agro romano) recava lo schema di disciplinare contenente le norme e le condizioni vincolanti la concessione, ma non il prezzo, sicché l’11 dicembre 2000 l’interessata ha inviato una perizia giurata intesa ad integrare il disciplinare onde determinare un canone provvisorio e si è impegnata a sanare ogni pendenza non appena l’Amministrazione avesse fornito i conteggi.

Successivamente l’Amministrazione ha appreso dell’avvenuta redazione del Testimoniale di Stato per l’acquisizione dell’edificio indicato.

3. L’istante ha proposto ricorso al Tar per il Lazio, articolando tre motivi:

I. Violazione degli obblighi di motivazione e comunicazione dell’avvio del procedimento: al riguardo, è stato osservato che il provvedimento incide su “posizioni soggettive consolidate dell’interessato” , in assenza di ragioni di urgenza, posto che sono trascorsi quasi 40 anni dall’avvio dell’iter concessorio.

II. Violazione dell’art. 47 del R.D. n. 726 del 895, il quale impone la riconsegna dell’area demaniale "nel pristino stato" al termine della concessione, e solo ove l'interessato chieda di essere esonerato dalla demolizione dei fabbricati consente la ritenzione di questi in proprietà dello Stato. Nel caso di specie, mancando una richiesta al riguardo, non sarebbe stato consentito emanare l’atto impugnato.

III. Violazione dell’art. 97, lett. n), R.D. n. 523 del 25 luglio 1904 e degli obblighi di istruttoria e di motivazione, considerato che l’atto impugnato è stato adottato in assenza del parere tecnico-idraulico del Genio Civile e dell’autorizzazione prescritta per le opere realizzate sull’arenile.

4. Il T.a.r. per il Lazio, con la sentenza impugnata ha respinto il ricorso e la connessa domanda risarcitoria e ha condannato la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio.

5. Con l’appello in esame, l’appellante ha articolato due motivi:

1. Errata interpretazione e falsa applicazione dell’art. 97 del R.D. 523 del 25 luglio 1904.

Con il primo motivo viene sostanzialmente riproposto il terzo motivo del ricorso di primo grado: l’acquisizione al Demanio dei manufatti sarebbe stata effettuata senza il prescritto parere di esclusiva competenza del Genio Civile previsto dall’art. 97, lett. n), R.D. n. 523 del 25 luglio 1904.

2. Violazione e mancata applicazione dell’art. 96 del T.U. n. 523 del 1904.

Con il secondo motivo è stato riproposto il secondo motivo del ricorso di primo grado.

Sebbene l’appellante rilevi che la mancata autorizzazione da parte del Genio Civile avrebbe carattere assorbente, deduce che il Ministero delle Finanze, con l’impugnato

provvedimento, avrebbe violato anche l’art. 96 del T.U. 523/1904.

In presenza di costruzioni asseritamente abusive su demanio lacuale, il Demanio dovrebbe scegliere tra l’acquisizione o la demolizione e tale scelta non sarebbe di fatto praticabile allorché essi, sempre se posti su area demaniale, violino le norme sui vincoli apposti alle fasce di terreno sulle quali insistono.

6. L’Amministrazione non si è costituita in giudizio.

7. Alla pubblica udienza del 31 marzo 2023 la causa è stata spedita in decisione, non essendo necessario ai fini del decidere il rinvio richiesto in udienza dall’avvocato dell’appellante poiché la causa è matura per la decisione.

8. In via preliminare, si osserva che il primo motivo del ricorso di primo grado non è stato riproposto per cui si è formato il giudicato sulla parte della sentenza gravata che ha respinto il primo motivo (§5).

9. In punto di fatto si osserva che gli appellanti e il loro dante causa hanno edificato un complesso turistico-alberghiero insistente su un'area demaniale di circa mq. 2000 (tra aree coperte e scoperte) secondo i rilievi eseguiti dall'UTE del 1990 in assenza di autorizzazione e senza versare l’indennizzo determinato dall'UTE di Viterbo dal '1990 (limitandosi gli interessati a pagare importi in via provvisoria), fino a quando gli occupanti, in data 6 febbraio 1997, hanno ritenuto di determinare autonomamente il canone concessorio (in £ 3.783.780 per l'anno 1997, rivalutabili, somma molto inferiore alla stima UTE pari a £ 26.994.780) mediante una perizia giurata presentata ex art. 5, co. 7 e 7 ter, L.n. 507/95.

Conseguentemente, l’Ufficio del Registro di Viterbo ha iscritto a ruolo le somme dovute dalla Società, ammontanti a centinaia di milioni di lire.

Poi, sulla base delle direttive di cui alla nota n. 14205 del 3settembre 1996 della D.C. Territorio per il Lazio, Abruzzo e Molise, l'Ufficio del Territorio di Viterbo ha assunto in consistenza il complesso immobiliare in questione con verbale n.35447 del 28 luglio 2000, avente valore di Testimoniale di Stato.

Gli occupanti hanno diffidato e sollecitato l'Amministrazione ad adottare un atto di concessione, la quale non è stata rilasciata stante il rifiuto del nulla osta alla stipula da parte dell'Ufficio del Territorio di Viterbo che, a fronte dello schema di disciplinare da parte dell’Ufficio Speciale del Genio Civile, con nota del 13 novembre 2000 ha motivato la propria scelta negativa affermando che:

- sarebbe stato impossibile rilasciare una concessione a chi ha giudizi pendenti con lo Stato e non è in regola con il pagamento degli indennizzi richiesti;

- non erano stati presi in considerazione, nel disciplinare, taluni manufatti insistenti sull’arenile lacuale ed acquisiti con Testimoniale di Stato;

- l’area occupata secondo il disciplinare (mq. 2688, 60) risultava maggiore rispetto a quella considerata dall’Ufficio (mq.2003 tra coperto e scoperto) per il calcolo degli indennizzi;

- la superficie occupata risultava essersi progressivamente incrementata e ciò era ostativo alla regolarizzazione del rapporto, essendo impossibile individuare esattamente l'area occupata e, quindi, calcolare correttamente l'indennizzo.

10. In relazione al primo motivo d’appello – con il quale è stato riproposto il terzo motivo di primo grado – lo stesso è infondato oltre ad essere poco chiaro nella sua argomentazione logica in relazione alla posizione di interesse al ricorso (e quindi agli specifici motivi sollevati) che caratterizza il giudizio amministrativo.

Infatti, le carenze contestate supportano (piuttosto che minare) il provvedimento impugnato, il quale, appunto, è stato adottato anche considerando che le costruzioni insistenti sull'arenile erano state realizzate in assenza delle prescritte autorizzazioni e che mancava il previsto parere tecnico-idraulico del Genio Civile.

Invero, la Società non vanta posizioni giuridiche soggettive consolidate poiché ha abusivamente edificato e mantenuto l’area per oltre sessanta anni senza essere titolare di un atto concessorio e omettendo di pagare i canoni.

11. Anche il secondo motivo – con il quale è stato riproposto il secondo motivo del ricorso di primo grado – è infondato.

L’art. 47 del R.D. n. 726 del 1895 obbliga la riconsegna dell’area demaniale “nel pristino stato” al termine della concessione e solo ove l’interessato chieda di essere esonerato dalla demolizione dei fabbricati si consente la ritenzione di questi in proprietà dello Stato.

Secondo parte ricorrente, essendo mancata, nel caso di specie, una richiesta al riguardo, l’atto impugnato sarebbe illegittimo.

Il motivo è infondato.

L’interesse della Società è quello di ottenere la concessione, previo annullamento del provvedimento impugnato;
ai sensi dell’art. 47 del citato R.D. la domanda dell’interessata avrebbe potuto riguardare l’esonero dall’obbligo di “rimettere e riconsegnare le aree al pristino stato” (vale a dire di rimuovere gli immobili abusivamente realizzati).

La Società pertanto non può trarre un vantaggio dal fatto di non avere giustificato con una propria domanda l’acquisizione dei beni allo Stato per non voler essa stessa riconsegnare l’area nello stato originario, e quindi accollarsi l’onere della demolizione.

In tal caso, infatti, l’interessata sarebbe stata obbligata a demolire direttamente gli immobili e a liberare il suolo, mentre la Società mirava ad ottenere la concessione.

12. Conclusivamente l’appello è da respingere.

13. Nulla si dispone sulle spese in assenza di costituzione dell’Amministrazione.

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